La Signora della Guerra

Per qualche bacio in più

007: Licenza di non uccidere

The Sinking Lady

Goldrake: Requiem per una Direttrice corrotta

La vecchia sorcona e il funerale dei topi

LA SIGNORA DELLA GUERRA

di Salvatore Conte (2020-2023)

Non ci sono soltanto i Signori della Guerra.

In Congo c'è una Signora della Guerra e si chiama Anna Frazer.

Da semplice casalinga sexy dalle forme perfette, si è trasformata in pochi anni in una cessa ambiziosa e supponente.
Ingrassata come una scrofa, ha tirato fuori tutta la sua puttanaggine, imparando a usare i camicioni sbottonati fino allo stomaco e ha fatto presa perfino su 007, che l'ha chiesta in moglie per mettersi a posto.

Addestrata dalla Spectre, è di stanza in Congo per coprire i traffici sporchi delle grandi compagnie.

Ha con sé, quale luogotenente, una vecchia pornostar in pensione, la famosa Kelly Madison.

Le due, insieme, se la tirano parecchio.

E i loro uomini ci scherzano sopra.

La curiosità maggiore dei maschi riguarda le loro capacità di assorbimento, le qualità da incassatrici, come si dice nell'ambiente dei mercenari.

«Per me è una buona incassatrice, non dico che sia una corazzata, ma - quantomeno - non crolla come una puttana qualunque, al primo o secondo colpo», questa una delle tante opinioni sussurrate intorno al bivacco, con riguardo ad Anna.

«Kelly ha il diavolo dentro, per me sa incassare molto bene».

L'occasione per verificare i pronostici arriva presto.

La giungla è un brutto posto, non c'è rispetto per nessuno, nemmeno per due belle puttane come Anna Frazer e Kelly Madison.

Il clima è teso, il ritmo è frenetico.

Un plotone nemico ha attaccato la miniera abusiva.

Anna reagisce prontamente, alla testa dei suoi uomini, le zinne ballonzolanti all'interno del camicione, la voglia di impressionare il suo ammiratore segreto, James Bond.

Ma il fuoco si indirizza su di lei.

Vogliono fotterla.

Con tre-quattro colpi al bersaglio grosso cominciano a rallentarla...

E con un altro sopra la mettono col culo a terra.

Anna rimane isolata dal resto dei uomini, chi era vicino a lei è crepato, Kelly guida un'altra squadra.
La Frazer annaspa: sente la fine. Almeno un paio di colpi devono essere mortali.

C'è il rischio che la situazione precipiti in fretta.

Matthew Tusk esce allo scoperto. Ormai ce l'ha in pugno.

Un signorino della guerra, per certi versi. Ma forte e palestrato, con gusti ambivalenti.

«Ehi... Matty... che ti sei messo in testa...? Di fottermi...? Lo sai che sono la moglie... di James Bond...?».

Lei è appoggiata con la schiena a un tronco d'albero, la testa piegata sul petto.

Lui è spuntato fuori dalla macchia, con il mitra spianato.
«Ascolta, Anna... hai bisogno di cure. Dimmi dove si trova il carico di litio pronto a partire e ti tampono per bene tutte le ferite. Ho della morfina con me: ti sentirai subito meglio...».

«Il gioco... lo comandi tu... Mat...», affanna. «Quelle batterie... all'inferno... non mi servono più...».

Anna Frazer parla. E di corsa.

Lui, intanto, le infila le mani nel camicione allentato e le strizza le zinne pulsanti voglia di vivere.

Quando ha finito di parlare, le tampona i buchi come promesso e le fa una siringa di morfina, ma molto leggera.

«Così durerai di più...».

«Che vuoi fare... adesso...?», gli chiede.
«Ti faccio vedere», si allenta i pantaloni e se la prende.

Lei ci sta. Resistere servirebbe a poco. Ma soprattutto vuole convincerlo a non freddarla.

Anna non è mai stata molto umile nella sua vita.

Si sente sempre una gran fica ed è convinta di potersi ancora salvare.

Lo lascia fare, per accreditarsi presso di lui.

Intanto Kelly dovrebbe essere sulle sue tracce, se non è costretta alla difensiva.
L'obiettivo è di strappargli una chiamata d'emergenza all'elicottero nero.

Si tratta di un'eliambulanza mercenaria, anonima, che svolge questo servizio, dietro pagamento, a qualunque milizia lo richieda.

«E va bene, Anna... ho capito quello che hai in mente». Esce e depone il telefono satellitare a qualche metro di distanza. «Chiamati l'elicottero», la voce è fredda, ma la Signora della Guerra intravede la salvezza: è questo ciò che conta per lei.

La Frazer comincia disperatamente a strisciare come una grossa biscia verso l'apparecchio.

Per una nelle sue condizioni non è facile coprire quei metri.

Mat si gode tranquillo la scena: la scia si sangue che le fa da ombra mentre struscia e ancheggia.

Improvvisamente lo schermo del telefono si illumina, ma non è facile per lei - con gli occhi appannati dalla morte - leggere cosa dica.

Matt si avvicina velocemente, un occhio sull'apparecchio per controllare chi stia chiamando.
E risponde.

«Sì, è fottuta, stecchita».

E chiude.

«Mi dispiace, Anna, ma come forse avrai capito, il mio committente mi ricorda gli impegni assunti.

Hai fatto troppa strada, ultimamente. E qualcuno ha deciso di fermarti».

«Aspetta... digli che...».

La fissa divertito.

La sua agonia lo eccita.
«Tu mi ami... Mat... non puoi farlo...».

Tusk si siede dietro di lei, così può farla sdraiare sul petto.
L'uomo si accende una sigaretta.
«Cosa vuoi che faccia, Anna?».
«Non uccidermi... possiamo metterci insieme...».

«Sono un professionista e ho un contratto da rispettare...».

«Ma le mie zinne... ti piacciono... lo so...».

«Sono eccezionali, Anna, anche se hai la tua età», e infatti se le strizza per bene. «Ma devo farlo, capisci?

In ogni caso, non ti rimarrebbe molto tempo.

Hai lo stomaco spappolato e te ne andresti in meno di mezzora...».

«No... io non voglio morire... cough.... ti prego... posso ancora provarci...

Mat... non farlo... cough... io sono tua...», Anna è colta dal panico, vorrebbe salvarsi a tutti i costi.

«Sei una bella tentazione, Anna. Ma la senti questa tosse?

Stai morendo...

E sai benissimo qual è il destino che ti attende.

Adesso vedi di crepare con un briciolo di dignità, mi hai stancato».
Tusk fa scorrere la sua pistola sul fianco di Anna, premendo la canna appena sotto la mammella.
«No... aspetta...! Non farlo...!

Se spari... m'ammazzi...

Fai il bravo...», Anna cerca delicatamente di spostare la canna della pistola dal fianco.
Ma l'uomo gliela preme addosso con ancora maggior forza, è irremovibile.

«Non ti rovino le zinne, Anna...».
Poi il boato.

Mat si rialza di colpo, rovesciandola a terra.
«P-per...c-ché....», balbetta, con gli occhi ormai fissi.
«M-mu...oio...», sussurra Anna, rimanendo a bocca spalancata.

Sa che la sta ascoltando.

Ma lui, con gesto trionfante e rabbioso, le strappa dal collo una delle piastrine gemelle di riconoscimento.

È la prova per il committente, lo scalpo di latta della vecchia signora.

Sta per allontanarsi, quando gli rimbomba in testa quel "muoio" così sensuale. Gli ha messo addosso una strana frenesia.

Si allontana di qualche passo, ma la curiosità quasi lo uccide più delle pallottole che Anna stessa avrebbe voluto piazzargli addosso.

Torna indietro e torreggia sopra di lei.

Non si era sbagliato.

Lo sguardo è ghiacciato e la bocca spalancata per la mortale sorpresa, ma nonostante il colpo a bruciapelo che le ha distrutto gli organi interni, la signora è ancora aggrappata alla vita.

Costernato, incredulo e improvvisamente in ansia per la sorte di Anna, si cala i pantaloni e in pochi secondi schizza fuori tutta la sua frenesia.

«Alla fine hai vinto tu... mi dispiace...», la bacia sul collo e in bocca, succhiando il sangue che le sale in gola. «Riesci a parlare? Chiamo l'elicottero, Anna...».

E lo fa sul serio.

«Ti prego, parla... di' qualcosa...».

Tusk sa benissimo che quando l'elicottero arriverà, troverà cadavere la signora Frazer, ma stavolta è lui che vuole illudersi, con le mani premute sui buchi e il massaggio cardiaco già eseguito due volte.

Anna non è più riuscita a parlare.

La sua ultima parola è stata "muoio": una triste ammissione per la vecchia troia sbottonata, anche se sta ancora provando a smentirsi.

«Con me imparerai a tenere i bottoni chiusi», le sussurra all'orecchio Matthew Tusk.

PER QUALCHE BACIO IN PIÙ

di Salvatore Conte (2024)

I vecchi sdentati che vivono fra i cactus saguaro all’ombra delle rocce rosse, giurano che al di là del confine trasformano l’acqua in vino e che un giorno non troppo lontano potranno berne anche loro fino a sbronzarsi, ma non sanno che sono solamente miraggi, come le oasi di acqua che s’illudono di vedere in fondo all’orizzonte.

Qui, ai piedi delle Superstition Mountains, non c’è niente che appare com’è veramente, anche le croci sono diverse, ne sa qualcosa Tom Mullen, un rapinatore di banche venuto apposta dalla vecchia Europa per morire nel Far West.
La sua di croce difatti non odora di legno marcio, ma puzza di terra rovente, e quattro lacci stretti ai polsi e alle caviglie sono i chiodi che ce lo piantano sopra, fosse nato in Arizona Gesù Cristo sarebbe morto così.
«Un cavallo…», le parole sussurrate gli aprono dolorosamente i lati della bocca infuocata dal sole.
Lo scalpiccio degli zoccoli scuote sempre più il terreno finché pare entrargli direttamente negli orecchi.
Il nitrito dell’animale adesso è sopra di lui e nell’aria si sente la puzza del suo fiato, qualcuno scende dalla sella.
«Aiutatemi…», un’ombra si frappone fra lui e il sole, mentre una colata d’acqua fresca gli finisce subito sul viso.
«Ti hanno conciato proprio male, irlandese…», una mano gli alza la testa. «Su, bevi», il povero Cristo scola la borraccia con un’unica sorsata, senza prendere fiato. «Vacci piano, non è una pinta di birra», gliela stacca a fatica dalla bocca. «Potresti prendere una sbronza».
«Kelly…?», la donna lo fa scendere dalla croce, tagliando con un coltellaccio i quattro lacci che lo legavano a terra. «Kelly… certo che sei te…», prova a mettersi seduto. «Sei sempre la più bella di tutto il Selvaggio West, Kelly…».

Quasi cinquantanni, occhi neri e capelli corvini sotto le spalle, un corpo solido con tutte le forme al posto giusto.
Vent'anni passati a fare la cacciatrice di taglie l’hanno inevitabilmente mantenuta in forma.
«Vedo che qualcuno voleva darti in pasto ai corvi».
«Già, ma la mia pellaccia è troppo dura per i loro beccacci».
«Chi voleva farti redimere nel Gesù Cristo dell’Arizona?».
«Janet… la Vacca di Tucson», risponde deciso, mentre si rialza aggrappandosi alla sua mano. «Dovevo fare un colpo insieme alla sua banda, giù in città. Invece mi ha accoppato. L’ultima cosa che mi ricordo è che mi sono svegliato già legato a terra, e poi le parole di quella maledetta pistolera: quando ripasserò di qui sarai solamente carne irlandese grigliata. Ha riso sguaiata ed è risalita a cavallo andandosene in una nuvola di polvere che mi ha fatto mangiare fino all’ultimo granello… che possa crepare all’inferno.
Piuttosto, come mai passavi da queste parti? Ho avuto solo un gran colpo di culo o cosa?».
«Forse sei solamente un uomo fortunato».
«Non direi», allarga le braccia mostrando i pochi lembi di stoffa rimasti addosso. «Escludendo quando incontro te, ovviamente», le lancia uno sguardo rovente, approfittando dell'abbondante calore immagazzinato nel corpo.
«Raffredda i bollenti spiriti, irlandese, non sono più una birra scura alla tua portata», la vanità di una donna spesso è pari alla sua insensibilità.

