Tex: Un puttanone molto ricercato
di Salvatore Conte (2024)
Ormai nessuno ci fa più caso, a parte le donne.
Mano Tagliente paga visita allo stalliere. Lui sa tutto di tutti...
Gli lancia subito mezzo dollaro d'anticipo.
Sa come sciogliere la lingua ai bianchi.
Anche se è cresciuto con loro, non si è scolorito abbastanza.
«Anna Frazer...?
Se
la incontri, rimarrai parecchio deluso, amico.
È cambiata molto...
Beve... si è ingrossata come una botte...».
«Magra non lo è mai stata», lo interrompe per un attimo Mano Tagliente.
«Pare sia anche malata...
È sempre pallida. Qualcuno dice che non le rimanga molto...
E anche la taglia non vale più niente.
Non vale la pena di schiantare un cavallo legandoci di traverso un peso del
genere.
Vuoi sapere come la chiamano... beh... quelli della tua razza?
Zinna Moscia...
Ah-ah... siete in gamba con i nomi, voi musi rossi!».
«Tu, invece, come ti chiami?».
«Io?
Jonathan Wilson; ma gli amici mi chiamano Joe».
«Sempre di fretta voi.
Avete tutti gli stessi nomi.
È sempre sbottonata?».
«Chi?».
«Zinna Moscia...».
«Certo, sempre sbottonata... ah-ah...».
«Anche se malandata, mi interessa ritrovarla».
«Nessun problema.
Ma stai attento, perché - oltre che sbottonata - sa
sempre sparare.
Vive in una topaia lungo la pista per Abilene.
La riconoscerai facilmente, perché
vi cresce vicino un grosso saguaro».
Mano Tagliente gli lancia l'altro mezzo dollaro e se ne va.
Sarà davvero così malridotta?
Non la vede da molte
lune.
E in effetti è molto cambiata.
Lo aspetta stravaccata sulla sedia a dondolo,
con il winchester puntato e la bottiglia del whisky sul tavolino.
«Sei qui per intascare la taglia?».
«I musi rossi non possono incassare taglie».
«Ma possono mettersi in società con un bianco».
«Appunto».
«Appunto, cosa? Hai dei complici?
Bada che ti faccio saltare il cervello...».
«Stai calma, Anna Frazer.
O dovrei chiamarti Zinna Moscia?».
«Sono belli tutti e due, decidi tu.
Sono gli altri che ci chiamano...
Ma se qualcuno sbaglia le parole... io gli faccio saltare il cervello...».
Mano Tagliente ha calcolato il rischio, sa che Anna è fiera della sua carne, che
è perversamente innamorata di sé e soddisfatta di passare da bocca a bocca...
«Fra poco sarà il 13 maggio».
«E allora?
A proposito... prenditi una sedia e serviti da bere.
Chi viene per uccidere, non corre certi rischi».
«Non sono qui per uccidere, ma per raccontare una storia...», e alza il
bicchierino verso la Frazer, facendosi sorprendere mentre infila gli occhi nel
camicione sbottonato fino allo stomaco.
La pistolera, in risposta, sporge la lingua dal labbro.
Comanda ancora lei.
«C'era una volta una banda di ladroni. Erano una dozzina. Fecero un colpo da 30.000 dollari. E lo fecero il 13 maggio...».
«Non sei bravo a raccontare storie».
«Lo so, racconto l'essenziale, i frati non mi hanno insegnato tutto».
«Continua».
«I ladroni decisero di far calmare le acque, prima di spartire il bottino...
Ma c'era un problema: a chi lasciarlo?
A chi se non a un uomo di legge, degno di fiducia e rispetto?
Fu dunque il Giudice della città a tenerlo in custodia.
I ladroni si diedero appuntamento al 13 maggio dell'anno successivo.
Al tramonto».
«La storia è bella... cough... è tua?», Zinna Moscia tossisce e sputacchia sangue.
«No. Me l'hanno raccontata».
«E chi?».
«Le puttane parlano...».
«Tu
vai a puttane?».
«Certo».
«Puttane rosse o bianche?».
«Non ci sono puttane rosse».
«Ah no?
E perché la racconti a me?».
«Mi serve un socio».
«Per fare cosa?».
«Per prendermi una parte del bottino».
«Sono troppi...».
«Lo so, ma quando si divide spesso succede qualcosa...
e poi un anno è lungo: qualcuno mancherà l'appuntamento...
Ma se anche fossero tutti e non succedesse niente, io prendere una parte di
tredici, Zinna
Moscia. Sono tanti dollari...».
«Tredici?».
«Il Giudice non lavora gratis».
«Io, allora,
a che servire...?».
«Ne seguiamo uno e lo prendiamo tra due fuochi.
Così è più facile e non corriamo rischi. Poi
dividiamo a metà».
«Ci riusciresti anche
da solo».
«Forse... ma correrei più rischi. Non sono ingordo».
«E va bene...
cough... mi sembra un lavoretto tranquillo».
«Se invece si sparano addosso, e rimangono in pochi, noi prendere tutto il
piatto...
Ce l'hai il fegato di finirli?».
«Cough...
certo...».
«E a te quanto rimane, Zinna
Moscia?».
«Mi
hanno detto che è lento, posso andarci avanti...».
«Quanto ti rimane?».
Lusingata dall'insistenza di Mano Tagliente, Zinna Moscia sporge ancora la lingua dal labbro.
«Non lo so... cago sangue e sputo sangue... ma tiro avanti... cough... penso di avere qualcosa nelle budella... come una pallottola che ti uccide piano-piano... una grossa pallottola...».
«Non sembri molto preoccupata; stanca di vivere?».
«Troppo sangue... troppi morti...
Qualcuno... di quelli che ho ammazzato... cough... mi chiama...», con gli occhi fissi nel vuoto.
«Quel qualcuno rimarrà deluso, Zinna Moscia...».
«Sì, lo so...», riprendendosi, «nessuno può fermarmi... nemmeno un tumore; in qualche modo me la caverò».
«Ben detto».
«Sto ancora in sella... cough... questo è ciò che conta... adesso...».
La Frazer cerca di defilarsi dal
suo destino, si illude di avere ancora tempo.
«Alla
fine, però, ti farai visitare da un medico... Zinna Moscia...
E intanto devi smettere di bere».
«Non mi fido dei segaossa».
«Allora ti farai vedere da uno stregone...».
«Cosa te ne frega a te... di quello che farà
Zinna Moscia...».
«Puoi
fare come ti pare, infatti.
Ma fino al 13 maggio... Mano Tagliente cavalca con la potente Anna Frazer...».
E alza il bicchierino, abbassando gli occhi sulle zinne mosce, dentro il camicione sbottonato, mentre lei fa altrettanto, sporgendo la lingua con occhi malati e fiato stretto, improvvisamente ansiosa di trovare una via di scampo.
Arrivano alla spicciolata, poco prima del tramonto.
Ma sono solo in quattro.
Otto banditi mancano all'appello.
Un anno è lungo e gli incerti del mestiere numerosi: il carcere e il cimitero ne inghiottono tanti.
Buon per i quattro che vedono triplicata la loro parte. Chi si fa fregare, non merita rispetto.
Sono ricevuti dall'anziana governante del Giudice, una messicana rugosa e d'aspetto sinistro, che si muove con vacillante passo senile, ma ancora gonfia di bella carne.
«La cena è servita, signori».
Il sole è tramontato, ormai è difficile che si aggiungano altri ospiti.
I banditi passano dalla veranda al soggiorno, elegantemente arredato.
La governante aveva preparato dodici posti, ma ha portato pane, formaggio e vino per quattro persone.
«Ehi, vecchia!».
«Dite a me, signore?».
«Perché, ti credi giovane? Ah-ah...
Però è vero: ti tieni bene, vecchia...
Ancora vedovo il Giudice? Ah-ah...
Assaggia!», Sancho non si fida.
La governante manda giù un pezzo di formaggio.
Il bandito si lecca la forchetta utilizzata dalla serva, fissandola in modo allusivo. Vecchia, ma ancora provocante.
«Bevi, adesso...
Brava...
Come ti chiami?».
«Esmeralda».
«Esmeralda...
Adesso, Esmeralda... ti metti a tavola con noi e ci fai compagnia...».
I banditi mangiano allegramente e attingono vino dal fiasco.
«Basta così, hombres...
Esmeralda... prendi una lanterna...».
