La Mummia colpisce ancora un po'
La mazoniana dai capelli corti
di Emiliano Caponi e Salvatore Conte (2012-2019)
II. TRA DI NOI NON FINISCE MAI
INCONTRO SBOTTONATO
L'orologio digitale lampeggia verde sulle 14.54, sono in macchina con il muso puntato verso lo stabilimento già da mezz'ora, non mi piacciono le sorprese e a certi incontri voglio arrivare per primo.
Una Bmw nera sale dal fondo del viale deserto e si ferma 10 metri di fronte a me.
Un paio di colpi di abbaglianti mi confermano che la macchina è quella giusta.
L'auto riparte subito e una mano si sporge dal finestrino anteriore, lato passeggero, facendomi segno di seguirli e a me non resta che accendere il motore e buttare la sigaretta, per oggi ho fumato anche troppo.
Si dirige verso una stradina sabbiosa che aggira lo stabilimento e si ferma sulla spiaggia.
DIVIETO DI BALNEAZIONE: un grande cartello di legno è l'unica presenza tangibile sullo sfondo del mare, il resto della scena se lo prende tutto la vecchia struttura arrugginita e dismessa da anni.
Siamo allo stabilimento fantasma, fino ad oggi non c'ero mai stato, ma d'altra parte è noto per essere un posto dove s'incontrano spacciatori e trafficanti di droga, e io non lavoro con la roba.
Si aprono tre portiere, le due davanti e una dietro; m'infilo la pistola nella cintura dietro la schiena e scendo anch'io.
Davanti a me tre persone, due uomini e una donna, e la donna è lei, Anna Franzone, detta la Cessa, com'è soprannominata nell'ambiente della camorra, forse per i suoi camicioni sempre sbottonati, che insieme ai 100 chili di peso e al corpo sfatto, fanno pulsare le tempie degli uomini (e non solo) come nel momento fatidico.
È un personaggio da noir decadente, anche vestita di rosa.
Ero poco più che ventenne quando la conobbi e lei aveva il doppio dei miei anni, e da ladro di autoradio mi introdusse passo dopo passo nell'ambiente della camorra, fino a quando non diventai il camorrista rispettato e temuto che sono oggi.
Anna è stata la mia madrina.
Oltre alla mia donna, avendomi fatto fare la mia prima vera scopata: a quei tempi era bella, prosperosa e piena di uomini, nessuno poteva resisterle e io non facevo eccezione.
Poi cominciò a mettere su chili, uno dopo l'altro, e il suo corpo cominciò a farsi flaccido e grasso, il bel seno iniziò a ciondolarle sempre più in basso e il soprannome presto la ribattezzò, facendola diventare quella che è adesso: Anna, la Cessa.
È davanti a me con addosso solamente un camicione rosa: i bottoni grigi, sbottonati fino allo stomaco, lasciano intravedere tutta la decadenza del suo fisico, con il seno a ciondolarle libero verso l'ombelico, senza un'ombra di reggipetto.
A 60 anni il tuo soprannome te lo meriti tutto, Anna.
E sei anche trascurata, vecchia mia, con capelli grigi da donna anziana e occhiali da tardona; pure se - lo ammetto - niente ti sta troppo male addosso...
Non sei ancora finita, Cristo!
TRA DI NOI NON FINISCE MAI
L'uomo accanto a lei è Sal, un piccolo magnaccia romano, soprannominato Trilussa per la sua passione di scrivere poesie, mentre il terzo uomo è un tipo alto e allampanato sicuramente al soldo di uno dei due.
«Ciao, Emiliano», la Cessa come sempre prende subito la scena.
«Ciao, Anna.
Non mi avevi detto che ti saresti portata compagnia».
«Preferivi forse avere Anna tutta per te?», Sal risponde al posto suo mettendosi le mani sui fianchi in modo che la giacca si allarghi quel tanto che basta per lasciarmi vedere la sua pistola.
«Non sono un tipo geloso.