«Comunque la tua botta di culo è un biglietto che ho trovato nella sacca del mio cavallo, mentre era legato fuori da un saloon».
«Sarebbe a dire?», distoglie lo sguardo da lei, per non incorrere in altre docce fredde.
«C’era scritto che se volevo incassare la tua taglia, oggi avrei solamente dovuto fare una cavalcata fino qui», tira fuori la pistola dalla fondina, guardandosi intorno. «Ma adesso muovi il culo, questa situazione non mi piace per niente, scommetto un bottone della mia camicetta che Janet non è lontana».
«Ma se voleva fregarmi, perché non mi ha portato dal primo sceriffo incassando la taglia, invece di lasciarmi crepare nel deserto?».
«Sa che una cacciatrice di taglie segue sempre ogni traccia, ha fatto in modo di attirarmi volutamente qui», infila il piede nella staffa.
«Ma perché proprio tu? E per quale dannato motivo dovrebbe lasciarti riscuotere la mia taglia al posto suo?».
«Per prendere due piccioni con una fava, idiota di un irlandese», lo aiuta a salire dietro di lei. «Io e Janet abbiamo un vecchio conto in sospeso e credo si sia finalmente decisa a regolarlo.
Prendi questa, io ho il mio fucile», gli passa la colt. «Di certo non tarderà a farsi viva», picchia entrambi gli speroni contro la carne dell’animale facendolo partire al galoppo.
«La prima cittadina è a una ventina di miglia, arrivati lì saremo al sicuro», oltre al bere, Tom ha anche il vizio dell’illusione.
«Venti miglia sono troppo distanti quando c’è in giro una tipa come Janet», si sistema il cappello. «C’è solo da sperare che sbagli il primo colpo».
Il cavallo galoppa veloce, una macchia nera su un quadro giallo che occupa tutta la parete del deserto; sbuffa, sbava, nitrisce al dolore degli speroni, ma sa che è impossibile correre più veloce del destino, specialmente se ti insegue da cinque anni.
«Sento il suo profumo», Kelly annusa l’aria che le sbatte sul viso. «È vicina, forse ci tiene già sotto tiro».
«Sembra che la conosci bene quella maledetta».
«Quello che basta per sapere che ha già il fucile carico».
«Dobbiamo arrivare al canyon, lì avremo più possibilità di riparo!», urla più forte del vento, con le mani saldate ai suoi fianchi arrotondati.
«Bisogna solo sperare che sbagli almeno il primo colpo».
BANG!
Ma Janet ha sempre avuto una mira infallibile, fin da quando si divertiva da bambina a seccare i serpenti a sonagli a più di cinquanta metri di distanza.
«Ahhh!!», il proiettile arriva da lontano, invisibile, a tradimento, e scaraventa Kelly giù dal cavallo con la forza di una spinta a dieci mani, e lei rotola nella polvere, avvolgendosi su sé stessa, come quei serpenti velenosi.
«Maledizione!», Tom prova a prendere le redini, ma l’animale imbizzarrito dallo sparo si impenna e lo disarciona, facendolo cadere una ventina di metri più avanti.
Si rimette in piedi, vedendo in lontananza una figura a cavallo.
«Che tu sia dannata!», non è difficile riconoscere la Vacca di Tucson. «Vai all’inferno!».
BANG!
Quando un uomo con la pistola incontra una donna col fucile, l'uomo con la pistola è un uomo morto.
Tom ritorna fra la polvere, con una pallottola in pancia.
«Mia dolce cacciatrice di taglie…», sfila gli stivali dalle staffe scivolando dal cavallo. «È passato tanto tempo», adesso è Kelly ad avere un’ombra che si sovrappone fra lei e il sole. «Ma sapevi che prima o poi ci saremmo incontrate di nuovo».

Janet, la Vacca di Tucson, cinquantanni portati eroticamente a spasso per tutta l’Arizona, pantaloni dentro gli stivali neri e una camicetta rosa che lascia sempre aperta (sbottonata in maniera esagerata) per mostrare il suo grasso fisico da ex ballerina di saloon e di camera a ore, con un seno flaccido e sfruttato che balla anche senza l'aiuto di un carillon.
«Janet… mi hai beccato in pieno… maledizione…», la pallottola le ha fatto saltare preciso il bottone della camicetta a quadri che le avrebbe aperto Tom, il modo più doloroso per improvvisare uno striptease nel deserto.
«Non volevo beccarti così bene», si accuccia accanto a lei. «Ma purtroppo faccio centro anche quando cerco di sbagliare mira».
«Perché... Janet…?», si morde il labbro superiore per cercare di contenere il bruciore della ferita.
«Ricordi quella sgualdrinella, a Durango? Betty, mi pare si chiamasse», si toglie il fazzoletto dal collo mettendoglielo a coprire il buco. «Mi lasciasti in quel lurido hotel scappando con lei in Messico».
«È una lunga storia... Janet… non volevo… fui costretta…».
«Siamo costrette solo a morire», la guarda, facendole capire che questa costrizione adesso sta toccando a lei. «Avevamo i soldi, tutto, l’Arizona era ai nostri piedi», la voce si fa malinconica. «Ma soprattutto avevamo noi».
«Non volevo… io…», volta il viso di lato.
«Tu, cosa, Kelly…?».
«Io… ho sempre amato solamente te…», gira lo sguardo nuovamente verso di lei, cercandole gli occhi.
«Anche io ti ho sempre amato», le passa dolcemente una mano fra i capelli sudati. «Ma hai rovinato tutto».
«Forse posso ancora cavarmela… riscuotiamo la taglia dell’irlandese… e andiamo in Messico…», ci prova fino all’ultimo respiro, l’amore in fondo dovrebbe vincere su tutto, anche sulle pallottole roventi che bruciano più della passione.
«L’irlandese?», l’ombra di un sorriso sulle labbra. «Non sporco il mio cavallo per metterci sopra il suo cadavere, sai bene che mi è solo servito per arrivare a te, adesso è affare loro», fa un cenno con il capo verso il cielo.
«Anche io… uhhh… mi lascerai… a quegli uccellacci…?».
«No, Kelly… la tua pelle è troppo profumata e morbida per essere lasciata ai corvi, ti porterò con me per poi seppellirti lungo il sentiero che porta alle creste delle Superstition Mountains, in un punto che conosco solo io, così ogni tanto saprò dove portarti qualche fiore. Magari delle rose gialle, sono ancora i tuoi fiori preferiti, vero?», si rialza in piedi, mettendo il dito sul grilletto del fucile.
«Janet… non farlo… ti supplico…», si para con una mano, vedere la morte in faccia non è mai un bello spettacolo.
«Ti amo troppo per vederti soffrire».
BANG!
BANG!
Due spari scuotono il silenzio del deserto, inaspettati e senza preavviso, come due tuoni esplosi in un cielo assolato e arido di pioggia.
«Tu…! Maledetto irlandese…», Janet si porta entrambe le mani sull’addome. «Ti avevo ucciso…».
«Ti sbagli, Vacca…», Tom è appoggiato alle rocce, diversi metri più avanti. «Una pallottola non basta per ammazzare un irlandese, dovresti saperlo».
«Crepa all’inferno!», alza il fucile, prendendolo in parola, ma le due pallottole che si è beccata la rallentano troppo per vincere il duello.
BANG!
«Uhhh!».
Quando un uomo con la pistola incontra una donna col fucile, l'uomo con la pistola è un uomo morto.
Eccezioni a parte.
«Janet… no!», Kelly allunga una mano verso di lei, in un disperato tentativo di protezione, ma è troppo tardi, il piombo dell’irlandese l’ha già scaldata più del sole dell’Arizona.

E stavolta l'ha centrata allo stomaco, come lei aveva centrato Kelly.
«Kelly…», cade in ginocchio in mezzo alle sue gambe allargate. «Non ti avrei… mai…sparato…», il tempo di un sussurro per poi finire precisamente sopra di lei, due corpi che combaciano alla perfezione in ogni punto, gambe su gambe, seno su seno. «Baciami…», e labbra su labbra.
«Sì… per sempre…», e le bocche si baciano... disperate...

PARECCHI ANNI DOPO

I vecchi sdentati continuano a vivere fra i cactus saguaro sotto l’ombra delle rocce rosse, e spergiurano sempre che un giorno ormai vicino andranno al di là del confine dove sanno come si fa a trasformare l’acqua in vino.
«Dammene un altro, e stavolta lo voglio pieno il bicchiere, dannato spilorcio!», la richiesta gliela sputa in faccia.
«Per oggi il tuo credito è terminato, ubriacone di un irlandese».
«Se sai raccontarmi qualche vecchia storia, te li offro io un paio di bicchieri belli pieni», un tipo seduto sullo sgabello accanto si rivolge a lui parlando da sotto il cappello.
«Dove ci siamo visti, straniero?», si gira per guardarlo bene in faccia. «Il tuo brutto muso l’ho già incontrato da qualche parte».
«Non credo, vecchio; sto andando oltre il confine, qui sono solamente di passaggio».
«Qui siamo tutti di passaggio… eh-eh-eh…», ride sdentato. «E la maggior parte sono già passati, anzi trapassati…».
«Sei spiritoso, vecchio, ma ti ho chiesto se hai una storia abbastanza interessante per me», alza la tesa del cappello da cowboy per vederlo meglio.
«Eppure ti ho già visto da qualche parte», continua a fissarlo.
«Ti ho detto che non è possibile», lo guarda duro, facendogli capire che è meglio non insistere.
«Ho capito, mi devo sbagliare», si rigira verso il bancone. «E comunque per un paio di giri gratis racconterei la mia vita da quando sono nato a quando tirerò le cuoia, perbacco!».
«Non m’interessa ascoltare tutta la tua vita, me ne basta solo un pezzetto».
«Cosa sei, una specie di scribacchino venuto dalla grande città per scrivere come si crepa qui ai confini del mondo?», l’oste ridacchia asciugando i bicchieri.
«Forse.

Allora, vecchio? Ce l’hai o no una storia interessante da raccontarmi?».
«Hai sentito, Sal?

Lo straniero continua a chiedermi se ho una storia abbastanza interessante da raccontare», sputa aria in terra. «Beh, cowboy, drizza bene le orecchie e stammi a sentire, per tutti i diavoli dell’Arizona! Di storie interessanti da raccontare ne avrei quante ne vuoi», si pulisce la bocca con il dorso della mano. «Storie di sporchi nordisti contro sudici sudisti, storie di rapine alle banche quando per farlo bisognava avere le palle grosse come i cactus saguaro e dure come le rocce rosse, storie di pallottole prese e restituite», guarda verso l’oste. «Restituite sempre con gli interessi, giusto, Sal? Potrei raccontartene una a caso, straniero, e ci farei comunque bella figura», si fa serio. «Ma oggi voglio essere generoso e ti racconterò l’unica storia che non potrò mai scordarmi, neanche diventassi rimbambito come Jack il maniscalco».
«Allora comincia», lo straniero tira su i gomiti dal bancone e si volta verso di lui.
«Bene, cowboy», biascica un po’ per schiarirsi la voce. «La storia che ti racconto mi capitò un bel po’ di anni fa, quando ero giovane, perché per tutti i diavoli sono stato giovane anch’io! Rapinavo banche a quel tempo, a volte in proprio e a volte in società, diciamo così. Un bel giorno bussò alla mia porta Janet, la Vacca di Tucson, una sventola di donna che faceva il mio stesso mestiere…
Mi propose di rapinare insieme una piccola banca in una cittadina dove lo sceriffo si girava dall’altra parte se vedeva tipi come me, un colpo facile come bere una pinta di birra tutta d’un sorso.
Accettai subito, pensando che dopo magari avremmo anche festeggiato insieme, e di solito dove c’era la Vacca di Tucson le feste erano sempre indimenticabili, non so se rendo l’idea, straniero».
«La rendi, vecchio», tira giù un sorso di tequila.
«Ma quella maledetta non aveva nessuna intenzione di rapinare una banca insieme e la festa voleva farla a me e basta, mi usò solamente per compiere una vendetta personale, io ero il verme attaccato al suo amo. Così mi accoppò a tradimento e mi ritrovai legato nel bel mezzo del deserto, con i corvi che litigavano tra loro per occupare il posto migliore al tavolo del mio banchetto. Messo a essiccare al sole, con le palpebre già chiuse sugli occhi e la carne che cominciava a puzzarmi di stufato, pregai Iddio per farmi crepare più alla svelta possibile», si tocca il crocefisso attaccato al collo. «Ma per quale dannato motivo avrebbe dovuto accontentare le suppliche di un bandito come me? Infatti non lo fece, così non solo non crepai alla svelta, ma per dirla tutta, non crepai per niente, eh-eh-eh…», si pulisce gli occhi come li sentisse ancora bruciare. «Magari lo fece solo perché potessi raccontare questa fottuta storia».
«Poteva essere una buona motivazione».
«L’unica, straniero. Ad ogni modo prima che il sole finisse la mia cottura, una bambola ebbe la bella idea di farsi un giretto da quelle parti e dato che c’era di tagliare le corde che mi legavano a terra», alza il bicchiere come a brindare. «Kelly, una mia vecchia fiamma, più bollente delle rocce attaccate alle Superstition Mountains, la mia cacciatrice di taglie preferita, un corpo con più curve di un sentiero di montagna, che io sia dannato se non era così!».
«Doveva essere anche sensitiva per trovarti nel bel mezzo del deserto…».
«Sei impaziente, straniero… buon segno, significa che la storia è interessante sul serio. Kelly comunque non era affatto una medium, era solamente stata indirizzata lì da un biglietto anonimo: se voleva intascare la mia taglia, non doveva fare altro che venire nel punto indicato. Ma era appunto una trappola della Vacca, e lei lo capì subito. Salimmo a cavallo per levarci alla svelta di torno, ma non riuscimmo nel nostro buon proposito di arrivare nella cittadina più vicina, perché un paio di colpi di fucile ci disarcionarono entrambi, prima lei e subito dopo io. Ero ferito gravemente, ma quella maledetta non mi aveva ammazzato», batte un pugno sul bancone. «Kelly era a terra, una ventina di metri distante da me, con un grosso buco nello stomaco, e con Janet in piedi a farle ombra. Ascoltai tutto, parola per parola, e stentavo a credere quello che sentivo, la cacciatrice di taglie e la Vacca di Tucson, due delle più belle sventole di tutto il West, erano amanti! Capisci, cowboy? Quelle due se la intendevano insieme! Quanto spreco, per tutti i diavoli e i satanassi dell’inferno!», butta giù un'altra sorsata di whisky. «E c’era dell’altro: Kelly aveva piantato in asso Janet per una puttanella, questo era il motivo del suo desiderio di vendetta, e io appunto ero il vermicello infilzato nell’amo che dimenandosi aveva attirato il pesce», muove il mignolo per rendere bene l’idea. «La pallottola mi bruciava dentro la pancia come l’inferno, ma la Vacca non poteva passarla liscia; non so come, ma riuscii a rimettermi in piedi e con le ultime forze rimaste le sparai un paio di colpi; la pupa, però, era dura, tentò di rispondere al fuoco e mi toccò sparare un’altra volta per accopparla».
«Tutti a bersaglio, vero, irlandese?», l’oste sorride, sapendo a memoria la risposta.
«Certo che sì! A quel tempo avevo una discreta mira. Ricordo che la Vacca di Tucson cadde in avanti e finì pari pari addosso a Kelly, neanche il sarto del Diavolo avrebbe saputo cucirle una sopra all’altra con così tanta precisione», fa una pausa guardando improvvisamente nel vuoto. «E sai anziché crepare cosa si misero a fare quelle due?».
«Dimmelo tu, vecchio».
«Cominciarono a baciarsi… in un modo che non avevo mai visto», lo guarda fisso. «Freneticamente, convulsamente, furiosamente, selvagge e disperatamente passionali, ecco come si baciarono quel giorno, Janet, la Vacca di Tucson, e Kelly, la cacciatrice di taglie», si passa la mano sugli occhi. «E sai un’altra cosa, straniero? Appoggiato alle rocce, mentre le guardavo, mi pentii di avere ammazzato Janet», talvolta i rimorsi inumidiscono lo sguardo più del whisky. «
Potevo risparmiarle l'ultimo colpo o piazzarlo in modo diverso: se la sarebbe cavata, era tosta. Ma le bucai lo stomaco.

