Per un palmo di gladio

PER UN PALMO DI GLADIO

di Salvatore Conte (2024)

Aniceto le aveva consegnato la lettera del figlio con cui la invitava a Baia per le Feste a Minerva.

Agrippina sorrise.

Sapeva cosa l'aspettava.

D'altra parte, fuggire non sarebbe servito a niente.

Infatti non sarebbe passata inosservata in nessuna parte dell'Impero, e nemmeno oltre.

A 44 anni non si sentiva finita.

Anche se il fisico era ormai quello di una cessa, nel linguaggio tipico delle taverne, rimaneva un importante groviglio di carne, e insieme a Messalina e Poppea formava agli occhi dei Romani il Triumvirato delle zoccole imperiali.

D'altronde, la pancia morbida di ciccia era un richiamo irresistibile per qualunque gladio.

Chi avrebbe avuto, nel suo caso, tanto onore?

Senza scorta né compagnia, Agrippina raggiunse il Miseno.

Nerone era sessualmente pazzo di lei. Non aspettava altro che metterla a pecorina e incularla, stringendole i fianchi burrosi.

Adorava quelle zinne e la spalla scoperta da amazzone, grassa e tondeggiante.

Il Principe considerava la madre un'opera suprema degli Dei.

Agrippina si faceva fare di tutto, pur di ammansirlo.

Chiese pure un bocchino e lei pronta se lo prese in bocca.

Poi il figlio passò ad altri giochi. Gli piaceva infilarle dentro qualsiasi cosa, sia in fregna che in culo, anche cose pericolose... preludio di tragiche decisioni...

Dopo il banchetto dedicato a Minerva, Nerone la fece accompagnare via mare alla villa di famiglia, presso il Lago Lucrino.

Un naufragio con il mare piatto: una circostanza davvero insolita, ma per Nerone il teatro non doveva ispirarsi alla realtà. Era creazione libera.

Per questo nella nave si aprì una falla anche se non avvenne alcun urto.

Tuttavia l'imponente imbarcazione affondava lentamente.

Ci fu il tempo di calare le scialuppe e salvare tutti, più che altro dal freddo, visto che la costa era vicina.

«Augusta Signora, per dove dobbiamo remare?», chiese lo schiavo.
«Al Lucrino».

Agrippina aveva deciso di raggiungere comunque la propria villa.

Nascondersi tra la plebe di Puteoli le sarebbe giovato a poco: la sua presenza non poteva passare inosservata e qualcuno l'avrebbe tradita.

Tanto valeva contare solo su sé stessa e sul proprio fisico, e rimanere accanto al letto, dove avrebbe ricevuto i suoi assassini e dove sarebbe sprofondata una volta colpita, con l'intento di tenersi a galla, come in quel preciso momento.

Aveva già tutto in testa.

Da lì all'Averno il passaggio sarebbe stato breve.

Infatti il Lago Lucrino era connesso tramite un canale artificiale all'Averno.

La figlia di Germanico raggiunse dunque la villa fatta costruire dal nonno Agrippa, il Generale che consegnò l’Impero ad Ottaviano Augusto, l’ideatore della base navale di Capo Miseno e di tante altre cose.

Nerone intanto si vantava presso Seneca e Burro di avergli finalmente dimostrato di poter fare a meno della madre e di non esserne succube.

Infatti Aniceto, preoccupato dell’ira del Principe, lo aveva informato che la missione era stata eseguita: la madre era morta, sommersa dai flutti, colata a picco con tutta la nave.
Ma dopo che la vox populi smentì il vile Ammiraglio del Miseno, Nerone rimase con un palmo di naso, indeciso sul da farsi.

Pareva adesso che nessuno avesse ordito la morte di Agrippina.

Burro disse che era pericoloso istigare i pretoriani contro gli stessi membri della Casa imperiale, e che - se avesse completato lui l'opera, da solo - sarebbe stato un pessimo esempio per loro.