I cinque escono dall'abitazione e si dirigono verso la cripta di famiglia del Giudice.
È ricavata da un anfratto roccioso: dopo una porta di ferro, numerosi scalini conducono a una grotta naturale, ove alcune bare di legno pregiato sono collocate su ripiani scavati nella roccia.
Sono state ripulite da poco: non ci sono ragnatele, né polvere.
«È questa! Me la ricordo come fosse ieri...».
La tirano giù e allentano le viti. Pesa un accidente.
Pesa come se fosse piena d'argento.
Si levano urla di giubilo dal fondo della grotta.
Ma in pochi istanti accade di tutto.
La lanterna si spegne, iniziano i malori, il cigolio stridulo di una porta.
Dal giubilo alla paura.
Qualche sparo di frustrazione; ma ormai è finita.
Un cenno di conferma con il capo e due mani che si stringono eccitate sulle grosse tette ancora burrose: è fatta, l'uomo della legge fa suo l'intero piatto.
«Mani in alto, signor Giudice...
E anche tu, messicana... buona... se vuoi invecchiare ancora...».
«Chi sei? Un ritardatario?
Dopo il tramonto non si riscuote più...».
«E a quelli là sotto è convenuto rispettare le regole?».
«Parli bene per essere un indiano.
Però non è colpa mia se non hanno retto il vino».
«Vino dei Borgia, scommetto...».
«Sì, d'annata, ma non così vecchio...».
«Allora, signor Giudice... poiché non sono ingordo, dividiamo il piatto a metà. Adesso si va giù insieme e si riporta su il malloppo...».
«E va bene, non mi lasci scelta... la cassa riapre...
Ma ne sai di cose, muso rosso...».
«Adesso non ci rimane che dividere, signor Giudice...».
«Fatica sprecata, hombres...
Mani in alto, pupazzo!
Prima di ammazzarti voglio sapere chi sei».
«Sono un indiano cresciuto tra i bianchi, mi chiamo Mano Tagliente, e ho saputo da una puttana ciò che stava accadendo...».
«Cabrones...
Bene, i conti tornano.
Il veleno a rilascio lento nel fiasco, l'uscita secondaria dalla grotta...
Ma sono i dettagli a tradire il traditore.
Giuda!
Due grosso dettagli... ah-ah...», il bandito mima le grosse tette della governante messicana. «Due bei pezzi per un posto così sperduto. E quando le cose non mi tornano, il mio cervello comincia a girare... a girare come il tamburo di una colt...
Ma il dettaglio decisivo è stato un altro...
Esmeralda Lopez... nata nel secolo scorso... ma non ancora deceduta...
Una targhetta su una bara.
La fedele governante del Giudice vedovo... esperta di veleni e di antidoti... vecchia, ma ancora dotata...
Con la sua fedeltà si deve guadagnare una tomba di lusso... anche perché di anni davanti ne sono rimasti pochi... e già da stasera, con una calibro 45 nello stomaco, la bella Esmeralda potrebbe unirsi alla sua bara di lusso... e la cassa da morto chiudersi sul lussuoso cadavere...».
Il bandito spiana la colt...
«NO!», urla disperata la messicana.
«Ci tieni alla pelle, eh, vecchia?
Meglio una vita di merda, che una bara di lusso...
Ne hai avuto di fegato, Esmeralda, per aver fatto quello che hai fatto...
Potrei aggiungerti al mio argento, sei un bel pezzo, anche se con me finiresti sepolta nella sabbia di un deserto...
Avanti! Spostati da lì...
E vieni qui».
L'indugio della messicana dura un attimo.
Per farsi vedere ancora meglio, si stira addosso la casacca rossa e passa dall'altra parte.
La fedeltà va bene, fino a quando non diventa eccessiva.
«In fondo la giustizia esiste: io sono l'unico dei presenti - quelli ancora vivi, si intende - ad aver rapinato questi dollari.
Questi dollari sono miei...
Ma ora dobbiamo emettere la sentenza, Esmeralda.
Tu che dici?
Li ammazzo... oppure li lasciamo in mutande?
Voglio sentirlo da te, Esmeralda...», il tono duro, grave. «Allora...?
Con i miei compañeros non ti sei fatta tanti scrupoli... vecchia ruffiana...
Erano dei cabrones, non avevano altre colpe».
«Ammazzali... oppure ci daranno la caccia...».
Ormai ha cambiato padrone.
«Però lasciarsi dietro un Giudice morto non è mai una buona idea...
L'indiano lo ammazzo di sicuro, però...».
«Su le zampe, Sancho... e attento a quello che fai...».
«Oh! Guarda chi si rivede! Un altro bel pezzo!». Il bandito si è voltato verso Anna, dopo aver mollato il ferro. «Ma quanti siamo questa sera?».
«Però una cosa giusta l'hai detta: sei l'unico che si è guadagnato questi soldi.
Un terzo per uno... in fondo anche tu ci guadagni... dovevate essere in dodici questa sera».
«E la ragazza?», Sancho allude ironico alla vecchia messicana.
«Decide lei con chi andare».
«Vado per conto mio, ma voglio la mia parte».
Ormai si è bruciata, deve stare attenta.
La Frazer incrocia lo sguardo di Mano Tagliente.
«Allora un quinto per uno: una parte a testa, e chiudiamo la mano.
Tu hai fatto la rapina, il Giudice ha fatto il banchiere onesto per un anno, lei ne ammazzati tre, io e il muso rosso... cough... abbiamo il gioco in mano e rileviamo le quote di chi si è fatto fregare...
Niente ripensamenti, niente vendette... cough... niente soffiate.
Se ci incontriamo, siamo pari».
Zinna Moscia rimane in attesa.
«Io ho qualcosa per te, bella donna...».
Non tutte le avvelenatrici vengono per nuocere.
L'accordo c'è. Si divide in cinque parti.
L'unico che rimane è Il Giudice.
Avrà da rimettere a posto la cripta di famiglia e da assumere una nuova governante. Meglio se in quest'ordine.
In fondo è quello che ci ha guadagnato di meno.
di Salvatore Conte (2023)
Le pallottole fioccano nella grande sala da pranzo del vecchio hotel abbandonato.
I troppi interessi in gioco hanno spento le ultime speranze di negoziare un accordo.
Le due bande hanno scelto i loro elementi migliori per "discutere" di affari.
Ma ormai gli argomenti si sono esauriti, insieme agli stessi "negoziatori".
Da una parte rimangono la famosa Anna Frentzen e Bill Jones, dall'altra lo spietato Zenon, l'Infallibile.
La donna, cinquantasettenne, è molto conosciuta nell'ambiente: esperta, ambiziosa, abile nel preservarsi, prestigiosa, è nota per i camicioni sbottonati con perizia artigianale e portati addosso con cura sacerdotale, nonostante l'età, il seno flaccido e un giro-pancia da vecchia signora; si stringe in vita una grossa cinta nera, per darsi forma, ricompattarsi e tenersi insieme in caso di pallottole nemiche.
La Frentzen fa gola ai collezionisti della città, che fanno a gara per procacciarsi le sue vecchie foto e i video di quand'era meno grassa e al culmine della sua bellezza.
Bill Jones è un anonimo comprimario della banda.
Zenon, un killer spietato e autorevole.
Si stanno sparando addosso protetti dai grossi tavoli in legno massello del vecchio hotel, rovesciati a 90 gradi.
Gli altri sono morti.
«Ahh...!», Zenon è stato colpito!
«L'ho beccato!», gioisce Bill.
Sul volto di Anna affiora un ghigno soddisfatto.
«Ora dovrai scendere a patti con me, bellimbusto...!», gli strilla contro la Frentzen.
La donna si alza in piedi, in tutta la sua possanza e tracotanza, e lo minaccia: «Vieni fuori, Zenon! Molla i ferri e ti prometto che troveremo un accordo!».
«Vecchia fallita!».
BANG
BANG
BANG
Zenon schizza fuori all'improvviso e spara!
Lui spara e a incassare è Anna!
Tre colpi la raggiungono, due in pancia (!) e uno sotto la spalla.
La donna reagisce, sparando a sua volta, ma l'Infallibile torna al riparo del robusto tavolo.
Jones ha assistito impotente.
Anche Anna torna al riparo, lasciandosi scivolare dietro al tavolo.
Il suo complice la raggiunge subito.