In quel momento avevo ucciso la Vacca di Tucson...», tira un lungo respiro e ricomincia. «Ma non morì subito. Proseguirono a baciarsi, fregandosene di tutto, anche delle pallottole che avevano in corpo, e che io sia dannato se non fui costretto a svenire per non continuare a vedere quella scena».
Sta per piangere, ma lo straniero non gli dà il tempo di farlo.
«Bravo, vecchio, sei stato di parola», si infila la mano in una delle tante tasche del suo trench marrone. «Hai raccontato una storia davvero originale», lascia cadere sul bancone una manciata di monete. «I due bicchieri di whisky te li sei meritati tutti».
«Ti ringrazio, straniero», il tintinnio del metallo sembra averlo ridestato dai rimorsi. «Ma la storia non è ancora finita…», biascica un po’ di saliva per raschiarsi via il pianto che gli stava salendo dalla gola. «Prepara la bottiglia, dannato oste, adesso arriva la parte migliore», gli occhi tornano vivi e pronti per terminare il racconto. «Rimasi svenuto per meno di un’ora, difatti quando rinvenni il sole era sempre alto e bruciava ancora maledettamente, come la mia ferita che cercai subito di tamponare con un pezzo di stoffa strappato da quello che era rimasto della mia camicia. Rimessomi in piedi, guardai in direzione di Kelly e Janet, e sai cosa diavolo vidi, straniero? Niente, non vidi assolutamente niente. Allora feci qualche passo, fermandomi esattamente nel punto dove avrei dovuto trovarle morte, una sopra all’altra, ma di loro non c’era nessuna traccia, sparite! Se non avessi visto il sangue rimasto in terra, avrei perfino messo in dubbio che quelle due maledette fossero mai esistite», fa una pausa per riprendere fiato. «Invece la ferita mi confermava che c’era stata una bella sparatoria e che soprattutto avevo bisogno di un dottore, così in qualche modo riuscii a salire in groppa al cavallo di Kelly, mentre quello di Janet ci seguì, restando sempre qualche metro dietro. Fu un’altra discreta fortuna che i due cavalli fossero rimasti nelle vicinanze».
«La fortuna non esiste, stavano solamente aspettando le loro padrone», lo straniero lo interrompe. «I cavalli sono bestie fedeli, al contrario dell’uomo».
«Può essere, amico mio, comunque mi misi in marcia lentamente, e che io bruci all’inferno se non è così, lungo tutte le venti miglia che mi separarono dalla prima cittadina, delle due donne non vidi nessuna traccia, niente di niente, due cadaveri dissolti fra la polvere del deserto».
«Magari non erano due cadaveri», il cowboy lo fissa.
«Con tutto quel piombo addosso, cos’altro potevano essere?», l’oste finisce di asciugare un bicchiere.
«Due fantasmi», il vecchio guarda entrambi, dando l’impressione di non vedere nessuno dei due. «In fondo è quello che penso da oltre trent’anni».
«E nessuno le ha più viste in giro?», l’uomo alza di nuovo la tesa del cappello dagli occhi, vuole vedere bene la risposta.
«Nessuno, anche se in tanti giurano il contrario».
«Sarebbe a dire?».
«Che in certe giornate particolarmente roventi, quando il sole è a picco sulle rocce, diversi cowboy che si sono trovati a cavalcare nei luoghi dove ci fu la sparatoria, giurano sulle loro madri di avere visto due donne a cavallo baciarsi in fondo all’orizzonte», guarda uno strano amuleto che indossa al polso. «Ma questa è una terra di miraggi e di stregonerie».
«E te, vecchio? Le hai mai viste?».
«Io sono quello che l’ha viste più volte».
«Oste, dagli la migliore bottiglia di whisky che hai», gli mette in mano un pugno di banconote. «Sono venuto dall’altra parte del mondo per ascoltare proprio una storia così».
«Che intendi, straniero?».
«Che ti sei meritato una bella sbronza», prende da una tasca un piccolo sacchetto e lo mette sul bancone. «E anche questo».
«Spero che dentro ci sia una bella manciata d’oro… eh-eh-eh…».
«C’è qualcosa di molto più prezioso, un antico portafortuna».
«E cosa diavolo dovrei farmene di un maledetto portafortuna?».
«Portarlo con te dentro la bara, ti servirà».
«Che sia maledetto, quando sei sotto tre metri di terra significa che la fortuna ti ha già abbandonato», mostra i pochi denti rimasti. «E poi una volta di là non servono certo più i portafortuna».
«Sbagli, vecchio, questo dipende da chi incontri nell’aldilà», si alza dallo sgabello avviandosi verso l’uscita. «A volte sono più pericolosi gli incontri con i morti che quelli con i vivi».
«Sentito, Sal…? Questo straniero deve avere qualche rotella fuori posto, per tutti i diavoli!».
«Tom Mullen, ho paura che nel tuo aldilà incontrerai almeno un paio di persone molto pericolose», apre le porte del saloon lasciando entrare una spada di sole che taglia precisa la faccia del vecchio.
«Ma come diavolo…?», il vecchio irlandese sobbalza sullo sgabello. «Mi ha chiamato per nome… come fa a sapere come mi chiamo…?».
«Forse gliel’ho detto io».
«No, dannato oste! Non gli hai detto un bel niente! E nemmeno io», si alza in piedi. «Aspetta, maledetto straniero! Dimmi come accidenti fai a sapere il mio nome!», prova a correre verso l’uscita, ma ha le gambe di un vecchio. «Ehi! Dico a te!! Perché mi hai chiamato Tom Mullen?!», ma lo straniero è già oltre la nuvola di polvere alzata dagli zoccoli del suo cavallo.
«Sal… aiutami a tornare al bancone…», si aggrappa con entrambe le mani al legno delle porte basculanti.
«Vieni qua, vecchio, prima che ti stecchisca un infarto», lo riaccompagna al bancone.
«Un po’ d’acqua… dammi un bicchiere d’acqua…».
«Un bicchiere d’acqua? Maledetto vecchiaccio, ci sono voluti dieci anni di whisky e tequila per sentirti chiedere un po’ d’acqua!».
«Dammi questo dannato bicchiere d’acqua, stupido di un oste», si sbottona nervosamente la camicia. «Fammi vedere cosa diamine c’è qui dentro», apre il sacchetto lasciato dallo straniero e tira fuori un orologio da taschino legato a una catenella d'oro.
«Per tutti i diavoli…», lo apre e sbianca più della luna quando risplende piena sopra la creste dentellate delle Superstition Mountains. «Lei?! Ma allora lo straniero è…», sembra vedere l’inferno, con le fiamme che gli salgono in faccia dall’orologio. «Capito, dannato oste?», beve l’acqua tutta d’un fiato, seppur la mano tremolante e senza più controllo gliene faccia rovesciare metà addosso. «Lo ricordo bene… si diceva che prima di cambiare gusti quella maledetta avesse lasciato in giro un dannato marmocchio…».
«Cosa stai farneticando, Tom?».
«Farneticando?», lo sguardo è diventato improvvisamente alienato, folle, con gli occhi che guizzano da ogni parte. «Ecco dove avevo già visto la sua faccia! È suo figlio, per tutti i diavoli! Capisci, stupido oste?!».
«Calmati, o stavolta ci lasci la pelle davvero!», va al di là del bancone tentando di tranquillizzarlo.
«Quella dannata sgualdrina… è da quel giorno che vuole regolare i conti con me…», suda, mentre il viso diventa improvvisamente cianotico. «Aria… mi manca l’aria, Sal…», scivola sul pavimento con le mani a tenersi il petto che si alza e abbassa convulsamente.
«Ehi, vecchio irlandese!», si accuccia su di lui. «Non avrai mica intenzione di crepare nel mio saloon?!».
«Janet… sei riuscita ad ammazzarmi anche da morta…», gli occhi fissano l’oste, scambiandolo per una grossa vacca che gli sorride soddisfatta.
«Qualcuno corra a chiamare Doc, maledizione!», ma il dottore è sempre troppo lontano quando un uomo è già morto.
Sei riuscita ad ammazzarmi anche da morta...

Sì, Tom, l’ha appena fatto, ma lo sapevi da trentanni che sarebbe finita così.
Avrebbe preferito metterti un paio di pallottole in corpo, ma all’inferno non è permesso sparare, i colpi avrebbero rimbombato troppo, per questo si è dovuta accontentare di farti crepare così.
La vendetta è un piatto da servire freddo, ma a volte bisogna persino congelarlo per farlo resistere alle temperature dell’Arizona.
«Dovevi crepare proprio nel mio saloon, dannato irlandese».
E Janet ha sempre conosciuto perfettamente l’arte della conservazione.

007: LICENZA DI NON UCCIDERE

di Salvatore Conte (2024)

Il bambino, bendato, estrae la carte.
Una dal mazzo rosso per lei, l'altra da quello blu per lui.
L'arbitro le fa volare sulla scena.
La carta rossa rimane coperta, quella blu mostra il Jack di Cuori.
Il bambino, non più bendato, va a scoprirla.
È l'Asso di Picche!
Lei tira per prima.
«Sei fottuto, Bill...

Anna Frentzen adesso ti fotte... hai qualcosa da dire?».

«Puttana... ti faccio esplodere al primo colpo...».
Le battute fanno parte dello spettacolo.
Le telecamere riprendono, i microfoni amplificano.
Si umetta il labbro, lo guarda negli occhi e preme il grilletto...!
CLICK!

Delusione tra i suoi tifosi.
Adesso tocca a lui.

Preme per bene la canna del grosso revolver contro lo stomaco di lei: praticamente in mezzo alle tette penzolanti, la camicetta sbottonata in maniera aggressiva, come sempre.
L'arbitro verifica attentamente la regolarità del puntamento.

Se parte il colpo, per lei è finita, non troverebbe scampo, neanche con tutto lo staff medico pronto a intervenire.
«Mi dispiace, Anna... te l'avevo detto...».
«Vaffanculo, stronzo... premi e falla finita...».
Un sordo clamore si alza dagli spalti.
Anna Frentzen potrebbe rimanere uccisa! Sarebbe un evento clamoroso!

