Caccia al coniglio nero

L'ultima cena

Il marchio di Zenon

Denti di Squalo contro Carne di Cessa

007: Licenza Licenziosa

Tex: Un puttanone molto ricercato

Oro e Zaffiri

Sbattuta di caccia

McQ

El Muerto e le sue Cesse

La donna delle pulizie

cACCIA AL CONIGLIO NERO

di Salvatore Conte (2019-2020)

Il coniglio nero... ho capito troppo tardi che aveva fatto la sua tana vicino alla mia casa per mettermi in guardia da tutto quello che poi mi sarebbe accaduto: come gli antichi traevano presagi dal volo degli uccelli, io dovevo riconoscere in lui il mio segno premonitore, il mio inequivocabile presagio.

Si è scavato una buca nel fosso che divide il mio vialetto dalla strada mortale: la chiamano così da anni perché ha ammazzato di tutto, dagli uomini agli animali, a chissà cos’altro.

A parte lui, il coniglio nero, che anzi sembra farsi beffe delle auto e dei pericoli, correndo apposta lungo il bordo della morte, sempre in veloce equilibrio.

Lo vedo quasi ogni mattina, come un morto resuscita da sotto terra e resta immobile davanti a me, fissandomi, con quegli orecchi lunghi che lo fanno assomigliare al Joker delle carte: un Joker nero, dal ghigno altrettanto demoniaco, che avrebbe, però, potuto essere la mia salvezza.

Se solo avessi saputo pescarlo dal mazzo.

Tutto ha avuto inizio alcuni giorni fa.

Percorrendo il vialetto di casa che come detto mi porta sulla strada mortale, dove ogni mattina aspetto l’autobus nella speranza che qualche carambola d’auto non coinvolga anche me, vedo il coniglio nero fermo sopra un oggetto che da lontano identifico come un pezzo di cartone o qualcosa di simile.

Resta immobile per qualche secondo e poi corre veloce verso la strada per scomparire nella sua buca evitando anche questa volta d’essere ucciso.

Sorrido davanti alla sua furbizia e pensando quanto lo sia più lui, furbo, rispetto a tutti i miei colleghi d’ufficio che sto per incontrare anche stamattina.

Passa il bus. È stato puntuale.

La scena si ripete dopo due giorni. Il solito coniglio nero che compie i soliti gesti: corre, si ferma sopra quella specie di cartone che è rimasto sempre nello stesso punto, mi fissa e poi ricomincia a correre per sparire nella sua buca. E salvarsi per l’ennesima volta.

A questo punto, incuriosito da quel cartone immobile al vento e alla pioggia, e da come faccia a essere ancora lì, esattamente nella stessa posizione, nonostante siano passati diversi giorni dalla prima volta che il coniglio me l’ha fatto notare, decido di andare a ispezionare per vedere meglio di cosa si tratti.

Mi avvicino e chinandomi vedo che non è un cartone ma un pezzo rettangolare di compensato, con una foto di donna appiccicata sopra che lo fa sembrare una specie di ritratto.

Un sasso messo sopra lo tiene fermo, e questo spiega perché possa trovarsi ancora lì.

La foto è in bianco e nero, e ritrae una donna mora con i capelli che le coprono un occhio, e lo sguardo enigmatico, quasi misterioso, anche a metà.

Una bella donna, indubbiamente. Le labbra che invitano a un bacio bollente.

La prendo e la infilo nella borsa e vado alla fermata del bus.

Passerà però con quarantacinque minuti di ritardo a causa di un incidente mortale avvenuto qualche chilometro prima lungo - sempre - questa strada maledetta.

Più tardi, in ufficio, un mio collega appassionato di numerologia e di smorfia, mi dirà che il numero quarantacinque è il numero associato al coniglio nero.

La notte sogno di conigli neri e demoniaci che si accoppiano con la donna della foto in orge infernali, attorniati da gruppi di figure diaboliche che ballano sabba e compiono rituali, mentre sopra una pietra sacrificale vedo me stesso.

Mi sveglio urlando solamente dopo avere avvertito il contatto così reale e freddo con la lama di pietra che stava per squarciarmi il petto.

Decido di non andare al lavoro, oggi in ufficio sopravvivranno anche senza di me: non sarà poi così difficile, essendo già morti da anni senza che lo sappiano.

Scendo in cucina e mi verso un caffè, scende nero nella tazza come a formare la sagoma del coniglio, e anche se è bollente lo bevo lo stesso alla svelta, per svegliarmi dalla nottata d’incubo e per fare sparire subito l’illusione del demoniaco animale.

Prendo la foto della donna e la metto sul tavolo: provo a guardarla ma mi accorgo che devo abbassare gli occhi, il suo sguardo di compensato, anche a metà, è più potente del mio.

Mi gira improvvisamente la testa tanto da buttare uno straccio sopra la foto e coprirla, prima di essere vittima di qualcosa che assomigli alla sindrome di Stendhal.

Accendo la televisione per distrarmi, per provare a scuotermi di dosso l’angoscia che mi inzuppa l’anima più di quanto abbia potuto fare il temporale con i miei vestiti.

Passo da un canale all’altro senza interessarmi a nulla, finché stanco di girovagare nell’etere mi fermo sul telegiornale della mattina.

Oggi incontro al Viminale per il punto sulla sicurezza.

Il coniglio nero, la donna della foto, le orge demoniache.

Scandalo delle tangenti: indagati cinque assessori.

I sabba, le danze, lo sguardo enigmatico, l'occhio ipnotico, le labbra che ti divorano.

Misteriosa scomparsa della moglie del console iraniano Assim Balthazar.

Alzo il volume.

La donna, Valentine Berkisha, si trovava in visita nella nostra città insieme al marito e risulta scomparsa dal tardo pomeriggio di ieri.

Alzo ancora il volume.

Il marito e la consorte dovevano presenziare alla cena con il sindaco, quando non vedendola scendere dalla camera d’albergo in cui alloggiavano, è stato lo stesso diplomatico a salire direttamente al piano trovando però la camera vuota. Avvertito il personale dell’Hotel, sono iniziate subito le ricerche all’interno dello stesso, ma senza risultato. Le forze dell’ordine sono state immediatamente allertate, dispiegandosi subito alla ricerca della scomparsa.

Questa è una sua recente foto.

Il cuore smette di battermi.

Chiunque l’avesse vista o la vedesse è pregato di telefonare al numero in sovraimpressione.

La morte a occhi aperti deve essere questa.

Tremo come in preda a convulsioni, mi alzo a fatica dal divano e raggiungo la vetrinetta dei liquori, pochi passi che mi sembrano chilometri camminati verso l’inferno.

Mi attacco al Jack Daniels e finisco il quarto di bottiglia rimasto come fosse acqua.

La donna appiccata al pezzo di compensato è la donna che ho appena visto al telegiornale.

Levo lo straccio dalla foto, magari ho preso un enorme abbaglio e non è lei, forse la stanchezza degli ultimi tempi mi sta giocando dei brutti scherzi, forse, forse, forse…

Invece è proprio lei, e anche la foto è maledettamente la stessa: come il taglio dei capelli, come gli occhi, come lo sguardo che adesso sembra diabolico. E le labbra che ti divorano.

Gli occhi... no, gli occhi non tornano. In tv sono due.

Sì, ci sono: due foto scattate a pochi istanti l'una dall'altra. O forse no. Forse una firma.

Ma non è questo il problema.

Provo a ragionare, a razionalizzare.

La foto attaccata al pezzo di compensato l’ho notata diversi giorni fa, mentre la moglie del console è scomparsa solamente ieri sera: la mia testa ormai è un turbinio di domande, un gorgo che risucchia dentro tutti i miei più oscuri pensieri.

Chi l’ha messa in fondo al mio vialetto? Per quale motivo? Chi sapeva che poi sarebbe scomparsa?

La situazione è assurda, indecifrabile, momentaneamente fuori dalla mia analitica comprensione.

Forse il coniglio nero… il presagio… prendo il telefono e compongo un numero.

Ho ancora diverse conoscenze nelle stanze che contano, anche quelle più segrete. Devo saperne di più su questa donna.

Chi sei, Valentine Berkisha? Riesco per un attimo a riguardarla in faccia.

«Pronto?

Pronto, Frank?».

Finché la voce al telefono risponde, distogliendomi dal suo incantesimo.

DUE GIORNI DOPO

Mi sveglio con un tremendo mal di testa e un senso di nausea quasi incontrollabile, apro gli occhi e cerco nell’oscurità l’appiglio di luce che filtra dalle mie tapparelle a qualunque ora, senza trovarlo: buio e soltanto buio è tutto quello che non vedo...

Ricordo solo questa Berkisha che mi sorride beffarda, con una pistola in mano... ma dev'essere un sogno, credo... anche se dannatamente bello...

Allungo la mano verso il comodino per ripiegare su una luce artificiale, ma non trovo nemmeno quella; dell’abat-jour nessuna traccia tattile, e anche il muro dietro la testata del letto sembra sparito: non mi trovo nella mia camera, questo è evidente.

Cerco di mantenermi calmo, mi alzo dal letto cominciando a ispezionare alla cieca l’ambiente e capisco subito che - a parte una sedia nella quale sbatto contro - il resto della stanza è spoglio, vuoto di ogni arredamento.

Aiutandomi con la parete arrivo fino alla porta, liscia, metallica e senza maniglia, e inizio a prenderla a pugni urlando: pochi secondi e da sotto lo stipite della porta vedo il chiarore di una luce.

«Aprite!», la porta sembra ubbidirmi aprendosi e scorrendo elettrica di lato, e il suo movimento fa accendere una luce anche nella stanza in cui mi trovo. «Frank…?».

«Ciao, Sal».

«Dove mi trovo…? Cosa ci faccio qui…? Ho un gran vuoto in testa…».

«Mi dispiace, forse Mike ha esagerato un po’ troppo…», si rivolge all’uomo che è dietro di lui. «Mettiti seduto, credo che tu abbia diritto a delle spiegazioni».

«Spiegazioni…? Mi sveglio in una stanza che non conosco e mi dici che ho diritto a delle spiegazioni?!».

«Siediti e ti spiego tutto», fa un cenno. «Falla entrare, così non ripeto due volte la stessa storia», l’uomo annuisce e la porta si apre di nuovo.

«Ma cosa…?», entra una donna che riconosco subito. «Ma lei è… Santo Iddio…».

«Valentine Berkisha», Frank non perde tempo per le presentazioni.

«Maledizione… ma è la donna scomparsa!», la fisso incredulo. «Quella della foto appiccicata sul compensato lasciato nel vialetto davanti la mia abitazione», le tempie mi pulsano sempre più forte. «Che diavolo sta succedendo?! Rispondimi, Frank, maledizione!», lo prendo per il bavero del cappotto tirandomelo a me.

«Stai buono, Sal», mi stringe con forza le mani rimettendomele al loro posto. «Ti spiego tutto, ma mettiti seduto». Con la testa indica il letto. «E calmati».

Ho sempre invidiato la sua freddezza, fin dai tempi delle prime missioni insieme.

«Certo, mi metto seduto, ma parla! Voglio delle spiegazioni, e subito!», al contrario di me.

Anche se stavolta sono giustificato dalla situazione.

«È una lunga storia, ma cercherò di sintetizzarla», si siede sull’altro lato del letto, mentre la donna resta in piedi, immobile nella sua enigmatica bellezza. «Quelli dei piani alti, come sai bene anche te, qualche anno fa hanno deciso che sia io che te eravamo diventati troppo scomodi per continuare a lavorare nell’intelligence, così il più giovane l’hanno messo dietro una scrivania a firmare e timbrare fogli di nessuna importanza, mentre il più vecchio hanno pensato bene di mandarlo in pensione: sbaglio, Sal?».

«Vai avanti, Frank, in fretta».

«Ma le loro pensioni non sono poi un granché, specialmente se hai rischiato la pelle per oltre vent’anni e se ti divorzi, perché io e Barbara ci siamo lasciati, lo sapevi, no? Così sono stato costretto a rimettermi sul mercato e aspettare l’offerta migliore». Si accende una sigaretta. «E dopo qualche mese è puntualmente arrivata. Fumi?».

«No».

«Bravo Sal, gente come noi rischia la vita già per conto suo, quindi perché anche fumare? Comunque l’offerta giusta è arrivata dal Mossad». Prende una boccata di fumo. «Pagano bene e puntualmente, e poi mi mancava tremendamente l’azione, Sal, non sono certo un tipo da pensione io. Così mi hanno dato subito degli incarichi, piccole cose, ma sufficienti per rimettere in sesto il conto in banca, finché il mese scorso sono stato contattato per qualcosa di più grosso, uno di quegli affari che quando lavoravamo insieme ci mettevamo addosso così tanta adrenalina da fare il pieno per un anno», fa una pausa per poi andare subito al sodo. «Conosci il caso Susha Jasim?».

«L’agente del Mossad catturata dai servizi?», non mi trova impreparato.

«Proprio lei: vedo che nonostante ti abbiano imbavagliato e messo in punizione dietro una scrivania sei sempre sul pezzo».

«Sulla mia scrivania c’è solo passato il suo fascicolo, tutto qui. Non mi occupo più di certe cose, lo sai bene».

«Comunque, a quel punto sai cosa hanno pensato i miei nuovi datori di lavoro? Che dovevo attivarmi per liberarla e consegnarla a loro, sembra sia un pesce grosso per restare chiusa in un acquario. Così ho pensato a un piano e sapendo come ragionano dall’altra parte, ho capito che per riavere Susha dovevo proporre uno scambio, mettere sulla scacchiera un’altra pedina di uguale se non maggiore peso».

«Scommetto che non ci hai messo troppo per individuarla quella pedina, vero?».

«Una settimana scarsa, forse sono davvero invecchiato».

«Chi sarebbe?», la storia comincia a incuriosirmi, forse sta risvegliando l’agente dei servizi segreti confinato dietro una scrivania.

«Sono io», mi guarda con lo stesso occhio che negli ultimi giorni mi ha ossessionato dalla fotografia, anzi con tutti e due. «Il mio nome lo sa già», si avvicina come si muovesse in frame, forse perché devo ancora metabolizzare che si è staccata dal rettangolo di compensato, e mi porge la mano bianca ed elegante, abbellita da anelli dal taglio mediorientale. La stringo senza riuscire a dirle nulla.

«Frank… cosa c’entro io in tutto questo?», in fondo a me interessa solo questo, e come possa essere finito in questa maledetta stanza senza finestre.

«Ricordi, Sal, di avermi telefonato? E che volevi incontrarmi per parlarmi di un fatto strano che ti era accaduto?».

«Sì… volevo parlarti della donna scomparsa», cerco di fare mente locale. «E del fatto che la sua foto era stata messa in fondo al mio vialetto già diversi giorni prima che la notizia venisse diffusa».

«Rispetto alle mie previsioni, mi hai chiamato prima del previsto: con l’età stai diventando impaziente».

«Quindi… il compensato con la foto… l’hai messo tu sul vialetto?».

«Non personalmente», si guarda attorno. «Non potevo rischiare di espormi direttamente. Ma l’idea è stata mia, quella sì».

«Che tu sia maledetto».

«Ricordi poi che la sera dopo ci siamo incontrati a casa tua?».

«Certo… abbiamo parlato della donna scomparsa, forse abbiamo bevuto qualche scotch…», fisso la parete spoglia. «Poi ho come un vuoto… non ricordo altro… non so cosa mi sia successo», mi passo nervosamente le mani fra i capelli, i pochi rimasti.

«Finisco io la storia, Sal», mi mette una mano sulla gamba. «Mi hai accompagnato sulla porta e lì il vecchio Mike ti ha narcotizzato, calcando un po’ la mano, visti i risultati».

«Figlio di puttana! Io ti…», faccio per andargli contro, ma il guardaspalle mi punta subito una pistola addosso senza neanche farmi finire la frase.

«Buono, Mike, non ce n’è bisogno, siamo vecchi amici noi», gli fa rimettere la pistola nella fondina, alzando il palmo della mano. «Diglielo anche tu, Sal».

«Come no, grandissimo bastardo, mi hai narcotizzato e rapito, perché questo è il reato, lo sai, vero?», lo guardo cattivo. «Per quale stramaledetto motivo poi? Forse perché sei un pensionato rimbambito che ha nostalgia dei bei vecchi tempi e si ostina ancora a giocare a guardie e ladri?».

«No, Sal, non è per questo».

«Allora per cosa? Perché stai facendo tutto questo?».

«Perché per portare a termine questo incarico ho bisogno di te».

«Hai bisogno di me?», gli rido in faccia. «Nessuno ha più bisogno di me ormai, a parte i tarli della mia scrivania».

«Io sì, invece».

«E perché proprio tu avresti bisogno di me? Dammi un dannato motivo!».

«Farò di più, te ne darò tre di motivi», spenge la sigaretta sotto i piedi. «Il primo è che anche tu hai bisogno di riprovare ancora quella adrenalina che una scrivania con i tarli non può certo darti».

«Non psicanalizzarmi, Frank: passa al secondo motivo».

«Secondo, è perché sei il tipo più in gamba che tuttora conosco».

«Questo è già più convincente».

«Terzo, perché sei in debito con me».

Un momento di silenzio da parte di entrambi, poi decido di ricordare io.

«L’attentato a Beirut, ricordo tutto nei minimi dettagli», rivivo la scena guardando un punto a caso della stanza. «Dieci morti, e sarei stato l’undicesimo, se non mi avessi avvertito dell’imboscata».