Respira in maniera affannosa, ha gli occhi allucinati: sembra che a prendere tre pallottole sia stato lui.
Il sorriso tranquillo e serafico di Anna ha fatto posto a un'espressione neutra, assorta: è un check, un'autodiagnosi urgente.
È stata colpita, però la vecchia Anna rimane invincibile.
Da un parte sente la morte, è rabbiosa.
Dall'altra è talmente sicura di sé che pensa di potersi salvare abbastanza
facilmente.
BANG
BANG
Anna fa esplodere la sua rabbia, vuole salvarsi, è una bestia ferita che vuole continuare a vivere.
Ma forse non ha capito che il countdown fatale è partito, benché una tipa arrogante come lei si rifiuti di crederlo.
Zenon le ha fatto esplodere le budella e
un'emorragia interna la sta uccidendo.
«Anna...
ti allento la cinta?»,
le chiede preoccupato Bill, pensando di farla respirare meglio.
«No... è questa che mi salva... mi tiene la pelle addosso...».
«Ho capito», risponde Jones.
«Quel maledetto Zenon ha sparato... ha sparato contro di me... è pazzo... devo sapere perché... devo capire... poi raggiungerò la clinica di un dottore... (COUGH...) che colleziona le mie foto...», Anna comincia a tossire e a sputare sangue.
«Zenon... mi senti...? Voglio sapere... (COUGH...) perché lo hai fatto... mi hai preso in pieno... (COUGH...) ho tre pallottole in corpo... bastardo...!».
«Risparmia il fiato, Anna! Ne avrai bisogno!
Da domani le tue foto varranno
dieci volte tanto..!».
«Bastardo...
Mentre io lo distraggo... tu prendilo alle spalle... (COUGH...) poi mi porterai in clinica...», Anna istruisce il complice.
La Frentzen è speranzosa di avere tempo
a sufficienza per farsi curare e conta sul
fatto che Zenon non infierirà su una donna del suo calibro.
«Zenon... se per me è tardi... (COUGH...) voglio che sia tu... a chiudermi... per sempre...
la camicetta...!
Se invece... posso ancora farcela... voglio... voglio che tu mi scorti in clinica...!
Poi faremo la
pace... (COUGH...) e mi vedrai ancora... con la camicetta sbottonata...! Ti piace... vero...?
Non sarai frocio... spero...!».
«Hai una brutta tosse, Anna!
Non vorrei che la cosa si facesse troppo rapida...!
Anna! Vengo a chiuderti la camicetta!».
«Non ci provare...!».
«Vecchia fallita... non fare cazzate... se vuoi
vivacchiare un altro po'!».
BANG
BANG
«Maledetta! Volevi fregarmi!».
Bill è entrato in azione, ma ha rimediato una palla in mezzo agli occhi e c'è rimasto secco.
Adesso Anna deve stare attenta. La Frentzen sa che Zenon non scherza.
Proverà a blandirlo con le sue zinne da sorca.
Anna le pensa tutte, pur di ottenere la salvezza e riportare la pelliccia a
casa.
È sicura che nessuno avrebbe il coraggio di finirla, o di negarle un'ambulanza.
La grossa cinta nera stretta alta in vita, la camicetta sbottonata con preciso
metodo, la lingua che sporge dal labbro: sono le armi segrete della Frentzen, quando le cose si mettono male.
«Io non c'entro...! È stata... (COUGH...) una sua idea...!».
Adesso è Zenon che deve decidere.
Se l'ammazza, il gioco finisce.
È tentato di saldarle il conto, con un bel colpo in mezzo alle tette; gli piacerebbe farlo, ma deve trattenersi, perché la prestigiosa Anna Frentzen è ferita a morte...
Zenon aggira la postazione di Anna e si appalesa alla donna, tenendola sotto tiro.
«Ferma! Non fare scherzi...».
«Zenon... hai vinto... (COUGH...) non sento più le braccia... ho finito di combattere... (COUGH...) mollo il ferro... non voglio rimanere uccisa...».
«Brava...».
Zenon si siede tranquillo
accanto a lei.
«Prima di ogni azione … cercavo di immaginare... (COUGH...) come sarebbe stato...
prendere del piombo in pancia...
Io... che lotto per salvarmi...
Mi faccio portare in ospedale...
Ma sento... di non avere tempo... (COUGH...) ho paura...
Decido allora... di portare con me... i miei complici...
Da dietro... sparo nella schiena a tutti e due...
La macchina sbanda... (COUGH...) e butta giù un muro...
Quando arriva la polizia... io sono l'unica ancora viva...
E riesco anche... (COUGH...) ad arrivare in ospedale...
Ma non ne ho per molto...
Ho tutti intorno a me... (COUGH...) mi guardano come se fossi già morta...
Mentre sto crepando come una stronza... (COUGH...) la mia camicetta va all'asta... io cerco aiuto... ma la testa mi cade di lato... (COUGH...) e rimango a fissare il pavimento...».
«Sei morta?».
«Non lo so... non voglio saperlo...
È stato un brutto sogno... (COUGH...) ma non mi sono sbagliata di molto...».
«Temo di no, Anna.
Ma capisco la tua rabbia...».
«Zenon... io ne ho visti morire tanti... e ho un brutto vizio... (COUGH...) io... mi gustavo la loro morte... a due di questi... ho sparato io... il colpo di grazia...
È stato
eccitante... come una droga... loro morti... io viva...
Oggi... però... (COUGH...) è toccato a me... ho il tuo marchio in pancia...».
«Ti fa molto male?».
«Bruciano da impazzire...».
«Ma tu hai una gran voglia di parlare, Anna. L'angoscia ti sta divorando.
È il tuo grande momento, e lo sai».
«Lo so... e mi fa paura...
Zenon... devi sapere... (COUGH...) che ci sono poliziotti... che dopo ogni sparatoria... si informano subito... se... (COUGH...) se anch'io... sono rimasta uccisa... o coinvolta... se sono ferita... se rischio la vita...».
«Sì, ho afferrato il concetto»,
replica brusco il killer.
«C'è chi... mi telefona di nascosto... per sapere come sto...
Stavolta... però...», mentre parla gli occhi guardano al cielo, sempre più inespressivi.
È ancora seduta contro lo spesso tavolo di legno, rovesciato a 90 gradi, dietro cui si è riparata durante la sparatoria.
«Anna...», sussurra Zenon, quasi
stupito di vederla alla deriva.
La Frentzen si lusinga subito, e manovra le tette, facendole sporgere dalla camicetta: sono un po'
flaccide, senza reggipetto cadono a penzoloni sul ventre gonfio, ma sono belle, ben fatte, e lei sembra ancora una super modella.
Anna è tesa allo spasimo.
La paura l'ha resa una maschera di sudore.
Zenon se la gusta.
«Queste tette non ti fanno ragionare... ti tolgono le
forze...», concedendole l'onore delle armi; e con la mano si infila dentro il camicione, sulle tette flaccide e sudaticce;
parte anche un bacio in bocca, dentro l'hotel
abbandonato nel bosco, che però non riesce a risvegliare la bella Frentzen dalla
morte che le sta gelando le membra.
«Anna... hai il fisico, hai l'esperienza, hai migliaia di tifosi che palpiteranno per te mentre muori, se riesci a raggiungere l'ospedale.
Sei quasi invincibile».
Gli occhi della Frentzen si accendono, la bocca si spalanca come a inghiottire
un boccone succulento: l'illusione della salvezza la fa impazzire.
E allora decide di confessare: «Sì... io voglio provarci... (COUGH...)», guardandolo negli occhi. «So di essere una stupida... ma voglio tentare... e tu... anche tu... (COUGH...) avrai paura... quando mi vedrai morire... sarai il primo... a cagarti addosso... (COUGH... COUGH...)».
«Capisco la tua rabbia, Anna.
Per te vivere è come una droga.
E non riesci a smettere...».
Sullo sfondo strillano le sirene.
«È ora di andare, Anna...».
Senza aggiungere altro, l'Infallibile si dilegua dal retro, lanciando un
ultimo sguardo alla sbottonata agonizzante:
la testa piegata sulla spalla e le zinne che palpitano.
Vigile attesa e adrenalina.
Impossibile operarla, dicono i medici.
Due colpi sono classificati come mortali.
Zenon non si trattiene: deve vederla morire con i suoi occhi.
