Aniceto le aveva consegnato la lettera del figlio con cui la invitava a Baia per
le Feste a Minerva.
Agrippina sorrise.
Sapeva cosa l'aspettava.
D'altra parte, fuggire non sarebbe servito a niente.
Infatti non sarebbe passata inosservata in nessuna parte dell'Impero, e
nemmeno oltre.
A 44 anni non si sentiva finita.
Anche se il fisico
era ormai quello di una cessa, nel linguaggio tipico delle taverne, rimaneva un
importante groviglio di carne, e insieme a Messalina e Poppea formava agli occhi dei Romani il Triumvirato delle zoccole
imperiali.
D'altronde, la
pancia morbida di ciccia era un richiamo irresistibile per qualunque gladio.
Chi avrebbe avuto, nel suo caso, tanto onore?
Senza
scorta né compagnia, Agrippina raggiunse
il Miseno.
Nerone era sessualmente pazzo di lei. Non aspettava altro che
metterla a pecorina e incularla, stringendole i fianchi burrosi.
Adorava quelle zinne e la spalla scoperta da amazzone, grassa e tondeggiante.
Il Principe considerava la madre un'opera suprema degli Dei.
Agrippina si faceva fare di tutto, pur di ammansirlo.
Chiese pure un bocchino e lei pronta se lo prese in bocca.
Poi il figlio passò ad altri giochi. Gli piaceva infilarle
dentro qualsiasi cosa, sia in fregna che in culo, anche cose pericolose...
preludio di tragiche decisioni...
Dopo il banchetto dedicato a Minerva, Nerone la fece accompagnare
via mare alla villa di
famiglia, presso il Lago Lucrino.
Un naufragio con il mare piatto: una
circostanza davvero insolita, ma per Nerone il teatro non doveva ispirarsi alla
realtà. Era creazione libera.
Per questo nella nave si aprì una falla anche se non
avvenne alcun urto.
Tuttavia l'imponente imbarcazione
affondava lentamente.
Ci fu il tempo di calare le scialuppe e
salvare tutti, più che altro dal freddo, visto che la costa era vicina.
«Augusta Signora, per dove dobbiamo remare?»,
chiese lo schiavo.
«Al Lucrino».
Agrippina aveva deciso di raggiungere comunque la
propria villa.
Nascondersi tra la plebe di Puteoli le sarebbe
giovato a poco: la sua presenza non poteva passare inosservata e qualcuno
l'avrebbe tradita.
Tanto valeva contare solo su sé stessa e sul proprio
fisico, e rimanere accanto al letto, dove avrebbe ricevuto i suoi assassini e
dove sarebbe sprofondata una volta colpita, con l'intento di tenersi a galla,
come in quel preciso momento.
Aveva già tutto in testa.
Da lì all'Averno il passaggio sarebbe stato breve.
Infatti il Lago Lucrino era connesso
tramite un canale artificiale all'Averno.
La figlia di Germanico raggiunse dunque la villa fatta costruire dal nonno Agrippa, il Generale che consegnò
l’Impero ad Ottaviano Augusto, l’ideatore della base navale di Capo Miseno e di
tante altre cose.
Nerone intanto si vantava presso Seneca e Burro di
avergli finalmente dimostrato di poter fare a meno della madre e di non esserne
succube.
Infatti Aniceto, preoccupato dell’ira del Principe, lo
aveva informato che la missione era stata eseguita: la madre era morta, sommersa dai flutti,
colata a picco con tutta la nave.
Ma dopo che la vox populi smentì il vile Ammiraglio del Miseno, Nerone rimase
con un palmo di naso, indeciso sul da farsi.
Pareva adesso che nessuno avesse ordito la morte di Agrippina.
Burro
disse che era pericoloso istigare i pretoriani contro gli stessi membri della
Casa imperiale, e che - se avesse completato lui l'opera, da solo - sarebbe stato un
pessimo esempio per loro.
Alla fine, fu scelto un gruppetto di
pretoriani liberi dal servizio, che avrebbero agito di loro iniziativa, per zelo
nei confronti dello Stato, prescrivendo il suicidio alla cospiratrice.