Ma non mi aspettavo di vedere anche la tua brutta faccia», e faccio due passi in diagonale mettendomi di profilo in modo che anche lui veda la mia pistola.
«State calmi!», interviene Anna, mettendosi ingombrantemente fra noi. «Sal è qui perché in questo affare è mio socio.
Il colpo l'abbiamo fatto insieme».
Con quella camicetta sempre sbottonata, le tette mosce che ci ballano dentro e il grasso della pancia che si agita... la Franzone sembra una marziana...
«E magari è venuto perché di me non si fida, vero, Sal...?», lo guardo sorridendo.
«Non mi fido mai dei froci figli di puttana», risponde di getto ricambiando lo sguardo ma non il sorriso, forse perché mi sono portato a letto la Cessa quando ancora non era una cessa.
«Il solito malfidato, Sal... non ti fidi proprio di nessuno, eh...?».
«Va all'inferno, finocchio!», e sputa in terra saliva e rabbia, scommetto che non è riuscito a scoparsela neanche adesso che è la Cessa.
«Basta così!
Mirko prendi la valigetta», Anna ha già perso la pazienza e il tipo allampanato esegue, prendendola e mettendola sul cofano. «È un milione», la apre... e considerato il numero di mazzetti da 100 euro pare ci sia veramente tutto. «Come ti ho detto... se fai un buon lavoro, un bel po' di questi bigliettoni rimarranno tuoi».
«E ti fidi, Anna?», la guardo e aspetto una risposta che già conosco.
«Certo che no», richiude la valigetta. «Sal starà con te fino a quando non avrai pulito anche l'ultima banconota».
«Capito, frocio figlio di puttana?», gonfia il petto, orgoglioso del proprio ruolo.
«Non credo che mi piacerà averlo accanto per qualche giorno».
«Te lo farai piacere», Anna mi fissa seria, lasciando intendere che non c'è un'alternativa a Sal. «Prendere o lasciare».
Prendo... in fondo per 200.000 euro posso sopportare anche Sal e la sua brutta ombra; pur di soddisfarla ancora...
IL QUARTO INCOMODO
L'affare è fatto e Sal sembra l'unico inconveniente, ma una violenta sgommata alza un nuvolone di polvere sabbiosa e un Porsche Cayenne argentato si ferma a qualche metro da noi.
Si abbassa elettricamente il vetro oscurato del finestrino posteriore.
«Proprio una bella riunione di famiglia...», capisco subito che avrei presto rimpianto la forzata compagnia di Sal. «E neanche sono stato invitato: non ci si comporta così...».
«Cazzo! Mike?!», anche Anna capisce immediatamente che è arrivato un grosso, inaspettato problema.
«Cosa diavolo ci fa qui, Anna?!», Sal pretende subito una risposta.
«Non lo so, maledizione! Non lo so!».
Guarda me, ma allargando le braccia le faccio capire che io ne so meno di loro.
Mike Saviano: uno dei tre capi camorristi più potenti e spietati fra quelli ancora in circolazione, e purtroppo per me, Anna e Sal, ha almeno un grosso motivo per ognuno di noi per mandarci al creatore.
Metto la mano sulla pistola mentre vedo che si abbassa anche il finestrino anteriore lato passeggero.
«Salutatemi l'inferno!», Saviano emette la sua condanna a morte.
RAT-RAT-RAT
Parte la prima raffica di mitra e riesco a buttarmi a terra scansando le pallottole per una questione di centimetri.
«Ahhh...!», Mirko non è stato così svelto e si piega in due crivellato di colpi.
«Maledetti bastardi...», Sal è stato più rapido, ma non abbastanza per evitarsi una pallottola nella gamba, mentre Anna nonostante la pesantezza dei suoi 100 chili e l'ingombro del suo seno ciondolante è riuscita con agilità inaspettata a buttarsi dietro la Bmw.
BANG
BANG
Sparo alla testa e il mitra fa partire raffiche all'impazzata in aria: il primo uomo di Saviano è andato.