Raggiungerà subito l'ospedale sotto falsa identità e avrà un dialogo silenzioso con lei, gli occhi al posto della bocca, mentre crepa.
«Non pensavo di rimanere uccisa dopo i tuoi tre colpi, ero convinta di salvarmi. Potevo chiederti di finirmi, ma non ne ho avuto il coraggio. Sono una vigliacca. Volevo coltivare la mia illusione».
«In realtà, non volevo ucciderti, Anna.
Ma è stata la tua arroganza a condannarti, il tuo camicione...
Quando ti ho visto così... sbottonata... prestigiosa... insolente... non sono riuscito a trattenermi, anche se avrei dovuto...
Potevo farti uno sconto, ma tu stessa ti sei ammazzata con i tuoi maledetti bottoni allentati e le tue tette da super modella...».
«E così finisco nella fossa, a cinquant'anni, per un paio di bottoni lenti...».
«Cinquantasette anni non sono pochi per chi fa il nostro mestiere, Anna...
Molte volte il tuo camicione ti ha protetto. Oggi no. Oggi ti è stato fatale.
Ma su una cosa avevi ragione: mi sto cagando addosso».
«Te l'avevo detto. Ma spero non si arrivi a tanto. Ho voglia di salvarmi. E di sbottonarmi ancora».
A ogni minimo cedimento della Frentzen, viene subito chiamata l'infermiera in servizio, per farla bucare con qualcosa di forte.
Anche se condannata, Anna non ha tanta fretta di crepare.
«Quello che mi fa paura... è il lenzuolo bianco in faccia...», sussurra a Zenon.
«Anna, sei stabile... al momento la situazione è sotto controllo, sei brava a gestirti...».
«Zenon... non voglio morire... ho troppa paura... voglio vivere...».
«Anna... non voglio illuderti... ma sei stabile... la fine non è imminente...».
«Io voglio salvarmi... non guadagnare tempo...».
«Anna, non sei messa bene, lo sai. Devi essere pronta a tutto».
«Anche a crepare...?».
«Il rischio c'è».
«Mi hai baciato... all'hotel...».
«Le tue zinne mi fanno impazzire...».
«Hai baciato me... però...».
«Sei una donna prestigiosa, Anna... e stavi per crepare».
«Io... io non voglio morire... le mie zinne devono vivere...».
Zenon sta cercando di farle capire che alla fine sarà un lenzuolo bianco fra tanti a coprirla, ma calato sopra un cadavere prestigioso.
Anna è in fin di vita, chi non regge la tensione comincia a sfollare, come in una partita dal finale scontato.
Zenon, però, rimane fino all'ultimo.
Perché ha lasciato il suo marchio nel corpo di Anna.
TEX: UN PUTTANONE MOLTO RICERCATO
di Sergio Bonelli, Fernando Fusco,
Salvatore Conte e Davide Giannicolo
(1976-2023)
(in blu: testo di Salvatore Conte)
(in azzurro: testo di Davide Giannicolo)
Tex sta dando una mano a un suo vecchio amico, tanto nostalgico dei tempi andati da mollare la pensione e tornare in sella con una stella di latta sul petto.
La prima rogna da grattare non è però uno scherzo.
Janet Frexi è una grossa puttana, una che fa sul serio e che vale 10.000 dollari di taglia!
Si dice che ad Amarillo, dopo anni da comprimaria, abbia fatto il salto di qualità, con una banda tutta sua.
C'è scappato il morto e l'hanno accollato a lei!
«Svegliati, donna», l'anziano sceriffo la becca in branda, presso il ranch dove al momento fa la vaccara, in attesa che le acque si calmino.
Tex aspetta di fuori e tiene buoni i cowboy: alcuni di loro sembrano avere un debole per la Frexi.
«Uh... chi diavolo siete?
Dannazione...», la donna si è accorta della stella.
«Lasciate stare la pistola, Janet Frexi! È troppo tardi, ormai!».
«Io mi chiamo Janet Wilson e...».
«Risparmiati la commedia, donna...
Come puoi vedere, sono abbastanza vecchio per non lasciarmi mettere nel sacco con argomenti tanto fiacchi!».
«Queste... veramente... non sono tanto fiacche...», la Frexi mette in risalto l'artiglieria pesante.
«Tieni a posto la chincaglieria, donna. Non te la caverai tanto facilmente».
«Ma non potete fare una cosa simile... non ho un solo amico in quel maledetto paese, e non ho alcuna possibilità di uscire indenne da un processo... anche se, come è vero Iddio, io sono innocente! Non ho ucciso nessuno, io, sceriffo!».
«Okay... okay... ma una come te di sicuro qualche amico ce l'ha laggiù, e anche qui, penso...».
«Voi non mi credete, non è vero? Eppure vi giuro che...».
«Lascia perdere, Janet... questo non è affar mio... ed è meglio quindi che ti togli dalla mente l'idea di annoiarmi con questo discorso per tutto il viaggio.
Sono stato chiaro?
Stessa cosa dicasi per le tue tette, che devono rimanere al loro posto e ben coperte».
«Sì... certo... ho capito...
Ho capito perfettamente. Ora prendo la mia roba e vi seguo».
BANG
La pistolera brucia sul tempo l'anziano sceriffo e si dà alla fuga, mentre un suo simpatizzante immobilizza Tex per qualche prezioso attimo!
Willer non ci mette molto a ritrovarla: Janet è una zoccolona che non passa certo inosservata.
Il sorriso allegro da puttana sempre scolpito in faccia, la carne morbida che le gonfia al punto giusto pantaloni e camicia, le zinne da vecchia bagascia, veri gioielli della casa; ma è anche veloce di mano e di bocca, con la colt e con il cazzo, è grintosa, è stagionata bene; per certi versi sottovalutata, Janet Frexi vale un mucchio di quattrini, e lo stesso ranger le ha messo gli occhi addosso, sin dall'avviso di taglia, ben disegnato, ma non certo pari all'originale.
Per la precisione, la ritrova alla posada di Diego Puerta, dove sta spennando qualche pollo.
«Janet... Janet Frexi... mi senti?
Non hai scampo, ormai, e non ti conviene peggiorare la tua situazione... arrenditi!».
Tex le urla addosso sulla soglia della camera numero 4, ma lei ha preso il volo un'altra volta!
È furba la Frexi, non è facile metterle il sale sulla coda.
Se ne sta accorgendo anche Tex Willer, che batte la pista verso il Messico, sperando finalmente di acciuffarla.
Con un ranger del suo calibro alle costole, uno sceriffo mezzo ammazzato da poco, e i vari precedenti, sono tanti i conti in sospeso per la grossa puttana.
Janet si tiene in tiro per la grande occasione: non è certo da tutte essere inseguite da Tex Willer in persona.
È ora che dimentichi la vecchia moglie indiana, e lei ha tutti i numeri dalla sua per riuscire nell'impresa.
D'altra parte gli indizi per il ranger non mancano di certo.
È difficile nasconderle e lei non ci prova nemmeno.
Ci vuole comunque una bella cavalcata per riuscire a riacciuffarla nel deserto, lungo la Pista degli Scheletri.
La grossa zoccola ha sfiancato lo stallone come è solita fare coi maschi della sua specie, stringendolo tra le cosce da mignotta.
Ma è rimasta a piedi e Tex le piomba addosso catapultandola nella
polvere; si rotolano per un po’ alzando una gran nube, ben presto però la lotta
diviene qualcos’altro, il membro del ranger si gonfia nei jeans consunti dalle
mille cavalcate, quando sente sbattere contro il suo petto le zinne pulsanti di
Janet.
«Adesso ti do una lezione, puttana assassina, con me non te la caverai come con
il vecchio sceriffo!».
Le molla un destro nel mento, e il cazzo gli si gonfia ancora di più perpetrando
simile sadica violenza, perché Tex fa quello che fa per
sadismo, e gli piace menare le mani mascherandosi da eroe; il suo mestiere gli
consente di uccidere e di scoparsi tutte le troie che vuole con la scusa di
ammanettarle e catturarle, compresa quella che ora striscia ai suoi piedi con la
bocca insanguinata: può farle tutto quello che vuole, tanto è lei la criminale.
Se la sarebbe ripassata per bene, a questo pensa
mentre si allenta il cinturone, liberando un bel cazzo dritto e pulsante.
«Succhiami il cazzo, troia!».