A nulla servirebbero gli immediati soccorsi, pronti a bordo scena con maschera dell'ossigeno, tamponi e plasma.

È scontato che la Frentzen avrebbe subito dalla sua parte un collezionista che alzerebbe il braccio - come in una battuta all'asta - per pagarle le spese mediche.
CLICK!
Un clamore liberatorio si diffonde sulla scena.
Senza Stomaco va avanti.
Si riparte con le carte.
Il gioco va per le lunghe.
Gli spettatori sono in apnea da molti minuti.
POW!
Lo schienale di gioco da bianco diventa rosso.
«Puttana...».
È l'ultima parola scelta da Bill.

Nessuno alza il braccio per lui.
Sei primi e 23 secondi, il suo tempo al momento del rantolo finale.
Non male, ma poteva fare di meglio.

Un'ombra, soddisfatta, svanisce nel nulla.

TRE MESI DOPO

«Allora, Rashid: quanto ci vorrà per finire il tuo cocktail?

Hai a disposizione le migliori essenze del mondo, ma bada di non farmi saltare in aria le tette...».

«Stai tranquilla, Akana... la mia accuratezza è ben nota.

Le tue tette sono al sicuro.

Ho bisogno di almeno tre giorni per stabilizzare tutte le componenti».

«Non mi riguarda dove intendi colpire, certo lo saprò dai giornali, ma non dirmi che a Beirut non sei stato tu...».

Non c'è risposta, infatti.

James è a bordo

«E chi cazzo è questo James?».

«A me viene in mente James Bond», risponde Kelly Madison, una delle luogotenenti di Akana DiChan, capo del commando Spectre sulla petroliera chimica Bow Orion.

«Può essere...

Perché no? Il famoso James Bond... l'Agente 007 del Servizio Britannico...», conferma l'altra luogotenente, Anna Frentzen.

Tutte e tre sono intorno al cadavere di un loro uomo, rinvenuto con un biglietto infilato in bocca.

«Questo lo dobbiamo scoprire subito: Kelly, con la tua squadra perlustra a poppa.

Tu, Anna, vai verso prua.

Voglio un costante contatto radio.

E non fatevi fregare da questo stronzo, chiunque esso sia».

E così tu saresti la famosa Anna Frentzen...

«Stronzo...».

L'agente speciale della Spectre legge il biglietto e se lo mette in tasca.

«Dobbiamo trovarlo, forza...».

La Frentzen avanza guardinga lungo gli immensi corridoi della petroliera chimica, preceduta dai suoi uomini; sa benissimo che se James Bond fosse davvero sulla nave, sarebbe un pericolo mortale per tutti loro, lei compresa.

Un brivido gelido le corre lungo la schiena. Se è lui, è un avversario letale. Potrebbe farla fuori, anche se ha un certo debole per le belle donne e potrebbe conoscere le sue imprese a Senza Stomaco.

«Ehi... James... sono convinta che tu mi senta...

Non pensavo di essere così famosa, sai?

Magari divento come te...

Lo sai che ho vinto l'ultima edizione di Senza Stomaco?

Alludi a questo?

Nella finale non ci sono proiettili a salve, lo sai? Ho rischiato la pelle.

Ma ce l'ho fatta. E adesso sono la Campionessa.

Comunque vuol dire che io e te ci rispettiamo, vero, James?

Tu non pensi di darmi una coltellata come al povero Joe, vero?

Uccideresti anche Anna Frentzen, James?

Chissà come dev'essere una fredda lama che ti penetra nella carne…

E che sollievo dev'essere quando te la tirano fuori...

E poi il check…

Tu sai cos'è un check, James?

No, penso di no, uno come te non lo sa.

Il check è quando controlli quanto ti manca da vivere, e il tuo sguardo si perde per un attimo nel vuoto, mentre aspetti ansioso la risposta.

Perché uno se la sente in quei momenti…

Ma io voglio vivere, James!», a denti digrignati. «Non me la sento di crepare. Rimarrei molto delusa nel sapere di avere poco da vivere. Farei di tutto per salvarmi.

E alla Frentzen nessuno dice no...

No, non sono soltanto una vacca... in molti hanno fatto questo errore…

A quarant'anni ero un fiorellino leggero, una pin-up, una principessa sexy tutta in tiro, non quello che sono adesso...
Qualcuno mi considera una vecchia cessa. Tu sei tra questi, James?».

Mentre prosegue la perlustrazione, la Frentzen continua a parlare, stirandosi addosso la camicetta sbottonata aggressivamente fino allo stomaco, da spudorata vacca, rivolgendosi a James Bond come se lui potesse ascoltarla e vederla.

«Guarda quanta carne che ho... James...!

Ti piacerebbe provarla?
Avanti... fatti trovare...

Finirai in gabbia... niente di più...

Sei troppo famoso per essere liquidato...

E io? Pensi che io potrei fare una brutta fine?
Una come me non la trovi più... non penserai di spararmi addosso, vero?
Magari in mezzo alle tette...
Ne saresti capace, James?
Io, Anna Frentzen, rimarrei uccisa per mano del famoso James Bond... l'uomo che non perdona...

Diventerei ancora più famosa...
Ma non mi vedo bene come cadavere...

Non amo gli appuntamenti all'obitorio.

Anche perché mi scioglierebbero in una di queste vasche.

E tu non vuoi che io faccia questa fine, vero, James?».

Intanto, però, sulla sua strada trova un altro cadavere.

Le sono rimasti due uomini.

«No, James... da te non me l'aspettavo...
Ammazzare uno dei miei uomini...

Vuoi liquidare anche me, vero?

Perché invece non troviamo un accordo?
Qui dentro siamo al chiuso e basta un colpo di rimbalzo per lasciarci la pelle...».

Un altro sibilo metallico e un altro cadavere.

L'ultimo uomo rimasto mangia la foglia e comincia a fuggire.

STUMP!

Ma non va molto lontano.

«Okay, James...
Adesso verrò avanti a mani alzate e tu farai lo stesso.
E parleremo... okay?
Sto avanzando, James...
Sono sicura che mi vedi e che mi sbirci le tette...
Tu non sparerai a sangue freddo contro di me, vero, James?
Me la rischio, lo so, ma a me una pallottola nello stomaco mi fa bagnare...
Sarebbe eccitante crepare fra le tue braccia...
Tu ti fermeresti accanto a me, mentre muoio, vero?
Bisogna pensarci a queste cose.
Il nostro è un mestiere pericoloso.

Adesso abbasso le braccia, James.

Ma non ho armi in mano, lo vedi, no?

Devo stare attenta, perché tu spari per uccidere, quando spari…
Sono ancora una strafiga, James. E te ne sei accorto anche tu...
Ti confesso che sentirmi sotto il tuo tiro mi fa bagnare…

La sai una cosa? Mi hanno proposto lo Shanghai Lady Remix...
È una versione più raffinata di Senza Stomaco.
Da dieci metri si ha qualche possibilità di salvarsi, anche se rimane molto dura.
Non credo che ce la farei, devo essere sincera...
Ma almeno me la potrei stirare un po'... a me piacerebbe essere soccorsa e avere la vaga illusione di potermi stabilizzare...
Allora te lo spiego, come lo hanno spiegato a me...

     

     

     

Ci si mette dietro un vetro per riprodurre la famosa scena.
Il vetro è blindato, eccetto nella parte che corrisponde a stomaco e addome.
Qui il gioco richiede una certa precisione.
Per simulare la fine di Elsa, o di Arthur, chi viene colpito deve strisciare fino a un modellino d'ambulanza per avere diritto ai soccorsi, nel caso trovi un collezionista.

Conosci il concetto di collezionista? Magari lo sei anche tu, e nessuno lo sa.

Il collezionista è un tale ricco che va a caccia di belle donne, però particolari, con qualcosa di speciale, e allora le sponsorizza in qualche maniera, le fa sue, ma non nella maniera comune; è un concetto che non appartiene alla massa.
Rita Hayworth era bellissima e mi somigliava molto, rispetto a quando avevo quarant'anni.

È un bel  progetto, comunque, più interessante di Senza Stomaco.
Verrai a vedermi? Potrei rimanere uccisa... Anna Frentzen uccisa...

Nessuno sa come sarà la propria morte, ma a me piacerebbe stirarmela un po', con un bell'uomo che mi tenga la mano.
Non un colpo in fronte, quindi: troppo rapido.

Un colpo nello stomaco, all'utero, nelle budella: quello sarebbe un colpo giusto per me. Anche più d'uno, se mi sentissi in forma.
Te lo ricorderai, James? Perché prima o poi potrebbe capitare di spararci addosso...
Comunque non mi fermo qui: fra tre settimane difendo il titolo a Senza Stomaco.
Incasso sei milioni di dollari.
Verrai a vedermi, mentre crepo senza stomaco?
In genere rimangono al massimo una decina di minuti da vivere, ma si può essere freddati sul colpo, se non si reagisce allo shock. Chissà come me la caverò, quando toccherà a me...
Ce n'è uno, però, che si è addirittura salvato.
Come abbia fatto non lo so.
Si gioca con una calibro 357 magnum: nessuno scampo è possibile.
Solo quel tizio se l'è cavata, ma è stato un caso eccezionale.
Io farò bagnare tutti i collezionisti: nessuno di loro vuole la mia morte.
Sono piuttosto famosa, l'hai scritto tu stesso, James...
E sono corteggiata da pezzi molto grossi. Sono ancora una bella ragazza, in fondo.
Di sicuro proverebbero a salvarmi, ma ci sarebbe poco da fare.
Anna Frentzen verrebbe portata via cadavere, con un lenzuolo sulla faccia.
Una scena tragica, che tu non vuoi anticipare, vero, James?
Se mi ammazzi subito, ti perdi lo spettacolo della bella Anna senza stomaco, che boccheggia morente in mezzo a una folla di vip rimasti con il fiato in sospeso per lei.

Sarebbe stupido, James.

Perché ora sono certa che tu sia davvero tu...

Un altro mi avrebbe già liquidata.

Solo il grande James Bond può riconoscere una donna altrettanto grande...», e si umetta il labbro, convinta di aver fatto colpo e di essersi salvata la pelle.

Il Frentzen Show durerà più di dieci minuti

«Sì, James... lotterò fino all'ultimo... perché io... non voglio morire...».

«Akana... una brutta notizia... Kelly è rimasta uccisa...».

«Bastardo... portate il corpo in infermeria».

Ora è tutto nelle mani di Herbert West IV.

Le materie prime non gli mancano di certo sulla petroliera chimica Bow Orion.

«Hai fatto un ottimo lavoro, Herbert. Migliori sempre di più».

Gli occhi, fissi e inespressivi, hanno ripreso un barlume di vita.

«Dunque è rimasta uccisa, ma non è morta...

Questo buco nello stomaco è molto sexy».

Akana le riabbottona la camicetta, ma non troppo: le grosse zinne rimangono bene in vista.

Le labbra di Kelly Madison si muovono, senza emettere suoni.

Le parole, dal timbro elettrico, giungono sfasate di qualche secondo, come in un doppiaggio sincronizzato male.

((Non sono finita...)).

«Certo che no...», commenta Akana DiChan, rivolta a Herbert West.

La Madison porta al collo un cuore nero, che si illumina quando gli occhi della donna riprendono a fissare qualcosa di concreto, scuotendosi dal loro torpore.

Non c'è respiro, l'ossigeno necessario è reso in forma liquida, nel sangue arricchito che scorre dalla flebo.

«E con James... come la risolviamo, Anna?».

Non farai la fine di Elsa, spero

«Che vuol dire?».

Anna Frentzen si umetta il labbro.

Ed è l'unica risposta.

L'appuntamento all'obitorio è solo rimandato.

THE SINKING LADY

di Salvatore Conte (2024)

«Che cosa cerca esattamente, Mr. Reed?».

«E me lo chiede, Signora?

Risposte a questo gran casino...

Lei non è preoccupata?».

«Perché dovrei?

Forse le cose andavano meglio, prima?».

A Charles Reed manca la risposta.

«Te la regalo, ma non montarti la testa».

«Grazie, capo. È stupenda».

«La usava per le esecuzioni».

Oakmont affonda.

Ma chi rimane cerca di adeguarsi in fretta.

Venezia non è forse la città più invidiata al mondo?

Il potere è potere, sulla terraferma o sull'acqua.

E se qualche rivale batte in ritirata, tanto meglio.

È così che la pensa Joe Denton.

Anzi, bisogna approfittarne.

La polizia non ha tempo per i soliti controlli.

E se la città adesso rende meno, bisogna aumentare la quota di controllo: dal 50% al 100%...

«Anna... ci sei?», Fred la chiama a gran voce.

«Che succede?».

Arriva tosta e aggressiva, con un tommy-gun sottobraccio, sicura del fatto suo, sicura che nessuno oserebbe spararle addosso, la camicetta sempre sbottonata fino allo stomaco, le tette bene in vista (la sua assicurazione sulla vita): è Anna Frentzen, la gran fica di Oakmont.