«Bravo frocio!», Sal, con la pistola in pugno, per la prima volta sta dalla mia parte...
«Maledetti cani!
Falli fuori, Gennaro!», Saviano bestemmia e ordina al suo secondo uomo di fare quello che l'altro, appoggiato con la testa fuori dal finestrino, non può più eseguire.
Gennaro scende dal suo lato e obbedisce scaricando una raffica di mitra.
RAT-RAT-RAT
Ma le pallottole finiscono tutte nella sabbia, riuscendo solamente ad alzare piccoli sbuffi polverosi.
«Pronto, Sal?», nel frattempo sono riuscito a ripararmi dietro la mia auto dove si è già trascinato Sal.
«Pronto, finocchio!».
«Allora al tre...
1...
2...
3...!».
BANG
BANG
BANG
Spariamo insieme, qualche colpo buca la carrozzeria argentata, ma almeno tre bucano la pancia di Gennaro, che con un rantolo finisce con la faccia sul cofano: morto.
«Gennaro!», Saviano si accorge che adesso nessuno può più uccidere per lui e pistola in pugno esce dall'auto costretto a risolvere la faccenda in prima persona. «Andate all'inferno, bastardi», spara rabbioso tutto il caricatore verso di noi, ma da sempre la rabbia non va d'accordo con la precisione.
Click!Click!
I colpi finiscono prima se sono sparati alla cieca.
BANG
BANG
A me invece ne sono rimasti ancora due.
BANG
BANG
BANG
E a Sal tre.
«Ahhh...», Saviano, ingordo, se li prende tutti: due alle gambe, due in pancia, uno alla spalla, e cade pesante sulla sabbia, che ne attutisce inutilmente l'impatto.
«Bel lavoro.
Li abbiamo spediti tutti all'inferno quei maledetti porci... uhhh...», Sal prova ad alzarsi, ma la pallottola nella gamba si fa sentire.
«Quel bastardo di Saviano ci ha teso un'imboscata», Anna si tira su a fatica aggrappandosi alla carrozzeria della Bmw, che l'ha ben riparata: come al solito ha pensato soltanto a salvarsi la pelle, mentre noi ce la giocavamo a dadi.
«Qualcuno gli ha passato la soffiata del nostro incontro e lui non voleva lasciarsi scappare l'occasione di farci fuori tutti e tre in un colpo solo.
E di prendersi anche la taglia da un milione...
Ma stavolta ha fatto male i suoi conti», guardo il suo corpo rannicchiato e crivellato di pallottole.
«Maledetto bastardo!», Sal gli sputa contro quello che gli resta della saliva.
«Penso sia il caso di andarsene alla svelta da qui», Anna prende la valigetta e la posa sul sedile posteriore. «Ce la fai, Sal?», gli indica la gamba.
«Ce la faccio», e zoppicando si trascina fino a mettersi seduto accanto alla valigetta.
«E tu, Emiliano?», mi guarda da Cessa, l'ennesimo bottone grigio si è sganciato e il camicione rosa è del tutto aperto sul suo seno sempre più ciondolante.
«Credo che dovrete darmi un passaggio.
La mia macchina è andata», e le indico il filo di benzina che cola dalla carrozzeria bucherellata e le due gomme sgonfiate dalle pallottole.
«Mettiti accanto a me», apre la portiera e si mette al posto di guida.
«Vedo che viene anche il frocio», la ferita non fa perdere a Sal le buone maniere nei miei confronti.
«Se dovremo sopportarci per qualche giorno è bene farci subito l'abitudine», lo guardo dallo specchietto. «E stringi bene il fazzoletto alla gamba se non vuoi morire dissanguato».
«Va' all'inferno!».
Anna mette in moto, ma qualcuno non è d'accordo che noi si vada via così presto.