Agrippina intanto sapeva di dover morire.
Tuttavia, toccandosi le zinne grasse e il ventre molle, ritrovò
l'innata sicurezza.
L'Augusta era contenta di sé e si piaceva molto, anche adesso,
matura e ingrassata.
Ripensò alle sue scenate con Burro e Seneca: la odiavano, o facevano finta di
odiarla, ma piaceva anche a loro.
La toglievano di mezzo controvoglia, per aumentare la presa su Nerone. Non poteva, però, esserne troppo
compiaciuta. L'importante era aspettarli vicina al letto e pronta a tutto.
Se poi le avessero imposto il suicidio, aveva già in mente un
trucco.
Nel caso avessero colpito loro, fondamentale era
limitare i colpi, crollando subito sul letto.
Conosceva un sistema per compensare le emorragie.
In ogni caso, non sarebbe rimasta uccisa. Era troppo
importante per morire. Non sarebbe finita come una zoccola qualsiasi.
Agrippina si arrovellava la mente nelle sue stanze, ansiosa di sapere come
sarebbe finita.
Forse sarebbe stata colpita a morte con un affondo deciso, ma senza
l'intento di infierire, cosi da punirla duramente, ma al contempo lasciandole
aperto un piccolo spiraglio, nel caso ci fossero dei ripensamenti.
Colpita e lasciata dissanguare, nella
disperazione dei suoi sodali, lasciandole il tempo di vedere la morte in faccia.
Si immagina mentre trattiene a stento il sangue che le
sale in bocca e cerca di mantenere un contegno da Augusta, lucido e austero,
con la segreta speranza di non ricevere altri colpi.
Quando i sicari vanno via, si sente eccitata
per essere ancora viva, pur senza intravedere vie di scampo e con la
paura di essere finita.
Agrippina vedeva il suo futuro prossimo. Senza sbagliare. Mancavano solo i dettagli.
«Fai quello che devi fare, ma fallo bene.... senza esagerare...».
Agrippina si lasciò crollare sul letto, secondo il suo piano.
«Abbiamo ordine di non infierire.
Un solo colpo; nello
stomaco; due palmi di gladio; la longa manus del Principe e quella del popolo
romano», e mostra fino a dove arriva il
sangue, alzando la lama, a conferma della regolare esecuzione. «Questo è stato deciso da Burro e Seneca, che vogliono sapere
cosa farete».
«Ringraziali... e di' loro... che non voglio morire...
sfrutterò l'occasione...», a pancia in giù, con la faccia schiacciata sul
lenzuolo e la bocca deformata dall'agonia, sputando sangue a ogni parola. «Un attimo...!», prima
di vederlo andar via, Agrippina richiamò a sé il
pretoriano.
«Come ti chiami...».
«Valerio».
«Ora... che hai fatto... il tuo lavoro... dimmi... se ti piaccio...».
«Per me siete la migliore del Triumvirato, ma ho dovuto
farlo».
«Toccami le zinne... Valerio... anche se hai fatto... un buon
lavoro... Caronte mi tira per i piedi... due palmi sono tanti... mi hai
sfondato... ma sei un bel ragazzo... ti farò Prefetto...».
«Risparmiate il fiato, Augusta, ne avrete bisogno».
Detto questo, il pretoriano non ebbe bisogno di farselo ripetere: rovesciò
supina la donna e le strizzò le zinne, trattenendosi a stento dal lasciarsi
andare, quasi impazzito di fronte alla potente zoccola imperiale.
«Due palmi... il tuo... e quello... del popolo romano...».
Il contro-rituale di Agrippina.
«Fatevi tamponare, non perdete tempo.
Addio».
Appena i sicari uscirono, gli schiavi
e le ancelle si strinsero all'Augusta con ogni sorta di sussidio.
«Ho avuto... un solo colpo... mi lasciano... un po' di tempo...
e io... lo userò... per salvarmi... e schiacciarli...»,
disse ai suoi, sputando sangue. «Chiamate subito... Apollonio...».