Alla fine, fu scelto un gruppetto di pretoriani liberi dal servizio, che avrebbero agito di loro iniziativa, per zelo nei confronti dello Stato, prescrivendo il suicidio alla cospiratrice.

Agrippina intanto sapeva di dover morire.

Tuttavia, toccandosi le zinne grasse e il ventre molle, ritrovò l'innata sicurezza.

L'Augusta era contenta di sé e si piaceva molto, anche adesso, matura e ingrassata.

Ripensò alle sue scenate con Burro e Seneca: la odiavano, o facevano finta di odiarla, ma piaceva anche a loro.

La toglievano di mezzo controvoglia, per aumentare la presa su Nerone. Non poteva, però, esserne troppo compiaciuta. L'importante era aspettarli vicina al letto e pronta a tutto.

Se poi le avessero imposto il suicidio, aveva già in mente un trucco.

Nel caso avessero colpito loro, fondamentale era limitare i colpi, crollando subito sul letto.

Conosceva un sistema per compensare le emorragie.

In ogni caso, non sarebbe rimasta uccisa. Era troppo importante per morire. Non sarebbe finita come una zoccola qualsiasi.

Agrippina si arrovellava la mente nelle sue stanze, ansiosa di sapere come sarebbe finita.

Forse sarebbe stata colpita a morte con un affondo deciso, ma senza l'intento di infierire, cosi da punirla duramente, ma al contempo lasciandole aperto un piccolo spiraglio, nel caso ci fossero dei ripensamenti.

Colpita e lasciata dissanguare, nella disperazione dei suoi sodali, lasciandole il tempo di vedere la morte in faccia.

Si immagina mentre trattiene a stento il sangue che le sale in bocca e cerca di mantenere un contegno da Augusta, lucido e austero, con la segreta speranza di non ricevere altri colpi.

Quando i sicari vanno via, si sente eccitata per essere ancora viva, pur senza intravedere vie di scampo e con la paura di essere finita.

Agrippina vedeva il suo futuro prossimo. Senza sbagliare. Mancavano solo i dettagli.

«Fai quello che devi fare, ma fallo bene.... senza esagerare...».

Agrippina si lasciò crollare sul letto, secondo il suo piano.

«Abbiamo ordine di non infierire.

Un solo colpo; nello stomaco; due palmi di gladio; la longa manus del Principe e quella del popolo romano», e mostra fino a dove arriva il sangue, alzando la lama, a conferma della regolare esecuzione. «Questo è stato deciso da Burro e Seneca, che vogliono sapere cosa farete».

«Ringraziali... e di' loro... che non voglio morire... sfrutterò l'occasione...», a pancia in giù, con la faccia schiacciata sul lenzuolo e la bocca deformata dall'agonia, sputando sangue a ogni parola. «Un attimo...!», prima di vederlo andar via, Agrippina richiamò a sé il pretoriano.

«Come ti chiami...».

«Valerio».

«Ora... che hai fatto... il tuo lavoro... dimmi... se ti piaccio...».

«Per me siete la migliore del Triumvirato, ma ho dovuto farlo».

«Toccami le zinne... Valerio... anche se hai fatto... un buon lavoro... Caronte mi tira per i piedi... due palmi sono tanti... mi hai sfondato... ma sei un bel ragazzo... ti farò Prefetto...».

«Risparmiate il fiato, Augusta, ne avrete bisogno».

Detto questo, il pretoriano non ebbe bisogno di farselo ripetere: rovesciò supina la donna e le strizzò le zinne, trattenendosi a stento dal lasciarsi andare, quasi impazzito di fronte alla potente zoccola imperiale.

«Due palmi... il tuo... e quello... del popolo romano...».

Il contro-rituale di Agrippina.

«Fatevi tamponare, non perdete tempo.

Addio».

Appena i sicari uscirono, gli schiavi e le ancelle si strinsero all'Augusta con ogni sorta di sussidio.

«Ho avuto... un solo colpo... mi lasciano... un po' di tempo... e io... lo userò... per salvarmi... e schiacciarli...», disse ai suoi, sputando sangue. «Chiamate subito... Apollonio...».