«Quindi sono sufficienti tre punti per convincerti?».

«A fare cosa?», quel ricordo merita perlomeno la mia disponibilità ad ascoltarlo.

«Te l'ho detto, no?

Ti metterai in ferie e prenderai un volo diplomatico per Beirut, incontrerai un contatto, sponda italiana, e accompagnerai la qui presente signora nel luogo convenuto.

Tornerai indietro con Susha. E la porterai dove lei stessa ti dirà.

A quel punto ci penserà l'Istituto e il tuo lavoro sarà finito.

Tutto chiaro?».

«Come no, chiarissimo.

E perché proprio io?».

«Ci risiamo?

Stai sbagliando la domanda, Sal.

Perché non tu?

Lo capirai strada facendo».

«Quanto verrò pagato?».

«Niente, si capisce».

«Niente...?!».

«Niente soldi.

Capirai strada facendo.

Intanto scopriamo la prima carta», si fa dare un plico dal suo scagnozzo. Mi mostra delle foto.

«E chi sarebbe? Il contatto a Beirut?».

«No.

Non hai detto di aver visto il suo fascicolo?».

«Il fascicolo...? Ma...».

«Il fascicolo era senza foto... lo so, Sal. Perché pensi che io lavori per l'Istituto?

Questa è Susha».

Deglutisco.

«Ce l'hai una caramella?».

Frank alza gli occhi.

«Non dirmi che... ti fai pure tenere le... caramelle...», neanche il tempo di finire la frase che Mike me ne lancia una.

Metto in bocca e cerco di rendermi spigliato, cammuffando la voce.

«Dunque, è Susha... Susha Ja...».

«Jasim».

«Susha Jasim», cerco di memorizzare, sono arrugginito, devo riprendere confidenza con le procedure.

«Qualcosa non va, Sal?».

«No... è che...».

«Che...?».

«Che... non so... sembra abbia qualcosa di famigliare».

«Ti sbagli, di sicuro non la conosci. Abbiamo verificato».

«D'accordo. M'era sembrato.

Ma perché proprio io? Di sicuro avete gente più qualificata di me sotto contratto».

«Avete? Avete chi? Stai parlando con me, Sal.

Comunque, ho capito: intendi gente con un coefficiente operativo più alto?».

«Quello, sì».

«Forse è vero. Sei un po' arrugginito, Sal. Ma supponi che il coefficiente operativo non sia la sola variabile in gioco.

Saresti contento di saperlo?».

«Cambia qualcosa?».

«Avanti, Frank, perché non glielo dici? O devo spiegarglielo io?», questo Mike non lo sopporto proprio. «E va bene. Te lo dico io. In certi tipi di operazioni, la presenza di un idiota confonde le idee al nemico, fa saltare i parametri del gioco».

«Sei cambiato davvero, Sal.

Qualche anno fa a Mike te lo saresti mangiato.

Oppure lui avrebbe mangiato te.

E invece mi tocca assistere a un nulla di fatto.

Mike come al solito esagera, ma c'è un fondo di verità in ciò che ha detto.

In certe faccende non basta la professionalità.

Però se non ti senti pronto, darò l'incarico a qualcun altro.

Vuoi mettere in pericolo la vita di Susha, obbligandomi a una seconda scelta?».

«Non ho detto questo...», mi accorgo di ringhiare senza volerlo. «Se siete convinti, cioè se sei convinto... se posso aiutare... lo farò».

«Visto che ci sei arrivato? Con te non c'è spazio per un ragionamento logico, Sal. Il discorso bisogna farlo al contrario, cominciando dalla fine.

Ma l'importante è esserci capiti.

Sal... questa è la tua grande occasione per tornare nel giro che conta».

«È inutile, Frank. È già la sua priorità numero due».

«Esageri sempre, Mike».

«Non vorrei deludervi, ragazzi, ma la priorità numero uno è uscire dall'acquario per sempre».

Mentre allaccio le cinture, mi chiedo come farò a tenere a bada la sfolgorante Valentine al mio fianco.

«Per due motivi.

Primo, ha il suo tornaconto personale.

Secondo, sa che con l'Istituto si può giocare, ma non scherzare».

Frank ha sempre una risposta per tutto.

Anch'io devo stare attento, con l'Istituto non si scherza. Però se non lo freghi non ti frega. Questo almeno l'ho imparato.

A proposito di tornaconto personale, perché diavolo non ho contrattato un cachet? Va bene darsi da fare, uscire dall'acquario, ma rimanere a bocca asciutta...

«Capirai strada facendo».

Già, capirò cosa? Che sono un fesso?

«Scusa, caro, ma ti sei fissato con questa guida turistica? Potrei diventare gelosa...».

Guida turistica?

Ho l'impressione che tutti sappiano molte più cose di me. E non è una semplice impressione, è una certezza.

«Hai ragione, cara. Una guida turistica vale l'altra. Se questa è in ferie, ne troveremo un'altra».

Rimetto a posto le foto di Susha.

Chissà perché Frank me le ha lasciate. Non fa niente a caso lui.

Una donna così non si dimentica facilmente. Espressione rassicurante ma decisa. E poi ha qualcosa di famigliare, ne sono convinto.

Il volo prosegue per Mumbai. Noi però siamo arrivati.

Berito... che piacere rivederti...

Fino al Caffè italiano vicino all'Ambasciata italiana va tutto liscio.

«Sto cercando chi cerca Didone».

È la parola d'ordine.

«L'ha trovato. Si accomodi».

In questa storia non ci sono mezze misure.

Un'altra bambola da capogiro, anche piuttosto allentata.

Una specie di incrocio tra la classe di Rita Hayworth e la carne di Anita Ekberg.

«Posso sapere il suo nome?».

«Anna Frezzante».

Le belle donne devono subito avere un nome. Altrimenti che missione sarebbe?

«Come saprete, Didone è una regina fenicia», insiste.

«Scusi... era... fu...», la rettifico.

«Scusi lei... è...

Altrimenti non saremmo qui a parlarne, non le sembra?».

Ho già detto che tutti la sanno più lunga di me. E lo confermo.

«Comunque non dovrete preoccuparvi di nulla. Vi farò conoscere io la guida turistica migliore». Sembra che Valentine e Anna parlino la stessa lingua, benché la prima iraniana e la seconda italiana.

«Il posto migliore per cominciare è di sicuro Baalbek.

Sì, certo, l'hanno costruito i Romani, ma il progetto e le fondamenta pare siano di Erode il Grande.

Comunque sono chiare le origini fenicie, in situ, del culto di Baal e Astarte.

E poi il vino l'hanno inventato i Fenici, no?

Cito a memoria: "Baalbek è il trionfo della pietra, una magnificenza lapidaria il cui linguaggio, superbamente visivo, riduce New York a una dimora di formiche"; un giudizio severo, ma impeccabile, non credete?

Certo, New York non è più la stessa di Robert Byron, quella degli anni '30, ma credo non cambi molto».

   

       

 

Ha studiato bene la parte, non sembra avere il physique du rôle della talentuosa critica d'arte, ma forse è un solo un pregiudizio maschilista.

«E quando si parte?».

«Perché non subito?

In un paio d'ore ci arriviamo. E la sera l'atmosfera è splendida...».

Qui hanno fretta. Meglio così, mi tolgo il pensiero subito.

«Una domanda, signora Frezzante...

La Didone si è conservata così bene dopo tutti questi anni?».

Per la prima volta Valentine e Anna mi guardano all'unisono. Anzi, mi squadrano all'unisono.

Sarò pure arrugginito, ma qualcosa ancora mi riesce.

«I ruderi sanno affascinare con la loro polvere e il peso delle forme; però a volte è meglio guardarsi intorno e ammirare ciò che è ancora fresco».

Un contatto, sì, ma non certo tenero.

Di sicuro la Barkisha concorda.

Però vedi le donne... credono tu debba riscuotere un bel cachet per il tuo sporco lavoro, e ti cascano quasi addosso.

Tuttavia non sanno che quel cachet non esiste, e che capirò strada facendo...

Ma forse è di nuovo un pregiudizio maschilista. Didone mi manca da troppo tempo. Forse non ci credo più.

Tra una cosa e l'altra si è fatta pure Pasqua.

Come tocco il cellulare mi arrivano immagini di graziosi addobbi pasquali, con una spiccata presenza di conigli, perfino neri.

Non ricordavo fossero tanto popolari, in Libano poi...

Ma appunto, non è mai un caso.

Lavora di fino, e se proprio non riesci a fartelo amico, cerca almeno di non fartelo nemico.

L'ho capito a mie spese. Però ho giocato male, ma non ho scherzato. E questo per ora mi ha salvato.

Se aggiungiamo che l'Istituto ha rispetto per Didone, quasi fosse un Istituto di lingue classiche, questa volta potrei perfino ricavarci qualcosa.

Però a me interessano i progetti a lunga scadenza.

Stavolta voglio uscire dall'acquario per sempre.

Farò del mio meglio e me ne tornerò buono come un agnellino a Roma.

Non lo puoi forzare, ma se lavori ti rispetta.

Anni di timbri e firme inutili per cominciare a capirci qualcosa.

È vero, in certi campi sono bravo; come filologo dilettante ho riscosso dei buoni riconoscimenti, ma come filologo della mia vita sono davvero un ritardato.

Magari mi becco una pallottola e la faccio finita qui.

Il finale non lo conosco, ma il finale è la parte più importante di ogni storia.

A che serve seguire Didone fino al rogo?

Tutti la seguono: le ancelle, gli eneadi, i lettori, i professori, gli dei.

Ma come finisce?

C'è una bella differenza tra l'ammazzarsi per un grosso cretino e fargliela pagare cara.

Proprio il contrario di "It's never an accident": se non capiamo il finale della storia, allora davvero crediamo alle coincidenze.

Il fato, il caso.

O Didone? O l'Istituto?

E poi c'è una cosa che mi lascia perplesso: l'immagine con conta?

Sì, conta. Certo, non è tutto. Didone è bella. Le tre donne di questa storia sono belle.

Il Capo dell'istituto, per essere un uomo, ha davvero una bella immagine. E ha 60 anni.

Un'immagine pulita, bella, emana forza. Ecco perché le regine sono tutte belle. Anche se in giro vi sono parecchi falsi d'autore.

E in questa storia devo sperare che nei paraggi non ce ne siano troppi. Possibilmente, meno di tre.

«A che stai pensando?», mi sussurra Valentine. «La sai una cosa? Saremmo una bella coppia io e te...».

Ecco, appunto.

«Siamo quasi arrivati», dice Anna.

Ecco, appunto.

E per non farmi mancare il terzo, mi ripasso il volto di Susha.

È calato un crepuscolo da brivido sulle rovine di Baalbek.

Sanguigno e anche un po' funereo.

In effetti Susha vuol dire crepuscolo, l'ultima luce prima del buio.

Quante speranze hanno visto morire queste maestose colonne...

È vero, muore per ultima, ma alla fine - se non è sostenuta da qualcosa di reale - muore comunque.

«Facciamo in tempo a vedere l'ultimo raggio del sole», dice Anna. «In estate si svolgono importanti eventi e spettacoli tra queste rovine.

Vi sono delle scale che portano in cima, a uso dei tecnici delle luci. Da lassù, ve lo assicuro, la vista è mozzafiato. Non solo si vede bene il crepuscolo, quasi lo si può incontrare...».

La Frezzante pare una sibilla.

E pensare che mi sono preso una settimana intera di ferie. Qui la situazione precipita. Speriamo non in tutti i sensi.

L'invito mi pare esplicito.

La beretta è sotto l'ascella con il colpo in canna.

Devo concentrami sulla mia sfera di controllo. Questo mi ha detto Frank.

«Ognuno farà il suo, tu fai il tuo».

Ognuno chi?

Qui non vedo nessuno.

Certo, l'Istituto ha occhi dappertutto, come Argo.

Vediamo Anna che fa, se sale sulla scala con noi, oppure si ritira.

«Vado avanti io».

Non si ritira.

La scala è a chiocciola, in acciaio.

Dietro Anna mando Valentine.

Potrebbe scapparmi da sotto, altrimenti.

In vetta potrebbe non esserci nessuno, a parte il crepuscolo.

Dall'alto la struttura del tempio principale appare ancora più maestosa, se possibile; fa venire le vertigini, non solo per l'altezza in sé, ma per la sua sublime magnificenza.

Se non è questa la Casa del Dio, quale può essere?

In giro non c'è un'anima. Gli scavi sono chiusi a quest'ora.

In cima ci sono due persone, a una distanza di 30 metri.

Il numero è quello giusto, ma il crepuscolo è ormai notte.

La Frezzante si defila, ha fatto il suo. È l'intermediaria.

Se gli altri due sono Susha e un agente iraniano, allora fino a qui va bene.

Tengo sotto braccio la Barkisha e cerco di avvicinarmi, molto lentamente.

Dalla parte di Anna, però, i conti non tornano più: sono spuntate, letteralmente dall'ombra, altre due sagome, non molto alte, anzi basse, più basse della Frezzante, che è comunque una donna; che siano cinesi e non portoghesi?

I tecnici della luce sulla scena sono diventati troppi. E sono troppo in anticipo rispetto alla kermesse estiva.

Qualcosa sta andando storto.

Io mi avvicino al presunto iraniano e lui no.

Mentre avanzo a piccolissimi passi, mi copro dietro alla Barkisha: non riuscirei neppure a vedere una pistola con questo buio.

I tecnici della luce stanno lavorando davvero male.

Rimango però scoperto dal lato di Anna.

Stranamente l'iraniano, o presunto tale, rimane allineato con la presunta Susha, cioè non segue la mia tattica, non si fa scudo con il corpo dell'ostaggio.

Lei potrebbe anche essere Susha: la sagoma è imbolsita, quella di una donna matura e sovrappeso.

Devo ragionare.

Una parola...

Perché lui non si avvicina, perché non si fa scudo con il corpo di lei.

No, giusto, non devo prendermi Susha adesso. O ci ammazzano tutti e due.

Devo tenermi Valentine.

Ma allora perché i due portoghesi si sono fatti notare?

Forse proteggono la Frezzante e basta.

L'Istituto che fine ha fatto?

Argo è ormai diventato un pavone?

Potrei chiederlo a Giove, visto che ci sono.

«Tu fai il tuo», le parole di Frank mi pulsano nelle tempie.

Già... ma qual è il mio, Frank?

Mi sono fermato. Da questa distanza comincio a vedere qualcosa, gli occhi si stanno abituando all'oscurità.

Ho un salto al cuore.

È lei.

Sono troppo emotivo per questo genere di lavoro, l'ho sempre saputo.

Perché diavolo ho accettato, ma soprattutto perché diavolo l'hanno fatto fare a me?!

«Capirai strada facendo», ma qui la strada è bella che finita.

Lei è serena, non come nelle foto, ma quasi.

Ha sangue freddo, al contrario di me.

Ogni tanto guardo alle mie spalle. Non devo mostrarmi troppo nervoso. Le tre sagome si mantengono a una certa distanza. Al momento sembrano solo controllare.

È stallo.

«Lasciami, dai... chiudiamo l'affare...», la Barkisha si divincola dal mio abbraccio.

Ho solo un istante per tenerla o lasciarla andare.

Anche Susha si spinge in avanti.

Non la trattengo.

«Torna al tuo posto», dice la libanese all'iraniana, anche se tutti parlano italiano, fino a questo momento.

Io a stento parlo inglese, dopo una vita che provo a parlarlo.

Lo spazio è stretto e le due sono ben piazzate.

Dal lato interno il parapetto è scarno: si tratta della balaustra metallica di un ponteggio volante, tirato su - penso - per gli immancabili e redditizi restauri; lungi dal portare offerte al Dio, oggi se ne prendono.

Lottare in quel tratto sarebbe quindi molto pericoloso, data l'altezza da terra. Gli dei non soffrono la forza di gravità, le belle donne sì.

Valentine torna da me, Susha dall'iraniano.

Caspita, che donna...

Se l'Istituto sceglie i migliori, perché diavolo ha scelto me?

«Lo vogliamo concludere o no, quest'affare?».

Alle mie spalle risuona la voce melodiosa di Anna Frezzante.

E nella mano distinguo una pistola, una beretta; con silenziatore.

Fregato da un'italiana: il colmo.

Comunque è buio pesto, la luna non si vede, da quella distanza può colpire la Barkisha, che intanto mi spalmo addosso come una crema solare.

Quando mi sento relativamente coperto, estraggo anch'io.

«A che gioco stai giocando, Anna? Ti consiglio di non fare scherzi, mi dispiacerebbe perderti di vista».

«Avanti, concludi lo scambio. Siamo qui per questo, no? Non mi pagano, se l'operazione non riesce».

La sua voce è falsa come il terzo Jolly del mazzo.

«Allora metti via il ferro e aspettami sotto».

ZIP

ZIP

ZIP

ZIP

La situazione precipita.

Mi spara due colpi. Io ribatto colpo su colpo.

Quello in pieno petto la mette in difficoltà.

Inarca la schiena, barcolla, e perde l'equilibrio...

«AAHHH...!!».

SDENG!

È ancora viva mentre va giù.

Il grido è pieno di orrore.