Le
mena un paio di sberle e senza troppi complimenti le riempie la bocca col suo
membro; il sangue lo insozza mentre servendosi di quel randello di carne la
schiaffeggia ridendo, facendolo rimbalzare su quella faccia sofferente.
Le eiacula sul volto, conservandosi per dopo - visto che avrebbero dovuto affrontare un lungo viaggio - i pezzi forti della casa, ovvero fregna, culo e zinne da mandriana; avrebbe allietato così i suoi bivacchi, prima di riscuotere la taglia e mettere una bella cravatta di corda a quella troia.
Il viaggio riprende.
Ma c'è un imprevisto sulla pista.
Un gruppo di indiani ha fatto secco un mercante di whisky.
E non devono essere lontani.
«Zoccola... sei capace di portare il cavallo sul crinale?».
«Certo, stronzone... hai con te la migliore su piazza...».
Janet rischia la sberla, ma il ranger si tiene: comincia a concederle qualcosa.
«Questo devo ancora verificarlo...», ma intanto le cede le redini, vuole metterla alla prova.
Willer abbandona il fondovalle per salire di quota e tenere d'occhio il paesaggio.
La precauzione non si rivela inutile, perché dall'altura viene avvistato un bivacco indiano.
Devono essere loro.
E per giunta sembrano Navajo!
Tex decide di dargli una bella strigliata.
«Tu non ti mettere in mezzo, stai zitta e rimani a guardare.
O ci rimetti la pelle...».
Vedere quel cadavere legato a una pianta rinsecchita nel
deserto, crivellato di frecce indiane, muove qualcosa di infausto nelle viscere
di Janet, è ovvio che quel Willer porta con sé solo guai e cadaveri, ma al
momento è nelle sue grinfie ed è costretta a fare buon viso a cattivo gioco, a
seguirlo tra gli
indiani che fanno bisboccia svuotando intere casse di whisky, sparando colpi a
vuoto nel cielo terso del deserto straziato dal sole.
Gli indiani, con sorpresa della donna, conoscono bene Tex, lo considerano un capo, chiamandolo col lusinghiero nome di Aquila della Notte.
Per questo Janet è ancora più sorpresa quando Tex molla il calcio del proprio
fucile sul muso dipinto di uno di quelli.
«Siete solo degli ubriaconi, uccidere un commerciante solo per sbronzarvi,
non capirete mai un cazzo della civiltà, ve ne state a spulciarvi in
questo deserto come dei luridi coyotes!».
Il più prestante e cattivo degli indiani, dal corpo possente segnato da svariate
cicatrici dovute a lame e pallottole, si fa avanti gettando via una delle
fiasche che ha appena svuotato, regge bene l’alcool, non sembra nemmeno brillo.
«Non puoi fare questo, cane bianco; non ho mai approvato tutte le stronzate che
dicono su di te, sei solo un razzista che pensa ai soldi e vuoi sporcarci con la
tua ideologia da cane addomesticato, ma hai detto bene, noi siamo coyotes e
adesso ci fotteremo in gruppo la tua vacca bianca!».
C’è un tripudio di ghigni lascivi, qualcuno già si è tolto il perizoma,
mostrando turgide palle pronte all’azione.
Tex si fa avanti, è abituato a trattarli come cani randagi da ammansire e
prendere a calci, così da tenerli nel recinto, ma questa volta non funziona.
Quello con le cicatrici schiva il colpo e accoltella il braccio del ranger, la
ferita è di striscio, ma basta a fargli abbassare la guardia, presto si ritrova
immobilizzato nella polvere con un pesante corpo sulla schiena, faccia a terra
tanto da soffocare.
«Ringrazia che non ci inculiamo anche te, Aquila della Notte!», sussurra una
voce piena di intenzioni all’orecchio di Willer, tanto vicina da bagnarne il
padiglione con saliva al sapore di whisky.
Tex non vede il resto, sente solo le urla della Frexi.
Niente di nuovo, cazzi indiani in ogni orifizio, bocca tappata da palle
pulsanti, zinne da puttana maneggiate con troppa violenza tanto da renderle
violacee, schiaffoni sulle natiche sobbalzanti tanto da lasciare i segni
vermigli delle dita callose abituate alla lancia e al tomahawk. Culo
rotto senza cerimonie né dilatazioni delicate, innumerevoli posizioni
stranamente fantasiose per dei coyotes, e infine tanta di quella sborra da
coprire non solo interamente il corpo seminudo ed esausto di Janet, ma da rendere
umida, simile a una pozza viscida, persino l’arida terra del deserto dove si è
consumato il violento coito.
Una volta finita la festa, gli indiani si divertono a prendere Tex a calci in
culo, lo rotolano nella polvere a suon di cazzottoni e zampate nelle palle, se
lo passano martoriandolo in un severo, inesorabile pestaggio, poi lo lasciano
crollare, tumefatto e insanguinato, accanto alla sua ganza imbrattata di sperma.
«Volevi maltrattarci, vero, Aquila della Notte?
Solo per esserci divertiti con quel bianco e aver bevuto la sua acqua di fuoco;
adesso hai capito che noi non abbiamo padroni, tantomeno un cane addomesticato
come te; nessun Navajo crederà mai più alle tue storielle!».
«Le abbiamo prese, puttana…», Tex aspetta che gli indiani si allontanino, prima
di rivolgersi alla donna.
«Sei uno stronzo… guarda come sono ridotta… ahh…», la donna è dolorante e perde
sangue da tutti gli orifizi.
«Non è che ci rimetti la pelle, vero? Ti hanno fatto a pezzi…».
«Sono una guerriera… sono indistruttibile… ahh… un’altra donna... ci sarebbe annegata… uhh… nello sperma di questi selvaggi…».
«Stai attenta, Janet… hai parecchie emorragie…».
«Sì… lo so… ahh… ma non voglio crepare… ohh… non rimarrò uccisa… una come me... non si
lascia ammazzare… uhh…».
«Visto quello che hai subito, rimarrai un po’ con me, prima di salire sulla
forca…».
«Ti faccio una proposta migliore… Willer… ahh… mettiamoci insieme… faremo grandi
cose… uhh… con me vai sul sicuro… nessuno può fermarmi… ohh…».
«Vedi di non tirartela troppo, Janet: ne ho viste di donne crepare lungo la
mia strada…».
«Io non sono… come una di quelle… ahh… non mi faccio ammazzare…».
«Questo lo vediamo subito… mi hai fatto venire una gran voglia… di fotterti…
anche così… sfondata da mezza tribù…».
La Frexi deve subire l’ennesimo assalto.
Piove sul bagnato, nel deserto più arido del West.
«Sei una puttana, Janet…», Tex si dichiara soddisfatto, quando estrae la colt
fumante dalla fondina.
Più duro di così non gli era mai venuto.
Non aveva mai sparato sette colpi da un solo tamburo.
Il patto è suggellato.
Una mezza giornata di riposo, la notte, e i due si rimettono in piedi.
Stavolta sono costretti a camminare, perché gli indiani si sono fregati l'unico cavallo rimasto.
«Se vuoi rimanere con
me, dobbiamo dimostrare la tua innocenza.
Perché scommetto che tu mi dirai che sei innocente, non è vero, puttana?».
«Ascolta, stronzo… ne ho combinate parecchie e ne ho ammazzati di luridi
bastardi, ma questo non l’ho nemmeno toccato.
Ad Amarillo ero diventata scomoda e la tua giustizia del cazzo mi ha fatto
fuori!
Avevano ragione quegli indiani: il più pulito tra noi ha la rogna…».
«Ora basta con queste cazzate: ingoia la sborra e taci.
Parlerò con il giudice Maddox per mettere tutto a tacere e tu rimarrai con me: i
bivacchi nella prateria saranno meno noiosi, quel vecchio cammello di Carson mi
ha rotto i coglioni; gli dirò che sei un'agente della Pinkerton: ne hanno già
qualcuna nei loro ranghi, ci crederà subito.
D'altra parte, anche lui non scherzava ai suoi tempi. E pure adesso
sarebbe pronto a saltarti addosso: farebbe quasi più danni dell’intera tribù di coyotes.
Quando sarò stanco, vedrai di fare contento anche lui, altrimenti mi romperebbe
le palle fino in Alaska.
Ci stai o no?».
«Non mi fa paura niente, lo sai».
«Muy bien, mi dispiacerebbe scaricarti in qualche saloon.
Come vacca non sei tanto male.