Era il sacerdote di Serapide nel tempio di Puteoli.

Pur abile con veleni, pozioni e artifici vari, era soprattutto rinomato per la sua capacità di ottenere dal Dio sospensioni in punto di morte. Ciò che occorreva all'Augusta per riorganizzarsi.

Nonostante la pronta reazione di Agrippina, intorno a lei c'era tanta disperazione.

Il gladio non perdonava, lo sapevano tutti. E nonostante qualche piccolo privilegio, non le avevano lasciato scampo.

Era pazza a non accorgersene?

La fiducia in sé stessa di Agrippina sfiorava l'arroganza.

Ma il gladio piegò in fretta anche una come lei.

Sprazzi di lucidità, alternati alla perdita dei sensi, precedevano ormai la morte.

Apollonio era giunto al suo capezzale e si stava dando da fare, ma senza grandi risultati, a parte gli auspici di sospensione.

Ogni tanto Agrippina si risvegliava, tra un rantolo gutturale e l'altro.

Tutti speravano che la storia andasse avanti a lungo, lei per prima, che li incitava a sperare, dicendosi sicura di poter sfuggire alla morte.

«Il gladio l'ha uccisa, ma riesce a tirare avanti...».
«Sappiamo com'è fatta l'Augusta, vorrebbe lasciare tutti con un palmo di naso e intanto ci lascia con il fiato sospeso».

Ma due palmi di gladio erano in grado di stroncare anche una come lei.

Ebbe un sussulto di pancia, una mano si levò dalla superficie del letto per ricadere giù dopo pochi attimi...

Agrippina rimase con gli occhi fissi e attoniti, gli altri tutti a guardarla sperando di intravedere uno spasmo, mentre la notizia schizzava impazzita... con l'Augusta che sembrava morta... il gelo che calava sui presenti... e occhi che fissavano occhi fissi... non poteva durare un altro po'?

Era bello vederla trionfare a ogni risveglio... quasi sicura di salvarsi...

Nessuno aveva il coraggio di dire che era morta. Si sperava ancora, con il fiato sospeso.

Forse ci voleva qualcuno che - simbolicamente - le facesse cadere un braccio dal letto, a penzoloni nel vuoto: una brutta immagine, ma eloquente, che avrebbe risvegliato i presenti, i quali - altrimenti - sembravano esserci rimasti secchi, insieme a lei...

«Agrippina...», è il mormorio che le venne rivolto; mani le sfioravano lo stomaco, cercando di portare calore sulla ferita; altre dita le scrutavano il volto, alla ricerca di una reazione ormai impossibile.

Eppure il braccio scattò! Afferrò, mortalmente disperato, il polso dello schiavo! Agrippina si aggrappava!

«Erghh...», dopo aver vomitato un grumo di sangue, l'Augusta non fece uscire una parola, anche un alito più del necessario poteva costarle la vita.
Perfino intorno a lei non ci furono commenti, come se un bisbiglio di troppo potesse ucciderla.
Il fiato rimase sospeso: nessuno voleva far cambiare niente.
«Sembra sia tornata un’altra volta...», sussurrò uno schiavo, timidamente.
Rimaneva sempre la mano di qualcuno sulla ferita, a trasmettere calore e compagnia.
Ora c’era la stessa incredulità di quando la si vedeva morta.
«Agrippina vuole vivere… non respira nemmeno, per la paura di crepare…».
L’estasi era tale che qualcuno le sborrò accanto, sicuro di interpretare anche gli umori degli altri. Apollonio raccoglieva e spalmava sul labbro: era liquido vitale, utile a esaltarla e a compensare l'emorragia.
Respiri soffocati confermavano tutto, la grande zoccola imperiale annaspava nella palude stigia, con l'acqua fino al collo…
Bocca spalancata e occhi al soffitto, non sembrava averne per molto: l’aspetto e la sorte non erano cambiati, ma l’esaltazione di vederla viva era tanta intorno a lei.
Per quanto appariva stecchita prima, adesso sembrava che stesse bene, quasi a posto.