BANG
BANG
Saviano, prima di crepare e finire eternamente con la faccia affossata nella sabbia, ha trovato la forza per sparare due colpi bucando la carrozzeria della Bmw. Quel bastardo nascondeva un’altra pistola.
«Maledetto...», Anna fa una smorfia e scavando la sabbia con le gomme fa un semicerchio e riporta l'auto in direzione del mare.
Ingrana la marcia e riparte, lasciando la frizione di scatto.
«Ma cosa fai, Anna?!», punta diritta in direzione del corpo di Saviano.
Accelera e passa sopra il vecchio boss ormai già morto.
«All'inferno, bastardo...», lo sguardo di Anna è una mescola di sadismo e rabbia, e sento distintamente il rumore delle ossa che si spezzano sotto le ruote dell'auto.
«Perché, Anna?
Saviano era già morto!».
Ma non mi risponde ed esce dal breve sentiero sterrato andando a strattoni per poi accelerare e imboccare a tutta velocità la litoranea.
CESSAZIONE
«Cazzo, Anna...», il tachimetro segna 100 chilometri come i suoi chilogrammi e le gomme stridono dolorosamente a ogni curva.
«Rallenta, Anna... mi fa male la gamba!», Sal si lamenta da dietro aggrappandosi ai sedili.
«Rallenta! Non ci sta inseguendo nessuno, per diavolo!», la guardo, ma sembra non mi senta, e tenendo entrambe le mani strette al volante, continua a guidare con gli occhi fissi sul parabrezza.
Percorriamo ancora poco più di un chilometro e all'improvviso, finalmente rallenta e accosta sulla destra, parcheggiando in una piazzola sterrata.
«Uhhh...», Anna si china sul volante fino a toccarlo con la fronte, mentre il seno le ciondola fuori dal camicione, appoggiandosi floscio sulle ginocchia.
«Quel bastardo... m'ha beccato in pieno...».
«Anna... cosa c'è?», la prendo e la tiro su, rimettendola con la schiena contro il sedile.
«Mi sono beccata... due pallottole in pancia... uhhh...», abbasso lo sguardo e solamente adesso mi rendo conto che Saviano, oltre alla carrozzeria, ha bucato anche lei.
Ecco perché ha travolto un corpo già morto, la morte non era abbastanza per chi aveva commesso l'affronto di spararle...
«Che cazzo sta succedendo?», Sal mette la testa fra i due sedili.
«Si è presa un paio di pallottole», gli faccio cenno con la testa, indicando la Cessa.
«Fanno un male cane... ohhh...», le sposto le mani, le ferite sono brutte, e lei sente dolore fin sul fianco opposto: le pallottole si sono fatte tutte le budella, da una parte all'altra.
«Ti portiamo da un dottore... te la caverai...», provo a rassicurarla, asciugandole il sudore con un fazzoletto.
«Bisogna andare via da qui, fra un po' sarà pieno di poliziotti», Sal se ne frega di Anna e pensa solo a salvarsi il culo.
«Vieni, Anna... guido io e ti porto da un dottore...», mi scambio di posto con lei, senza scendere dall'auto.
«Uhhh... fai piano...», lo scambio è doloroso, le pallottole le bruciano la carne, nel profondo delle budella.
«Così...», la sistemo, ma lei rimane distesa di fianco con la tempia poggiata a metà sedile e le mani sempre a stringere ansiose la panza da cessa.
«Fa' presto... sto morendo... m'ha sfondato... ohhh...», Anna è lucida e cruda anche con sé stessa.
Parto con una sgommata, i granelli nella clessidra scorrono più veloci quando le pallottole sono cattive e profonde, il tempo è poco, ammesso ve ne sia ancora.
Anna si lamenta mentre spingo sull'acceleratore, la mia intenzione è di arrivare all'ospedale e lasciarla all'ingresso, ma guardandola mi viene sempre più paura che la nostra sia una corsa contro un muro.