Sempre che qualcuno non ti buchi la carcassa: intorno a me le pallottole
fischiano spesso».
«Non è detto che qualche volta non bussino al tuo cranio, Aquila di questa
fregna…».
La zoccola è svelta con la lingua, sia
col cazzo in bocca che senza.
«Adesso andiamo a trovare il giudice Maddox», Amarillo è in vista. «Gli farò togliere la tua bella faccia da questa fogna di posto; se vuole, avrà l'originale per un paio d'ore; altrimenti ci vorrà un esperto per riconoscere la sua, dopo che gli avrò parlato..».
«Fai sempre il gradasso, non è vero?
Con gli indiani, però, abbiamo preso una bella ripassata...».
«Quei bastardi mi hanno preso alla sprovvista, ma con Maddox andrà diversamente. È un figlio di cagna e lo tratterò come tale.
A partire da questo pomeriggio, sarai libera di scorrazzare per tutto il West senza che ti sparino addosso.
Ma ricordati che stai con me».
«È quello che voglio, Tex. Ricordalo anche tu».
Due tirapiedi di Maddox con l’aspetto
di becchini, baffoni e bombetta uguali da sembrar gemelli, li accolgono in
città come sapessero del loro arrivo; forse la loro fama li precede, già si dice
in giro che Willer voglia prender moglie.
Vengono condotti in una bella casa ben tenuta.
Maddox accoglie entrambi nel suo
studio: «Parliamoci chiaro, Willer: qui nessuno è innocente,
ce ne sono fin troppe di carogne in giro, libere di combinare guai; ma anche poveri
cristi che invece vengono impiccati ingiustamente; quindi accoglierò la tua
richiesta, ma parliamoci chiaro un'altra volta, figlio di puttana: nessuna mia
gentilezza è gratis, questa zoccola ha delle belle tette e io voglio fottermela
per bene, prima di lasciarla libera per la contea!».
Tex acconsente, non può fare altro, figuriamoci Janet, che già sta
massaggiando il cazzo al giudice, mentre il ranger si avvia verso la porta.
«Vai, Tex, fatti un giro, ci basterà una mezzoretta!», dice Maddox,
sghignazzando, mentre infila la lingua in bocca alla protetta di Tex Willer.
Il ranger si chiude la porta alle spalle,
indugia per qualche secondo, poi si mette a guardare dal buco della serratura. Maddox sta limonando Janet, scavandole nella bocca con la lingua dardeggiante
a una velocità disumana, mentre con le mani le strizza le zinne. Il ranger non sa resistere, sente scoppiarsi il cazzo nei pantaloni
aderenti, libera il suo arnese e comincia a menarselo come un forsennato, con la
faccia schiacciata nel buco della porta.
Sta per schizzare contro il mogano pregiato, ma qualcosa non va, il giudice
invece di estrarre il proprio arnese, tira fuori una derringer e
tenta di infilarla nella passera della Frexi, stesa sulla scrivania.
Lei si dimena, scatta maldestra con un colpo di reni e il colpo parte!
Bang!
Tex entra furibondo - col biro ancora dritto come un palo, una goccia di sborra
sulla punta pronta a rompere gli argini e strozzata sul finale, incazzato per la
sborrata soffocata e arrapato dalla situazione - e tira un
destro a Maddox dritto sulla mascella e gliela spezza con un crack che sembra
vetro frantumato.
«Adesso finisci il lavoro, adultera troia, fammi sborrare, sto esplodendo, ne ho
fin nel cervello, basta che me lo frizioni due-tre volte e ti allago le tette,
poi scappiamo da questa città del cazzo!».
Janet esegue, la sega è compiuta, le tette impiastricciate per bene dal seme
denso tenuto troppo tempo nei coglioni; poi - nonostante la calibro 22 della
derringer le abbia devastato l'utero e le budella, senza che lei se ne sia
ancora resa conto - Janet sorride a Tex, mentre ancora glielo
mena dolcemente, tutto appiccicato: «Era veramente piccola la pistola di quel
giudice impotente, vero, Tex? Altro che la tua! Senti che cannone fumante!».
I due
montano a cavallo e lasciano le baracche della città, sperando che Maddox
mantenga la parola.
Ma il giudice non ci pensa nemmeno: con la mascella frantumata, scrivendo bigliettini
pur di farsi capire, e pieno di laudano per calmare il dolore accecante, raduna
una Posse di figli di puttana e li lancia all’inseguimento di Tex e Janet.
Tra i vari cani sciolti spicca una grande zoccola attempata che ne ha viste
tante e vuole il cazzo di Tex sul comodino.
Si tratta di Laura Bolson, un'esperta cacciatrice di taglie sempre molto allentata, che arrotonda nei saloon facendo la puttana. Le è arrivato all'orecchio che Willer intenda accasarsi, perciò ha un duplice motivo per riempire di piombo la Frexi. Tex dev'essere suo!
In meno di due ore i fuggitivi vengono raggiunti dai professionisti ingaggiati da Maddox; infatti Janet comincia a risentire della calibro 22 che le è finita quasi in gola: perde sangue dalla bocca e Tex è molto preoccupato.
Ma i problemi sono solo all'inizio.
Un certo Cane Pazzo Charlie comincia a sparare fucilate galoppando come un demonio, beccando Janet dritta al centro della schiena!
La donna di Tex si china sul
collo del suo cavallo, e inerte, quasi incosciente, si lascia trasportare alla
cieca.
Tex afferra le redini della Frexi, facendole seguire la sua
direzione, ma le pallottole fischiano dietro di loro, inseguendoli inesorabilmente.
«Resisti, siamo in territorio indiano, adesso scoppia un casino!».
«Dannato idiota…», protesta la
Frexi, in un sussulto di rabbia. «Una pallottola nelle reni… cough... non è… come…
cough... prenderne… una... in fregna…».
«Non fare storie… avrai un dottore…».
«Me lo sbatto in fregna… cough... cough... il tuo dottore…».
La ferita brucia, il sangue sale in bocca, Janet si sente un piede nella fossa, anche una grossa
puttana come lei può fare poco in certi casi, il timone della barca va per conto
suo e a bordo dilaga il panico.
«Ho investito molto su di te, dannata puttana… tieniti il buco e tiriamo avanti…
voglio spremerti fino all’inverosimile, devi essere una vacca indistruttibile e
ricoprirmi d’oro! Devi incassare cazzi e piombo senza lamentarti!», chiarito il
concetto alla grossa cessa con cui si è messo insieme, Willer sprona il cavallo.
Ma proprio in quel momento, la vecchia troiona che vuole il pene di Tex,
spara in una chiappa del suo cavallo.
Ne consegue un capitombolo
colossale, i due destrieri si invischiano e cadono rovinosamente in una maestosa
nube di polvere.
I fuggitivi vengono subito raggiunti, sono per terra, inermi, patetici, che
cercano di riorganizzarsi dietro le carogne delle loro bestie. Una di queste si
rialza e li lascia ancora più scoperti.
I membri della Posse, armati fino ai denti, scendono da cavallo e se la ridono: sono pronti a fare fuoco.
Ma una freccia spuntata dal nulla trafigge da parte a parte il collo della vecchia zoccola, uno schizzo di sangue violento vomitato dall’aorta arriva fino a Tex!
Segue un'intera pioggia di frecce, mezza Posse è crivellata, i corpi sembrano enormi puntaspilli.
Poi urla invasate e selvagge, tomahawk che affondano nei crani. Qualcuno spara,
ma è inutile, gli indiani sono ben nascosti e compiono un massacro.
Mentre
piovono le frecce, Tex pensa bene di calarsi le braghe e con le chiappe al vento
scaldare il corpo di Janet, che annaspa disperata; vuole scoparsela così, con la bocca tinta di
sangue e pallida come un cadavere.
Glielo infila dentro e bacia con la lingua quella bocca che espettora sangue nella sua. Quando viene, capisce che Janet è quasi morta; nonostante ciò le dà ancora qualche colpo col cazzo impiastricciato di seme.
È staccato da lei da un calcio nel costato che gli frantuma due costole. Rotola nella sabbia con le chiappe nude e il pene al vento, impanandosi di polvere come una cotoletta. È una visione degradante e triste. Un'intera tribù lo attornia e comincia a prenderlo a calci nel pallido deretano scoperto. Pugni, bastonate, persino un paio di frecce nei glutei.