«Il piano... va avanti...», ha ripreso anche a parlare. «Non rimarrò uccisa... non basta... un colpo... per finirmi...».

Agrippina ci provava, anche se la sua fiducia appariva di sicuro eccessiva ai presenti.

Quantomeno era chiaro che l'Augusta avesse la presunzione di beffare il figlio, dimostrandogli di saper reggere l'urto frontale di un gladio, cosa che a lui non sarebbe mai riuscita, e che comunque avrebbe sperimentato presto...

Sono viva,

ci provo.

Vi ringrazio

per non aver

chiuso i giochi.

Noi tre...

il Triumvirato

più potente...

Vi aspetto, ancora calda...

Anche se sarà buio,

io vi sentirò...

l'Augusta

Dettata la lettera, Agrippina si richiuse in sé stessa, con i freni tirati al massimo, stretta nella sua feroce determinazione - se non di salvarsi - almeno di tirare avanti il più possibile, anche con lo stomaco diviso in due.

Guardava fisso in alto e sembrava non respirare.

Ma ormai tutti avevano capito il piano dell'Augusta.

Agrippina li provocava fino all'ultimo, anche in fin di vita.

Voleva evitare altro ferro, beffare il figlio, e ottenere la sua fetta di potere: tutto questo se riusciva a tirare avanti e a prendere per il pisello Seneca e Burro.

«Non possono resistermi... con le zinne... torno al potere.. e dirigo tutto...», ma il sangue che sputacchiava in giro la smentiva subito.

Forse voleva soltanto che il figlio prendesse la cosa come uno di quei folli giochi che lo divertivano tanto, di modo che non le inviasse contro altri sicari.

La verità, tuttavia, era al momento tenuta nascosta al Principe.

Per Seneca e Burro, Agrippina aveva pagato abbastanza: stava a lei giocarsela con il destino.

La lettera, peraltro, non mancò di suggestionarli: tremavano al pensiero che fosse ancora viva e vagheggiasse giochi di potere, invitandoli ad abbracciare la sua potenza.

Certo, sapevano che la sua sorte poteva cambiare nel giro di un attimo, lei stessa lo diceva nella lettera: "Anche se sarà buio, io vi sentirò...", in un passaggio di buon talento letterario; li invitava a scoparla, anche se priva di sensi o morta...

Agrippina voleva la vita e il potere, le due cose erano intrinsecamente legate. Cercava ancora - anche in limine mortis - di far pesare l'arrogante perfezione che incarnava ed esibiva.

Seneca e Burro erano già a cazzo duro, e boccheggiavano come la stessa Agrippina in quel momento, ma di certo per altra causa.

La sborra rese quasi illeggibile il papiro.

Avevano passato le ultime ore nel timore di ricevere la clamorosa notizia dalle loro spie.

Erano stati gelati dalla notizia della morte; erano rimasti increduli; poi era subentrato il timore che la smentita fosse infondata.

Chiedevano continui aggiornamenti, nella speranza che - nel frattempo - Agrippina non si facesse sorprendere.

Quando perdeva i sensi, rimanevano attoniti, anche loro tramortiti.

Se Agrippina riprendeva a parlare, Burro andava subito a farsi una sborrata, come se la vedesse agonizzare davanti a sé.

Nella morte, l'immagine di Agrippina si gonfiava sempre di più... e l'idea di beffarne il figlio si faceva sempre più allettante... tutto dipendeva da quei due maledetti palmi di gladio affondati nella pancia dell'Augusta... Agrippina stava colando a picco... questa era l'amara verità che faceva gelare Seneca e Burro...

Potevano solo sperare che la sua voglia di tornare al tavolo del potere le desse la spinta necessaria per sfuggire alla morte, anche se continuavano ad arrivare notizie preoccupanti: Agrippina aveva le zinne sempre più sgonfie.