«Uhhh... fermati Emiliano... mi sento morire...», sempre appoggiata di fianco sul sedile nella posizione in cui si è piazzata, stacca una mano dalla pancia e l'allunga all'indietro cercando le mie. «Fermati... non voglio... crepare così... ohhh…», si riporta subito la mano sull'addome scavato dalle pallottole, illudendosi di tamponare, oltre al dolore, anche la morte.
«Va bene, Anna», l'accontento, so che ha ragione.
L'ULTIMA FREGATURA
Un centinaio di metri più avanti c'è una strada sterrata che porta nei campi, la prendo e mi fermo in uno spiazzo d'erba, all'ombra di un albero.
«Maledetta pallottola…», Sal è il primo a scendere e trascinando la gamba apre la portiera contro la quale è appoggiata la Cessa, che per poco non si rovescia a terra.
«È finita, Anna...», la guarda quasi compiaciuto, è arrivato il momento di vendicarsi, dopo decenni di respingimenti.
«Va' all'inferno... Sal… uhhh...», la vecchia tigre tira fuori gli artigli, tentando di ruggire ancora.
«Stavolta ho paura che mi precederai», e il godimento di vederla morire gli fa dimenticare anche il dolore della propria ferita.
«Anna...», sono rimasto seduto al mio posto e le tiro via i capelli che le si appiccano al viso sudato. «Fai vedere... forse puoi ancora cavartela…», provo a metterla seduta con la schiena appoggiata al sedile.
«Uhhh... no... lasciami stare... non muovermi...», mi scaccia le mani. «Mi brucia troppo... la pancia... non mi spostare... ohhh...», anche un piccolo movimento da un centimetro sembra ucciderla.
Click!
«Dura a morire come sei potresti anche metterci delle ore prima di andare all'inferno», Sal le punta la pistola contro. «E io non ho tutto questo tempo.
Non voglio farmi beccare dalla polizia per aver aspettato che la Cessa crepasse con comodo».
«Metti giù la pistola, Sal!», gli rivolgo il palmo aperto della mano per tentare di dissuaderlo.
«Stai zitto, frocio!
O pianto anche a te una pallottola in testa!».
BANG
Il rumore dello sparo fa scappare un gruppo di uccelli che aveva trovato riparo fra i rami dell'albero.
Vedo una macchia rossa allargarsi sempre di più sulla sua fronte, mentre un accenno di sorriso già morto gli increspa la bocca e gli dà un'aria ironica che da vivo non ha mai avuto.
Cade in avanti come un burattino dai fili staccati e dopo essere rimbalzato sulla carrozzeria finisce di schiena sul prato, con gli occhi aperti a fissare l'oscurità eterna senza ritorno.
«Ti sbagliavi...
All'inferno... mi hai preceduto tu...», Anna ha in mano una pistola con la canna arroventata.
Sul sedile, nascosta sotto le sue tette a penzoloni, teneva la sua borsetta con dentro il suo inseparabile giocattolo.
Con Anna per Sal va sempre a finire così; ma stavolta può consolarsi: questa è sicuramente l'ultima volta che è rimasto fregato.
ALTARE DI SANGUE
Scendo e faccio il giro della macchina, mettendomi accucciato all'interno della portiera aperta.
«L'hai fregato un'altra volta il povero Sal...», e mi viene da ridere, pensando che è riuscita ad ammazzarlo da morta.
«Tirami su...», ha cambiato idea. «Piano... ohhh...», la prendo e la sento quasi leggera, forse gli artigli della morte mi stanno aiutando, tirandola su insieme a me.
Il camicione è completamente aperto, la carne le esce abbondante da tutte le parti, sovrapponendosi sui fianchi in doppi strati, e il seno le ciondola fin quasi a coprirle i due buchi lasciati dalle pallottole di Saviano.
«Dammi l'estrema... congiunzione... Emiliano...», mi guarda da bagascia. «Scopami... per l'ultima volta...».
«Ma... Anna...», la proposta mi coglie di sorpresa.