Era
il sacerdote di Serapide nel tempio di Puteoli.
Pur abile con veleni, pozioni e artifici vari, era soprattutto rinomato
per la sua capacità di ottenere dal Dio sospensioni in punto di morte. Ciò che
occorreva all'Augusta per riorganizzarsi.
Nonostante la pronta reazione di Agrippina, intorno a lei c'era tanta disperazione.
Il gladio non perdonava, lo sapevano tutti. E nonostante
qualche piccolo privilegio, non le avevano lasciato scampo.
Era pazza a non accorgersene?
La fiducia in sé stessa di Agrippina sfiorava l'arroganza.
Ma il gladio piegò in fretta anche una come lei.
Sprazzi di lucidità, alternati alla perdita dei sensi, precedevano
ormai la morte.
Apollonio era giunto al suo capezzale e si stava dando da
fare, ma senza grandi risultati, a parte gli auspici di sospensione.
Ogni tanto Agrippina si risvegliava, tra un rantolo gutturale e l'altro.
Tutti speravano che la storia andasse avanti a lungo, lei per prima, che li
incitava a sperare, dicendosi sicura di poter sfuggire alla morte.
«Il gladio l'ha uccisa, ma riesce a tirare avanti...».
«Sappiamo com'è fatta l'Augusta, vorrebbe lasciare tutti con un palmo di naso e
intanto ci lascia con il fiato sospeso».
Ma due palmi di gladio erano in grado di stroncare anche una come lei.
Ebbe un sussulto di pancia, una mano si levò dalla superficie del letto
per ricadere giù dopo pochi attimi...
Agrippina rimase con gli occhi fissi e attoniti, gli altri tutti a guardarla
sperando di intravedere uno spasmo, mentre la notizia schizzava impazzita...
con l'Augusta che sembrava morta... il gelo che calava sui presenti... e occhi
che fissavano occhi fissi... non poteva durare un altro po'?
Era bello vederla trionfare a ogni risveglio... quasi sicura di salvarsi...
Nessuno aveva il coraggio di dire che era morta. Si sperava
ancora, con il fiato sospeso.
Forse ci voleva qualcuno che - simbolicamente - le facesse
cadere un braccio dal letto, a penzoloni nel vuoto: una brutta immagine, ma
eloquente, che avrebbe risvegliato i presenti, i quali - altrimenti - sembravano
esserci rimasti secchi, insieme a lei...
«Agrippina...», è il mormorio che le venne rivolto; mani
le sfioravano lo stomaco, cercando di portare calore sulla ferita; altre dita le
scrutavano il volto, alla ricerca di una reazione ormai impossibile.
Eppure il braccio scattò! Afferrò, mortalmente disperato, il
polso dello schiavo! Agrippina si aggrappava!
«Erghh...», dopo aver vomitato un grumo di sangue, l'Augusta non fece uscire una parola, anche un alito più del
necessario poteva costarle la vita.
Perfino intorno a lei non ci furono commenti, come se un bisbiglio di troppo
potesse ucciderla.
Il fiato rimase sospeso: nessuno voleva far cambiare niente.
«Sembra sia tornata un’altra volta...», sussurrò uno schiavo, timidamente.
Rimaneva sempre la mano di qualcuno sulla ferita, a trasmettere calore e
compagnia.
Ora c’era la stessa incredulità di quando la si
vedeva morta.
«Agrippina vuole vivere… non respira nemmeno, per la paura di crepare…».
L’estasi era tale che qualcuno le sborrò accanto, sicuro di interpretare anche gli
umori degli altri. Apollonio raccoglieva e spalmava sul labbro: era liquido
vitale, utile a esaltarla e a compensare l'emorragia.
Respiri soffocati confermavano tutto, la grande zoccola imperiale annaspava nella palude stigia,
con l'acqua fino al collo…
Bocca spalancata e occhi al soffitto, non sembrava averne per molto: l’aspetto e
la sorte non erano cambiati, ma l’esaltazione di vederla viva era tanta intorno
a lei.
Per quanto appariva stecchita prima, adesso sembrava che stesse bene, quasi a posto.