L'Augusta stava prendendo tempo, in questo era stata brava, ma per il resto Seneca e Burro scuotevano la testa.

Come se non bastasse, Nerone voleva vedere il corpo della madre.

Gli era stato raccontato da Seneca, forse con un eccesso di vena letteraria, che la madre aveva accettato il suicidio come unica riparazione del suo crimine e - preso un cuscino per non vedere da vicino l'arma - si era fatta dare un pugio; quindi si era piegata sul ferro, ma senza la necessaria forza; perciò una guardia l'aveva spinta da dietro, finché la punta del pugio non le era spuntata dalla schiena, uccidendola.

«Mia madre è troppo grassa per essere trapassata da un pugio...

E poi il cuscino crea spessore: è evidente che intendeva salvarsi attraverso questo stratagemma! Io la conosco!»; purtroppo per Seneca, Nerone era un critico attento delle sceneggiature altrui, sebbene molto indulgente verso le proprie.

Seneca dovette aggiungere che la violenta e reiterata spinta da dietro della possente guardia, le aveva compresso l'addome, consentendo al pugio di fuoriuscire dalla schiena, dopo aver completamente sezionato il cuscino.

Messa così, funzionava un po' meglio.

Nerone apprezzò la storia e per il momento troncò il discorso; ma, successivamente, volle sapere che ne era stato del corpo e quanto c'aveva messo a morire... e quali erano state le sue ultime parole...

«Nessuna, è morta sul colpo, mio Principe. Il cadavere è stato cremato subito, per evitare scandalose adulazioni»; Burro aveva raccolto tutto il suo coraggio e aveva dato una mano a Seneca: quando c'è poco da dire, è meglio che a parlare sia il meno eloquente.

«Le zinne... nel momento di morire... non ha provato a usarle, quella zoccola?».

Dopo un rapido cenno d'intesa con Burro, era stato Seneca a chiudere il discorso: «Infatti è morta come ha vissuto, cercando di suggestionare le guardie. Ma il ferro se l'è preso tutto, fino in fondo», con un velato doppio senso, che era sicuro avrebbe eccitato Nerone.

«Bravi...», un accenno d'applauso, come a teatro, e lo sguardo che cambiava velocemente.

Il Principe si ritirava con i suoi liberti.

Forse, nella sua lucida follia, era quello che più di tutti credeva nella madre e nella sua rara capacità di adattarsi a ogni situazione.

«Può anche darsi che io scriva un dramma per raccontare la sua morte ai Romani...

Aggiungerò qualche dettaglio, spero non vi offenderete...

Ho già qualche parola in mente...

Vado avanti... finché Calliope non mi secca il labbro...».

Mentre moriva, rimpiangeva che il Sommo Figlio non fosse lì a vederla, ansante per l'ultima volta.

Il trucco del cuscino non era riuscito. Ora cosa avrebbe inventato?

Il ferro le era finito dietro la schiena, benché non fosse certo magra.

Poiché nessuno aveva il permesso di soccorrerla, non le rimaneva che provocare le guardie del Principe, mandando il grosso culo molto in fuori.

La paura era tanta, d'altronde lei stessa si era suicidata, chi poteva incolpare?

Perciò accadde qualcosa di orribile, che colpì molto i presenti (guardie, amanti, schiavi e squallidi curiosi).

La nobile Agrippina si pisciò sotto, anzi - a causa della sua anomala posizione e degli spasmi d'agonia che le avevano sollevato la tunica sopra la grande porta - spruzzò di augusto piscio tutto intorno, generando panico, ma anche libidine.

Poi fu la volta di un'imperiale cagata.

La paura di morire era troppa.

Gli schiavi guardarono supplici le guardie, per capire se almeno questo potevano farlo.

Il disgusto sul volto dei valenti armati non lasciava dubbi.

Gli schiavi ripulirono la merda e il culo di Agrippina.

Se poi indugiassero troppo a lungo, questo neppure a Calliope è dato sapere...

La madre del Sommo Figlio aveva la faccia schiacciata sul letto, rivoltata da un lato, con gli occhi fissi a guardare Caronte pronto a caricarla.