«Non c'è tempo per i ma... uhhh...», una fitta le fa tirare indietro la testa. «Sto morendo... scopami adesso...», e con la mano va a cercarmi in mezzo ai pantaloni.
Maledetta Anna, mi fai eccitare anche ridotta così...
«Oggi... volevo... sposarti... Emiliano...
Ma... il rosso... ha rovinato... il vestito rosa...», mi mostra la mano intrisa di sangue. «Io... sono... vecchia... per te...?».
«Tu non sei vecchia per nessuno, Anna», un po' di galanteria non guasta, tanto più che non ha molto tempo per godersela.
«Ma... le pallottole... bruciano...».
Lo sa anche lei.
Distolgo lo sguardo, non mi sento di compatirla.
Ne ha fatti fuori parecchi, prima o poi doveva toccare a lei.
È durata anche troppo in un ambiente del genere: da tempo mi aspettavo di leggere i particolari della sua morte su un articolo di cronaca.
Mi metto sopra di lei, inclinando il sedile all'indietro, per riuscire a stare nell'abitacolo.
Avrai l'estrema congiunzione che cerchi, Anna. E ti smacchierò il vestito...
«Ohhh... sì... così...», la Cessa ha ancora la forza per muoversi sotto e contro di me, ma ogni battito d'ali può essere il suo ultimo svolazzo. «Sì... godo... è incredibile… godo… ohhh...», la vecchia Anna vuole arrivare prima della morte e si lecca le labbra assaporando insieme godimento e sangue.
Ce l’ha fatta, è arrivata prima, ma ora sembra aver perso anche le ultime forze.
La benzina finisce prima se si va veloci.
Addio, Cessa, hai avuto ciò che mi hai chiesto.
E le fisso, con un po’ di nostalgia, le tette sfiancate, ormai appese al chiodo.
CESSAZIONE COMPLETA
«È stato bello... Emiliano...», mi fissa in un attimo che pare infinito.
Ho avuto paura fosse l'ultimo, ma le tette della Cessa sembrano ciondolare ancora un po’.
«Anche per me».
Mi stacco da lei e le riporto la mano sulla pancia, lasciandola a gambe divaricate: la posizione giusta per una cessa che muore dopo aver goduto.
«La sai... una cosa… Emiliano… ohhh...», mentre sospira, continua a premere entrambe le mani sulla pancia, come a tenersi stretta gli ultimi granelli della clessidra. «Ho sempre... avuto paura… ohhh… di risvegliarmi... all’interno... di una bara…
Emiliano... fammi... un altro favore… veglia tu... il mio corpo… per tre giorni…
Lo farai…?».
«Lo farò», l’accontento, non si può negare niente a una cessa morta.
«Saviano... ha avuto... solo fortuna… uhhh… non pensava... nemmeno lui… di beccarmi... due volte… quel bastardo…
Ma io… io… non sono... crepata... subito… come lui… ohhh…», la Cessa vuole trovare qualche consolazione al suo destino, e io l’assecondo ancora: «No, tu sei molto più tosta di lui, Anna».
«Io... ho fatto in tempo... ohhh... a sposarmi... lo stesso...». Non riesco a nascondere un certo imbarazzo: io, il marito della Cessa; lei, mia moglie. «Emiliano… metti... una bella canzone… uhhh… fai presto…».
Accendo l’autoradio, bastano poche note per riconoscerla: "Cold hearted man" degli AC/DC.
Anna sembra contenta, se una cessa può essere contenta mentre sprofonda.
Decido di chiuderle il camicione fino allo sterno, rimettendo dentro le tette esauste: tanto lei non ha più la forza per impedirmelo.
Mia moglie non può morire da troia.
«Queste due stronze... si sono piazzate… ohhh… proprio bene… sai…?
Non riesco… a digerirle…», lo sguardo ormai allucinato.
Anna, cosa aspetti ancora?
Non sei stanca di questo tormento?
Perché non ti lasci andare?
Lo sai anche tu che è finita, no?