«Il piano... va avanti...», ha ripreso anche a parlare. «Non
rimarrò uccisa... non basta... un colpo... per finirmi...».
Agrippina ci provava, anche se la sua fiducia appariva di sicuro
eccessiva ai presenti.
Quantomeno era chiaro che l'Augusta avesse la presunzione
di beffare il figlio,
dimostrandogli di saper reggere l'urto frontale di un gladio, cosa che a
lui non sarebbe mai riuscita, e che comunque avrebbe sperimentato presto...
Sono
viva,
ci provo.
Vi
ringrazio
per non aver
chiuso i giochi.
Noi tre...
il Triumvirato
più potente...
Vi
aspetto, ancora calda...
Anche se sarà buio,
io vi sentirò...
l'Augusta
Dettata la lettera, Agrippina si richiuse in sé stessa, con i
freni tirati al massimo, stretta nella sua feroce determinazione - se non di
salvarsi - almeno di tirare avanti il più possibile, anche con lo stomaco diviso
in due.
Guardava fisso in alto e sembrava non respirare.
Ma ormai tutti avevano capito il piano dell'Augusta.
Agrippina li provocava fino all'ultimo, anche in fin di vita.
Voleva evitare altro ferro, beffare il figlio, e ottenere la sua
fetta di potere: tutto questo se riusciva a tirare avanti e a prendere per il
pisello Seneca e Burro.
«Non possono resistermi... con le zinne... torno al potere.. e dirigo
tutto...», ma il sangue che sputacchiava in giro la smentiva subito.
Forse voleva soltanto che il figlio prendesse la cosa come uno di quei folli
giochi che lo divertivano tanto, di modo che non le inviasse contro altri
sicari.
La verità, tuttavia, era al momento tenuta nascosta al Principe.
Per Seneca e Burro, Agrippina aveva pagato abbastanza: stava a lei
giocarsela con il destino.
La lettera, peraltro, non mancò di suggestionarli: tremavano al pensiero che
fosse ancora viva e vagheggiasse giochi di potere, invitandoli ad abbracciare la
sua potenza.
Certo, sapevano che la sua sorte poteva cambiare nel giro di
un attimo, lei stessa lo diceva nella lettera: "Anche se sarà buio, io vi
sentirò...", in un passaggio di buon talento letterario; li invitava a scoparla,
anche se priva di sensi o morta...
Agrippina voleva la vita e il potere, le due cose erano
intrinsecamente legate. Cercava ancora - anche in limine mortis - di far pesare
l'arrogante perfezione che incarnava ed esibiva.
Seneca e Burro erano già a cazzo duro, e boccheggiavano come
la stessa Agrippina in quel momento, ma di certo per altra causa.
La sborra rese quasi illeggibile il papiro.
Avevano passato le ultime ore nel timore di ricevere la clamorosa notizia
dalle loro spie.
Erano stati gelati dalla notizia della morte; erano rimasti increduli; poi
era subentrato il timore che la smentita fosse infondata.
Chiedevano continui aggiornamenti, nella speranza che - nel
frattempo - Agrippina non si facesse sorprendere.
Quando perdeva i sensi, rimanevano attoniti, anche loro
tramortiti.
Se Agrippina riprendeva a parlare, Burro andava subito a farsi una sborrata, come se la vedesse
agonizzare davanti a sé.
Nella morte, l'immagine di Agrippina si gonfiava sempre di
più... e l'idea di beffarne il figlio si faceva sempre più allettante... tutto
dipendeva da quei due maledetti palmi di gladio affondati nella pancia
dell'Augusta...
Agrippina stava colando a picco... questa era l'amara verità che faceva gelare Seneca e Burro...
Potevano solo sperare che la sua voglia di tornare al tavolo
del potere le desse la spinta necessaria per sfuggire alla morte, anche se
continuavano ad arrivare notizie preoccupanti: Agrippina aveva le zinne sempre più sgonfie.
L'Augusta stava prendendo tempo, in questo era stata brava, ma per il resto Seneca
e Burro scuotevano la testa.