Ma viene trattenuta, sia pure a stento, dal parapetto sommitale dell'impalcatura volante. La Frezzante si ferma a penzoloni della balaustra, le braccia molli e abbandonate piangenti verso il fondo del baratro; sembra un panno steso ad asciugare.

Io ho un dolore al fianco, ma sembra gestibile.

Valentine si è divincolata e sta per raggiungere il connazionale.

Ma questa volta Susha non si contrappone e viene verso di me, ma poi si ferma a metà strada.

Che cosa le prende?

Nel dubbio mi gioco il Jolly.

La pietra sotto i piedi è ben levigata, liscia come un tavolo da biliardo.

«کشتن آنها».

Stavolta la Barkisha non parla italiano. Non so cosa abbia detto al suo compagno, ma penso niente di buono, a giudicare dal tono ringhioso.

ZIP

Un solo colpo in mezzo agli occhi.

POW

E un solo colpo di cannone. Nel petto.

L'iraniana non si lascia scappare nemmeno un gridolino.

Intercetto solo un sussulto negli occhi, come un bambino dopo una fastidiosa iniezione, ma senza far lacrime.

Quando l'iraniano ha alzato l'arma, Susha l'ha freddato con la mia beretta. Era più vicina di me per un colpo del genere.

Quando l'iraniana c'ha riprovato con la seconda pistola del compagno, anch'io ho usato il cannone di riserva. Al bersaglio grosso.

Intanto, però, trascinando i piedi a terra, le braccia molli lungo i fianchi, un sorriso sardonico sul volto, l'iraniana si avvicina!

Giunta a un paio di metri, mi fa vedere un pezzetto di lingua; poi, quasi punita per la sua arroganza, è scossa da un brivido fatale e viene spinta sulle ginocchia da una forza misteriosa.

L'iraniana spalanca gli occhi, ora c'è paura e rimpianto nel suo sguardo.

I giorni felici di Brighton, e gli ormeggi da grossa piovra, sono lontani.

È scossa da una lunga contrazione ed è costretta a piegare la testa sul petto.

Aspetto qualche istante, ma rimane così.

Se non fosse quasi impossibile, direi che sia morta.

In ginocchio, davanti a me. Si è venuta a consegnare con le sue ultime forze.

A dispetto della sua eccellenza, ha fatto una fine da stupida.

È come se la Berkisha avesse fatto harakiri con una katana, sfondandosi la bella pancia fino in fondo, e poi avesse cercato di tornare indietro.

Susha le gira intorno.

«L'hai messa nel sacco, accidenti!

La famosa Berkisha... la puttana intoccabile...

Ma tu l'hai toccata, eccome!».

Sì, ma adesso... se la Berkisha si schianta a terra, il castello di carte viene giù con tutta la castellana!

La bocca è spalancata! Gli occhi incrociati!

Dietro la schiena ha un buco da infilarci un braccio...!

L'ho fatta secca!

«Ma io... non sono così preciso...».

«Doveva crederlo anche lei... ha pensato di farla franca... ma non ha tenuto conto della proverbiale fortuna del dilettante...

Altrimenti non sarebbe morta con questa espressione basita sul volto.

Anna sarà rigenerata.

Per la Berkisha c'è il sacco, spiacente.

L'hai posseduta con tutta la tua forza, da vero uomo, ma il momento è durato poco...».

«Ma... sei sicura che... non può essere morta così!».

«È morta incredula, però è morta... l'hai sfondata...

Ma forse sarà tenuta in frigo per un po'».

«In che senso?».

«Visto che era una top assoluta, proveranno a rianimarla.

Ci sono tecniche speciali che noi non conosciamo e che non dovremmo sapere di non conoscere».

«Cazzo! Valeva così tanto la Berkisha?».

«Giudica tu stesso...».

Susha si è messa a parlare come se gli altri due non fossero più un problema...

E io sono troppo eccitato per capire se abbia preso una pallottola pericolosa, oppure di striscio.

Anna si muove ancora, ma è stordita, può precipitare nel vuoto da un momento all'altro. Nonostante tutto, mi dispiacerebbe se rimanesse uccisa; anche se temo che il mio colpo al petto sia mortale.

Mi appoggio alla parete di fondo e mi preparo a sparare ancora, se occorre.

Susha, però, appare serena.

Si è portata accanto a me e mi sta toccando.

Certo, sono il suo salvatore, ma la ragazza non mi sembra tanto avventata.

«Riprendi la pistola», le intimo, come fossi io a comandare.

«Stai calmo.

Non sembra grave. Mi dispiace».

«Ti dispiace che non sia grave?», anche io non sono mai contento. «E quei due? Chi saranno?».

«Non ci sono più. Sono fuggiti come conigli».

Ecco, siamo tornati lì.

«Vuoi dire che...?».

Annuisce.

Mi sposto verso Anna e la osservo cinicamente mentre cerca di trovare gli ultimi respiri fissando il baratro, con il seno quasi uscito dalla camicetta che sembra inseguire le braccia a penzoloni nel vuoto.

La Frezzante non si consegna come la Barkisha: cerca disperatamente di prendere tempo, e intanto gronda sangue al Dio, a mo' di offerta.

«Potevano darci una mano», riprendo il discorso con Susha.

«L'avrebbero fatto, ma non ce n'è stato bisogno.

Sei stato bravo.

Però penso che la tua Anna si ritrovi qualche scheggia di piombo sulla schiena».

«Vuoi dire che l'hanno uccisa loro?».

«Stai calmo, non è morta.

Però sa troppe cose».

E si avvicina sinistramente alla Frezzante.

«Non c'è un altro modo?».

«Certo che c'è: aiutami».

«Da che parte?», la stiamo afferrando insieme.

Susha tira dalla mia stessa parte.

E la mettiamo seduta contro la parete solida del tempio.

«Perché hai detto la mia Anna...?».

«Hai civettato con lei fino all'ultimo».

«Non è vero... è pur sempre una bella donna... ma io...

Che c'entra questo? Perché i conigli non le hanno impedito di sparare?».

«Non lo so, sei tu l'agente, lo hai dimostrato. Forse l'hanno messa alla prova. Non era sicuro che tradisse, almeno non fino all'ultimo».

«E tu, invece, non saresti un'agente?».

«Certo che no, che agente? Mi hanno sequestrato. Grazie per quello che hai fatto per me».

Tampono con un fazzoletto il buco in pancia di Anna. Quello al polmone, no; sarebbe più doloroso per lei, se lo facessi. Ha difficoltà a respirare, ma riesce a tirare avanti.

«Senti, Susha, io questa non me la bevo. Devo portarti dove tu decidi di andare. E poi sarà finita. Quanto a lei, che ne facciamo?».

«Lei, se ce la fai, e visto che ci tieni tanto, te la carichi in spalla e la porti giù. Può darsi che vogliano riconvertirla. Una grossa jena così, buona incassatrice, può sempre far comodo.

Quanto a me, va bene. Decido di andare a Tripoli».

«Nel Libano?»

«Certo, è la mia città».

«Allora non ci vorrà molto. Dobbiamo sbrigarci. I custodi avranno sentito il mio sparo».

«Stai calmo. I conigli li avranno distratti. Da queste parti si spara facile, pure alle feste di matrimonio.

Ma non sei stato in Libano per diversi anni?».

«E tu che ne sai?

Sei mai stata in Italia?».

«Mai».

«Eppure mi ricordi qualcuno».

«Forse la tua donna».

«Che donna... sono anni che non sto con una donna».

«Hai la risposta facile. Ma pensi mai prima di rispondere?

Chi dovevi cercare in questa missione? Chi hai cercato nella vita?».

«Susha... come faccio a pensare con te davanti?».

«Provaci, senza fare il galletto».

«So solo che non vogliono pagarmi neanche un euro.

Hanno detto che avrei capito strada... facendo...

Ora che ci penso è una bella canzone di Baglioni...».

«Dunque hai capito adesso che ti sarò grata... diciamo... per un bel po'?».

L'ULTIMA CENA

di Salvatore Conte (2021-2023)

Ormai nessuno ci fa più caso, a parte le donne.
Mano Tagliente paga visita allo stalliere. Lui sa tutto di tutti...
Gli lancia subito mezzo dollaro d'anticipo.
Sa come sciogliere la lingua ai bianchi.
Anche se è cresciuto con loro, non si è scolorito abbastanza.
«Anna Frazer...?

Se la incontri, rimarrai parecchio deluso, amico.
È cambiata molto...
Beve... si è ingrossata come una botte...».

«Magra non lo è mai stata», lo interrompe per un attimo Mano Tagliente.

«Pare sia anche malata...
È sempre pallida. Qualcuno dice che non le rimanga molto...
E anche la taglia non vale più niente.
Non vale la pena di schiantare un cavallo legandoci di traverso un peso del genere.
Vuoi sapere come la chiamano... beh... quelli della tua razza?
Zinna Moscia...
Ah-ah...
Siete in gamba con i nomi, voi musi rossi!».
«Tu, invece, come ti chiami?».
«Io?
Jonathan Wilson; ma gli amici mi chiamano Joe».
«Sempre di fretta voi.
Avete tutti gli stessi nomi.

È sempre sbottonata?».

«Chi?».

«Zinna Moscia...».

«Certo, sempre sbottonata...

Ah-ah...».
«Anche se malandata, mi interessa ritrovarla».
«Nessun problema. Ma stai attento, perché - oltre che sbottonata - sa ancora sparare.
Vive in una topaia lungo la pista per Abilene.

La riconoscerai facilmente, perché vi cresce vicino un grosso saguaro».
Mano Tagliente gli lancia l'altro mezzo dollaro e se ne va.

Sarà davvero così malridotta?

Non la vede da molte lune.
E in effetti è molto cambiata.

Lo aspetta stravaccata sulla sedia a dondolo, con il winchester puntato e la bottiglia del whisky sul tavolino.
«Sei qui per intascare la taglia?».
«I musi rossi non possono incassare taglie».
«Ma possono mettersi in società con un bianco».
«Appunto».
«Appunto, cosa? Hai dei complici?
Bada che ti faccio saltare il cervello...».
«Stai calma, Anna Frazer.
O dovrei chiamarti Zinna Moscia?».
«Sono belli tutti e due, decidi tu.
Sono gli altri che ci chiamano...
Ma se qualcuno sbaglia le parole... io gli faccio saltare il cervello...».
Mano Tagliente ha calcolato il rischio, sa che Anna è fiera della sua carne, che è perversamente innamorata di sé e soddisfatta di passare da bocca a bocca...
«Fra poco sarà il 13 maggio».
«E allora?
A proposito... prenditi una sedia e serviti da bere.
Chi viene per uccidere, non corre certi rischi».
«Non sono qui per uccidere, ma per raccontare una storia...», e alza il bicchierino verso la Frazer, facendosi sorprendere mentre infila gli occhi nel camicione sbottonato fino allo stomaco.
La pistolera, in risposta, sporge la lingua dal labbro.
Comanda ancora lei.

«C'era una volta una banda di ladroni. Erano una dozzina. Fecero un colpo da 30.000 dollari. E lo fecero il 13 maggio...».

«Non sei bravo a raccontare storie».

«Lo so, racconto l'essenziale, i frati non mi hanno insegnato tutto».

«Continua».

«I ladroni decisero di far calmare le acque, prima di spartire il bottino...

Ma c'era un problema: a chi lasciarlo?

A chi se non a un uomo di legge, degno di fiducia e rispetto?

Fu dunque il Giudice della città a tenerlo in custodia.

I ladroni si diedero appuntamento al 13 maggio dell'anno successivo. Al tramonto».

«La storia è bella... cough... è tua?», Zinna Moscia tossisce e sputacchia sangue.

«No. Me l'hanno raccontata».

«E chi?».

«Le puttane parlano...».
«Tu vai a puttane?».
«Certo».

«Puttane rosse o bianche?».
«Non ci sono puttane rosse».
«Ah no?
E perché la racconti a me?
».
«Mi serve un socio».
«Per fare cosa?».
«Per prendermi una parte del bottino».
«Sono troppi...».
«Lo so, ma quando si divide spesso succede qualcosa... e poi un anno è lungo: qualcuno mancherà l'appuntamento...
Ma se anche fossero tutti e non succedesse niente, io prendere una parte di tredici, Zinna Moscia. Sono tanti dollari...
».

«Tredici?».

«Il Giudice non lavora gratis».
«Io, allora, a che servire...?».

«Ne seguiamo uno e lo prendiamo tra due fuochi.

Così è più facile e non corriamo rischi. Poi dividiamo a metà».
«Ci riusciresti anche da solo».
«Forse... ma correrei più rischi. Non sono ingordo».
«E va bene... cough... mi sembra un lavoretto tranquillo».
«Se invece si sparano addosso, e rimangono in pochi, noi prendere tutto il piatto...
Ce l'hai il fegato di finirli?
».
«Cough... certo...».

«E a te quanto rimane, Zinna Moscia?».
«Mi hanno detto che è lento, posso andarci avanti...».

«Quanto ti rimane?».

Lusingata dall'insistenza di Mano Tagliente, Zinna Moscia sporge ancora la lingua dal labbro.

«Non lo so... cago sangue e sputo sangue... ma tiro avanti... penso di avere qualcosa nelle budella... come una pallottola che ti uccide piano-piano...».

«Non sembri molto preoccupata; stanca di vivere?».

«Troppo sangue... troppi morti...

Qualcuno... cough... vuole portarmi con lui...», con gli occhi fissi nel vuoto.

«Quel qualcuno rimarrà deluso, Zinna Moscia...».

«Sì, lo so...», riprendendosi, «nessuno può fermarmi... nemmeno un tumore; in qualche modo me la caverò».

«Ben detto».
«Sto ancora in sella... cough... questo è ciò che conta... adesso...
».

La Frazer cerca di defilarsi dal suo destino, si illude di avere ancora tempo.
«Alla fine, però, ti farai visitare da un medico... Zinna Moscia...

E intanto devi smettere di bere».
«Non mi fido dei segaossa».
«Allora ti farai vedere da uno stregone...».
«Cosa te ne frega a te... di quello che farà Zinna Moscia...».
«Puoi fare come ti pare, infatti.

Ma fino al 14 maggio... Mano Tagliente cavalca con la potente Anna Frazer...».

E alza il bicchierino, abbassando gli occhi sulle zinne mosce, dentro il camicione sbottonato, mentre lei fa altrettanto, sporgendo la lingua con occhi malati e fiato stretto, improvvisamente ansiosa di trovare una via di scampo.

Arrivano alla spicciolata, poco prima del tramonto.

Ma sono solo in quattro.

Otto banditi mancano all'appello.

Un anno è lungo e gli incerti del mestiere numerosi: il carcere e il cimitero ne inghiottono tanti.

Buon per i quattro che vedono triplicata la loro parte.

Sono ricevuti dall'anziana governante del Giudice, una messicana rugosa e d'aspetto sinistro, che si muove con vacillante passo senile, ma ancora gonfia.

«La cena è servita, signori».

Il sole è tramontato, ormai è difficile che si aggiungano altri ospiti.

I banditi passano dalla veranda al soggiorno, elegantemente arredato.

La governante aveva preparato dodici posti, ma ha portato pane, formaggio e vino per quattro persone.

«Ehi, vecchia!».

«Dite a me, signore?».

«Perché, ti credi giovane? Ah-ah...

Una cosa è vera, però: ti tieni molto bene, vecchia...

Il Giudice è ancora vedovo? Ah-ah...

Assaggia!», Sancho non si fida.

La governante manda giù un pezzo di formaggio.

Il bandito si lecca la forchetta utilizzata dalla serva, fissandola in modo allusivo. Vecchia, ma ancora provocante.

«Bevi, adesso...

Brava...

Come ti chiami?».

«Esmeralda».

«Esmeralda...

Adesso, Esmeralda... ti metti a tavola con noi e ci fai compagnia...».

I banditi mangiano allegramente e attingono vino dal fiasco.

«Basta così, hombres...

Esmeralda... prendi una lanterna...».

I cinque escono dall'abitazione e si dirigono verso la cripta di famiglia del Giudice.

È ricavata da un anfratto roccioso: dopo una porta di ferro, numerosi scalini portano a una grotta naturale, ove alcune bare di legno pregiato sono collocate su ripiani scavati nella roccia.

Sono state ripulite da poco: non ci sono ragnatele, né polvere.

«È questa! Me lo ricordo come fosse ieri...».

La tirano giù e allentano le viti. Pesa un accidente.

Pesa come se fosse piena d'argento.

Si levano urla di giubilo dal fondo della grotta.

Ma in pochi istanti accade di tutto.

La lanterna si spegne, iniziano i malori, un rumore metallico risuona grave verso il basso.

Dal giubilo alla paura.

Qualche sparo di frustrazione; ma ormai è finita.

Un cenno di conferma con il capo e due mani che si stringono eccitate sulle grosse tette ancora burrose: è fatta, l'uomo della legge fa suo l'intero piatto.

«Mani in alto, signor Giudice...

E anche tu, messicana... buona... se vuoi invecchiare ancora...».

«Chi sei? Un ritardatario?

Dopo il tramonto non si riscuote più...».

«E quelli là sotto, allora?».

«Non è colpa mia se non hanno retto il vino».

«Vino dei Borgia, scommetto...».

«Sì, d'annata, ma non così vecchio...».

«Allora, signor Giudice... poiché non sono ingordo, dividiamo il piatto a metà. Adesso si va giù insieme e si riporta su il malloppo...».

«E va bene, la cassa riapre...».