Impiegata di successo all'archivio dei giornali, ma soprattutto segretaria e amante di Joe Denton, uno dei due boss della città.

Forse non più avvenente come qualche anno prima, ma pur sempre la Frentzen...

«Ci hanno attaccato...!

Joe è morto... sono morti tutti...».

Nessuna reazione.

«Sei sicuro?».

Annuisce.

«Tu sai questo cosa significa, Fred?».

«Che sono morti tutti...».

Tanti muscoli, ma poco cervello.

«Che tra poco saremo morti anche io e te.

Perché Walker verrà qui ad aprire la cassaforte.

Ma c'è qualcosa che noi possiamo fare...

Aprirla, svuotarla e tagliare la corda...

Sei con me, Fred?

Sono io il capo, adesso.

Ricostruiremo la banda», lo fissa seria, attendendosi la sua sudditanza; come alternativa, lancia un occhio al tommy-gun, pronta a usarlo, se necessario.

«Non abbiamo altra scelta, Anna.

Ma io e te...».

«Niente vincoli, Fred. Sono una donna libera. Vedremo.

Voglio sapere che intendi fare, non abbiamo molto tempo...».

«Va bene, boss...», e le bacia la canna del tommy-gun, come si usa in queste circostanze.

La Frentzen non perde tempo. Apre la cassaforte e mette in una borsa le mazzette dei dollari.

È il tesoro della banda.

RAT-RAT-RAT

Fred rientra nella stanza crivellato di colpi.

La Frentzen capisce all'istante: «Dannazione, sono già qui...».

«Anna, non voglio ammazzarti!

Vieni giù con le mani in alto.

Oppure vengo a prenderti!

E allora potresti beccarti qualche pallottola!

Sarebbe un peccato lasciarti qui cadavere!

Un peccato per tutta la città!».

«Ascolta, Fred... mi dispiace, ma ormai sei fottuto.

Devi farmi un ultimo favore, o ci rimetto la pelle anch'io...

Me ne vado dal cornicione, alla peggio mi faccio un tuffo.

Tu devi cercare di trattenerli, okay?

Addio, Fred... e grazie...», lo bacia veloce sul labbro e fa per andarsene, puntando la finestra.

È sicura, troppo sicura di sé...

Fred è in agonia, steso su una poltrona nello studio di Joe Denton.

«Anna...».

Si volta, senza sospettare nulla.

«Tu... verrai con me...».

«No...!», adesso ha capito.

POW

Un colpo di revolver nello stomaco, quasi in mezzo alle tette!

Lo sguardo ghiacciato, scivola lungo la parete e finisce seduta a terra, lasciando un'orrenda scia di sangue sul muro...

È una vista che fa rabbrividire!

È assurdo, ma non ci sono dubbi...

È la fine di Anna Frentzen!

«Anna... che combini?

Sto venendo a prenderti!».

Poco dopo se la ritrova con la bocca spalancata, il corpo che restituisce dei sussulti quasi meccanici, gli occhi sbarrati.

La scena del delitto è chiara, Fred è crepato, ha sparato sulla Frentzen insieme all'ultimo rantolo.

La voleva per sé, come tutti; e non potendola più avere, se l'è portata dietro; all'inferno; e ha usato un rivoltella speciale, per farlo: Walker riconosce subito la calibro 38, con il calcio in madreperla, appartenuta ad Al Capone.

«Sciacallo...», pensando l'abbia ottenuta adesso.

Walker si mette in tasca il revolver, che da ora diventerà famoso per altro, e torreggia sul donnone, cercando di dominarsi.

Gli sembra assurdo pensarlo, ma Anna Frentzen è rimasta uccisa; lo sa anche lui.

Chiamare un motoscafo-ambulanza servirà a poco.

Si abbassa e le prende la mano.

«Un asciugamano, presto...

Se il telefono funziona, chiamate un'ambulanza... specificate che si tratta di Anna Frentzen e che ha molta fretta...».

Non serve a molto, ma le tampona lo stomaco e le blocca le cosce a terra, perché si scuotono convulsamente.

«John... volevo... il mio impero...

Ma tu... non avresti... mai... sparato...».

«No, è vero...».

«John... non so... come fare... non... nhh... non voglio... morire... John...».

«Anna... sei grande e grossa, puoi farcela...

Ho chiamato l'ambulanza, sarà qui a momenti...».

«Capo... l'acqua sta salendo... e anche piuttosto in fretta...».

«La marea è ormai al culmine, idiota!

E poi ho da fare con la Frentzen, non lo vedi? Mi sta crepando in faccia...».

Lei vorrebbe tentare; ma il tempo stringe.

«John... l'ambulanza...».

«Adesso arriva, Anna...».

«John... voglio... salvarmi...».

«Ti salverai, Anna».

«John... ho paura...».

«Devi stare calma, Anna».

Splut!

La Frentzen butta fuori un grosso fiotto di sangue...

«John... è finita...».

«Non ancora, Anna».

«John...!», lo chiama con un'ansia particolare nella voce.

«J...o...h...n...», ripete il nome, molto più lentamente, come una conferma, e rimane a bocca aperta, a fissare non si sa cosa.

Walker le passa la mano davanti agli occhi.

E smette di premerle l'asciugamano contro lo stomaco bucato.

Si rialza e annuncia ai suoi: «Anna Frentzen è morta, ragazzi.

Ha lottato per qualche minuto, non voleva arrendersi, ma non ce l'ha fatta».

Ormai lo si era capito, ma giunge comunque un brusio di stupore.

«Si è beccata una brutta pallottola, non poteva salvarsi.

Meglio per lei se non c'ha messo molto, inutile farsi sbudellare in ospedale, in questi casi.

Comunque non siamo stati noi. Hanno fatto tutto fra di loro. Uno dei ragazzi di Denton ha sparato contro la Frentzen.

Scommetto che volete vederla.

Fatelo, ma senza toccarla, né perdere tempo.

Un'occhiata e via, perché dobbiamo andarcene».

L'acqua già lambisce il prestigioso cadavere.

«Grandissima puttana... spettacolare vederla crepata...».

«Stavolta le ha girato tutto contro...».

«Però dallo sguardo pareva convinta di potersi salvare: sembra ancora non capire quello che le è successo...».

I commenti della banda.

«L'ambulanza è arrivata, capo».

«Dite a quei ragazzi che la Frentzen non ha più tanta fretta. Basta una lettiga da obitorio. A quell'altro ci penseranno le piovre».

Uno degli infermieri controlla gli occhi della donna, poi insieme all'altro la carica sulla barella e le stende addosso - fino in faccia - un lenzuolo mortuario, che si adagia funesto sulle grosse forme dello spettacolare cadavere, e si macchia subito di lordura rossastra nella zona dello stomaco.

Mentre la caricano sul piccolo motoscafo-ambulanza, un braccio si stacca dal corpo e rimane a penzolare macabro dal bordo della lettiga.

Sembra il saluto di Anna Frentzen a quella platea silenziosa che la vede sfilare via cadavere, senza il brivido di una disperata corsa in ospedale, con la notizia fatale dilatata di un'oretta, tra smentite e conferme. Qui non ci sono rinvii: la Frentzen ha già il lenzuolo sulla faccia...

L'ambulanza riparte senza urgenza, diretta all'obitorio di Oakmont.

«Addio, Anna. Hai tentato il grande colpo, ma hai fatto il grande salto.

Fra non molto verrò a salutarti in privato...», mormora il boss dalla finestra.

Prima di andarsene, Walker tira fuori dalla tasca il revolver di Fred, la pistola maledetta che ha esploso un colpo mortale all'indirizzo di Anna Frentzen...

«E così la famosa Anna Frentzen è rimasta uccisa?».

«Sì, caricata morta sull'ambulanza... con un grosso buco nello stomaco...

Voleva scappare con i soldi di Denton.

Il famoso corpo adesso sta all'obitorio».

«Strano che una del genere si sia fatta fregare così».

«Nessuno è perfetto.

Ha tirato troppo la corda.

Ma era ancora viva quando è arrivato il capo, anche se c'è stato poco da fare.

Non voleva proprio crepare, stando a quanto mi hanno raccontato.
Nonostante lo stomaco spalmato sulla parete... c'ha provato fino all'ultimo, illudendosi di poter salire viva sull'ambulanza.

Era talmente disperata che le cosce rimbalzavano sul pavimento.

Ma dopo non molto è arrivata morte.

Anna Frentzen è affondata... insieme a questa città...

Stavolta ha trovato qualcuno che ha avuto il coraggio di spararle addosso e che le ha fatto molto male...».

«Un peccato per Oakmont, ti confesso che quando andavo all'archivio dei giornali mi bagnavo tutto nel vederla... sempre sbottonata fino allo stomaco... che mignottona...».

«Non ti do certo torto... era una gran puttana; sempre in giro allentata, senza reggiseno, con le tette molli a penzoloni...

Ma si è montata la testa e l'ha pagata cara».

«Ehi...!».

«Che c'è?».

«Un tentacolo...».

«Maledette bestiacce.

Teniamo gli occhi aperti...».

«Tu hai capito perché siamo qui?».

«Certo che l'ho capito.

Questo era il quartier generale di Denton: i suoi uomini sono quasi tutti morti, compreso lui e la Frentzen, ma qualcuno potrebbe ancora farsi vivo...

Il capo vuole essere sicuro che nessuno riprenda in mano le redini della banda».

«È rimasto poco, comunque. Lo stabile è mezzo sommerso».

«Tutta la città è mezza sommersa...».

«Ehi...!».

«Ancora?».

«Ma...! Quello non è il cadavere della Frentzen?».

«Cristo Dio! Hai ragione, è lei...

Ma che è successo all'ambulanza?

La corrente lo sta portando in giro, allentato come sempre...».

«Perché non lo tiriamo su?».
«E che ce ne facciamo?».
«Era una grossa troia, potrebbe interessare a qualche collezionista...».
«D'accordo. Questo meraviglioso cadavere può valere un bel mucchio di dollari».
«Ehi! Giù le zampe!».

RAT-RAT-RAT

«Maledette bestiacce...».

«Che fai?! Stai attento, l'hai colpita?».

«Che importanza ha? Comunque adesso controlliamo...

No, vedi? Ha solo il buco nello stomaco...».

«Povera donna... ridotta così non sembra più tanto invincibile...».

«A chi possiamo portarla?».

«Non lo so ancora, ma intanto abbiamo evitato che finisse nelle fauci di quei mostri... con il tommy-gun hai troncato di netto il maledetto tentacolo.

Ma il pezzo rimasto non si stacca dal braccio...».

«Lascialo così, non fa niente.

E tieni gli occhi aperti: quelle piovre sono aggressive, possono attaccarci all'improvviso.

Se si cade in acqua, è finita!».

«Cough!».

«Hai la tosse, Bill?».

«No, perché?».

«Hai tossito...».

«Non ho tossito».

«Ti dico che hai tossito.

Ma non è una colpa. Può capitare».

«Cough! Cough!».

«Ecco... capita...».

«Ma...».

Bill e Jim rimangono a bocca aperta.

Anna Frentzen ha tossito...!

«Oddio... la Frentzen...».

«Signora Frentzen... stia calma...».

«Cerchiamo noi di stare calmi...

Che succede? Non era morta?», lo sguardo si fissa sul tentacolo troncato, rimasto avvinghiato al braccio sinistro di Anna. «Queste bestie sono misteriose: gli aculei del tentacolo devono averla punta, ma lo shock, anziché ucciderla, l'ha rianimata...».

«Il buco nello stomaco però rimane...

Deciderà il capo cosa fare».

«D'accordo, d'accordo, cerchiamo di stare calmi...».

«Jim...!».

«Che altro c'è, adesso?».

«Chi cazzo è quello?

Sta puntando verso di noi».

«È un investigatore privato, un tipo strano».

«Un ficcanaso...

Ci penso io».

«Va bene, ma senza far rumore, okay?

Abbiamo cose più importanti da gestire, adesso...».

«Mi chiamo Charles Reed e sto indagando sull'omicidio di Anna Frentzen.

La polizia di Oakmont mi ha delegato le indagini, poiché non hanno abbastanza uomini.

In seguito a un regolamento di conti tra le bande Denton e Walker, è emerso che la donna sia rimasta uccisa in questo stabile. Faceva l'impiegata all'archivio dei giornali.

Lei ne sa qualcosa?».

«No, mi dispiace, detective; non ne so proprio niente».

«La nomino assistente alle indagini.

Mi aiuterà nella mia ispezione.

Pare che la Frentzen sia rimasta uccisa da un colpo d'arma da fuoco che l'ha raggiunta allo stomaco.

Io voglio sapere chi le ha sparato e perché.

54 anni, origini italiane, divorziata, molto chiacchierata in città, sempre al centro del gossip, definita "l'amante del boss", con riferimento a Denton.

Il padre è stato avvertito con un telegramma.