Come se non bastasse, Nerone voleva vedere il corpo della
madre.
Gli era stato raccontato da Seneca, forse con un eccesso di
vena letteraria, che la madre aveva accettato il suicidio come unica riparazione
del suo crimine e - preso un cuscino per non vedere da vicino l'arma - si era
fatta dare un pugio; quindi si era piegata sul ferro, ma senza la necessaria
forza; perciò una guardia l'aveva spinta da dietro, finché la punta del pugio
non le era spuntata dalla schiena, uccidendola.
«Mia madre è troppo grassa per essere trapassata da un pugio...
E poi il cuscino crea spessore: è evidente che intendeva
salvarsi attraverso questo stratagemma! Io la conosco!»; purtroppo per Seneca,
Nerone era un critico attento delle sceneggiature altrui, sebbene molto
indulgente verso le proprie.
Seneca dovette aggiungere che la violenta e reiterata spinta
da dietro della possente guardia, le aveva compresso l'addome, consentendo al
pugio di fuoriuscire dalla schiena, dopo aver completamente sezionato il
cuscino.
Messa così, funzionava un po' meglio.
Nerone apprezzò la storia e per il momento troncò il discorso;
ma, successivamente, volle sapere che ne era stato del corpo e quanto c'aveva
messo a morire... e quali erano state le sue ultime parole...
«Nessuna, è morta sul colpo, mio Principe. Il cadavere è stato
cremato subito, per evitare scandalose adulazioni»; Burro aveva raccolto tutto
il suo coraggio e aveva dato una mano a Seneca: quando c'è poco da dire, è
meglio che a parlare sia il meno eloquente.
«Le zinne... nel momento di morire... non ha provato a usarle, quella zoccola?».
Dopo un rapido cenno d'intesa con Burro, era stato Seneca a
chiudere il discorso: «Infatti è morta come ha vissuto, cercando di suggestionare le
guardie. Ma il ferro se l'è preso tutto, fino in
fondo», con un velato doppio senso, che era sicuro avrebbe eccitato Nerone.
«Bravi...», un accenno d'applauso, come a teatro, e lo sguardo
che cambiava velocemente.
Il Principe si ritirava con i suoi liberti.
Forse, nella sua lucida follia, era quello che più di tutti
credeva nella madre e nella sua rara capacità di adattarsi a ogni situazione.
«Può anche darsi che io scriva un dramma per raccontare la sua
morte ai Romani...
Aggiungerò qualche dettaglio, spero non vi offenderete...
Ho già qualche parola in mente...
Vado avanti... finché Calliope non mi secca il labbro...».
Mentre moriva, rimpiangeva che il Sommo Figlio
non fosse lì a vederla, ansante per l'ultima volta.
Il trucco del cuscino non era riuscito. Ora
cosa avrebbe inventato?
Il ferro le era finito dietro la schiena,
benché non fosse certo magra.
Poiché nessuno aveva il permesso di
soccorrerla, non le rimaneva che provocare le guardie del Principe, mandando il grosso culo molto in fuori.
La paura era tanta, d'altronde lei stessa si
era suicidata, chi poteva incolpare?
Perciò accadde qualcosa di orribile, che colpì
molto i presenti (guardie, amanti, schiavi e squallidi
curiosi).
La nobile Agrippina si pisciò sotto, anzi - a
causa della sua anomala posizione e degli spasmi d'agonia che le avevano sollevato la
tunica sopra la grande porta - spruzzò di augusto piscio tutto intorno, generando
panico, ma anche libidine.
Poi fu la volta di un'imperiale cagata.
La paura di morire era troppa.
Gli schiavi guardarono supplici le guardie,
per capire se almeno questo potevano farlo.
Il disgusto sul volto dei valenti armati non
lasciava dubbi.
Gli schiavi ripulirono la merda e il culo di
Agrippina.
Se poi indugiassero troppo a lungo, questo
neppure a Calliope è dato sapere...
La madre del Sommo Figlio aveva la faccia
schiacciata sul letto, rivoltata da un lato, con gli occhi fissi a guardare Caronte pronto a
caricarla.