«Adesso non ci rimane che dividere, signor Giudice...».

«Fatica sprecata, hombres...

Mani in alto, bamboccio!

Prima di ammazzarti voglio sapere chi sei».

«Sono un indiano cresciuto tra i bianchi, mi chiamo Zoccolo Duro, e ho saputo da una puttana ciò che stava accadendo...».

«Cabrones...

Bene, i conti tornano.

Il veleno a rilascio lento nel fiasco, l'uscita secondaria dalla grotta...

Ma sono i dettagli a tradire il traditore.

Giuda!

Due grosso dettagli... ah-ah...», il bandito mima le grosse tette della governante messicana. «Due bei pezzi per un posto così sperduto. E quando le cose non mi tornano, il mio cervello comincia a girare... a girare come il tamburo di una colt...

Ma il dettaglio decisivo è stato un altro...

Esmeralda Lopez... nata nel secolo scorso... ma non ancora deceduta...

Una targhetta su una bara.

La fedele governante del Giudice... vecchia, ma ancora dotata...

Con la sua fedeltà si deve guadagnare una tomba di lusso... anche perché di anni davanti ne sono rimasti pochi... e già da stasera, con una calibro 45 nello stomaco, la bella Esmeralda potrebbe unirsi alla sua bara di lusso... e la cassa da morto chiudersi sul lussuoso cadavere designato...».

Il bandito spiana la colt...

«NO!», urla disperata la messicana.

«Ci tieni alla pelle, eh, vecchia?

Meglio una vita di merda, che una bara di lusso...

Ne hai avuto di fegato, Esmeralda, per aver fatto quello che hai fatto...

Potrei aggiungerti al mio argento, sei un bel pezzo, anche se con me finiresti sepolta sotto la sabbia di un deserto...

Avanti! Spostati da lì...

E vieni qui».

L'indugio della messicana dura un attimo.

Per farsi vedere ancora meglio, si stira addosso la casacca rossiccia e passa dall'altra parte.

La fedeltà va bene, fino a quando non diventa eccessiva.

«In fondo la giustizia esiste: io sono l'unico ad aver rapinato questi dollari.

Questi dollari sono miei...

Ma ora dobbiamo emettere la sentenza, Esmeralda.

Tu che dici?

Li ammazzo... oppure li lasciamo in mutande?

Voglio sentirlo da te, Esmeralda...», il tono duro, grave. «Allora...?

Con i miei compañeros non ti sei fatta tanti scrupoli... vecchia ruffiana...

Erano dei cabrones, ma non avevano colpe».

«Ammazzali... oppure ci daranno la caccia...».

Ormai ha cambiato padrone.

«Però lasciarsi dietro un Giudice morto non è mai una buona idea...

L'indiano lo ammazzo di sicuro, però...

Su le mani, ti ho detto!».

BANG

SWISHH

A Mano Tagliente si dovrebbe dire mani larghe...

Alzandole, infatti, le avvicina al suo tomahawk, che tiene nascosto dietro la schiena.

Lo sparo è di Zinna Moscia; di avvertimento.

Il tomahawk apache in mezzo alle gambe del bandito messicano è di Mano Tagliente; di avvertimento.

«Okay... okay... ma quanti siamo questa sera?», Sancho getta il ferro a terra.

Anna Frazer esce dall'ombra, il winchester spianato.

«Però una cosa giusta l'hai detta: sei l'unico che si è guadagnato questi soldi.

Un terzo per uno...».

«E la ragazza?», Sancho allude ironico alla vecchia messicana.

«Decide lei con chi andare».

«Vado per conto mio, voglio la mia parte».

Ormai si è bruciata, deve stare attenta, la mossa è astuta.

La Frazer incrocia lo sguardo di Mano Tagliente.

«Allora un quinto per uno: una parte a testa.

Tu hai fatto la rapina, il Giudice ha fatto il banchiere onesto per un anno, lei ne ammazzati tre, io e il muso rosso... cough... abbiamo chiuso la mano, e tu ce l'hai ancora attaccata al braccio...

Niente ripensamenti, niente vendette... cough... niente soffiate.

Se ci incontriamo, siamo pari».

Zinna Moscia rimane in attesa.

«Io ho qualcosa per te, bella donna...».

Non tutte le avvelenatrici vengono per nuocere.

L'accordo c'è. Si divide in cinque parti.

L'unico che rimane è Il Giudice.

Avrà da rimettere a posto la cripta di famiglia e da assumere una nuova governante. Meglio se in quest'ordine.

Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui.

Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità.

Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico e narrativo.

Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film.

La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta.

IL MARCHIO DI ZENON

di Salvatore Conte (2021)

Le pallottole fioccano nella grande sala da pranzo del vecchio hotel abbandonato.

I troppi interessi in gioco hanno spento le ultime speranze di negoziare un accordo.

Le due bande hanno scelto i loro elementi migliori per "discutere" d'affari.

Ma ormai gli argomenti si sono esauriti, insieme agli stessi "negoziatori".

Da una parte rimangono la famosa Anna Frentzen e Bill Jones, dall'altra lo spietato Zenon, l'Infallibile.

La donna, cinquantasettenne, è molto conosciuta nell'ambiente: esperta, ambiziosa, abile nel preservarsi, prestigiosa, è nota per i camicioni sbottonati con perizia artigianale, portati addosso con cura sacerdotale e pagana disinvoltura, nonostante l'età, il seno flaccido e un giro-pancia da vecchia signora; si stringe in vita una grossa cinta nera, per darsi forma, ricompattarsi, e - si dice - quale sorta di talismano contro le pallottole nemiche. Completano il novero delle sue armi segrete, le tette semoventi, che lei dirige come fossero arti indipendenti, facendole premere contro la camicetta o sporgere dalla profonda scollatura; Anna è una donna da sei arti.

La Frentzen fa gola ai collezionisti della città, che fanno a gara per procacciarsi le sue vecchie foto e i video di quand'era meno grassa e al culmine della sua bellezza.

Ma lei non cede alle lusinghe: non vuole dipendere da nessuno, preferisce guadagnarsi "onestamente" da vivere, tra rapine, sequestri ed esecuzioni, portando a casa lo stipendio.

Bill Jones è un anonimo comprimario della banda.

Zenon, un killer spietato e autorevole, detto l'Infallibile. Il suo vero nome è sconosciuto.

Si stanno sparando addosso protetti dai grossi tavoli in legno massello del vecchio hotel, rovesciati a 90 gradi.

Gli altri sono morti.

«Ahh...!», Zenon è stato colpito!

«L'ho beccato!», gioisce Bill.

Sul volto di Anna affiora un ghigno soddisfatto.

«Ora dovrai scendere a patti con me, bellimbusto...!», gli strilla contro la Frentzen.

La donna si alza in piedi, in tutta la sua possanza e tracotanza, e lo minaccia: «Vieni fuori, Zenon! Molla i ferri e ti prometto che troveremo un accordo!».

Ma evidentemente non è giornata.

«Vecchia fallita!».

BANG

BANG

BANG

Zenon schizza fuori all'improvviso e spara!

Lui spara e a incassare è Anna!

Tre colpi la raggiungono, due al petto e uno sotto la spalla.

La donna reagisce, sparando a sua volta, ma l'Infallibile torna al riparo del robusto tavolo.

Jones ha assistito impotente.

Anche Anna torna al riparo, lasciandosi scivolare dietro al tavolo.

Il suo complice la raggiunge subito.

Respira in maniera affannosa, ha gli occhi allucinati: sembra che a prendere tre pallottole sia stato lui.

Ma vederla così lo fa andare completamente in tilt. Inoltre sa che con la Frentzen fuorigioco il suo destino è segnato.

Con tre pallottole nel corpo, il sorriso tranquillo e serafico di Anna ha fatto posto a un'espressione neutra, assorta, ma ancora minacciosa, sfidante, speranzosa: c'è tempo per morire. Zenon non l'ha fulminata e questo è molto importante. Un buco nella fronte o in mezzo al cuore sarebbe stato complicato da gestire anche per la Frentzen.

È stata colpita, però la vecchia Anna rimane invincibile.

Da un parte sente la morte, è rabbiosa.
Dall'altra è talmente sicura di sé che pensa di potersi salvare abbastanza facilmente.
BANG

BANG

Anna fa esplodere la sua rabbia, vuole salvarsi, risponde al fuoco.

Ma non ha capito che farebbe bene, per prima cosa, a evitare altro piombo, che come pioggia sul bagnato si aggiungerebbe a quello fatale che Zenon le ha sparato in corpo: il countdown ha iniziato a scorrere, benché una tipa arrogante come lei si rifiuti di crederlo.
«Anna... ti allento la cinta?», le chiede preoccupato Bill, pensando di farla respirare meglio.

«No... è questa che mi salva... mi tiene la pelle addosso... mi tiene stretta la vita...».

«Adesso ho capito», risponde Jones.

«Quel maledetto Zenon ha sparato... ha sparato contro di me... è pazzo... devo sapere perché... devo capire... poi raggiungerò la clinica di un dottore... (COUGH...) che colleziona le mie foto...», Anna comincia a tossire e a sputare sangue.

«Zenon... mi senti...? Voglio sapere... (COUGH...) perché lo hai fatto... mi hai preso in pieno... (COUGH...) ho tre pallottole nel corpo... bastardo...!».

«Risparmia il fiato, Anna! Ne avrai bisogno!

Stasera le tue foto varranno dieci volte tanto..!».
«Bastardo...

Mentre io lo distraggo... tu prendilo alle spalle... (COUGH...) poi mi porterai in clinica...», Anna istruisce il complice.

La Frentzen è speranzosa di avere tempo a sufficienza per farsi curare e conta sul fatto che Zenon non infierirà su una donna del suo rango; poco prima, infatti, si è preoccupato per lei.
«Zenon... se per me è tardi... (COUGH...) voglio che sia tu... a chiudermi... per sempre... la camicetta...!
Se invece... posso ancora farcela... voglio che tu... tu mi scorti in clinica...!

Poi faremo la pace... (COUGH...) e mi vedrai ancora... con il camicione sbottonato...! Ti piace... vero...?
Non sarai frocio... spero...!».

«Hai una brutta tosse, Anna!

Non vorrei che la cosa si facesse troppo rapida...!

Anna! Vengo a chiuderti la camicetta!».
«Non ci provare...!».
«Vecchia fallita... non fare cazzate... se vuoi vivacchiare un altro po'!».

BANG

BANG

«Maledetta! Volevi fregarmi!».

Bill è entrato in azione, ma ha rimediato una palla in mezzo agli occhi e c'è rimasto secco.

Adesso Anna deve stare attenta.
La Frentzen sa che Zenon non scherza.

Proverà a blandirlo con le sue tette semoventi, muovendole sotto il camicione come tentacoli di una piovra.
Anna le pensa tutte, pur di ottenere la salvezza e riportare la pelliccia a casa.
È sicura che nessuno avrebbe il coraggio di finirla o di negarle un'ambulanza.
La grossa cinta nera stretta alta in vita, la camicetta sbottonata con precise leggi tecniche, le tette dirigibili, la lingua che sporge dal labbro: sono le armi segrete della Frentzen, quando la cose si mettono male.

«Io non c'entro...! È stata... (COUGH...) una sua idea...!».

Adesso è Zenon che deve decidere.

Se l'ammazza, il gioco finisce.

È tentato di saldarle il conto, con un bel colpo nello stomaco; gli piacerebbe farlo, ma deve trattenersi, perché la prestigiosa Frentzen è ferita a morte...

Zenon aggira la postazione di Anna e si appalesa alla donna tenendola sotto tiro.

«Ferma! Non fare scherzi...».

«Zenon... aspetta solo un attimo... (COUGH...) so che vuoi finirmi...
Dammi il tempo di parlare...
Non sento più le braccia...
Ho finito di combattere... (COUGH...)».

Zenon si siede, tranquillo, accanto a lei.
«Prima di ogni azione … cercavo di immaginare... come sarebbe stato... rimanere uccisa...

Un colpo in pancia... (COUGH...) che ti toglie il respiro...

Io... che lotto per salvarmi...

Mi faccio portare in ospedale...

Ma sento... di non avere tempo... (COUGH...) ho paura...

Decido allora... di portare con me... i miei complici...

Da dietro... sparo nella schiena a tutti e due...

La macchina sbanda... (COUGH...) e butta giù un muro...

Quando arriva la polizia... io sono l'unica ancora viva...

E riesco anche... (COUGH...) ad arrivare in ospedale...

Ma non ne ho per molto...

L'emorragia... mi uccide in un paio d'ore...

Con la rabbia ancora in corpo... (COUGH...) mi coprono la faccia... e mi portano all'obitorio... per eseguire l'autopsia... (COUGH...) per estrarmi da morta... la pallottola che mi ha ucciso... e mostrarla in tribunale... accanto alla mia foto...

Non mi sono... sbagliata di molto...», sbarrando gli occhi.

«Temo di no, Anna.

Ma capisco la tua rabbia...».

«Zenon... io ne ho visti morire tanti... e ho un brutto vizio... (COUGH...) io... mi gustavo la loro morte... a due di questi... ho sparato io... il colpo di grazia...

È stato eccitante... come una droga... loro morti... io viva...
Oggi... però... (COUGH...) è toccato a me... e voglio che sia tu a farlo...
Premi la tua canna... contro la mia cinta...
Sarà il tuo marchio... per sempre...».
Anna fissa la pistola di Zenon con occhi allucinati, la sua fine è segnata.

Il killer esegue.

La Frentzen vacilla.

È colta dal panico.
«Aspetta...!», si oppone rabbiosa. «Fammi finire...», conciliante. «Non farlo...».

«Okay, aspetto... ma l'iniezione è pronta, Anna...».

Annuisce, sollevata.

«Devi sapere... che ci sono poliziotti... che dopo ogni sparatoria... si informano subito... se... (COUGH...) se anch'io... sono rimasta uccisa... o coinvolta... se sono ferita... se rischio la vita...».

«Sì, ho afferrato il concetto», replica brusco il killer.
«C'è chi... mi telefona di nascosto... per sapere come sto...
Stavolta... troveranno il mio cadavere... e rimarranno a bocca aperta... (COUGH...) la Frentzen uccisa... con quatto colpi...

Vorranno sapere tutto...

Chi ha sparato... contro il mio camicione...», mentre parla, gli occhi guardano al cielo, sempre più inespressivi.

È ancora seduta contro lo spesso tavolo di legno, rovesciato a 90 gradi, dietro a cui si è riparata durante la sparatoria.

«Anna...», sussurra Zenon, quasi stupito di vederla alla deriva.
La Frentzen si lusinga subito, e manovra le tette, facendole sporgere dalla camicetta: sono un po' flaccide, cadono a penzoloni sul ventre gonfio, ma sono belle, ben fatte, e lei sembra ancora una super modella.

Preparato il terreno, Anna manda un leggero colpo di bacino contro la canna della pistola che le preme sulla pancia attraverso la cinta.
È una sfida mortale. Un gioco pesante. Se Zenon preme il grilletto, lei rimane fulminata.
Il camicione è teso allo spasimo, lei pure.
La paura l'ha resa una maschera di sudore.
Zenon se la gusta.
«Queste tette non ti fanno ragionare... ti tolgono le forze...», concedendole l'onore delle armi.

«Mi dispiace, Anna, ma quando sparo, lo faccio per uccidere», riportandola alla realtà.

«E un altro colpo non lo reggi. Sei finita...», freddo, ma solo per farle capire che il gioco ha dei limiti che neanche lei può superare.

«Se proprio insisti, però, ti faccio un altro buco nella cinta, così la puoi stringere ancora di più...», e le preme contro la canna della pistola, mentre l'altra mano si infila dentro il camicione, sulle tette flaccide e sudaticce; e parte anche un bacio in bocca, dentro l'hotel abbandonato nel bosco, che però non riesce a risvegliare la bella Frentzen dalla morte che le sta gelando le membra.

Quando l'uomo si stacca, la pistola rimane premuta: sembra disposto a sparare.

«Vacci piano... Zenon...
Stai per uccidere... Anna Frentzen...».
«Pensavo fossi già morta, Anna...».
«So che è finita... non sono una stupida... (COUGH...) anche le gambe sono andate... non le sento più... ma se spari... (COUGH...) mi togli di mezzo... mi finisci... uccidi una grande donna...

Non sarebbe galante...».
«Io non lo sono, infatti».
«Però ti piaccio... non puoi negarlo... hai toccato con mano...».
«Sì, ma cosa me ne faccio di un cadavere?».
«Lo accompagni... all'obitorio... (COUGH...)», le parole profetiche di Anna.
«E va bene... preferisci sudarti tutta la schiuma addosso...».
La Frentzen annuisce con occhi allucinati.

«Non capisci che è tutto inutile, Anna?», con un tono confidenziale nella voce.
«Se hai tanta fretta... spara... Zenon... spara... (COUGH...) e gelami per sempre...».
«Tu hai paura, Anna.

Non ti sparo addosso, se speri ancora di salvarti...».

«Stai diventando galante...».

«Non credo. Mi dispiace solo tu non abbia capito la gravità della situazione, Anna», con tono serio.
«Io so tutto... bastardo...», gli occhi si fanno vitrei. «Sento le sirene... intorno a me...
Vedo sguardi che mi fissano...
E poi... (COUGH...) vedo un telo bianco... chiudersi sui miei occhi...
Vuol dire che sono morta...», la Frentzen conclude la sua ieratica visione con voce costernata.
«Su questo temo non ci siano dubbi, Anna.
Devi solo decidere come».
«No... tu devi decidere... io sono finita...», con faticosi rantoli gutturali.
«Tu non hai tanta fretta, Anna. Non mi freghi. Tu ti illudi di farla franca.