«Vi prego... solo un po' d'acqua...», un drammatico appello squarciò l'aria pesante d'attesa.

Una guardia annuì con un breve cenno del capo.

Agrippina bevve da una scodella, come la cagna che era.

Poi, vistasi perduta, lanciò l'ultimo dado.

Mandando un rantolo, si rivoltò supina, esibendo il mortale pugio, immerso fino al manico nel molle ventre.

Quindi fece cadere nel vuoto un braccio, mentre l'altro lo mandò sulla fregna, quasi a toccarsi.

Voleva mostrarsi il più possibile disperata e zoccola.

Sperava ancora che qualcuno la salvasse.

Con gli occhi fissi al soffitto e la bocca spalancata, come quella di un pesce che - ingannato dalla marea - finisce intrappolato su una spiaggia, biascicò queste parole, sputacchiando sangue in giro: «Non voglio morire... cough... respingo il suicidio... ahh... chiedo perdono al Principe... ohh... accetto l'esilio.... hh-hhh...».

Agrippina boccheggiava.

C'era un clima di pesante attesa intorno a lei.

Ma lei voleva salvarsi a tutti i costi, perché riprendendosi il braccio caduto, si stirava addosso la tunica, mettendo in rilievo le zinne e tutto il resto.

Agrippina si aspettava di essere soccorsa da un momento all'altro.

«Tu... bel giovane... cough-cough...», parlare le costava molto, «non vorrai... farmi morire... hhh-hh...», ancora un rantolo pericoloso, uno degli ultimi avvertimenti.

La madre del Sommo Figlio, a sua volta Padre di tutti i Romani, si era rivolta a una guardia, sperando di trovare aiuto.

Ormai aveva ceduto al panico e si aggrappava a tutto.

«Vieni... ho poco tempo... cough... corri dal Principe... hh... e digli... che la madre... oh... vuole vivere...

Se si sbriga... hh-hhh... la troverà vi-hghh...», quest'ultima parola le si strozzò in gola.

Agrippina gemette, non riusciva più a parlare.

L'ultimo tentativo era andato a vuoto e aveva tirato fuori ormai tutto.

Tutti erano con il fiato sospeso, mentre cercavano di capire quanto le rimanesse.

Si chiedevano se la fine sarebbe giunta rapida, oppure dopo un ulteriore aggravamento.

Ci fu un'esclamazione collettiva di stupore, quando entrambe le braccia, una dopo l'altra, caddero nel vuoto, oltre la sagoma del letto.

Si era dunque giunti alla fine dello spettacolo?

Pareva di sì.

Il sangue sgocciolava lento, dal centro infossato del letto al pavimento.

Gli ultimi appelli di Agrippina erano caduti nel vuoto.

Nessuno avrebbe mai fatto torto al Principe.

Solo lui avrebbe potuto salvare la madre.

Ma se pure una guardia, suggestionata da quel viscido spettacolo, fosse corsa da lui per avvisarlo e partecipargli le sofferenze della madre, ebbene... sarebbe stato troppo tardi!

La madre aveva esaurito i trucchi.

«Hh-hh... hh...», riusciva ancora a mandare qualche rantolo, ma era alla deriva.

I presenti trattenevano il fiato. Era finita. Non aveva trovato scampo.

Forse per non farsi vedere mentre moriva, almeno non da tutti, Agrippina ebbe la forza di girarsi su un fianco, l'occhio fisso sul nulla, l'altro nascosto tra le pieghe del lenzuolo, la bocca orrendamente spalancata.

Prendeva forma uno stupendo cadavere, grasso, bono e scosciato.

Il gelo calò tra i presenti posti su quel lato.

Gli altri, invece, pensavano fosse una reazione che mostrasse forza.

Capirono dallo sguardo attonito dei primi che la situazione era precipitata.

Tutti si accalcarono dallo stesso lato, per guardare Agrippina nell'occhio rimasto fisso.