Arriverà a Oakmont domani, per conoscere tutti i dettagli sulla morte della figlia.

L'acqua si sta abbassando, è la marea.

Ecco... qui sulla parete c'è una grossa macchia di sangue...

La Frentzen è stata colpita in questo punto: un proiettile molto potente l'ha trapassata.

Eccolo qui conficcato nella parete, infatti... si direbbe un calibro 38.

La donna dev'essere morta nello stesso punto, perché non ci sono altre scie di sangue.

Questo asciugamano... è intriso di sangue...

Qualcuno ha cercato di aiutare la Signora Frentzen.

Le hanno tamponato lo stomaco, ma non c'è stato niente da fare.

Possiamo desumere che non sia stata un'esecuzione ordinata dall'alto, ma un delitto incidentale, di cui al momento ci sfugge il movente.

Domani il padre vorrà vedere il posto dove la figlia ha trovato la morte».

«Sapevo che prima o poi avrebbe fatto questa fine, era molto ambiziosa...

Ma era anche una brava donna, mia figlia...

Di certo non meritava tutto questo: possibile, detective, che non ci sia stato modo di salvarla?».

«Quando è arrivata l'ambulanza, sua figlia era già morta.

Purtroppo il colpo è stato mortale: una calibro 38 sparata da non più di quattro metri che l'ha raggiunta in pieno stomaco.

È stata soccorsa immediatamente, non è morta da sola, le hanno tamponato la ferita, ma è stato subito chiaro che non si sarebbe salvata».

«Non è da Anna arrendersi», reagisce il padre. «Di sicuro ha lottato, non è morta sul colpo».

«Certamente... ma non poteva farcela, mi dispiace».

«Ehi, Charles... vieni qui... dobbiamo parlare...», l'invito viene da John Walker in persona.

È uno di quegli inviti che è meglio non rifiutare.

«Papà... rimani... vicino a me...».

«Sì, bambina mia... stai tranquilla... non ti succederà niente...

Me lo sentivo che non t'eri arresa... brava... fagli vedere chi sei....».

Occhi sbarrati rivolti al soffitto della camera, volto cianotico, bocca aperta che rivela uno strano stupore.

E quella camiciona sbottonata impiastrata di sangue coagulato. Lei non ci rinuncia mai.

C’è scetticismo intorno ad Anna Frentzen, e non può essere altrimenti.

Si teme che la situazione possa precipitare da un momento all’altro.

Una marea infernale ha riportato a galla la Frentzen, ma le sue condizioni rimangono drammatiche.

Walker viene costantemente aggiornato via telefono, il padre non la lascia un momento.

Poi ci sono Bill e Joe, e l’anziana, arcigna infermiera che caritatevolmente asciuga il sudore freddo della Frentzen, come si trattasse di una statua di cera che rischia di sciogliersi.

E c'è anche Charles Reed, ormai sul libro-paga di Walker.

Si è deciso di non portarla in ospedale: il caso è troppo anomalo.

Gli effetti prodotti dal tentacolo sono imprevedibili: i protocolli ordinari potrebbero aggravare la situazione.

Anna ha raccontato di aver riaperto gli occhi in acqua.

L'ambulanza è stata attaccata da una o più piovre giganti, le stesse che infestano Oakmont da settimane. Nessuna traccia dei due infermieri a bordo.

«Su, Anna…», le dice il boss, come se per la Frentzen fosse una cosa semplice sbattersi in giro senza uno stomaco.

Walker le ha messo a disposizione ossigeno e plasma. Un medico di fiducia della banda la visita due volte al giorno.

Il boss non bada a spese pur di allungare l’agonia della Frentzen, anche se l'obitorio è solo rinviato.

Anna lo capisce, ma non invoca l’ospedale, perché non vuole morire scannata sotto i ferri.

«John… io ci provo…», ci tiene a dire, rivolta al boss.

«Se vai in crisi, c’è pronto l’ossigeno».

Non vuole demoralizzarla con le previsioni funeste del medico.

«Io… non rimarrò… uccisa…».

«No… te la caverai…».

La asseconda.

Ma ai suoi uomini dice la verità.

Nessun futuro per Anna Frentzen.

Oakmont dovrà fare a meno di lei e trovarsi un’altra gran puttana con la camicetta sbottonata fino allo stomaco e le tette penzolanti.

«Anna... non stai tirando troppo la corda... con il boss...?».

«No, papà... lui è in pena per me... dev'essere mio...

Lui deve sposare me...».
«Anch'io sono in pena per te, figlia mia...».
«Ma tu... non hai potere... papà...».
«Anna... hai un grosso buco nello stomaco... non vorrei che tu... rimanessi uccisa, figlia mia...».
«No... non deve accadere...
Tu... recita la tua parte... e bada che... non mi mettano... altro piombo... in corpo...».
«Ora risparmia il fiato, figlia mia... temo ne avrai bisogno...».

«È morta?», la domanda ricorrente tra gli uomini di Walker.

C’è molta attesa, molta apprensione per la sorte di Anna.

Si spera quasi che la faccia finita subito, così da non tenerli con il fiato sospeso.

«Quanto manca?».

Si cerca a tutti i costi di capire.

«Se il padre non la lascia un attimo, vuol dire che la fine è imminente».

«Io pensavo che sarebbe morta per una scarica di tommy-gun, insieme al suo boss, a letto».

«No, un colpo solo, ma ben piazzato. Le ha fatto saltare lo stomaco.

Nessuno scampo. Niente di romantico. Uno dei suoi che, morendo, se l’è portata dietro».

«Una fine da stupida, per certi versi. Una fine non da Frentzen».

«Non ci si può scrivere la parte da soli. Siamo attori, non sceneggiatori, sul palcoscenico del nostro destino: dobbiamo accettare la parte, anche se non ci piace.

Lei non pensava certo di morire così».

«Ma secondo te, la Frentzen si sta spremendo?».

«Certo. Le sta provando tutte. Non vuole morire, è ambiziosa.

Ma si troverà la strada sbarrata».

«La sua voglia di salvarsi quanto può incidere?».

«Adesso tanto, poi, però, dovrà arrendersi.

Con soltanto un pezzettino di stomaco, e continue emorragie, non si può vivere».

«Però al momento la situazione è sotto controllo…».

«Diciamo di sì, in qualche modo si sa gestire. Ha una fottuta paura di morire.

E l’adrenalina vuole dire tanto in queste occasioni.

Tornata a sorpresa in gioco, non si farà eliminare tanto facilmente, ha fatto esperienza, non perderà un'occasione così grande di impressionare il suo pubblico...».

«Stai diventando ottimista…».

«Anna Frentzen la conoscono tutti: non è facile toglierla di mezzo.

È una che non si arrende mai.

Altrimenti a 54 anni non sarebbe la più grossa fica di Oakmont.

Si è fatta sorprendere una volta, non credo ci caschi ancora, alla sua pelle ci tiene, la vecchia troia...».

«Ora la fai troppo facile…».

«Sono realista. Il boss la tiene sotto stretto controllo.

Al suo capezzale ha un ottimo medico, un’esperta infermiera e il devoto padre, con apparecchiature e medicine: una macchina da guerra per tenere a galla Anna Frentzen, mentre la città affonda...».

«Hai dimenticato lo strambo investigatore che ha studiato quei mostri... e che sospetta un atto doloso da parte di un certo Dagon...».

«Tanta attenzione per questa gran puttana, poca per Oakmont: come si spiega?».

«La Frentzen non si spiega: si impone da sé.

Non ce ne sono come lei.

Se ne accorgono tutti, quando la vedono.

C'è tanta preoccupazione intorno a lei. Diverrebbe addirittura panico, se circolasse la notizia della sua morte...

Per Oakmont sarebbe la fine definitiva...».

«I problemi di Anna Frentzen non sono finiti: come se non bastassero il grosso buco nello stomaco e la putrefazione al braccio, nel punto in cui è stata avvinghiata dalla piovra, adesso la pupa del boss la vuole morta...

Le ha promesso una scarica di tommy-gun tutta per lei.

In alternativa, un coltellaccio da cucina, da spingersi in pancia da sola...».

«Però non ha tutti i torti... il boss sta esagerando...», sussurrando appena. «La Frentzen come l'ha presa?».

«Non rimarrò uccisa, nessuno mi toccherà, a me un coltellaccio in panza mi fa una sega: pare abbia risposto così».

«La Frentzen si è montata la testa, ma potrebbe essere vero, in fondo.

Ha addosso talmente tanta adrenalina che non la darei per morta nemmeno con un coltellaccio in pancia...».

«Tra Kelly e Anna, per chi tifi?».

«Noi dobbiamo tifare per Kelly... però anche la Frentzen merita rispetto».

«Ha l'acqua fino al collo, come questa maledetta città...».

«Se non sta molto attenta, la Frentzen affonda in un mare di merda...».

«Però se ha Dagon dalla sua, credimi, sarà meglio non contraddirla!».

GOLDRAKE: REQUIEM

PeR UNA DIRettrice CORROTTA

di Salvatore Conte (1976-2024)

La Direttrice faceva quello che voleva nel suo carcere.

Ma adesso la musica è cambiata, perché Madame Brutal ha assunto il potere assoluto all'interno del penitenziario brasiliano diretto dalla grande cessa della sua amica Dolores.

«Spiacente per lei, ma...», Goldrake replica a Sheila, la spia infiltrata nel carcere, «c'è una rivolta in corso, e se la trovano i carcerati, la faranno a pezzi...».

«La Direttrice sta morendo...!», urla una guardia nella confusione generale.

«Dispiace per lei, ma l'avevo detto...

Madame Brutal le ha fatto esplodere lo stomaco, qui davanti a me.

È strisciata fuori, vuole salvarsi con feroce determinazione, ma temo sia finita.

L'ha presa in pieno stomaco.

A caldo è riuscita a reagire, ma non poteva fare molta strada, non le rimane molto tempo.

D'altronde, anche se mi ha aiutato, era una Direttrice corrotta. Forse è meglio che sia andata così».

«Lo penso anch'io...

Però se riesci a cavarle qualcosa, prima che crepi, è meglio...».

«Okay, ci provo...». Sheila intercetta subito una guardia: «Dove si trova la Direttrice?».

«La stanno portando in infermeria... strillano tutti come matti... ma secondo me ormai è morta...».

«Devo parlarle, prima che sia troppo tardi... portami da lei...».

«Io... io... volevo... ghh... raggiungere il potere... hhh... attraverso... Madame Brutal...

Non giudicarmi... Sheila... hhh... ghh... era... la mia ultima... possibilità... uhhh... non sono più... tanto giovane... ohhh... ormai... uhh... faccio schifo... mi sono gonfiata... ahh... ma un tempo... ohh... ero bona... ghh... hh... da morire...», la Direttrice - tra un mancamento e un rantolo - vuole parlare a tutti i costi.

Fatica enormemente a tenersi legata alla vita, ma cerca di andare avanti, non vuole crepare.

«Sta arrivando un elicottero per portarti in ospedale, Dolores...

Risparmia il fiato, non te ne rimane molto...».

«Lo so... io... io... ghh... sto morendo... come una cagna... hhh...».

«Quella psicopatica di Madame Brutal ha sparato per ucciderti; mi dispiace, Dolores.

Il danno che ha fatto è enorme.

Non te lo meritavi; hai sbagliato, è vero, ma hai pagato un prezzo troppo alto...».

«Sì, è vero! Perdere Dolores è un danno enorme, ecco perché sono qui...!».

«Madame Brutal...?!».

RAT-RAT-RAT

«Addio, Sheila.

Tu verrai con me, Dolores, sul mio elicottero.

Non puoi fallire, vecchia puttana... lavorerai per me...», e con una mano le preme dolcemente lo stomaco, aiutandola a tamponarsi.

La Direttrice sente un po' di vita in corpo.

«Ghh...», e risponde con un rantolo alle cure di Madame Brutal.

Dunque, infine, ancora una volta, Goldrake è beffato!

LA VECCHIA SORCONA

E IL FUNERALE DEI TOPI

di Bram Stoker e Salvatore Conte (1896-2024)

   

     

Lasciata Parigi per la strada di Orléans, ci si trova in una zona aspra e inospitale, detta Montrouge.

Se ci si allontana di poco dalla strada, le cose peggiorano enormemente: a destra e a sinistra, dinanzi e alle spalle, da ogni parte si ergono alti cumuli di immondizie e rifiuti accumulatisi col passare degli anni.

D'altronde le immondizie sono immondizie in tutto il mondo, e tutti i mucchi di immondizie si assomigliano, e sembra che non cambi mai nulla intorno a loro.