Hai il fisico, hai l'esperienza, hai migliaia di tifosi che palpiteranno per te mentre muori.

Sei quasi invincibile.

Questo ti fa sentire salva».
Gli occhi della Frentzen si accendono, la bocca si spalanca come a inghiottire un boccone succulento: l'illusione della salvezza la fa impazzire, non può negarlo.

E allora decide di confessare: «Sì... io voglio provarci... (COUGH...)», guardandolo negli occhi, sebbene lui scuota la testa, «so di essere una stupida... ma voglio tentare... e tu... anche tu... (COUGH...) avrai paura... quando... mi vedrai morire... sarai il primo... a cagarti addosso...

Se spari... (COUGH... COUGH...) uccidi Anna Frentzen...».

«Capisco la tua rabbia, Anna. Per te vivere è come una droga.

E non riesci a smettere...».

Zenon la guarda con compassione.

Sullo sfondo strillano le sirene.

«È ora di chiudere il camicione, Anna...».
Zenon posa a lato la pistola e le chiude i bottoni, fino al collo.
«Ti manca solo la cravatta, ma la mia è marrone, non ti starebbe bene...».

E senza aggiungere altro, l'Infallibile si dilegua nel crepuscolo, lanciando un ultimo sguardo alla bella sbottonata agonizzante: la testa piegata sul petto e il camicione chiuso che sembra il sudario della tomba.

«Zenon... non lasciarmi...», riesce ancora a sussurrare.

«Adesso, crepa!!».

La Frentzen, a quelle parole, spalanca la bocca.

È rimasta fulminata come se Zenon le avesse sparato il quarto colpo.

«Stai correndo troppo, figliolo.

Lo sai a cosa servono le sirene?».

«Certo. Per fare prima in mezzo al traffico».

«Vedi del traffico qui?».

«Beh no... questo è un posto isolato».

«Spero tu mi dia la risposta giusta, prima che io vada in pensione, figliolo.

Se vuoi arrivarci anche tu...

Adesso rallenta e falle sentire bene».

Poco dopo, mezza dozzina di auto della polizia scortano un'ambulanza in ospedale.

I poliziotti trattengono il fiato, mentre l'autolettiga scarica il corpo.

Anche il telefono di Zenon squilla...
Vigile attesa e adrenalina.

Impossibile operarla, dicono i medici.

Due colpi sono classificati come mortali.

Zenon non si trattiene più: deve vederla morire con i suoi occhi.

Raggiungerà subito l'ospedale sotto falsa identità e la vedrà gelare per sempre. Uno spettacolo sontuoso, imperdibile.

Solo lei lo riconoscerà, mentre la morte verrà a coglierla suo malgrado.

Lo guarderà delusa, incredula di fare quella fine.

Lui non potrà fare niente, l'aveva avvisata. Potrà solo dare l'addio alla vecchia signora, la prestigiosa Frentzen.

Ci sarà un dialogo silenzioso, con gli occhi al posto della bocca.

«Non pensavo di rimanere uccisa dopo i tuoi tre colpi, ero convinta che mi bastasse limitare i danni ed evitare guai peggiori per venirne fuori, ma tu l'hai capito subito e non me lo hai nascosto. Ti ho chiesto di uccidermi, ma non hai voluto farlo. Sarei morta fra le tue braccia. Adesso invece muoio in mezzo a tanti. Ma almeno ho coltivato la mia illusione».

«Non potevo ucciderti, tu da sola dovevi capire che eri già morta. Stavolta ti ha condannato proprio il tuo camicione, Anna: quando ti ho visto così... sbottonata... prestigiosa... arrogante... non sono riuscito a trattenermi, anche se avrei dovuto... potevo farti uno sconto, ma tu stessa ti sei ammazzata con i tuoi maledetti bottoni allentati e le tue tette da super modella...

Ora non posso far altro che accompagnarti all'obitorio, insieme agli altri».

«E così finisco nella fossa, a cinquant'anni, per un paio di bottoni lenti...».

«Cinquantasette anni non sono pochi per chi fa il nostro mestiere, Anna...

Molte volte il tuo camicione ti ha protetto; oggi no. Oggi ti è stato fatale.

Ma su una cosa avevi ragione: mi sto cagando addosso».

«Te l'avevo detto. Ma spero che non si arrivi a tanto. Ho voglia di sognare, di illudermi. Ho voglia di salvarmi. E di sbottonarmi ancora».

A ogni minimo cedimento della Frentzen, verrà allertata l'infermiera in servizio, per farla subito bucare con qualcosa di forte. Anche se condannata, bisognerà avere pazienza e accompagnarla con dignità all'obitorio: alla fine sarà un lenzuolo bianco fra tanti, ma calato sopra un cadavere prestigioso.

Chi non reggerà la tensione, comincerà a sfollare, come in una partita dal finale scontato.

Zenon, però, rimarrà fino all'ultimo.

Perché ha lasciato il suo marchio nel corpo di Anna. I suoi bottoni di piombo e sangue. Tre.

Tre come i bottoni lenti della camicetta, quelli necessari ad Anna per mostrare le tette.

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BREAKING NEWS - Anna Frentzen, mezza città con il fiato sospeso: si rincorrono voci e indiscrezioni sul destino della famosa 57enne, reduce da una grave crisi cardiaca, che ha rischiato di ucciderla, dopo un'effimera fase di miglioramento, che aveva indotto troppe illusioni; la Frentzen è ormai consumata dopo tre giorni di agonia, e il suo famoso camicione è stato riabbottonato: un segnale di resa, secondo alcuni commentatori; di operoso ravvedimento, secondo altri; fonti anonime riferiscono che la Frentzen rimane uccisa per la sua arroganza da sbottonata: avrebbe potuto salvarsi semplicemente tenendo qualche bottone chiuso; un destino beffardo per l'importante 57enne, considerata invincibile fino a pochi giorni fa, e adesso rabbiosamente rimpianta

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BREAKING NEWS - Anna Frentzen, continua la febbricitante attesa della fatale notizia: la morte della Frentzen... tuttora stabile in coma controllato; minacciata di morte l'infermiera menagrama; i fan rimangono in massa all'ospedale, soddisfatti della rabbiosa tenuta della famosa 57enne; gli aggiornamenti si faranno meno frequenti, ma rimarremo anche noi in vigilante attesa

BREAKING NEWS - Anna Frentzen, attesa per l'annunciato docufilm sulla caduta della nota 57enne, sebbene il titolo provvisorio sia già cambiato: si passa, infatti, almeno per il momento, da "Le ultime ore della Frentzen" a "Gli ultimi giorni della Frentzen"

DENTI DI SQUALO

CONTRo

CARNE DI CESSA

di Salvatore Conte (2022-2023)

L'assoluto decadimento di ogni principio morale, anzi l'affermarsi di una nuova morale votata alla morte e al sangue, suffragata da aborto rapido, eutanasia individuale e collettiva, impunità dei reati violenti, ha reso il deadly roleplay un gioco ampiamente accettato e perfettamente legale, non più clandestino come prima, tanto che prevede ora l'impiego di prestigiosi notai per la certificazione delle ferite come autentiche.

Di ciò hanno approfittato veterane del gioco come Leanne Crow ed Kelly Madison, ma anche nuove leve come Shreya Reddy.

Lo show mortale si chiama Squalo 975 Live, tra sport, gioco e spettacolo: occorrono addestramento e forza fisica, conoscenza delle regole e lucidità, puttanaggine e carne; tutto per uscirne, se non vegete, vive; vive e con 10 milioni di Scritturali a credito, oltre alle migliori cure mediche completamente gratuite.

Una Vergine di Norimberga con le pinne: qualcuno lo definisce così.

Mentre riguardo al famoso film di Spielberg del 1975, ispirato alle lezioni di cinema del maestro Sergio Leone, qualcuno ancora si chiede perché lo intitolarono Jaws.

Sul tabellone verrà utilizzato uno speciale coltello, realizzato con autentici denti di squalo: è già da adesso l'incubo delle Cesse di Amity!

Lo schema di gioco adottato è sponsorizzato dalla famosa Ravensburger, che ne ha realizzato un boardgame per famiglie.

Shreya Reddy è Brody, lo Sceriffo di Amity; segnaposto nero.

Leanne Crow è Hooper, la biologa; segnaposto azzurro.

Kelly Madison è Quint, la cacciatrice di squali; segnaposto verde.

Tutto è pronto, dunque.

Il tabellone è riprodotto fedelmente in un ambiente indoor: una piscina con moduli galleggianti, gli spazi d'acqua ben delimitati con dei cordoli da pallanuoto; lo squalo è un assassino vicino alla scarcerazione, in costume acquatico, che agita malignamente il terribile coltello seghettato con autentici denti di squalo.

Un maxi-tabellone fornisce tutte le informazioni possibili e i primi piani delle protagoniste.

Il lancio dei dadi sarà eseguito da Steven Spielberg in persona, regista del famoso film, e certificato nella sua regolarità da un notaio professionista.

La partita si apre bene per le tre cesse, che nel primo turno di gioco infliggono 7 colpi allo squalo.

La reazione della bestia, però, non si fa attendere e ne fa le spese Shreya, che cade in acqua e incassa 2 colpi!

Per il momento sono soltanto colpi virtuali, ma a quota 6 scatterà il colpo fatale!

Un cecchino è pronto a sparare nel caso lo squalo-assassino (letterale) non rispetti le regole del gioco.

La produzione ha investito più di cento milioni di Scritturali, tra premi alle cesse (o agli eredi designati), spese di promozione, mazzette, scene, maestranze e cose varie, e quindi pretende che tutto fili liscio.

Squalo Live è trasmesso in diretta in tutto il mondo, attraverso i migliori circuiti: Netflix, Amazon, Sky e Dazn, solo per citarne alcuni.

Oltre a Shreya, anche l'Orca, l'imbarcazione delle cesse, ha subito danni: due settori sono già danneggiati dopo il primo turno.

Se la barca affonda, non ci sarà scampo per le tre Super Puttane!

I tifosi si fanno sentire dagli spalti, con insulti per lo squalo e cori per le cesse. Gli stewards sono armati di taser, in modo da prevenire assalti dei più facinorosi, che diverranno inevitabili quando l'acqua si tingerà di rosso... rosso di cessa.

Dopo il primo turno, la pubblicità dilaga sugli schermi.

Ma ora seguiamo da vicino il secondo.

Lo squalo sta per emergere ancora.

La Madison si prepara a lanciargli una bombola d'ossigeno tra i denti; l'arrogante Crow - potentissima e in grande forma - ha il fucile carico; Shreya impugna la pistola da Sceriffo e deve stare attenta a non farsi beccare di nuovo.

Ma... attenzione! Lo squalo sorprende le cesse emergendo da poppa, nessuna di loro è pronta a reagire, la bestia carica l'Orca e fa danni!

Una sezione della barca cede di schianto e affonda!

E proprio la Crow viene coinvolta, affondando con tutta la sua carne da cessa!

Si ritrova a corto muso con lo squalo!

I tifosi sono gelati!

C'è panico tra loro!

La Crow subisce due colpi!

A sei, lo squalo-assassino le apre la pancia e le tira fuori le budella con il coltellaccio seghettato!

La Crow fa impazzire le telecamere, la cercano per capire se la sua arroganza cominci a sgonfiarsi.

Le tette, no di sicuro...!

Lo squalo si inabissa nella piscina e comincia un nuovo turno.

Le tre cesse devono stringersi tetta a tetta su quello che ormai è un relitto, e - soprattutto - non possono più fallire: devono capire dove lo squalo tornerà ad emergere e colpirlo! Se vogliono vivere e incassare gli scritturali!

Altrimenti la piscina si colorerà di rosso e tre belle cesse ci galleggeranno dentro (!), con le grosse tette che sembreranno coppie di boe acquatiche e con le budella a rimorchio!

L'assassino se ne andrà via contento di avere sfondato delle Super Puttane tanto illustri. I tifosi piangeranno e i soccorsi potranno fare ben poco, dopo il trattamento mortale ai denti di squalo!

Shreya e Crow si stringono tetta a tetta sulla parte centrale dell'Orca, mentre la Madison resiste a prua, tutte pronte a colpire lo squalo.

È proprio il caso di dire che le tre Super Puttane sono sulla stessa barca...!

La pistola di Shreya e il machete di Kelly Madison inquadrano l'obiettivo!

Ma la bestia, molto abile nello smarcarsi, subisce un solo colpo! Il totale arriva a 8: siamo a -10 dall'obiettivo finale; lo squalo infatti muore e si ritira dal gioco dopo aver incassato 18 colpi.

Ora, però, viene il momento del crudele assassino: e i suoi attacchi sono devastanti!

L'Orca viene spezzata in due tronconi e tutte e tre le Super Puttane cadono in acqua! La loro fine è vicina!

Il terrore si impadronisce dei loro numerosi tifosi, in particolare quelli di Leanne Crow, ritenuta intoccabile...

I turni si succedono, la lotta è feroce, ormai l'Orca non esiste più: si combatte corpo a corpo, tetta a pinna.

Da casa gli ascolti sono al massimo: manca poco e le cesse saranno sfondate a sangue, le loro budella schizzeranno fuori.

La Crow deve tentare il tutto per tutto, in una lotta mortale e disperata con lo squalo, se vuole cercare di salvarsi.

Ha fatto male a giocarsi le tette per 5 milioni di Scritturali l'una.

E arriva presto l'irreparabile!

La Madison tocca i 6 colpi al passivo e deve affrontare l'assassino!

L'affondo avviene in acqua, inquadrato dalle telecamere sommerse; dilaga il rosso, le budella schizzano fuori dalla grossa pancia e galleggiano sulla superficie dell'acqua come un cordolo aggiuntivo.

In fin di vita anche Shreya e Crow, ormai allo stremo sull'ultimo frammento galleggiante della derelitta Orca.

La Super Puttana Madison rimane stoicamente in piedi e viene subito soccorsa dallo staff medico di Squalo 975 Live.

Sollevata a bordo piscina, riceve le prime cure.

Ma non c'è tempo per fermarsi: il gioco prosegue!

Le gran cesse stanno per fare una brutta fine!

Ed è finita per la Crow!

Disperazione tra i tifosi!

Shreya prova a resistere, con un colpo d'uncino porta lo squalo a 16 danni, ma ora tocca alla bestia!

Lo squalo coglie la bella sceriffa in acqua e le sferra il colpo di grazia!

L'assassino ha vinto, le cesse hanno perso!

L'acqua è sempre più rossa, lo staff medico è in frenetica attività.

Sugli spalti prevale la delusione, ma non mancano i fan dello squalo-assassino, che esultano per la performance!

Da Squalo 975 Live, per stasera è tutto!

007: LiCENZA LICENZIOSA

di Davide Giannicolo (2022)

Sono un agente segreto, un uomo dalle mille risorse, eppure mi sono perso in quest’aeroporto, da quando stamattina il pelato mi ha condotto qui, solito stronzo antipatico, ennesimo agente che vuole scavalcarmi ed ereditare i miei meriti, col suo cappotto nero e lungo, fuori moda.

Mi ha dato poche informazioni criptiche e indecifrabili, una borsa di cui non conosco il contenuto, e poi è sparito. Da allora vago in questi corridoi, non so se sia passato un giorno o un’ora, nessun rumore, nessuna presenza, niente, sembra un sogno inquietante.

Apro porte sempre più vecchie, che non c’entrano tanto con un aeroporto, sembrano più appartenere a una scuola anni ’70. Le stanze sono buie e fatiscenti, prive di mobili, abbandonate.

Cerco di tornare indietro ma lo scenario intorno a me non cambia, ormai il calvo è andato via da troppo tempo, inutile chiamare disperatamente il suo nome, anche se non è da me. Mi decido e apro la borsa che mi ha dato, anche se il piano era di consegnarla all’uomo che mi attendeva al volo prestabilito. Nella borsa ci sono chincaglierie antiche, una tiara che sembra d’oro, qualche monile. Richiudo tutto, possibile che il calvo mi abbia fottuto?

Comincio a sudare freddo quando noto un buco nel muro, grande come la mia testa, possibile che prima non lo avessi visto? Sembrava essere apparso da un momento all’altro. Una luce intensa proviene da quell’apertura, come di mezzogiorno nel deserto.

Titubando mi avvicino e do una sbirciata: inizialmente i miei occhi sono abbagliati dal sole, poi una volta abituati, vedo qualcosa di assolutamente folle. Innanzitutto il sole sembra innaturale; offuscato da un cielo malvagio, è assolutamente lontano, sotto impera un deserto, di fronte a me una titanica parete piena di nicchie, come quelle degli altopiani della Mesopotamia.

Ero entrato in un aeroporto a Roma, e adesso mi trovavo in chissà quale deserto di Babilonia?

Una mano mi spinse da dietro, il muro fradicio si sfondò e caddi nella sabbia malvagia del deserto.

Una donna mi sveglia a calci, calza dei sandali, una tunica bianca le copre a stento due seni giganteschi, attempata, per giunta occidentale, sembra americana.