Tex striscia umiliato, mentre gli indiani ridono sguaiatamente, sollevando di peso il corpo di Janet.
Glielo mettono vicino, a portata di lingua.
«Tutti dare lei come quinto cane di tuo branco...
La cagna che tu usare per tuoi lavori sporchi...
Tu pensato bene, cane bianco: due zinne molto buone e grande voglia di fare zoccola.
Ma tu fatto prendere piombo a lei.
Tu sposare lei, mentre lei muore.
Stregone sposare voi subito.
Vediamo se lei usare...
Poi sposare.
Ma adesso... tu leccare!
Lecca la tua cagna, cane!
E sarete marito e moglie, per Manitù!
Ma se cagna morire... morire anche cane!
Uniti in vita... e in morte...!».
«Janet... primo: non fare pazzie, secondo: non farti ammazzare!», il Ranger si fa di colpo ansioso.
Ma la moglie di Tex non sembra godersi il giorno più bello.
I suoi occhi, anziché sul marito, sono puntati sul cielo lattiginoso di quel fottuto deserto...
«Avrai la stella dei Rangers... sarai il quinto pard...
Ma non fare come quella stronza della mia ex!».
«A me il vaiolo... mi fa una sega...
Giù la testa...».
Bang!
Bang!
E con i due colpi della derringer fa girare 500 volte gli speroni di Tex, destro e sinistro.
A Mingo gli casca il labbro per terra.
«Anche il piombo, Cristo!», mentre gli speroni ancora gli girano.
di Salvatore Conte (2024)
Il tenente Lou McHugh, detto McQ [Ø], è un detective della polizia
di Seattle piuttosto sbrigativo e manesco: per questo il suo capo Ed Kosterman
cerca di limitarne l'attività, considerato che i mezzi cui ricorre gli procurano
spesso grane con i superiori.
Un esperto impiegato di banca, Stan Boyle, viene ucciso per strada, in un
agguato organizzato.
McQ indaga, scavando nella vita del morto.
Ha quindi modo di interrogare la vedova, una bella signorotta di origini libanesi, con un simpatico volto da pacioccona.
Il vecchio Lou la consola fin troppo volentieri. McQ non ama far invecchiare le pallottole nel tamburo. Se non gli capita di spararle addosso a qualcuno, va al poligono e si sfoga.
Le interviste alla signora Layla Boyle non portano a nulla di utile per le indagini, allora McQ si mette a pedinare il boss locale della droga, un'ex pornostar che si è rifatta una vita nel campo dei narcotici: la bionda Kelly Madison...
Ha le mani in pasta ovunque ed è l'unica a disporre di un gruppo di fuoco organizzato. Lou medita di torchiarla il prima possibile, anche in locale pubblico se necessario, magari quando va alla toilette, con l'aggravante del fuoricampo; vuole riempirla di ceffoni, e smettere solo quando comincerà a parlare; non si farà certo impressionare dalla sua bella faccia da biondona...
[Ø] Dopo avere sbattuto la porta, McQ continua a indagare per suo conto, appoggiandosi all'Agenzia di un amico: ha voglia di dare notizie alla vedova libanese.
Per prima cosa, avendo restituito la pistola d'ordinanza, si procura un arsenale da guerra per avere sempre il ferro giusto per ogni intervento.
[Ø] Poi comincia a smuovere gli informatori, pagandoli di tasca propria.
Tra questi c'è una sua vecchia fiamma, una certa Myra, una cameriera non più giovanissima, ma ancora piuttosto in forma e piacente; informatrice, ma anche poligono di tiro alla bisogna.
Stavolta, però, Myra lo accoglie a pesci in faccia; le voci girano e la deriva libanese ha il suo prezzo, non ci sono più donne come Penelope che aspettano tranquille, preparando maglioni; Lou tenta di ingraziarsela offrendole della droga, provento del pestaggio di un piccolo spacciatore, ma senza successo.
Solo quando McQ elogia la sua avvenenza, Myra si ammorbidisce, imponendogli di passare la notte con lei; in cambio, il mattino seguente, promette di rivelargli quanto sa.
Lou si sacrifica per la causa e al mattino riceve una preziosa informazione, intorno alla quale si mette subito a lavorare.
La Madison ha fatto il nido nella stessa banca dove lavorava lo sfortunato impiegato, morto ammazzato per strada.
[Ø] In piena notte Lou viene a sapere che Myra è ricoverata in fin di vita all'ospedale. Raggiunta quasi a bruciapelo da tre colpi mortali, non si salverà, la sentenza dei medici è chiara.
È riuscita a chiamare aiuto, ma non le servirà a
molto. È stata sorpresa a casa sua, lei stessa ha aperto la porta all'assassino.
Imbufalito, McQ cerca di raggiungere in tempo l'ospedale, ma subisce anche lui
un micidiale attentato.
Schivata per un pelo la minaccia, Lou ci ripensa ed evita di passare per l'ospedale: sa che Myra - per la paura di morire - è ancora viva, ma non vuole né illuderla, né lusingarla, non gli va che gli crepi in faccia, ci proverebbe gusto.
McQ sa che la fatale notizia può raggiungerlo da un momento all'altro, ma
ha mandato soldi al medico di turno per farle dare ossigeno e plasma a volontà,
e intanto cerca di pensare ad altro, dandosi da fare alla sua maniera: Lou va dritto al punto come una pallottola,
ovvero si spara dalla biondona.
[Ø]
«Cos’è questa storia degli scritturali, bionda?».
«Perché dovrei spiegarlo a un vecchio bufalo come te?».
«Perché altrimenti ti ispeziono il cervello con una calibro 45 magnum».
«Sei sempre il solito, McQ. Fai il duro, ma non spareresti mai a una donna come
me.
Gli uomini come te sono finiti.
Prima mi sbattevo per racimolare qualche milione di dollari sporchi, che poi
dovevo anche ripulire.
Ma per fortuna quel genio del Governatore ha messo un tetto da 100 dollari sugli
acquisti in contante, con il risultato che i dollari sono praticamente spariti
dalla circolazione!
Sono più difficili da trovare dello zucchero di Colombia, Cristo!
Così il mio business è entrato in crisi, ai miei clienti piaceva pagare in
contanti, senza limiti.
Allora mi sono chiesta come facessero le grandi industrie ad acquistare le
materie prime».
«Sei veramente la classica bionda senza cervello, se pensavi che lo facessero con mazzetti di dollari...».
«Taci, vecchio bufalo.
Lo vuoi sapere come fanno?
Vanno in banca, l’impiegato scrive “$10.000.000” su un nuovo tipo di
video-calcolatore chiamato “Doors”... e infatti si aprono tutte le porte…
Niente valigette, vecchio bufalo, solo una buona scrittura di banca.
Tutto in regola, tutto perfettamente legale.
Ecco come si fanno i soldi…».
«E quell’impiegato... come c'è finito in mezzo?».
«Non aveva una buona scrittura, McQ».
«E Myra? Quella povera cameriera?».
«A chi vuoi darla a bere, McQ?
Una lurida bagascia drogata... ecco chi era la povera Myra...
Qualcuno le ha fatto una lavanda gastrica col piombo, perché era lercia, e parlava
troppo».
«Potevi finirla, almeno».
«Non so chi sia stato di preciso, ma penso sia più gustoso saperla in ospedale, con lo stomaco scoppiato e nessuno che si
prenda il rischio di operarla...
Potrebbe essere già morta, mentre ne parliamo».
«Non credo... ti avrebbero già informato: la sua fine è sulla bocca di tutti».
«La vecchia lenza tieni appesi tutti i pesciolini, ma quello grosso le è scappato per sempre...
Non è lì a compatirla, mentre crepa...».
«I finali scontati mi annoiano.
Mi eccita invece questa strana storia degli scritturali...».
«Non c'è molto da aggiungere, vecchio bufalo.
La tua pistola non conta più niente. Solo gli scritturali contano.
Ma ti regalo una soffiata, McQ: la tua pollastra, la libanese, non è quello stinco di santa che credi.
È una molto ingorda, ma più furba di Myra.
Pensaci...».
«Una pistola conta sempre, bionda.
Il piombo scritturale non l'hanno ancora inventato...
Ti conviene rigare dritto, fino a quando non mi sarà tutto chiaro».
«Beh, allora comincia dalla cicciotella del Libano... se la spremi per bene, come sai fare tu... vedrai quante cose ti racconterà...».