Perciò i dintorni di Montrouge, nella Grande Parigi del 1850, non sono molto diversi da alcune zone suburbane della Londra di oggi, 10 anni più tardi.
In quell'anno soggiornai a lungo nella capitale di Francia: ero molto innamorato di una donna che, pur ricambiando la mia passione, ubbidiva ai desideri dei genitori, cui aveva promesso di non vedermi e non tenersi in corrispondenza con me per il periodo di un anno. Io stesso mi ero visto costretto ad accettare tali condizioni nella speranza di carpire, infine, il sospirato benestare.
Per tutto il periodo di prova avevo promesso di rimanere lontano dall'Inghilterra e di non scrivere alla mia diletta fino allo scadere dell'anno.

Come tutti i turisti, esaurii i luoghi di maggiore interesse nel corso del mio primo mese di soggiorno; durante il secondo mese mi impegnai nella ricerca di nuovi spunti di divertimento.
Avendo fatto diverse puntate nei sobborghi più conosciuti, cominciai a prendere in considerazione una zona incognita (almeno per le guide ufficiali), in quel deserto sociale che si stendeva tra i vari punti di attrazione. Di conseguenza, cominciai a organizzare sistematicamente le mie ricerche, e ogni giorno ricominciavo la mia esplorazione là dove il giorno prima l'avevo interrotta.
Con l'andar del tempo i miei vagabondaggi mi condussero nei paraggi di Montrouge.

In un tardo pomeriggio della fine di settembre varcai le porte della città dei rifiuti.

Il posto, infatti, sembrava il domicilio riconosciuto di un certo numero di chiffoniers, e nella formazione dei cumuli di immondizie ai lati della strada si notava una certa sistematicità.
Passai dunque tra questi cumuli, che sembravano posti lì a guardia, ben deciso ad addentrarmi e a seguire quella pista di rifiuti fino in fondo.
Per tutto il cammino mi parve di scorgere dietro ai mucchi di immondizie alcune sagome in continuo movimento: evidentemente spiavano con interesse l'avvento di un estraneo in un simile posto.

Giunsi infine in quello che si sarebbe detto il quartiere centrale della città: si trattava di un certo numero di baracche vicine tra loro, tirate su alla buona.

Dopo circa duecento passi, la stradina si allargò in uno spiazzo, coperto in parte da una rudimentale tettoia.

Sotto questa, stava seduta una vecchia tutto sommato graziosa, nonostante gli anni.

Mi avvicinai per chiederle dove mi avrebbe portato quella strada, qualora avessi scelto di proseguire.

Era molto vecchia, molto più della Rivoluzione.

Penso avesse non meno di 80 anni, forse 85.

Probabilmente quando la Bastiglia cadeva, lei era già una donna. Tuttavia, benché grinzosa, non era del tutto avvizzita: appariva ancora solida nel fisico, e il volto, brunito dal sole estivo e ravvivato da un leggero trucco, esprimeva una certa classe; anche i capelli, sebbene completamente grigi, erano in ordine, folti e tagliati corti a caschetto.

Forse faceva ancora la puttana, perché indossava un camicione sbottonato fino allo stomaco, senza niente sotto, con vista immediata sulle vecchie tette ammiccanti. Sembrava una grossa oliva spremuta per la terza o quarta volta, ma ancora in grado di fare olio.

Come mi vide, si alzò e attaccò subito a chiacchierare; sembrava stesse lì ad aspettarmi.

Mi balenò l'idea che quel luogo, fulcro del regno dei rifiuti, fosse senz'altro il più adatto per raccogliere notizie sulla storia degli straccivendoli parigini, anche perché le informazioni sarebbero scaturite dalle labbra di una delle più vecchie abitanti, forse dalla Regina di Montrouge in persona, in un certo senso, vista l'età venerabile, una certa classe, il fisico e il camicione rosso in buone condizioni e bene aperto.

Le posi alcune domande e la vecchia mi fornì risposte molto interessanti.
Era una di quelle rivoluzionarie che giorno dopo giorno erano rimaste sedute davanti alla ghigliottina, ed era stata segnalata per la sua violenza durante la Rivoluzione.
«Oh, ma m'sieur deve essere stanco di stare in piedi», mi disse, e spolverò uno sgabello traballante perché mi sedessi.
La cosa, per vari motivi, non mi dispiaceva affatto; la vecchia era molto cortese e inoltre la conversazione con qualcuno che aveva partecipato attivamente alla presa della Bastiglia era talmente interessante che sedetti e riprendemmo a parlare.

Mentre stavamo conversando spuntò da dietro la baracca un vecchio, ancora più in là con gli anni e ancor più rugoso della donna.
«Ecco Pierre», disse lei. «Ora m'sieur potrà ascoltare tutte le storie che vorrà, perché Pierre è stato dappertutto: dalla Bastiglia a Waterloo».
Il vecchio prese un altro sgabello e ci tuffammo nel mare dei ricordi.

Mi trovavo dunque seduto sotto la tettoia, con la vecchia bagascia alla mia sinistra e l'uomo a destra, ma sistemati in modo tale che più o meno mi stavano di fronte. Lo spazio intorno era ingombro dei più strani rifiuti, e di parecchie altre cose che avrei preferito fossero mille miglia lontano da me.
In un angolo vi era un mucchio di stracci che sembravano camminare dal numero dei vermi che contenevano, e nell'altro un mucchio di ossa il cui puzzo era a dir poco nauseante. Di tanto in tanto, gettando lo sguardo verso qualche cumulo di rifiuti, scorgevo lo scintillio degli occhi di un topo, fra i molti che infestavano il posto. E se ciò era già abbastanza orripilante, più terribile ancora era quel coltellaccio da macellaio dal ferro macchiato qua e là di sangue rappreso, appeso alla parete...

Eppure non ero eccessivamente preoccupato. Il racconto dei due vecchi era così affascinante che stavo ad ascoltarli senza più badare al tempo che passava, finché calò la sera e spuntò la luna.

I capelli della vecchia, e tutto il resto della figura, si illuminarono di riflessi argentei. Le zinne pulsavano nel camicione, cercando disperatamente di farsi notare.

A un certo punto, però, avvertii un senso di disagio; non saprei spiegare esattamente il perché, ma sta di fatto che fui preso da una sensazione spiacevole. L'inquietudine è dettata dall'istinto ed è sempre premonitrice.
Le facoltà psichiche sono spesso le sentinelle dell'intelletto, e quando esse danno l'allarme interviene, sia pure inconsciamente, la ragione. Mi accadde proprio questo. Cominciai a riflettere sul luogo in cui mi trovavo, su quello che mi circondava e su come avrei potuto reagire nel caso fossi stato aggredito.

E poi, all'improvviso, mi resi conto, pur senza una causa precisa, di essere in pericolo. «Sta calmo e fai finta di nulla», mi consigliò la prudenza; così mantenni la calma e non lasciai trapelare nessuna emozione, ben sapendo di avere quattro occhi fissi su di me. Quattro occhi... se non di più.

Dio mio, che pensiero tremendo! La piazzetta poteva essere accerchiata da delinquenti.
Potevo trovarmi nel bel mezzo di una banda di disperati, creati da un mezzo secolo di rivoluzioni periodiche.
Il senso del pericolo acutizzò il mio spirito d'osservazione, e divenni istintivamente più guardingo. Notai, ad esempio, che lo sguardo della vecchia tornava a fissarsi con insistenza sulle mie mani; seguendolo, scoprii il motivo di tanta insistenza: gli anelli. Al mignolo della mano sinistra portavo un sigillo, e alla destra un diamante, entrambi di notevole valore.
Pensai che se mi trovavo in pericolo la prima mossa doveva essere quella di allontanare ogni sospetto. Così, dirottai la conversazione sulla raccolta dei rifiuti, sulle fogne e su quel che vi si trova; insomma, pian piano arrivai a parlare di gioielli. Poi, cogliendo al volo la prima occasione, chiesi alla vecchia se se ne intendeva. Rispose di sì, un poco. Tesi la mano destra e mostrandole il diamante chiesi cosa ne pensasse.
Rispose, chinandosi in avanti, che ormai la vista la tradiva.
«Prego», dissi io con la maggior disinvoltura possibile. «Lo vedrete meglio così», e mi sfilai l'anello, porgendoglielo.
Come lo ebbe in mano, una luce sinistra si accese su quel volto grinzoso, e mi lanciò rapida uno sguardo acuto, quasi il lampeggiare della folgore.
Restò un momento china sull'anello, celando il viso, fingendo di stimarlo.
Il vecchio, intanto, lasciava vagare lo sguardo, armeggiando nelle tasche da cui trasse una presa di tabacco e una pipa che cominciò a caricare.
Approfittando del vantaggio che quella pausa mi concedeva e del fatto di non avere per il momento quegli occhi fissi su di me, volsi uno sguardo attento intorno, nella luce incerta, sui mucchi di immondizie, sul terribile coltellaccio sporco di sangue e sul sinistro lampeggiare degli occhi dei ratti, visibile ovunque, pur nella semioscurità.

E c'erano altre ombre ancora... e sussurri...
Ora avevo valutato il pericolo in tutta la sua vastità: ero circondato e tenuto sotto sorveglianza da una banda di disperati.
Non riuscivo neppure a immaginare quanti ve ne potevano essere accovacciati in terra, dietro le baracche, in attesa del momento giusto per colpire. Sapevo, è vero, di essere robusto, ma anche loro non lo ignoravano. E sapevano anche, al pari di me, di avere a che fare con un inglese, e che dunque mi sarei venduto a caro prezzo. Così, aspettavano.
Intuivo di aver guadagnato un certo vantaggio negli ultimi secondi, perché se non altro avevo avuto coscienza del pericolo.
«Adesso», pensai, «è il momento di mettere alla prova il mio coraggio».
La donna sollevò il capo e commentò con voce soddisfatta: «Un anello stupendo, molto bello davvero!

Povera me... ora sono vecchia e logora... ma un tempo anch'io possedevo anelli così... tanti, anche... e bracciali, e orecchini...», la vecchia si stirò addosso il camicione, da vecchia sorcona, evidenziando la pancia molle e le tette cedenti; senza paura, come avesse ancora trentanni; la lingua fece capolino dal labbro; tutto questo forse perché un paio di volte le avevo messo gli occhi nella profonda scollatura del camicione. «Avevo mezza Parigi ai miei piedi».

In effetti non era difficile da credere.

«La classe non invecchia... non dovete commiserarvi, tuttaltro...

Come vi chiamate?», il mio complimento era sincero; e poi mi conveniva essere gentile.

«Annette... m'sieur... Annette Frazeur...

Voi siete molto gentile, ma ora... quei tipi... se non sono morti... si sono scordati di me.

Mi hanno dimenticato.

Che dico... non sanno neppure che sono ancora viva!».

Concluse con rabbia, rivendicando l'età venerabile.

«Viva... e ancora importante, e imponente...», la lusingai volentieri.
Poi devo confessare che mi stupì, perché mi ridiede l'anello con un certo garbo che suggeriva una grazia d'altri tempi, non priva di un suo struggimento.
L'uomo la fissò con improvvisa acredine. Si levò a metà sullo sgabello.
«Fate vedere un po'», disse rivolto a me con voce roca.
Stavo per accontentarlo, quando la vecchia intervenne: «No, non dateglielo. Pierre perde tutto: è fatto così.

È un anello talmente bello...».
«Oh, al diavolo!», proruppe l'uomo con rabbia.
E la donna, con un tono più alto di quanto fosse necessario, replicò: «Aspettate! Vi voglio raccontare la storia di un anello...».
Vi era qualcosa nella sua voce che mi colpì.

Ma forse la causa andava ricercata unicamente nella mia ipersensibilità; sta di fatto che mi sembrò di capire che l'esortazione non fosse diretta a me.
«Una volta persi un anello... un bel diamante, un tempo di proprietà di una regina, che mi era stato donato da un esattore delle tasse, il quale - in seguito - respinto da me, si tagliò la gola.
Pensai di essere stata derubata e mi feci sentire con quelli della mia banda, ma senza nessun esito. Allora la polizia compì un sopralluogo e si pensò che dovesse essere andato a finire giù per la fogna. Discendemmo: andai anch'io, con i miei bei vestiti, perché non mi fidavo di loro.

Ho imparato tante cose sulle fogne, da quel giorno, e sui topi, anche!

Non scorderò mai quel posto vivo di occhi lucenti, un'intera parete che si ergeva là dove finiva l'alone delle nostre torce...

Infine, arrivammo sotto la mia casa.
Frugammo nel punto giusto e lì, in mezzo alla porcheria, ritrovammo il mio anello.
Ci stavamo dirigendo verso l'uscita, ma l'avventura non era ancora finita.
All'imbocco della fognatura ci si fece incontro un altro esercito di topi: di razza umana, questa volta.
Spiegarono ai poliziotti che uno di loro era finito lì e non era tornato in superficie; vi era entrato da poco e non poteva essere andato molto lontano. Gli chiesero di dar loro una mano a cercarlo. Ritornammo quindi sui nostri passi.
Tentarono di impedirmi di seguirli, ma non ci riuscirono.
Era un divertimento che non volevo lasciarmi scappare; e poi, non avevo forse ritrovato il mio anello? Comunque, non dovemmo camminare molto: ben presto ci finimmo contro.
C'era poca acqua, e il fondale della fogna era ingombro di mattoni, detriti e altre porcherie.