Da quel momento mi sveglio da un viaggio lisergico: «Ciao, Agente 007; io sono Kelly, faresti meglio ad alzarti in piedi e a seguirmi!».

Lo feci a fatica, studiai la donna, era praticamente nuda sotto la tunica. I capezzoli erano grossi come due dita, un gran puttanone su un altopiano della Mesopotamia...

«Mi avete drogato, non è vero? Scommetto che è stato il pelato!».

«Oh… ti riferisci a quello che ti ha portato qui? È morto poco fa tra le mie cosce!».

Tra le sue cosce? Ma chi cazzo era questa?

Aveva già preso la borsa, quando mi condusse a calci in una caverna vicina, lì dentro mi aspettavano nanetti deformi dall’aspetto siriano, saltellavano qua e là contenti di vedermi, mi legarono con catene pesanti, dall’apparenza secolare, fisse nella pietra della caverna, mi strapparono i vestiti di dosso, era brutta la sensazione delle mie chiappe contro la nuda pietra, rappresentava a pieno la situazione.

La donna apparse, completamente nuda, tranne che per la tiara e i monili che aveva preso dalla borsa. I nanetti le saltellavano intorno arrapati come degli ossessi, qualcuno si eiaculò sui piedi senza nemmeno toccarsi.

Mi si avvicinò sculettando sinuosa, il suo sesso peloso emanava l’acre odore di una belva, mi incise il petto con una delle sue lunghe unghie color oro, il sangue cominciò a scorrere copioso imbrattandomi il cazzo, era proprio quello che voleva, poiché si inginocchiò e cominciò a succhiarmelo, tutto insanguinato com’era, come una vampira assatanata.

Quando fu bello duro lo afferrò fra le mani, con un piede premuto contro la parete e una mano alla catena si arrampicò su di me, se lo infilò fino alla radice, sembrava che volesse ficcarsi dentro anche le palle, cominciò a montarmi freneticamente, con veemenza selvaggia, espulsi il mio sperma dentro di lei, forse sarei stato padre anch’io di uno di quei mostruosi nanetti, fu un godimento doloroso, bestiale, sembrava che il mio pene fosse divorato da quella vulva mostruosa e non potesse mai più uscirvi, almeno non integro. Pareva che quella fica fosse lì per mangiarlo, triturarlo, spappolarlo.

Mi baciò sulle labbra, eravamo sudati e spossati.

«Lieta che sia sopravvissuto, Signor Bond; una donna come me, nella situazione demoniaca profondamente legata ai culti antichi, ha bisogno dei servigi di un uomo come lei, in quest’epoca turbolenta, sempre che lei voglia sopravvivere!».

Cosa mi restava da fare, se non accettare?

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Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità.

Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico e narrativo.

Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film.

La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta.

TEX: UN PUTTANONE MOLTO RICERCATO

di Sergio Bonelli, Fernando Fusco,

Salvatore Conte e Davide Giannicolo

(1976-2023)

(in blu: testo di Salvatore Conte)

(in azzurro: testo di Davide Giannicolo)

Tex sta dando una mano a un suo vecchio amico, tanto nostalgico dei tempi andati da mollare la pensione e tornare in sella con la stella di latta sul petto.

La prima rogna da grattare non è però uno scherzo.

Pamela Shoop è una grossa puttana, una che fa sul serio e che vale 10.000 dollari di taglia!

Si dice che ad Amarillo, dopo anni da comprimaria, abbia tentato il salto di qualità, con una banda tutta sua.

C'è scappato il morto e l'hanno accollato a lei!

«Svegliati, donna», l'anziano sceriffo la becca in branda, presso il ranch dove al momento fa la vaccara, in attesa che le acque si calmino.

Tex aspetta di fuori e tiene buoni i cowboys: alcuni di loro sembrano avere un debole per la Shoop.

«Uh... chi diavolo siete? State forse cercando qualche...?

Dannazione!», la donna si è accorta della stella.

«Lasciate stare la pistola, Pamela Shoop! È troppo tardi, ormai!».

«Cazzo!

Io... io mi chiamo Pamela Wilson e...».

«Risparmiatemi questa commedia, donna...

Come potete vedere, sono abbastanza vecchio per non lasciarmi mettere nel sacco con argomenti tanto fiacchi!».

«Questi... veramente... non sono fiacchi...», la Shoop mostra l'artiglieria pesante.

«Rimettete dentro la chincaglieria, donna. Non ve la caverete tanto facilmente».

«Ma non potete fare una cosa simile... non conto un solo amico in quel maledetto paese, e non ho alcuna possibilità di uscire indenne da un processo... anche se, come è vero Iddio, io sono innocente! Non ho ucciso nessuno, io, sceriffo!».

«Okay... okay... ma una come voi di sicuro qualche amico ce l'ha laggiù, e anche qui, penso...».

«Voi non mi credete, non è vero? Eppure vi giuro che...».

«Lasciate perdere, Pamela... questo non è affar mio... ed è meglio quindi che voi vi togliate dalla mente l'idea di annoiarmi con questo discorso per tutto il viaggio.

Sono stato chiaro?

Stessa cosa dicasi per le vostre tette, che devono rimanere al loro posto e ben coperte».

«Sì... certo... ho capito...

Ho capito perfettamente. Ora prendo la mia roba e vi seguo».

BANG

La pistolera brucia sul tempo l'anziano sceriffo e si dà alla fuga, mentre un suo simpatizzante immobilizza Tex per qualche prezioso attimo!

Willer non ci mette molto a ritrovarla: Pamela è una zoccolona che non passa certo inosservata.

Il sorriso allegro da puttana sempre scolpito in faccia, la carne morbida che le gonfia al punto giusto pantaloni e camicia, le zinne da vecchia bagascia, veri gioielli della casa; ma è anche veloce di mano e di bocca, con la colt e con il cazzo, è grintosa, è stagionata bene; per certi versi sottovalutata, Pamela Shoop vale un mucchio di quattrini, e lo stesso ranger le ha messo gli occhi addosso, sin dall'avviso di taglia, ben disegnato, ma non certo pari all'originale.

Per la precisione, la ritrova alla posada di Diego Puerta, dove sta spennando qualche pollo.

«Pamela... Pamela Shoop... mi senti?

Non hai scampo, ormai, e non ti conviene peggiorare la tua situazione... arrenditi!».

Tex le urla addosso sulla soglia della camera numero 4, ma lei ha preso il volo un'altra volta!

È furba la Shoop, non è facile metterle il sale sulla coda.

Se ne sta accorgendo anche Tex Willer, che batte la pista verso il Messico, sperando finalmente di acciuffarla.

Con un ranger del suo calibro alle costole, uno sceriffo mezzo ammazzato da poco, e i vari precedenti, sono tanti i conti in sospeso per la grossa puttana.

Pamela si tiene in tiro per la grande occasione: non è certo da tutte essere inseguite da Tex Willer in persona.

È ora che dimentichi la vecchia moglie indiana, e lei ha tutti i numeri dalla sua per riuscire nell'impresa.

D'altra parte gli indizi per il ranger non mancano di certo.

È difficile nasconderle e lei non ci prova nemmeno.

Ci vuole comunque una bella cavalcata per riuscire a riacciuffarla nel deserto, la tettona ha sfiancato lo stallone come è solita fare coi maschi della sua specie, stringendolo tra le cosce da cavallerizza.

Tex le piomba addosso catapultandola nella polvere, si rotolano per un po’ alzando una gran nube, ben presto però la lotta diviene qualcos’altro, il membro del ranger si gonfia nei jeans consunti dalle mille cavalcate, quando sente sbattere contro il suo petto quelle enormi matasse di carne soda che sono le sue tette.
«Adesso ti do una lezione, puttana assassina, con me non te la caverai come con il vecchio sceriffo!».
Le molla un destro nel mento, e il cazzo gli si gonfia ancora di più perpetrando simile sadica violenza, perché - parliamoci chiaro - Tex fa quello che fa per sadismo, e gli piace menare le mani mascherandosi da eroe, questo mestiere gli consente di uccidere e di scoparsi tutte le troie che vuole con la scusa di ammanettarle e catturarle, compresa quella che ora striscia ai suoi piedi con la bocca insanguinata, può farle tutto quello che vuole, tanto è lei la criminale.

Se la sarebbe ripassata per bene, a questo pensa mentre si allenta il cinturone, liberando un bel cazzo dritto e pulsante.
«Succhiami il cazzo, troia!».
Le mena un paio di sberle e senza troppi complimenti le riempie la bocca col suo membro, il sangue lo insozza mentre servendosi di quel randello di carne la schiaffeggia con esso ridendo, facendolo rimbalzare su quella faccia sofferente.

Le eiacula sul volto, conservandosi per dopo - visto che avrebbero dovuto affrontare un lungo viaggio - il pezzo forte, ovvero la sua fregna, il suo culo e le sue tettone da mandriana; avrebbe allietato così i suoi bivacchi, prima di riscuotere la taglia e mettere una bella cravatta di corda a quella troia.

Il viaggio riprende.

Ma c'è un imprevisto sulla pista.

Un gruppo di indiani ha fatto secco un mercante di whisky.

E non devono essere lontani.

«Zoccola... sei capace di portare il cavallo sul crinale?».

«Certo, stronzone... hai con te la migliore su piazza...».

Pamela rischia la sberla, ma il ranger si tiene: comincia a concederle qualcosa.

«Questo devo ancora verificarlo...».

Willer abbandona il fondovalle per salire di quota e tenere d'occhio il paesaggio.

La precauzione non si rivela inutile, perché dopo non molto viene avvistato un bivacco indiano.

Devono essere loro.

E per giunta sono navajos!

Tex decide di dargli una bella strigliata.

«Tu non ti mettere in mezzo, stai zitta e rimani a guardare».

Vedere quel cadavere legato a una pianta rinsecchita nel deserto, crivellato di frecce indiane, muove qualcosa di infausto nelle viscere di Pamela, è ovvio che quel Willer porta con sé solo guai e cadaveri, ma non si sa per quale occulta ragione decide di stringersi a lui e seguirlo tra gli indiani, che fanno bisboccia svuotando intere casse di whisky e sparando colpi a vuoto nel cielo terso del deserto straziato dal sole.
I Navajo, con sorpresa della donna, conoscono bene Tex, lo considerano un capo per sue imprese passate, chiamandolo col lusinghiero nome di Aquila della Notte.
Per questo Pamela è ancora più sorpresa quando Tex molla il calcio del proprio fucile sul muso dipinto di uno di quei Navajo.
«Siete solo degli ubriaconi, uccidere un commerciante solo perché siete sbronzi, non capirete mai un cazzo di banche e civiltà, ve ne state solo a spulciarvi in questo deserto come dei luridi coyotes!».
Il più prestante e cattivo degli indiani, dal corpo possente segnato da svariate cicatrici dovute a lame e pallottole, si fa avanti gettando via una delle fiasche che ha appena vuotato, regge bene l’alcool, non sembra nemmeno brillo.
«Non puoi fare questo, cane bianco, non ho mai approvato tutte le stronzate che dicono su di te, sei solo un razzista che pensa ai soldi e vuoi sporcarci con la tua ideologia da cane addomesticato, ma hai detto bene, noi siamo coyotes e adesso ci fotteremo in gruppo la tua vacca bianca!».
C’è un tripudio di ghigni lascivi, qualcuno già si è tolto il perizoma, mostrando turgide palle pronte all’azione.
Tex si fa avanti, è abituato a trattarli come cani randagi da ammansire e prendere a calci così da tenerli nel recinto, ma questa volta non funziona.
Quello con le cicatrici schiva il colpo e accoltella il braccio del ranger, la ferita è di striscio, ma basta a fargli abbassare la guardia, presto si ritrova immobilizzato nella polvere con un pesante corpo sulla schiena, faccia a terra tanto da soffocare.
«Ringrazia che non ci inculiamo anche te, Aquila della Notte!», sussurra una voce piena di intenzioni all’orecchio di Willer, tanto vicino da bagnarne il padiglione con saliva sbavante al sapore di whisky.
Tex non vede il resto, sente solo le urla della Shoop.
Niente di nuovo, cazzi indiani in ogni orifizio, bocca tappata da palle pulsanti, enormi tette maneggiate con troppa violenza tanto da renderle violacee, schiaffoni sulle natiche sobbalzanti tanto da lasciare i segni vermigli delle cinque dita callose abituate alla lancia e al tomahawk. Culo rotto senza cerimonie né dilatazioni delicate, innumerevoli posizioni stranamente fantasiose per dei coyotes, e infine tanta di quella sborra da coprire non solo interamente il corpo nudo ed esausto di Pamela, ma da rendere umida, simile a una pozza viscida, persino l’arida terra del deserto dove si è consumato il violento coito.
Una volta finita la festa, gli indiani si divertono a prendere Tex a calci in culo, lo rotolano nella polvere a suon di cazzottoni e zampate nelle palle, se lo passano martoriandolo in un severo, inesorabile pestaggio, poi lo lasciano crollare, tumefatto e insanguinato, accanto alla sua ganza imbrattata di sperma.
«Volevi maltrattarci, vero, Aquila della Notte?
Solo per esserci divertiti con quel bianco e aver bevuto la sua acqua di fuoco; adesso hai capito che noi non abbiamo padrone, tantomeno un cane addomesticato come te; nessun Navajo crederà mai più alle tue storielle!

Ora andiamocene, compagni.
La bava di questo cane rognoso offende la terra».

«Bastardi…
Le abbiamo prese, puttana…», Tex aspetta che gli indiani si allontanino, prima di rivolgersi alla donna.
«Sei uno stronzo… guarda come sono ridotta… ahh…», la donna è dolorante e perde sangue da tutti gli orifizi.
«Te la sei cercata… ti avevo detto di non muoverti…
Perché cazzo ti sei avvicinata?».
«Non lo so… uhh… è stato istintivo…».
«Non è che ci rimetti la pelle, vero? Ti hanno fatto a pezzi…».
«Sono una guerriera… sono indistruttibile… ahh… un’altra donna sarebbe già morta… annegata… uhh… nello sperma di questi selvaggi…».
«Stai attenta, Pamela… hai parecchie emorragie…».
«Sì… lo so… ahh… ma non voglio crepare… ohh… non rimarrò uccisa… una come non si lascia ammazzare… uhh…».
«Visto quello che hai subito, rimarrai un po’ con me, prima di salire sulla forca…».
«Ti faccio una proposta migliore… Willer… ahh… mettiamoci insieme… faremo grandi cose… uhh… con me vai sul sicuro… nessuno può fermarmi… ohh… curerò gli affari sporchi della ditta… uhh… andrò in missione per te…».
«Vedi di non tirartela troppo, Pamela: ne ho viste di donne crepare lungo la mia strada…».
«Io non sono… come una di quelle… ahh… non mi faccio ammazzare…».
«Questo lo vediamo subito… mi hai fatto venire una gran voglia… di fotterti… anche così… sfondata da mezza tribù…».
La Shoop deve subire l’ennesimo assalto.
Piove sul bagnato, nel deserto più arido del West.
«Sei una puttana, Pamela…», Tex si dichiara soddisfatto, quando estrae la colt fumante dalla fondina.
Più duro di così non gli era mai venuto.
Non aveva mai sparato dieci colpi da un solo tamburo.
Il patto è suggellato.

Un paio di giorni e i due si rimettono in piedi.

Ora cavalcano affiancati, a passo d'uomo.

«Se vuoi rimanere con me, dobbiamo dimostrare la tua innocenza.
Perché scommetto che tu mi dirai che sei innocente, non è vero, puttana?».
«Ascolta, stronzo… ne ho combinate parecchie e ne ho ammazzati di luridi bastardi, ma questo non l’ho nemmeno toccato.
Ad Amarillo ero diventata scomoda e la vostra giustizia del cazzo mi ha fatto fuori!
Avevano ragione quegli indiani: il più pulito tra noi ha la rogna…».
«Ora basta con queste cazzate: ingoia la sborra e taci.
Parlerò con il giudice Maddox per mettere tutto a tacere e tu rimarrai con me: i bivacchi nella prateria saranno meno noiosi, quel vecchio cammello di Carson mi ha rotto i coglioni; gli dirò che sei un agente della Pinkerton: vedrai che con gli effeminati di Washington ci arriveremo davvero.
Il resto lo capirà da solo. Anche lui non scherzava un tempo. E pure adesso sarebbe pronto a saltarti addosso: farebbe quasi più danni dell’intera tribù di coyotes.
Quando sarò stanco, vedrai di fare contento anche lui, altrimenti mi romperebbe le palle fino in Alaska.
Ci stai o no?».
«Non mi fa paura niente, lo sai».
«Muy bien, mi dispiacerebbe scaricarti in qualche saloon.
Come vacca non sei tanto male.
Sempre che qualcuno non ti buchi la carcassa: intorno a me le pallottole fischiano spesso».
«Non è detto che qualche volta non bussino al tuo cranio, Aquila di questa fregna…».
«Anda… anda…!», Tex sprona il cavallo, la zoccola è svelta con la lingua, sia col cazzo in bocca che senza.

«Copriti con questo mantello... andiamo a trovare il giudice Maddox», Amarillo è in vista.

«Gli farò togliere la tua bella faccia da questa fogna di posto; se vuole, avrà l'originale per un paio d'ore; altrimenti ci vorrà un esperto per riconoscere la sua, dopo che gli avrò parlato..».

«Fai sempre il gradasso, non è vero?