«Vi prego... solo un po' d'acqua...», un drammatico appello squarciò l'aria pesante d'attesa.
Una guardia annuì con un breve cenno del capo.
Agrippina bevve da una scodella, come la cagna
che era.
Poi, vistasi perduta, lanciò l'ultimo dado.
Mandando un rantolo, si rivoltò supina, esibendo il mortale pugio, immerso fino al manico nel
molle ventre.
Quindi fece cadere nel vuoto un braccio, mentre l'altro lo mandò sulla fregna, quasi a toccarsi.
Voleva mostrarsi il più possibile disperata e zoccola.
Sperava ancora che qualcuno la salvasse.
Con gli occhi fissi al soffitto e la bocca
spalancata, come quella di un pesce che - ingannato dalla
marea - finisce intrappolato su una spiaggia, biascicò queste parole, sputacchiando sangue
in giro: «Non voglio morire... cough... respingo il
suicidio... ahh... chiedo perdono al Principe... ohh... accetto
l'esilio.... hh-hhh...».
Agrippina boccheggiava.
C'era un clima di pesante attesa intorno a
lei.
Ma lei voleva salvarsi a tutti i costi, perché
riprendendosi il braccio caduto, si stirava addosso la tunica,
mettendo in rilievo le zinne e tutto il resto.
Agrippina si aspettava di essere soccorsa da
un momento all'altro.
«Tu... bel giovane... cough-cough...», parlare
le costava molto, «non vorrai... farmi morire... hhh-hh...», ancora un rantolo pericoloso, uno degli ultimi
avvertimenti.
La madre del Sommo Figlio, a sua volta Padre
di tutti i Romani, si era rivolta a una guardia, sperando di
trovare aiuto.
Ormai aveva ceduto al panico e si aggrappava a
tutto.
«Vieni... ho poco tempo... cough... corri dal
Principe... hh... e digli... che la madre... oh... vuole vivere...
Se si sbriga... hh-hhh... la troverà vi-hghh...», quest'ultima parola le si strozzò in gola.
Agrippina gemette, non riusciva più a parlare.
L'ultimo tentativo era andato a vuoto e aveva
tirato fuori ormai tutto.
Tutti erano con il fiato sospeso, mentre
cercavano di capire quanto le rimanesse.
Si chiedevano se la fine sarebbe giunta
rapida, oppure dopo un ulteriore aggravamento.
Ci fu un'esclamazione collettiva di stupore, quando entrambe le braccia, una dopo l'altra, caddero nel vuoto,
oltre la sagoma del letto.
Si era dunque giunti alla fine dello
spettacolo?
Pareva di sì.
Il sangue sgocciolava lento, dal centro
infossato del letto al pavimento.
Gli ultimi appelli di Agrippina erano caduti
nel vuoto.
Nessuno avrebbe mai fatto torto al Principe.
Solo lui avrebbe potuto salvare la madre.
Ma se pure una guardia, suggestionata da
quel viscido spettacolo, fosse corsa da lui per avvisarlo e
partecipargli le sofferenze della madre, ebbene... sarebbe stato troppo tardi!
La madre aveva esaurito i trucchi.
«Hh-hh... hh...», riusciva ancora a mandare
qualche rantolo, ma era alla deriva.
I presenti trattenevano il fiato. Era finita.
Non aveva trovato scampo.
Forse per non farsi vedere mentre moriva,
almeno non da tutti, Agrippina ebbe la forza di girarsi su un
fianco, l'occhio fisso sul nulla, l'altro nascosto tra le
pieghe del lenzuolo, la bocca orrendamente spalancata.
Prendeva forma uno stupendo cadavere, grasso, bono e scosciato.
Il gelo calò tra i presenti posti su quel
lato.
Gli altri, invece, pensavano fosse una
reazione che mostrasse forza.
Capirono dallo sguardo attonito dei primi che
la situazione era precipitata.
Tutti si accalcarono dallo stesso lato, per
guardare Agrippina nell'occhio rimasto fisso.