Nessuno aveva il coraggio di toccare il corpo.

C'era incredulità e panico.

Agrippina non reagiva.

Nessuno credeva che potesse salvarsi, ma lo spettacolo era stato altamente drammatico e avrebbero voluto che proseguisse.

Di Agrippina nessuno era mai stanco.

Ma il Sommo Figlio aveva avuto il coraggio di liberarsene.

«Padrona... Padrona...», la invocò uno schiavo.

Una guardia intuì occorresse una prova.

Infilò la retropunta di un pilum nel culo di Agrippina.
«Uuhmmm…».
Un gemito, il muggito della vacca imperiale, si liberò nell’aria.
La guardia ritirò l’arma.
L’esperimento aveva sortito i suoi effetti.
La zoccola imperiale, benché alla deriva, non era ancora affondata.

Agrippina aveva ritrovato un po’ di fiato e riprese a sperare.
«Vieni… cough-cough…», chiamò la guardia con la mano lurida di sangue, affinché si avvicinasse.

«Cough-cough… ho le budella… che mi stanno uscendo fuori…

ti faccio un bocchino… cough… se mi fai tamponare…».
Un nuovo orrore si faceva avanti.
Sotto la tunica, intorno alla ferita, si erano formati dei grossi rigonfiamenti.

Tutti, inorriditi, avevano capito di cosa si trattasse.

Il pugio li teneva insieme come una spilla per capelli, ma il problema sarebbe prima o poi scoppiato.
La guardia pretoriana approfittò dell’occasione e infilò il cazzo già duro nella bocca di Agrippina, mentre con un cenno autorizzava gli schiavi a portare soccorso.
Bende, spugne, sali: tutto arrivò in un attimo, già pronto, mentre anche lui arrivava.
Agrippina mando giù tutta la sborra, perché era energia e vitalità.
Lui aveva il cazzo tutto sporco di sangue.
«Ascolta… bel giovane… cough…», gli parlava con un filo di voce.

«Io… sono vedova… ahh... tu chiederai… ohh… la grazia… cough… per tua moglie… vivremo in esilio… cough… insieme… l'Augusta… sarà tua… hh-hhh…».
La guardia attese il responso del popolo.
«Evviva!», «Auguri!», «Bel colpo, la gran sorca è tua!», quest'ultimo venne da un suo compagno.
E visto che, tra i curiosi presenti, c’era anche un Sacerdote di Iside, e i testimoni d'altronde non mancavano, la cosa fu presto fatta, anche perché di tempo non ce n’era molto.
Lei lo sposò senza neppure conoscerne il nome, che comunque era Marco.
Giunta la risposta del Principe, che per sua munifica grazia concedeva alla madre l’ultimo desiderio, Agrippina fu trasportata in lettiga fino al porto, dove venne imbarcata per la Corsica, luogo d’esilio a vita, sebbene il termine apparisse decisamente sarcastico.

Durante la navigazione, che in fondo era anche un viaggio di nozze, sebbene il marito la rifornisse con regolarità di sborra, la misera Agrippina fu quasi affondata da un nuovo aggravamento, mentre le budella continuavano a uscirle fuori, a causa della tosse convulsa e della tremenda ferita.
Con le viscere in mano non si va da nessuna parte, solo lei aveva avuto la presunzione di farlo.
Ma lei non era stanca di vivere, nemmeno in quelle condizioni, e faceva progetti con il marito, per lusingarlo e non farlo pentire,
arrogante e insolente come sempre, verso l'intelligenza altrui.

Per le zinne e il grosso culo di Agrippina, per una sorca morente, suggestionato dagli ultimi sussulti della famosa Augusta, Marco si era rovinato per l'intera vita.

«Sono soddisfatto di te e di come stai gestendo la situazione, moglie mia», pare che disse, per lusingarla a sua volta.

«In Corsica nessuno dovrà vederti in queste condizioni, a parte i medici.

Non sarebbe dignitoso per te, Somma Augusta».

«Nessuno... deve vedermi... uhh... né sapere...