Con gli indiani, però, abbiamo preso una bella ripassata...».

«Quei bastardi mi hanno preso alla sprovvista, ma con Maddox andrà diversamente. È un figlio di cagna e lo tratterò come tale.

A partire da questo pomeriggio, sarai libera di scorrazzare per tutto il West senza che ti sparino addosso.

Ma ricordati che stai con me».

«È quello che voglio, Tex. Ricordalo anche tu».

Due tirapiedi di Maddox dall’aspetto da becchini, con baffoni e bombetta uguali da sembrar gemelli, li accolgono in città come sapessero del loro arrivo, forse la loro fama li precede, già si dice in giro che Willer voglia prender moglie.
Ed ecco che vengono condotti a un grande edificio ben tenuto, il palazzo del municipio, quartier generale e tempio dell’ordine della città.
Maddox accoglie entrambi: «Parliamoci chiaro, Willer: qui nessuno è innocente, ce ne sono fin troppe di carogne in giro, libere di combinare guai, e poveri cristi che invece vengono impiccati ingiustamente; quindi accoglierò la tua richiesta, ma parliamoci chiaro un'altra volta, figlio di puttana: nessuna mia gentilezza è gratis, questa zoccola ha delle belle tette e io voglio fottermela per bene, prima di lasciarla libera per la contea!».
Tex acconsente, non può fare altro, figuriamoci Pamela, che già sta massaggiando il cazzo al giudice, mentre Il ranger si avvia verso la porta.
«Vai, Tex, fatti un giro, ci basterà una mezz'oretta!», dice Maddox, sghignazzando, mentre infila la lingua in bocca alla protetta di Tex Willer.

Tex si chiude la porta alle spalle, indugia per qualche secondo, poi si mette a guardare dal buco della serratura. Maddox sta limonando Pamela, scavandole nella bocca con la lingua dardeggiante a una velocità disumana, intanto con le mani palleggia quei tettoni scoperti e sobbalzanti. Il ranger non sa resistere, sente scoppiarsi il cazzo nei pantaloni aderenti, libera il suo arnese e comincia a menarselo come un forsennato con la faccia schiacciata in quel buco della porta.
Sta per schizzare contro il mogano pregiato, ma qualcosa non va, il giudice invece di estrarre il proprio di arnese, tira fuori una piccola derringer e tenta di infilarla nella passera della Shoop.

Questa si dimena, scatta con un colpo di reni e il colpo parte.
Tex entra furibondo e col biro ancora dritto come un palo, una goccia di sborra sulla punta pronta a rompere gli argini e strozzata sul finale, incazzato per la sborrata soffocata e arrapato dalla situazione di cornuto per necessità, tira un destro a Maddox dritto sulla mascella e gliela spezza con un crack che sembra vetro frantumato.
«Adesso finisci il lavoro, adultera troia, fammi sborrare, sto esplodendo, ne ho fin nel cervello, basta che me lo frizioni due-tre volte e ti allago le tette, poi scappiamo da questa città del cazzo!».
Pamela esegue, la sega è compiuta, le tette impiastricciate per bene dal seme denso tenuto troppo tempo nei coglioni, poi sorride a Tex, mentre ancora glielo mena dolcemente, tutto appiccicato: «Era veramente piccola la pistola di quel giudice impotente, vero, Tex? Altro che la tua! Senti che cannone fumante!».
Sistemati i due becchini in bombetta con mezza tamburata di revolver, i due montano nuovamente a cavallo e saettano come dei diavoli, lasciando le baracche della città che non aveva risolto affatto il loro problema come avevano creduto.

La loro cavalcata dura poco, perché una volta ripresosi, Maddox - con la mascella frantumata, scrivendo bigliettini pur di farsi capire, e pieno di laudano per calmare il dolore accecante - raduna una Posse di figli di puttana e li lancia all’inseguimento di Tex e Pamela.
Tra i vari cani sciolti spicca una grande zoccola attempata che ne ha viste tante e vuole il cazzo di Tex sul comodino.

Si tratta di Laura Bolson, un'esperta cacciatrice di taglie sempre molto allentata, che arrotonda nei saloon facendo la puttana. Le è arrivato all'orecchio che Willer intende accasarsi, perciò ha un duplice motivo per riempire di piombo la Shoop. Tex dev'essere suo!

In neanche mezza giornata, i cavalli sfiniti dei fuggitivi vengono raggiunti dai professionisti ingaggiati da Maddox. Un certo Cane Pazzo Charlie comincia a sparare fucilate galoppando come un demonio, beccando Pamela dritta al centro della schiena, questa di china sul collo del suo cavallo, e inerte, quasi incosciente, si lascia trasportare alla cieca.
Tex tiene le redini del destriero della Shoop, facendole seguire la sua direzione, le pallottole fischiano dietro di loro inseguendoli inesorabilmente.
«Resisti, siamo in territorio indiano, adesso scoppia un casino!».

«Dannato idiota…», protesta la Shoop, in un sussulto di rabbia, rallentando Tex. «Una pallottola nelle reni… non è… come… prendere… un cazzo in fregna…».
«Non fare storie… avrai un dottore…».
«Me lo sbatto in fregna… il tuo dottore…».
Lo ferita brucia, Pamela si sente un piede (o due) nella fossa, anche una grossa puttana come lei può fare poco in certi casi, il timone della barca va per conto suo e a bordo dilaga il panico.
«Ho investito molto su di te, dannata puttana… tieniti il buco e tiriamo avanti… voglio spremerti fino all’inverosimile, devi essere una vacca indistruttibile e ricoprirmi d’oro! Devi incassare cazzi e piombo senza lamentarti!», chiarito il concetto alla grossa cessa con cui si è messo insieme, Willer sprona il cavallo.
Ma proprio in quel momento
la vecchia troiona che vuole amputare col suo coltello Bowie il pene di Tex, spara in una chiappa del cavallo del ranger.

Ne consegue un capitombolo colossale, i due destrieri si invischiano e cadono rovinosamente in una maestosa nube di polvere.
Presto i fuggitivi vengono raggiunti, sono per terra, inermi, patetici, solo la colt di Tex, stordito, ancora nella fondina, può tentare di difenderli.
I membri della Posse, armati fino ai denti, scendono da cavallo, se la ridono e sono pronti a fare fuoco. Una freccia però trafigge da parte a parte, lateralmente, il collo della vecchia zoccola, uno schizzo di sangue violento vomitato dall’aorta imbratta Tex, che ancora non riesce a capire che cazzo succede.

«T...E...X...!», la Bolson geme disperata, mentre affonda nella polvere, afferrando d'istinto la freccia mortale, nel vano tentativo di opporsi a una squallida fine, non degna di una gran troia come lei.

Mingo in persona interviene per lei, trascinandola di peso dallo stregone, mentre si contrae convulsamente.

«Fai come i fratelli oltre il grande mare, gonfiala di droga e tienila sul filo: la parte migliore deve restare...!», e scoppia a ridere, quasi stupito dall'aver parlato con una certa sagacia.

«Bastardi...!», laShoop si inalbera, stanca di subire: si volta e prende a sparare!

La risposta non si fa attendere: la bionda viene raggiunta da diversi colpi! Tex è attonito! Tutto è avvenuto in pochi attimi, davanti a lui!

Segue una pioggia di frecce, mezza Posse è crivellata, i corpi sembrano enormi puntaspilli.
Poi urla invasate e selvagge, Tomahawk che affondano nei crani. Qualcuno spara, ma è inutile, gli indiani sono ben nascosti e compiono un massacro.
Mentre piovono le frecce, Tex pensa bene di calarsi le braghe e con le chiappe al vento coprire il cadavere di Pamela, vuole scoparsela così, con la bocca tinta di sangue, fredda e pallida come il ghiaccio, che in quel deserto del cazzo non si vede mai. Così glielo infila e bacia con la lingua quella bocca che espettora sangue nella sua. Quando viene, capisce che Pamela non è del tutto morta, nonostante ciò le dà ancora qualche colpo col cazzo impiastricciato di seme.

Forse ha capito che il suo uomo è uno scombinato represso, frustrato e rancoroso, così gioca a a fare la morta ancor più di quanto non lo sia davvero, dopo la fucilata che l'ha raggiunta in pieno. Se a lui piace morta, farà di tutto per accontentarlo, purché ci sia la possibilità di rifarlo.

È staccato da lei da un calcio nel costato che gli frantuma due costole. Rotola nella sabbia con le chiappe nude e il pene al vento, impanandosi di polvere come una cotoletta. È una visione degradante e triste. Un'intera tribù lo attornia e comincia a prenderlo a calci nel pallido deretano scoperto. Pugni, bastonate, persino un paio di frecce nei glutei. Tex striscia umiliato, mentre gli indiani ridono sguaiatamente, sollevando di peso il corpo di Pamela.

Glielo mettono vicino, a portata di lingua.

«Già tutti davano lei come quinto pard della tua banda, cane bianco...

La donna che tu avresti usato per certi lavoretti sporchi...

L'avevi pensata bene: due grosse tette e una gran voglia di fare la zoccola.

Finora sembrava indistruttibile, l'ideale per te, cane addomesticato...

Io presa a tuo amico che vendeva acqua di fuoco. Tu arrabbiato tanto per tuo amico, perché lui dare a te oro di carta.

E adesso... lecca!

Lecca bene! Cane!».

ORO e ZAFFIRI

di Salvatore Conte (2022)

«Le ha provate tutte, prima di arrendersi…».

«Vero, hai ragione.

Una vera puttana ci prova fino all’ultimo: gran peccato».

«È un bel cadavere, non c’è dubbio».
«Quasi-quasi, proverei a rianimarlo».
«Io saprei anche dove.
Ci vuole una scossa molto forte».
«Dici sul serio? Intrigante…».
«Che ci costa provare?
La giovane ricattatrice è fritta. È stata liquidata.
Il resto è affar nostro».
«Sarebbe stupido mollare al suo destino una puttana del genere.
Potrebbe raggiungere un valore incalcolabile».
«Ben detto! Te la immagini nelle nostre mani?
Ma ora facciamo presto...
Questa puttana me lo fa venire duro…».
«Ci credo: era una grandissima zoccola, peccato abbia tirato troppo la corda…».
«Già... ma… dobbiamo fare qualcosa per lei, prima che sia finita sul serio…».
«Ti tira parecchio, vero?».
«Non la vedi? Non si aspettava di crepare…

È rimasta a fissare il cielo della stanza!
Una così poteva valere milioni di dollari, e quelli la fanno ammazzare come una troia qualunque…».
«Già… ma noi siamo gli imbianchini di scena… e noi la portiamo all’obitorio ancora calda... e non ce ne andiamo da lì fino a quando non reagisce, con le buone o con le cattive…».
«Certo! Una così non può essere sotterrata come una qualunque.
Bisogna tentare qualcosa, a qualunque costo, il prima possibile.
Avviso il nostro amico».

Katie Mc Carden, 28 anni, è rimasta a fissare il cielo della stanza con occhi spalancati e sbalorditi.

Non pensava certo che per un innocente ricatto avrebbero tirato il collo a una bella ragazza come lei.

«Oro e zaffiri... devono essere solo nostri!», esclama uno dei soci, a nome di entrambi.

«Anche intontita, le faremo dominare il mondo».

«Presto! È ancora calda, può farcela!».

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Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità.

Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico e narrativo.

Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film.

La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta.

SBATTUTA DI CACCIA

di Davide Giannicolo (2022)

Il signor Sacconi, cacciatore per passione, ogni domenica turba la quiete dei pacifici uccellini del bosco.

E per non farsi mancare niente, si porta appresso la moglie Laura, una vecchia puttana ma dal valore incalcolabile, una vera cinghialona, rara perfino all’Est.

Oltre che a caccia, se la porta in giro - a mo’ di strappona - per mezza Europa, a visitare i più importanti simboli fallici del continente.

È molto orgoglioso di lei, e nessun uomo sano di mente potrebbe dargli torto.
L’obiettivo di Sacconi, oltre a quello di tormentare gli uccellini, è uccidere un grosso cinghiale da offrire alla sua grande puttana, che lo segue da presso con una camicia da uomo sbottonata in maniera aggressiva, fino allo stomaco, allargata dalle pesanti tette; forse per impressionare più dello stesso fucile da caccia, che imbraccia tanto per fare scena.

Sacconi si sente un re e la puttana che gli sta accanto è la sua regina.
Tuttavia, si sa, il leone è il re della savana, quanto il cinghiale lo è del bosco.
Mai dubitare delle cose semplici da capire.
E così, mentre sta per far esplodere con una calibro 12 un uccellino quasi più piccolo della stessa pallottola, un cinghiale gli si para davanti!
«Sono Re Cinghialone.
E tu sei mio, grosso idiota con grande puttana!».
«Ma-ma-ma-ma-ma…», Sacconi ripete tante volte la stessa parolina che sembra avere un attacco epilettico. Le labbra sbattono l’una sull’altra in un infinito loop di “ma”.
«”Ma” un cazzo, grosso coglione. Adesso te lo do io il tuo “ma”».
Incapace di reagire, Sacconi si fa togliere il fucile dal cinghiale.
Anche Laura è impietrita: l’unica cosa che riesce a concepire nella sua fottuta testa da puttana è quella di gonfiarsi la camicia con le sue tette cadenti: in fondo il re può anche cambiare, l’essenziale è che lei rimanga regina.
Perché Cinghialone è sì un cinghiale, ma se ne sta in posizione eretta, è un macho, un duro, assolutamente un fico, ha grossi bicipiti e spalle larghe, e non gli manca niente neppure in basso, anzi è tutto in bella evidenza!
Cinghialone è più aggressivo della stessa Laura, che ha lasciato un paio di bottoni allacciati.
E non solo mostra, ma fa!
Strappato il fucile a Sacconi, lo piega in due come fosse un ramo secco.
«Allora? Cosa volevi fare con questo?».
«Ma che hai fatto? Era miooo!!», protesta Sacconi.
«Niente è tuo nel mio bosco.
Giù la testa, suddito idiota!».
Cinghialone lo sbatte per terra e ci monta sopra.
La bestia è in piedi sulla schiena del cacciatore, che piagnucola come un bambino, a pancia in giù, coi pantaloni calati.
Cinghialone ha le braccia incrociate e un pene enorme che sfiora il naso dell’attonita e imbarazzata (ma segretamente vogliosa) Donna Laura, che molla spontaneamente il fucile e osserva il grosso glande.
«Adesso vi inculo tutti e due!
Così imparate a fare i coglioni con i miei fratellini!».
Cinghialone è di parola, perché sodomizza il cacciatore, che urla e piagnucola, e intanto stringe a sé Laura (piagnucola pure lei, ma è attizzata), che gli striscia sul grugno due enormi tette.
«Facile prendersela con deboli, fragili uccellini, vero?
Vediamo come te la cavi con questo uccellone!».
«No, no, fa malissimo, non lo faccio piùuu…!!», Sacconi protesta vibratamente quanto invano.
Adesso, però, arriva il turno della moglie.
Laura se ne sta a pecorella e sembra che la cosa non le dispiaccia affatto, il cacciatore osserva inorridito, rannicchiato e inerme contro un albero.
«Oh, mio dio, lasciami, oh, madonna, è enorme, è bestiale, mi stai dischiudendo, mi stai… oh, mi stai… bastardo… mi stai dilatando tuttaaaghh…!!».
L’ano di Donna Laura è dilatato, quasi squartato, dal cazzone del cinghiale, lo sfintere sgocciola sangue.
«Ma è bellissimo, è bellissimooo!».
Tuttavia la gran puttana dell’Est si gode i boschi dell’Ovest senza alcun problema.
Finalmente la pace ritorna a regnare.
Da quel giorno il signor Sacconi non ha più disturbato gli uccellini, anzi non ha più nemmeno messo piede nel bosco…
«Oh, sì, che cazzone enorme, che foga, che bestia!
Altro che quel buono a nulla di mio marito!».
Laura cavalca il cinghiale in uno smorza-candela e l’animale le tiene gli zoccoli sui glutei come se fossero mani palpeggianti.
«Oh, sìii!! Te lo spezzooo!».
«Che marito, zoccola?!
Io sono tuo marito, tu sei la regina del bosco venuta dall’Est».
E le schizza in faccia la sua sborra bestiale, rovesciandola all’indietro e annegandola per qualche minuto.
Poi la salva.
«Ti amo, Cinghialone!».
Adesso Cinghialone e Laura sono abbracciati per terra, dietro a tranquilli cespugli; entrambi fumano una sigaretta e sorridono in una classica posizione di rilassamento post sesso.
Da quel giorno Laura passa molto più tempo nel bosco che a casa propria, sebbene Cinghialone direbbe che è proprio il bosco casa sua!

Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui.

Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità.

Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico e narrativo.

Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film.

La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta.

McQ

di Salvatore Conte (2022)

Si consiglia di ascoltare i brani della colonna sonora [Ø]

attraverso "Apri link in un'altra scheda" (tasto destro del mouse),

così da poter leggere contestualmente alla musica.

Il tenente Lou McHugh, detto McQ [Ø], è un detective della polizia di Seattle piuttosto sbrigativo e manesco: per questo il suo capo Ed Kosterman cerca di limitarne l'attività, considerato che i mezzi cui ricorre gli procurano spesso grane con i superiori.
Un esperto impiegato di banca, Stan Boyle, viene ucciso per strada, in un agguato organizzato.