«Prima vado a dare un'occhiata a Myra, se non ti dispiace».
«Ti conviene cercarla all'obitorio, se vuoi guadagnare tempo...».
«Sgualdrina... se scopro che sei stata tu...».
«E perché dovrei sporcarmi le mani con quella bagascia?
Te l’ho detto, sono pulita, sono nel giro buono adesso; cederò presto i rami
d’azienda ormai secchi…».
«Se m’hai raccontato fregnacce, da bionda di capelli ti faccio diventare bruna di lividi…».
«Te l’ho detto, bestione: sei superato».
«Sì, può darsi, ma non mi preoccupo: ma per me la
velocità giusta è quella di una calibro 45 in uscita dalla canna».
La libanese gli piace da morire, McQ vuole sapere tutto.
Decide così di portarla a fare un giro.
[Ø]
Lungo la strada, però, c’è chi vuole liberarsi di entrambi.
McQ si ritrova inseguito da due auto sul bagnasciuga di Seattle: una zona
normalmente tranquilla in questa stagione, ma di certo non oggi.
«Allora, bella: vuoi dirmi chi sono questi scalmanati che vogliono farci la
pelle?».
Quando una pallottola manda in frantumi il lunotto, la libanese capisce che il
tempo è poco.
«Ascolta, Lou… tu mi piaci… per me vai benissimo… ma ho bisogno di soldi…»,
mentre parla si allenta il trench fino allo stomaco, sotto non ha niente. «Stan ha provato a spremere quella zoccola bionda, ero pronta
a rilevarle una quota e a mandare avanti la baracca al posto suo, ma lei c’ha scavalcato.
È arrivata ai piani alti della banca, è entrata nel giro degli scritturali».
«Dannazione… di che colore sono questi scritturali?».
«Nessuno: inodori e incolori…».
«A me piacciono le cose che puoi toccare… come le pallottole… i dollari… e
queste…», le palpeggia il seno come fosse roba sua, ormai.
«Sarò tua, Lou, ma prima dobbiamo sistemare questa faccenda.
Voglio entrare nel giro buono e tu mi coprirai le spalle, girando mazzette ai
tuoi superiori...
Prendere... o lasciare, Lou...».
La libanese gli mette una mano sopra quella che le strizza la tetta, pronta a portargliela via.
È avvertito: deve scegliere.
«Prendo... tutto quanto...», e rinsalda la presa.
«Su una cosa hai ragione, Lou: in certi casi bisogna essere tangibili…».
E gli soffia la mitraglietta priva di licenza, impugnandola con grande
disinvoltura.
Evidentemente in Libano ha fatto esperienza sul campo.
Del resto, la stazza per mantenerla salda non le manca di certo.
Quando un’auto li affianca, è lei che spara a raffica!
La cortesia è presto ricambiata.
Una raffica raggiunge e attraversa la portiera anteriore destra; quella di
Layla!
La libanese, girata sul fianco per sparare ancora, incassa diversi colpi e si
affloscia fuori dal finestrino come un panno steso dal balcone.
McQ si incazza a bestia e va in testacoda per arrivare subito alla resa dei
conti.
Lo scontro è ormai quasi ravvicinato.
[Ø]
Layla - sempre stesa dal finestrino - non dà segni di vita.
I sicari hanno ormai in pugno il vecchio bufalo.
Ma quando tutto sembra perduto, la libanese ha un sussulto, apre lo sportello di
peso e scivola fuori, sparando all’impazzata con la mitraglietta in dotazione,
come fosse un plotone sbarcato su un spiaggia filippina sotto il comando di John
Wayne; e risolve la situazione a favore di Lou.
Un giapponese, però, prima di crepare, le fa un altro buco in pancia.
Layla sussulta su sé stessa più volte,
e dopo aver sputato un grosso grumo di sangue, si lascia andare sul bagnasciuga, dove la risacca la raggiunge, e
così rimane, a fissare il cielo, piena di buchi.
McQ è subito su di lei.
«Meriti una medaglia, pupa.
Hai fottuto tutti, anche te stessa...».
«L...o...u…», mentre McQ guarda lontano, dall’altra parte dell’oceano, sente fare il
suo nome alla grossa troia spiaggiata.
Abbassa lo sguardo e lei è lì, che boccheggia e affonda nella sabbia scavata dalla
risacca.
Bagna e asciuga, Muore e ammazza.
«Uhh... uhhh...!», un lamento poco lontano.
Il mare bagna, il mare asciuga.
Layla muore, Layla ammazza.
di Salvatore Conte (2024)
Congo, data
imprecisata.
«Jack, c’è la donna delle pulizie».
«Falla entrare».
«Altro che pulizie, io quella me la farei».
«A chi lo dici…».
«Calma ragazzi, è solo una vecchia cessa, vi ha ridotto così male la giungla?
Forza, Bill, sta a te parlare».
«Io sono al verde... non posso avere un anticipo sulla prossima paga?».
«Lo sai che non si potrebbe fare…».
«Dave l’ha avuto, però…».
«Al diavolo, stare a guardia della cassa dovrà pure servire a qualcosa, no?
Ma quando hai perso tutto, te ne vai in branda, okay?».
È una giornata come tante altre nella miniera di litio. Almeno così sembra.
Perché questa prende
una piega diversa, da un certo momento in poi.
Un gruppo di ribelli attacca l’insediamento.
La compagnia ha tagliato il personale della sicurezza, ultimamente, e pochi
mercenari non possono tenere testa a quasi 50 miliziani bene armati.
Sbucano da tutte le parti, conoscono il territorio, sparano e uccidono.
Buona parte di loro sono stati licenziati nei mesi precedenti per scarso
rendimento. Aspettavano l’occasione propizia per vendicarsi. Ed è
arrivata oggi.
Jack e compagni hanno giocato il loro ultimo poker: la morte ha sempre l'ultima
mano.
La donna delle pulizie si è rannicchiata dietro la grossa cassaforte blindata,
ed è rimasta illesa.
Nell’insediamento si è scatenato l’inferno.
Anna Frezzante è una grossa cessa con poca fortuna. A 50 anni si è ridotta a
fare la donna delle pulizie, dopo che l’azienda del padre è fallita per debiti.
Abile nello sbottonarsi i camicioni, tuttavia non è mai riuscita a spremere l’uomo
giusto.
Oggi, però, la fortuna la risarcisce con gli interessi. Almeno così sembra.
Non solo è rimasta illesa, ma si accorge ben presto che la cassaforte è rimasta
socchiusa, dopo che il mercenario ha prelevato una piccolo somma in favore del
compagno.
La tentazione è forte, e d’altra parte, se anche non l’ammazzassero, se la
sbatterebbero a turno.
Anna mette tutto in una borsa, sono milioni di dollari, non solo le misere paghe
degli operai, ma anche gli incassi delle aste di materia prima che si tengono
sul posto.
Prende pure un paio di pistole ed esce dal retro; conosce bene l’uscita
secondaria, le donne delle pulizie hanno i loro indubbi vantaggi.
Ma fuori da lì i suoi vantaggi finiscono: è solo una grossa cessa nella giungla.
La fortuna, però, ha deciso di non abbandonarla, perché Anna riesce ad
allontanarsi dal compound, protetta dalla fitta vegetazione.
Dietro di lei gli spari si diradano, fino a lasciare spazio a sfrenate urla di
trionfo.
È stata intelligente a richiudere la cassaforte, perché i ribelli ci metteranno
parecchio ad aprirla e intanto saranno convinti di aver messo le mani sul
malloppo della compagnia.
La Frezzante ha preso i soldi e le pistole, ma non ha con sé un goccio d’acqua e
la sua corsa disperata le ha messo una sete del diavolo.
Le zinne pulsano sudate sotto il camicione allentato.
La donna si spreme le meningi e si rende conto di non essere lontana da un
piccolo villaggio indigeno, dove una volta conobbe un vecchio saggio, prodigo di
sguardi nei confronti della sua profonda scollatura.
Lo raggiunge e gli spiega tutto, non può pensare di passare inosservata.
Il vecchio la nasconderà nella sua barca da pesca e si allontaneranno subito.
La compagnia, incassato il duro colpo, fa arrivare sul posto decine di uomini:
la cassaforte è sparita, portava via dai ribelli.
Si scanneranno tra loro, mentre la grossa cessa cavalca il fiume in compagnia di
un vecchio.