Doveva aver lottato, anche dopo aver perduto la torcia, ma erano in troppi per lui. E non se l'erano certo presa comoda!

Le ossa erano ancora tiepide, ma completamente spolpate. Si erano divorati perfino i loro morti; accanto alle ossa umane si potevano distinguere infatti piccoli scheletri di topo.

Gli altri non ne fecero una gran tragedia - gli umani, intendo - e risero sul loro amico morto, anche se da vivo erano stati disposti ad aiutarlo. Ma poi, vivo o morto, che differenza fa?».
«Non avete avuto paura?», le chiesi.
«Paura?», fece lei con una risata al chiar di luna. «Paura io? Chiedetelo un po' a Pierre!
Certo, allora ero più giovane e in quell'orrenda fogna con il muro degli occhi famelici che si spostava di continuo seguendo la luce delle fiaccole, non mi sentivo a mio agio.

Volli che gli uomini mi stessero dietro, abitudine che ho conservato. Mi piace stare in testa: tutto quello che chiedo è che mi si diano possibilità e mezzi...», parlava da regina, in effetti; era ancora ambiziosa.

Si stirò addosso il camicione, osservandomi per constatare la mia reazione.

Cercai di non deluderla.

«Insomma, lo divorarono!
Fecero sparire dalla faccia della terra qualsiasi traccia, tranne le sue ossa, e nessuno ne seppe nulla. Neppure un gemito si udì».
Con queste parole concluse il discorso, fissandomi duramente.

Mi teneva in pugno.

Potevo leggere fra le righe di quella storia cruenta le parole d'ordine per i suoi complici.

State calmi, sembrava dire, attendete il momento giusto. Darò io il primo colpo. Trovatemi l'arma adatta e saprò cogliere l'opportunità al volo: non ci sfuggirà. Basta condurre il gioco con calma e nessuno ci darà meno noia di lui. Non si leverà di qui neppure un grido, e i topi faranno il resto!
Lanciai uno sguardo intorno: tutto immobile! L'ascia insanguinata nell'angolo, i cumuli di rifiuti e quegli occhi lucenti nel mucchio d'ossa.
Pierre stava ancora armeggiando con la sua pipa: in quel mentre accese un fiammifero e riprese a soffiarci dentro.
«Ma m'sieur... voi forse avete freddo...

La vecchia Annette può scaldarvi meglio di quanto pensiate...», e trascinò lo sgabello verso di me, quasi cadendomi addosso.

Le passai un braccio intorno ai fianchi pesanti: la carne era flaccida, ma la sensualità da vecchia troia era lungi dall'essere morta.

«Stavate per cadere...».

«Addosso a voi, m'sieur, non mi sarei certo fatta male...».

«Nemmeno io, d'altronde, madame...».
Stavo flirtando con una vecchia megera che poteva essere mia nonna, una lurida bagascia di fogna consumata dagli anni e dagli stenti di una vita miserabile.

Stavo dimenticando il pericolo che mi circondava.

Tornai padrone di me stesso, intuendo che il momento dell'azione si stava avvicinando.
Non ero armato, ma presi una decisione su ciò che avrei potuto fare. Al primo movimento avrei afferrato il coltellaccio da macellaio che si trovava appeso alla parete, e mi sarei buttato in avanti per farmi strada. Se non altro, avrei venduta cara la pelle.

Buon Dio, non c'era più...! Tutto l'orrore della situazione parve sopraffarmi. Ma il pensiero più triste era quanto avrebbe sofferto la mia cara Alice se le cose, come sembrava, si fossero messe al peggio.
La vecchia continuava a fissarmi come fa il gatto col topo, la mano nascosta fra le pieghe del camicione, stringendo, lo sapevo bene, quel coltellaccio orrendo. Comprendevo che, se avesse scorto anche il minimo segno di paura sul mio viso, sarebbe balzata avanti come una tigre, sicura di cogliermi impreparato.

«Non sono finita... posso essere vostra... m'sieur..., la vecchia sorcona cercava di sedurmi, trascinandomi la mano sulle zinne molli.

Ma io non dovevo mollare, anzi ne approfittai.

Sapendo dove pescare, scattai sulla mano nascosta e mi impossessai del coltellaccio!

Avrei potuto piantarglielo nella pancia da vecchia cessa, ma non ebbi il coraggio di farlo.

La spinsi però addosso a Pierre per creare confusione e cominciai a correre con in pugno il coltello sottratto alla vecchia.

Nessuno ebbe il fegato di affrontarmi, ma ben presto cominciarono a inseguirmi ben sapendo che non sapevo minimamente dove andare.

Stavo proseguendo lungo la strada che mi aveva condotto fino allo spiazzo dove avevo incontrato la vecchia sorcona.

Dopo un certo tratto, mi fermai per riprendere fiato e studiare la situazione.

E fu allora che la vidi!

Era lei, nel suo camicione rosso!

Annette!

Viaggiava possente su una slitta a ruote, trainata da cani feroci!

Non si fermava davanti a nulla...!

Cosa mai doveva essere stata nel pieno della gioventù!

Dietro di lei, molti uomini.

Ripresi a correre, ma la stradina ormai non si distingueva più, tra mucchi di immondizia, paludi melmose e luridi canali di scolo.

Annette era scesa dalla slitta e con indicazioni silenziose organizzava gli uomini, avanzando pesante a passo senile.

Da quel momento ebbe inizio una caccia veramente orribile.
Ero in pericolo di vita, la mia salvezza dipendeva dalla rapidità con cui avrei agito, praticamente a ogni passo mi si presentava un'alternativa che poteva significare lo scampo o la morte... eppure l'unica cosa cui riuscissi a pensare era la resistenza di quella donna e dei suoi uomini, tra cui di certo molti vecchi.

Quella loro risolutezza silenziosa, quella persistenza allucinante, anche in una simile circostanza, non poteva non suscitare, assieme alla paura, un certo senso di rispetto.
Ora sì me la potevo immaginare mentre prendeva la Bastiglia! Sessantuno anni prima!

Ripresi la corsa; il terreno si faceva sempre più accidentato e ogni volta inciampavo, cadevo, mi rialzavo e riprendevo di nuovo a correre con l'angoscia della preda braccata. E ancora una volta il pensiero di Alice mi diede coraggio. Non potevo, no, non potevo lasciarmi catturare e rovinarle in tal modo la vita: mi sarei battuto fino alla fine.

Con uno sforzo enorme riuscii a inerpicarmi lungo un muro di cinta.

«Alto là!».
Udii il risuonare dei moschetti, scorsi l'acciaio balenare davanti ai miei occhi.

Istintivamente mi fermai, anche se alle spalle potevo sentire i passi dei miei inseguitori.
Una, due parole e dal cancello si riversò, o almeno così mi parve, un fiume di rosso e di blu, allorché le sentinelle uscirono fuori. Il posto si animò di luce, dei bagliori delle baionette, del clangore del metallo, di alte voci di comando.

Mentre cadevo in avanti, completamente esausto, un soldato mi prese al volo. Guardai indietro in attesa di qualcosa di terribile e vidi la massa confusa di forme scure, incluso un punto rosso, sparire nel buio della notte...
Poi devo essere svenuto. Quando rinvenni mi trovavo nella guardiola, mi avevano dato del brandy e dopo pochi minuti ero in grado di raccontare quello che era successo. Quindi fece la sua apparizione un commissario di polizia che sembrò materializzarsi dal nulla, come è tipico dei poliziotti parigini.
Ascoltò con attenzione quel che dicevo e quindi si consultò animatamente con gli ufficiali. A quanto mi parve, riuscirono a mettersi d'accordo, perché mi chiesero se me la sentivo di seguirli.
«Dove?», chiesi alzandomi.
«Fino alla città dei rifiuti. Può darsi che riusciremo ad acciuffarli! È ora di farla finita con quella vecchia cagna!».

«Ci proverò», risposi.

«È imprudente suscitare incidenti, commissario!», Annette doveva aver suggestionato anche il comandante della guarnigione, evidentemente.
Il commissario, invece, appariva risoluto.

Così uscimmo dalla guardiola, traversammo un passaggio a volta e fummo di nuovo nella notte.

Gli uomini che ci facevano strada erano provvisti di lanterne molto forti. Venne dato ordine di marciare a due a due, e i soldati si incamminarono così in fila, procedendo con un'andatura che stava tra la corsa e la camminata di buon passo.
Sentivo di aver riacquistato completamente le forze. Tale è la differenza tra il cacciatore e la preda.
Con passo sempre più veloce raggiungemmo i primi cumuli di rifiuti.

Infine arrivammo nello spiazzo dove avevo parlato a lungo con Annette e Pierre.

Della vecchia, però, nessuna traccia.
Fu dato ordine agli uomini di sparpagliarsi lì intorno e di tenere gli occhi bene aperti.

Fu uno di loro a chiamarci.

Lo spettacolo era raccapricciante: a terra vi era lo scheletro di un uomo; tra le ossa baluginava la lama di un coltello.

Riconobbi quegli stracci e infilando la mano nella tasche, ne ebbi conferma: mostrai la pipa al commissario.

«Questo scheletro appartiene a un certo Pierre: era amico della vecchia».

«Sì, lo conosciamo.

La vecchia deve essersi liberata di lui.

Come potete notare, di topi qui ce ne sono parecchi, se ne possono vedere gli occhi luccicare lì fra i mucchi di immondizie, e noterete anche...», l'uomo aveva appoggiato una mano sullo scheletro, «che hanno perso davvero ben poco tempo: le ossa sono ancora calde!

Il funerale dei topi è rapido!».

Con ogni probabilità era proprio andata così. Annette non aveva esitato a eliminare Pierre, pur di coprirsi la fuga.

Era ancora lucida e solida come durante l'assalto alla Bastiglia di 60 anni prima. Le piaceva uccidere, ma non rimanere uccisa. Metteva la sua vita davanti a tutto; ed era sempre abile nel rimanere indenne.

«Ora dobbiamo trovare la vecchia!», esclamò il commissario.

I soldati interrogavano gli straccioni, perquisivano le baracche, rastrellavano la zona, ma senza troppa convinzione. La vecchia sorcona doveva avere degli alleati nella guarnigione.

Stavolta, comunque, ero io il cacciatore e lei la preda.

Cominciai a riflettere: dove poteva nascondersi Annette?

Doveva avere un covo segreto, dove si sentiva la Regina di Montrouge, la Regina degli Straccioni di Francia...

E Pierre doveva conoscere quel posto...

Ripensai al putrido acquitrino in cui mi ero casualmente cacciato.

Doveva essere alimentato da un canale di scolo, proveniente dalla città.

Forse Annette stava fuggendo su una piccola imbarcazione a remi, diretta all'imbocco delle fogne parigine, dove non avrebbe avuto difficoltà a dileguarsi.

Il suo racconto lasciava immaginare questo.

Fingendo di partecipare al rastrellamento, tornai in quella direzione e mi appostai attorno a un ponticello che scavalcava il canale, poco prima dell'imbocco fognario.

Annette era molto anziana, non poteva remare velocemente, forse ero riuscito a precederla.

Il camicione rosso emerse dall'oscurità, passando sotto il ponte.

Si trattava di una piccola chiatta monoposto, il livello del liquame appariva infatti piuttosto basso.

Saltai in acqua e bloccai con facilità la piccola imbarcazione. Il liquame non superava di molto le ginocchia.

Annette non fu particolarmente stupita di vedermi.

«Ho visto come mi guardavate... m'sieur...

Vi piacciono le vecchie?».

«Non tutte sono belle come voi, madame...».

Tirai in secco la barchetta e l'aiutai a scendere.

«È ora che ti sistemi, Annette.

Prendiamo una carrozza...».

«Ma m'sieur... non conosco nemmeno il vostro nome...».

«Abraham... Abraham Stoker...

Con una pelliccia addosso, nessuno ti chiederà l'età.
Ungerai la pelle con olio cosmetico: sarai una donna matura, ma ancora piacente.
Io farò crescere la barba e sembreremo un coppia normale, prenderemo in giro tutti...».
«Ma m'sieur... io non sono eterna come voi pensate...».
«Con me lo diventerai...».

Non mi feci più vivo con Alice.

Da allora sto bene con la mia donna, Annette Frazeur, l'Ancienne Déboutonnée; l'ho fatta pure lavorare; piace sempre; il suo camicione sbottonato fino allo stomaco e la pancia grassa, bella gonfia, da vecchia sorcona, sono trappole per topi; spendono tanti soldi per averla.

Non mi sono mai troppo preoccupato dei suoi anni, anche se adesso sono diventati veramente tanti, e comincio ad avere paura, perché è malandata e stanca.

Ma non sono sazio; e nemmeno lei.

Festeggiamo il nostro decennale con questo racconto e tiriamo avanti, senza smettere di lavorare, perché la vogliono in tanti.