Nessuno aveva il coraggio di toccare il corpo.
C'era incredulità e panico.
Agrippina non reagiva.
Nessuno credeva che potesse salvarsi, ma lo spettacolo era stato altamente
drammatico e avrebbero voluto che proseguisse.
Di Agrippina nessuno era mai stanco.
Ma
il Sommo Figlio aveva avuto il coraggio di liberarsene.
«Padrona... Padrona...», la invocò uno
schiavo.
Una guardia intuì occorresse una prova.
Infilò la retropunta di un pilum nel culo di
Agrippina.
«Uuhmmm…».
Un gemito, il muggito della vacca imperiale, si liberò nell’aria.
La guardia ritirò l’arma.
L’esperimento aveva sortito i suoi effetti.
La zoccola imperiale, benché alla deriva, non era ancora affondata.
Agrippina aveva ritrovato un po’ di fiato e
riprese a sperare.
«Vieni… cough-cough…», chiamò la guardia con la mano lurida di sangue,
affinché si avvicinasse.
«Cough-cough… ho le budella… che mi stanno
uscendo fuori…
ti faccio un bocchino… cough… se mi fai
tamponare…».
Un nuovo orrore si faceva avanti.
Sotto la tunica, intorno alla ferita, si erano formati dei grossi rigonfiamenti.
Tutti, inorriditi, avevano capito di cosa si trattasse.
Il pugio li teneva insieme come una spilla per capelli, ma il problema sarebbe prima o poi scoppiato.
La guardia pretoriana approfittò dell’occasione e infilò il cazzo già duro nella bocca di
Agrippina, mentre con un cenno autorizzava gli schiavi a
portare soccorso.
Bende, spugne, sali: tutto arrivò in un attimo, già pronto, mentre anche lui
arrivava.
Agrippina mando giù tutta la sborra, perché era energia e vitalità.
Lui aveva il cazzo tutto sporco di sangue.
«Ascolta… bel giovane… cough…», gli parlava con un filo di voce.
«Io… sono vedova… ahh... tu chiederai… ohh… la
grazia… cough… per tua moglie… vivremo in esilio… cough… insieme… l'Augusta… sarà tua… hh-hhh…».
La guardia attese il responso del popolo.
«Evviva!», «Auguri!», «Bel colpo, la gran sorca è tua!», quest'ultimo venne da un suo
compagno.
E visto che, tra i curiosi presenti, c’era anche un Sacerdote di Iside, e i testimoni d'altronde non mancavano, la cosa fu presto fatta, anche perché di tempo
non ce n’era molto.
Lei lo sposò senza neppure conoscerne il nome, che comunque era Marco.
Giunta la risposta del Principe, che per sua munifica grazia concedeva alla
madre l’ultimo desiderio, Agrippina fu trasportata in lettiga fino al
porto, dove venne imbarcata per la Corsica, luogo d’esilio a vita, sebbene il termine
apparisse decisamente sarcastico.
Durante la navigazione, che in fondo
era anche un viaggio di nozze, sebbene il marito la rifornisse con regolarità
di sborra, la misera Agrippina fu quasi affondata da un
nuovo aggravamento, mentre le budella continuavano a uscirle
fuori, a causa della tosse convulsa e della tremenda ferita.
Con le viscere in mano non si va da nessuna parte, solo lei aveva avuto la
presunzione di farlo.
Ma lei non era stanca di vivere, nemmeno in quelle condizioni, e faceva progetti con il marito, per
lusingarlo e non farlo pentire, arrogante e insolente come sempre, verso
l'intelligenza altrui.
Per le zinne e il grosso culo di Agrippina, per una sorca morente, suggestionato dagli ultimi sussulti della
famosa Augusta, Marco si era rovinato per l'intera vita.
«Sono soddisfatto di te e di come stai
gestendo la situazione, moglie mia», pare che disse, per lusingarla a sua volta.
«In Corsica nessuno dovrà vederti in queste
condizioni, a parte i medici.
Non sarebbe dignitoso per te, Somma Augusta».
«Nessuno... deve vedermi... uhh... né
sapere...