McQ indaga, scavando nella vita del morto.

Ha quindi modo di interrogare la vedova, una bella signorotta di origini libanesi, con un simpatico volto da pacioccona.

Il vecchio Lou la consola fin troppo volentieri. McQ non ama far invecchiare le pallottole nel tamburo. Se non gli capita di spararle addosso a qualcuno in particolare, va al poligono e si sfoga.

Le interviste alla signora Leila Boyle non portano a nulla di utile per le indagini, allora McQ si mette a pedinare il boss locale della droga, Pamela Shoop, un'ex attricetta di Hollywood che si è rifatta una vita nel campo dei narcotici.

Se non coinvolta direttamente, una pescecagna come lei deve pur sapere cosa ribollisca nelle acque della sua città. Lou medita di torchiarla il prima possibile, anche in locale pubblico se necessario, magari quando va alla toilette; vuole riempirla di ceffoni, e smettere solo quando comincerà a parlare; non si farà certo impressionare dal suo bel visino da biondona anni '40...

[Ø] Dopo aver sbattuto per bene la porta, McQ continua a indagare per suo conto, appoggiandosi all'Agenzia di un amico: ha voglia di dare notizie alla vedova libanese.

Per prima cosa, avendo restituito la pistola d'ordinanza, si procura un arsenale da guerra per avere sempre il ferro giusto per ogni intervento.

[Ø] Poi comincia a smuovere gli informatori, pagandoli di tasca propria.

Tra questi c'è una sua vecchia fiamma, una certa Myra, una cameriera non più giovanissima, ma ancora piuttosto in forma e piacente; informatrice, ma anche poligono di tiro alla bisogna.

Stavolta, però, Myra lo accoglie a pesci in faccia; le voci girano e la deriva libanese ha il suo prezzo, non ci sono più donne come Penelope che aspettano tranquille, preparando maglioni; Lou tenta di ingraziarsela offrendole della droga, provento del pestaggio di un piccolo spacciatore, ma senza successo.

Solo quando McQ elogia la sua avvenenza, Myra si ammorbidisce, imponendogli di passare la notte con lei; in cambio, il mattino seguente, promette di rivelargli quanto sa.

Lou si sacrifica per la causa e al mattino riceve una preziosa informazione, intorno alla quale si mette subito a lavorare.

La Shoop ha fatto il nido nella stessa banca dove lavorava lo sfortunato impiegato, morto ammazzato per strada.

[Ø] In piena notte Lou viene a sapere che Myra è ricoverata in fin di vita all'ospedale. Raggiunta quasi a bruciapelo da tre colpi mortali, non si salverà, la sentenza è chiara.

È riuscita a chiamare aiuto, ma non le servirà a molto. È stata sorpresa a casa sua, lei stessa ha aperto la porta all'assassino.
Imbufalito, McQ cerca di raggiungere in tempo l'ospedale, ma subisce anche lui un micidiale attentato.

Schivata per un pelo la minaccia, Lou ci ripensa ed evita di passare per l'ospedale: sa che Myra - per la paura di morire - è ancora viva, ma non vuole né illuderla, né lusingarla, non gli va che gli crepi in faccia, ci proverebbe gusto.

McQ sa che la fatale notizia può raggiungerlo da un momento all'altro, ma ha mandato soldi al medico di turno per farle dare ossigeno e sangue a volontà, e intanto cerca di pensare ad altro, dandosi da fare alla sua maniera: Lou va dritto al punto come una pallottola, ovvero si spara dalla biondona.
[Ø] «Cos’è questa storia degli scritturali, signora Shoop?».
«Perché dovrei spiegarlo a un vecchio bufalo come te?».
«Perché altrimenti ti ispeziono il cervello con una calibro 45 magnum».
«Sei sempre il solito, McQ. Fai il duro, ma non spareresti mai a una donna come me.

Gli uomini come te sono finiti.
Prima mi sbattevo per racimolare qualche milione di dollari sporchi, che poi dovevo anche ripulire.
Ma per fortuna quel genio del Governatore ha messo un tetto da 100 dollari sugli acquisti in contante, con il risultato che i dollari sono praticamente spariti dalla circolazione!
Sono più difficili da trovare dello zucchero di Colombia, Cristo!
Così il mio business è entrato in crisi, ai miei clienti piaceva pagare in contanti, senza limiti.
Allora mi sono chiesta come facessero le grandi industrie ad acquistare le materie prime».
«Sei veramente la classica bionda senza cervello, se pensavi che lo facessero con mazzetti di dollari...».
«Taci, vecchio bufalo.
Lo vuoi sapere come fanno?
Vanno in banca, l’impiegato scrive “$10.000.000” su un nuovo tipo di video-calcolatore chiamato “Doors”, e infatti si aprono tutte le porte…
Niente valigette, vecchio bufalo, solo una buona scrittura di banca.

Tutto in regola, tutto perfettamente legale.
Ecco come si fanno i soldi…».
«E quell’impiegato... come c'è finito in mezzo?».
«Non aveva una buona scrittura, McQ».
«E Myra? Quella povera cameriera?».

«A chi vuoi darla a bere, McQ?

Una lurida bagascia drogata... ecco chi era la povera Myra...
Qualcuno le ha fatto una lavanda gastrica col piombo, perché era lercia, e parlava troppo».
«Potevi finirla, almeno».
«Non so chi sia stato di preciso, ma penso sia più gustoso saperla in ospedale, con lo stomaco scoppiato e nessuno che si prenda il rischio di operarla...
Potrebbe essere già morta, mentre ne parliamo».
«Non credo... ti avrebbero già informato: la sua fine è sulla bocca di tutti».

«La vecchia lenza tieni appesi tutti i pesciolini, ma quello grosso le è scappato per sempre...

Non è lì a compatirla, mentre crepa...».

«I finali scontati mi annoiano.

Mi eccita invece questa strana storia degli scritturali...».

«Non c'è molto da aggiungere, vecchio bufalo.
La tua pistola non conta più niente. Solo gli scritturali contano.

E ti regalo anche una soffiata, McQ: la tua pollastra, la libanese, non è quello stinco di santa che credi.

È una molto ingorda, ma più furba di Myra.

Pensaci...».

«Una pistola conta sempre, signora Shoop. Il piombo scritturale non l'hanno ancora inventato...

Ti conviene rigare dritto, bionda, fino a quando non mi sarà tutto chiaro».

«Beh, allora comincia dalla cicciotella del Libano... se la spremi per bene, come sai fare tu... vedrai quante cose ti racconterà...».

«Prima vado a dare un'occhiata a Myra, se non ti dispiace».

«Ti conviene cercarla all'obitorio, se vuoi guadagnare tempo...».

«Sgualdrina... se scopro che sei stata tu...».

«E perché dovrei sporcarmi le mani con quella bagascia?
Te l’ho detto, sono pulita, sono nel giro buono adesso; cederò presto i rami d’azienda ormai secchi…».
«Se m’hai raccontato fregnacce, da bionda ti faccio diventare bruna di lividi per tutto il corpo…».
«Te l’ho detto, bestione: sei superato».
«Sì, può darsi: c’è sicuramente qualcosa che va oltre tutto, ma per me la velocità giusta è quella di una calibro 45 in uscita dalla canna».
La saluta con due dita sovrapposte e va a vedere se ha ragione.
La libanese gli piace da morire, McQ vuole sapere tutto.
Decide così di portarla a fare un giro.
[Ø] Lungo la strada, però, c’è chi vuole liberarsi di entrambi.

McQ si ritrova inseguito da due auto sul bagnasciuga di Seattle: una zona normalmente tranquilla in questa stagione, ma di certo non oggi.
«Allora, bella: vuoi dirmi chi sono questi scalmanati che vogliono farci la pelle?».
Quando una pallottola manda in frantumi il lunotto, la libanese capisce che il tempo è poco.
«Ascolta, Lou… tu mi piaci… per me vai benissimo… ma ho bisogno di soldi…
Stan ha provato a spremere quella zoccola bionda, io ero pronta e entrare prima di lei, ma lei c’ha scavalcato.
È arrivata ai piani alti della banca, è entrata nel giro degli scritturali».
«Dannazione… di che colore sono questi scritturali?».
«Nessuno: inodori e incolori…».
«A me piacciono le cose che puoi toccare… come le pallottole… i dollari… e queste…», le palpeggia il seno come fosse roba sua, ormai.
«Sarò tua, Lou, ma prima dobbiamo sistemare questa faccenda.
Entrare anche noi nel giro degli scritturali!».
«Credo non sia roba per me…
Ma se è per farti contenta, allora…».
«Su una cosa hai ragione, Lou: in certi casi bisogna essere tangibili…».
E gli porta via la mitraglietta senza licenza, impugnandola con grande disinvoltura.
Evidentemente in Libano aveva fatto esperienza sul campo.
Del resto, la stazza per tenerla salda non le manca di certo.
Quando un’auto li affianca, è lei che spara a raffica!
Il favore è presto ricambiato.
Una raffica raggiunge e attraversa la portiera anteriore destra; quella di Leila!
La libanese, girata sul fianco per sparare ancora, incassa diversi colpi e si affloscia fuori dal finestrino come un panno steso dal balcone.
McQ si incazza a bestia e va in testacoda per arrivare subito alla resa dei conti.
Lo scontro è ormai quasi ravvicinato.
[Ø] Leila - sempre stesa dal finestrino - non dà segni di vita.
I sicari hanno ormai in pugno il vecchio bufalo.
Ma quando tutto sembra perduto, la libanese ha un sussulto, apre lo sportello di peso e scivola fuori, sparando all’impazzata con la mitraglietta in dotazione, come fosse un esercito intero, e risolve la situazione a favore di Lou.
Poi, dopo aver sputato un grosso grumo di sangue, si lascia andare sul bagnasciuga, dove la risacca la raggiunge, e così rimane, in una scomoda posizione, a fissare il cielo, piena di buchi.
McQ è subito su di lei.
«Hai fatto un ottimo lavoro, pupa.
Hai fottuto tutti, anche te stessa...».
«L-O-U…», mentre McQ guarda lontano, dall’altra parte dell’oceano, sente fare il suo nome dalla bella troia spiaggiata.
Si gira, ma è sempre lì, che affonda lentamente nella sabbia scavata dalla risacca.

EL MUERTO E LE SUE CESSE

di Sergio Bonelli e Salvatore Conte (1976-2023)

       

«Questo cazzo di El Muerto proprio non me lo ricordo…».
«Sicuramente è qualcuno a cui hai pestato i piedi, nella tua lunga carriera di rompicoglioni».
«Questo è ovvio, ma sono talmente tanti che El Muerto non me lo ricordo…».
Tex si arrovella inutilmente (la mente), prima di tastare le zinne alla moglie.

È soddisfatto di questa grossa cessa che si è messo accanto.
Non è stato facile farla digerire ai suoi navajos, al figlio, e a tanti altri, ma finora ne è valsa la pena. Solo il vecchio cammello non ha avuto niente da ridire.
L’ha conosciuta durante una torbida inchiesta nella città di San Francisco, una poco di buono con il vizio dell’alcol, un mignottone sfondato, ma è riuscito a tenerla pulita e se l’è sposata.

E se la porta sempre appresso.

Le grosse zinne e la ciccia scoppiata lo ispirano.
Quel camicione da puttana, giallo-tabacco, vellutato, sbottonato a cuneo, che portava a Frisco, gli è rimasto impresso nella mente, ed è così che se la porta appresso.
«E poi vorrei tanto sapere chi sono quelle cesse messe insieme da questo fantomatico El Muerto…».

«Già... si fa presto a immaginare quattro comuni banditi, ma stavolta hai delle cagne balorde sulla tua strada…

E tu le riempierai di piombo, con ancora più gusto, scommetto... caro…».
«Non hai paura che El Muerto possa arrivare anche a te, dopo aver quasi ammazzato i nostri pard, Tiger e Kit?».

«Nessuno può toccarmi da quando sono tua moglie, e poi ormai El Muerto ha scoperto il suo gioco: ha avuto la tua attenzione e ha lanciato la sua sfida.
Sta a te decidere, adesso».

«A me interessi solo tu, non certo El Muerto…», se la strofina addosso, in tutta la sua pesante ciccia.
«Piano… mi fai male… a volte ti comporti come un vaccaro…».

«Scommetto che non facevi tante storie, giù nei bassifondi di Frisco…».
«Stronzo…».
«Ho un’idea, Lauren…
Allaccia il cinturone e alza il culo.

Voglio prendere di sorpresa El Muerto e le sue cesse.
Arriveremo prima di loro a Pueblo Feliz, tagliando per gli Echo Cliffs.
Butterai giù un po’ di pancia, tesoro.
Ma spero non troppa…».

Giunto a Sunsetville, Tex fa baldoria con Lauren.

Non è mai sazio di lei e si compiace spesso di aver fatto un grosso colpo, giù a Frisco.

Sicuro di aver anticipato la banda di El Muerto, il ranger sfoga sulla moglie la sua ambizione repressa.

«Ma dove ti sei nascosta, tutto questo tempo, Lauren?».

A suo modo se la coccola, sa che una cessa del genere non è facile da ritrovare.

I due pard arrivano finalmente a Pueblo Feliz, la resa dei conti si avvicina.

Si tratta di una tipica ghost-town, completamente in rovina.

Tex vi era già stato in compagnia di Tiger.

Un cavallo, legato al palo di un diroccato saloon, mette in allarme il ranger, ma ne viene fuori soltanto un ex minatore del tutto scombinato.

Il cavallo, però, sembra appartenere proprio a El Muerto.

LA DONNA DELLE PULIZIE

di Salvatore Conte (2023)

Congo, data imprecisata.
«Jack, c’è la donna delle pulizie».

«Falla entrare».
«Altro che pulizie, io quella me la farei».
«A chi lo dici…».
«Calma ragazzi, è solo una vecchia cessa, vi ha ridotto così male la giungla?
Forza, Bill, sta a te parlare».
«Io sono al verde, non posso avere un anticipo sulla prossima paga?».
«Lo sai che non si potrebbe fare…».
«Dave l’ha avuto, però…».
«Al diavolo, stare a guardia della cassa dovrà pure servire a qualcosa, no?
Ma quando hai perso tutto, te ne vai a dormire in branda, okay?».
È una giornata come tante altre nella miniera di litio. Almeno così sembra.

Perché questa prende una piega diversa, da un certo momento in poi.
Un gruppo di ribelli attacca l’insediamento.
La compagnia ha tagliato il personale della sicurezza, ultimamente, e pochi mercenari non possono tenere testa a quasi 50 miliziani bene armati.
Sbucano da tutte le parti, conoscono il territorio, sparano e uccidono.
Buona parte di loro sono stati licenziati nei mesi precedenti per scarso rendimento. Aspettavano l’occasione propizia per vendicarsi. E questa è arrivata.
Jack e compagni hanno giocato il loro ultimo poker: con la morte puoi vincere qualche mano, ma l’ultima è sempre la sua.
La donna delle pulizie si è rannicchiata dietro la grossa cassaforte blindata, ed è rimasta illesa.
Nell’insediamento si è scatenato l’inferno.
Anna Frezzante è una grossa cessa con poca fortuna. A 50 anni si è ridotta a fare la donna delle pulizie, dopo che l’azienda del padre è fallita per debiti. Abile nello sbottonarsi i camicioni, non è però mai riuscita a spremere l’uomo giusto.
Oggi, tuttavia, la fortuna la risarcisce con gli interessi. Almeno così sembra.
Non solo è rimasta illesa, ma si accorge ben presto che la cassaforte è rimasta aperta, dopo che il mercenario aveva prelevato una piccolo somma in favore del compagno.
La tentazione è forte e d’altra parte, se anche non l’ammazzassero, se la sbatterebbero a turno.
Anna mette tutto in una borsa, sono milioni di dollari, non solo le misere paghe degli operai, ma anche gli incassi delle aste di materia prima che si tengono sul posto.
Prende anche un paio di pistole ed esce dal retro, conosce bene l’uscita secondaria, le donne delle pulizie hanno i loro indubbi vantaggi.
Ma fuori da lì i suoi vantaggi finiscono: è solo una grossa cessa nella giungla.
La fortuna, però, ha deciso di non abbandonarla, perché Anna riesce ad allontanarsi dal compound, protetta dalla fitta vegetazione.
Dietro di lei gli spari si diradano, fino a lasciare spazio a sfrenate urla di trionfo.
È stata intelligente a richiudere la cassaforte, perché i ribelli ci metteranno parecchio ad aprirla e intanto saranno convinti di aver messo le mani sul malloppo della compagnia.
La Frezzante ha preso i soldi e le pistole, ma non ha con sé un goccio d’acqua e la sua corsa disperata le ha messo una sete del diavolo.
Le zinne pulsano sudate sotto il camicione allentato.
La donna si spreme le meningi e si rende conto di non essere lontana da un piccolo villaggio indigeno, dove una volta conobbe un vecchio saggio, prodigo di sguardi nei confronti della sua profonda scollatura.
Lo raggiunge e gli spiega tutto, non può pensare di passare inosservata.
Il vecchio la nasconderà nella sua barca da pesca e si allontaneranno subito.
La compagnia, incassato il duro colpo, fa arrivare sul posto decine di uomini: la cassaforte è sparita, portava via dai ribelli.
Si scanneranno tra loro, mentre la grossa cessa cavalca il fiume in compagnia di un vecchio.

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