Ma ho i freni tirati... cough... e questo... mi fa stare tranquilla...

E anche tu... lo sei...

Sarò curata... ohh... farò venire... cough... i migliori medici...

Nessuno... uhh... potrà fermarci...».

Poco lucida,  Agrippina fantasticava - in toni deliranti - di un'improbabile salvezza.

«Però se ci hanno lasciato andare, è perché ti considerano spacciata, lo sai...».

Marco sapeva risponderle a tono.

«No...! No... sono troppo stupidi... ohh... il loro è... cough... un errore di calcolo...».

Agrippina continuava ad alimentare - anche con accessi di rabbia - le proprie illusioni, incapace di accettare il proprio destino, che pure le mandava segnali precisi.

Marco, invece, stava rivelando la sua natura perversa, divertendosi a mettere in discussione le scellerate certezze della moglie, che anziché comprendere la misera fine che l'attendeva, pensava ancora di beffare tutti e ritornare al tavolo del potere...

«Tu... ancora non mi conosci... Marco... cough... io sono potente...», e gonfiava le zinne, pensando con quelle di ottenere tutto.

«Adesso, però, Potentissima Augusta, stai attenta a non farti sorprendere, non abbassare la guardia... il viaggio è ancora lungo...», Marco ricambiò l'arroganza della moglie con una velata minaccia e un triste gioco di parole.

Non era l'ingenuo che Agrippina pensava.

«Dubiti... di me... Marco...?».

«No, io credo in te, Agrippina.

Ma un pugio ti è uscito dalla schiena... e pezzi di budella dalla pancia...».

«Sì... è vero... ma il colpo... ahh... non mi ha uccisa... cough... non è mortale... Io stessa... l'ho indirizzato... uhh... come volevo... cough...

Ero allenata a questo... ahh... le budella... torneranno al loro posto... cough...».

«Adesso, basta... non parlare più...

Parlare ti fa tossire, e la tosse ti spinge fuori le budella...

Non devi aggravarti, o tirare i freni non basterà più...».

E Marco ebbe ragione, per Bacco e Priapo!

Si dice infatti che l'Augusta fosse già cadavere quando fu sbarcata in Corsica, anche se le tendine della lettiga erano tenute chiuse, durante la marcia forzata verso la casa dell’esilio.
Calliope ha taciuto se fu lei a lasciar vedova la guardia, o quest'ultima la moglie.

Non sempre al Vate è dato dissipare la nebbia delle Muse!

Se il fato è potente, il dubbio lo è di più!
Comunque i suoi trucchi non le erano serviti a niente, se non a dare materia a questo spettacolo, in cui vengono sviscerate le ultime ore miserabili di Agrippina Augusta - madre del Sommo Figlio, Padre di tutti i Romani - affondata con le budella in mano, pisciando dalla pancia per tacer d’altro!
Pare comunque certo che si possa presagire sin d'ora che lo spettacolo della grossa sorca, con la bocca spalancata, gli occhi fissi al cielo, le mani a trattenere disperate un ammasso di budella schizzate fuori dalla pancia, la tosse che infierisce, e i gemiti gutturali con cui invoca di essere salvata, ingoiando nel frattempo sperma che le cola via dalla pancia aperta, pare certo che - dicevamo - non mancherà di spillare sborra e curiosità anche alla posterità!

E tutto questo per un colpo di pugio mal digerito dalla vecchia zoccola!

«Applausi scroscianti, passerella e sipario: credo proprio - tempo una decade - che nessuno si ricorderà più di Ovidio!».

«La ferita non si rimargina. Agrippina soffre di continue emorragie».

«Anche se ha lo stomaco diviso in due, il potere sarà diviso in tre».

«Soffrire fa male... sfuggire alla morte è difficile... ma annaspare nello Stige può allungare la vita....», raccontava agli intimi. «L'importante è tirare avanti».

Una filosofia spicciola, ma efficace; e un leggero spasmo della pancia a tranquillizzare tutti.