Ma ho i freni tirati... cough... e questo... mi
fa stare tranquilla...
E anche tu... lo sei...
Sarò
curata... ohh... farò venire... cough... i migliori medici...
Nessuno... uhh... potrà fermarci...».
Poco lucida, Agrippina fantasticava - in toni
deliranti - di un'improbabile salvezza.
«Però se ci hanno lasciato andare, è perché ti
considerano spacciata, lo sai...».
Marco sapeva risponderle a tono.
«No...! No... sono troppo stupidi... ohh... il loro
è... cough... un errore di calcolo...».
Agrippina continuava ad alimentare - anche con
accessi di rabbia - le proprie illusioni, incapace di accettare il proprio destino, che
pure le mandava segnali precisi.
Marco, invece, stava rivelando la sua natura
perversa, divertendosi a mettere in discussione le
scellerate certezze della moglie, che anziché comprendere la misera fine che
l'attendeva, pensava ancora di beffare tutti e ritornare al tavolo del potere...
«Tu... ancora non mi conosci... Marco... cough...
io sono potente...», e gonfiava le zinne, pensando con quelle di
ottenere tutto.
«Adesso, però, Potentissima Augusta, stai
attenta a non farti sorprendere, non abbassare la guardia... il viaggio è
ancora lungo...», Marco ricambiò l'arroganza della moglie con una velata minaccia e un triste gioco di parole.
Non era l'ingenuo che Agrippina pensava.
«Dubiti... di me... Marco...?».
«No, io credo in te, Agrippina.
Ma un pugio ti è uscito dalla schiena... e
pezzi di budella dalla pancia...».
«Sì... è vero... ma il colpo... ahh... non mi
ha uccisa... cough... non è mortale... Io stessa... l'ho indirizzato... uhh... come
volevo... cough...
Ero allenata a questo... ahh... le budella...
torneranno al loro posto... cough...».
«Adesso, basta... non parlare più...
Parlare ti fa tossire, e la tosse ti spinge fuori le
budella...
Non devi aggravarti, o tirare i freni non
basterà più...».
E Marco ebbe ragione, per Bacco e Priapo!
Si dice infatti che l'Augusta fosse già
cadavere quando fu sbarcata in Corsica, anche se le tendine della lettiga erano tenute
chiuse, durante la marcia forzata verso la casa
dell’esilio.
Calliope ha taciuto se fu lei a lasciar vedova la guardia, o quest'ultima la
moglie.
Non sempre al Vate è dato dissipare la nebbia
delle Muse!
Se il fato è potente, il dubbio
lo è di più!
Comunque i suoi trucchi non le erano serviti a niente, se non a dare materia a questo spettacolo, in cui vengono sviscerate le ultime ore
miserabili di Agrippina Augusta - madre del Sommo Figlio, Padre di tutti i
Romani - affondata con le budella in mano, pisciando dalla pancia per tacer
d’altro!
Pare comunque certo che si possa presagire sin d'ora che lo spettacolo della grossa sorca, con la bocca spalancata, gli occhi fissi al cielo, le mani a trattenere disperate un ammasso di
budella schizzate fuori dalla pancia, la tosse che infierisce, e i gemiti gutturali
con cui invoca di essere salvata, ingoiando nel frattempo sperma che le cola via dalla pancia
aperta, pare certo che - dicevamo - non mancherà di spillare
sborra e curiosità anche alla posterità!
E tutto questo per un colpo di pugio mal
digerito dalla vecchia zoccola!
«Applausi scroscianti, passerella e sipario:
credo proprio - tempo una decade - che nessuno si ricorderà più di Ovidio!».
«La ferita non si rimargina. Agrippina soffre di continue
emorragie».
«Anche se ha lo
stomaco diviso in due, il potere sarà diviso in tre».
«Soffrire fa male... sfuggire alla
morte è difficile... ma annaspare nello Stige può allungare la vita....»,
raccontava agli intimi. «L'importante è tirare avanti».
Una filosofia spicciola, ma
efficace; e un leggero spasmo della pancia a tranquillizzare tutti.