Gli AC/DC sfumano, travolti dalla pubblicità.
«Ricorda... la promessa…», sussurra.
«Stai tranquilla, me la ricordo».
«Devo dirti... una cosa… Emiliano… ohhh...», sembra avere una terribile fretta, e non è difficile capire perché. Gonfia il petto, da Cessa, stirandosi addosso il camicione senza costume. «Io… io… ti…».
Anna non riesce a completare il concetto.
Butta fuori l’aria tutta insieme. Le tette si sgonfiano.
La clessidra è finita.
L'ha sfruttata fino all'ultimo granello.
La Franzone reclina il capo all’indietro e chiude gli occhi: il petto non ciondola più, le braccia scivolano sui fianchi prive di volontà.
Più niente da fare, Anna. Lo sapevamo entrambi.
Oggi non sei stata fortunata come altre volte.
Per scrupolo le tocco la carotide.
Niente...
Partita chiusa.
A questo punto prendo la valigetta macchiata dal sangue di Sal e faccio scattare le aperture: posso consolarmi con la dote della mia sposa.
Grazie, Anna.
LA CESSA NON VA GIÙ
Il conto è chiuso, rimane soltanto quella folle promessa.
Ma non si può mentire ai morti.
Così prendo a passeggiare impaziente nei dintorni dell’auto, controllando che la zona rimanga tranquilla, in attesa che mi venga qualche idea su dove passare i tre giorni.
Da queste parti, per fortuna, nessuno si allarma per uno sparo.
Ho tempo per occultare il cadavere di Sal in mezzo alle fratte.
Di tanto in tanto torno a guardare Anna.
Inutile negarlo: rimane una cessa anche con gli occhi chiusi per sempre.
Mi viene una gran voglia di sbottonarla.
Ma riesco, sia pure a stento, a trattenermi.
Mi sfogo in solitudine, per non profanarla.
Cala la notte. C’è luna piena. Non ho ancora deciso cosa fare. Lei ancora non puzza.
Per ammazzare il tempo, accendo di nuovo l’autoradio.
La zona, evidentemente, è frequentata da coppiette che s'infrattano in auto, quindi non solo non do nell’occhio, ma anzi mi mimetizzo a perfezione con Anna sbragata sul sedile.
Dopo qualche minuto ripassa "Cold hearted man", e mi mette addosso un po' di nostalgia, oltre alla voglia di fumare.
Apro lo sportello di guida, distendo le gambe fuori dall’abitacolo e mi accendo una sigaretta, sperando sia l’ultima.
«Io... ti... amo… Emiliano…».
Sembra la voce di Anna, ma è solo la stanchezza di una giornata infernale: chissà che effetto mi avrebbero fatto quelle parole, se la Cessa me l’avesse dette davvero.
Finisco la sigaretta fuori dall’auto.
Faccio un po’ di passi, controllando i paraggi e guadagnandomi una fama da guardone.
BEEP-BEEP
È il clacson della Bmw!
Torno subito indietro, pronto a estrarre la pistola.
Ma non si vede nessuno.
Mi avvicino ancora.
Niente...
Rientro nell’abitacolo.
«Dove cazzo… sei andato…?».
Rimango di sasso a lungo, incapace di muovere un solo muscolo.
È Anna Franzone ad aver parlato!
E mi sembra ancora in grasso e ossa…
Cessa infernale!
La nostra storia non finisce mai...
«Mi sono... sentita toccare… ma non riuscivo... a muovermi...
Eri tu…?».
Chissà perché penso a Sal in quel momento.
Forse era riuscita a fregarlo per l’ennesima volta.
Io da quando era morta, o entrata in coma, non l'avevo più toccata.
«Adesso ti sistemo io, Anna.
Si fa a modo mio.
Reggiti…».
È riuscita a rivoltare la clessidra.
Ora spero che il tempo ci sia.
Chiamo un cesso di dottore in quel di Pozzuoli, radiato dall’albo a causa delle sue cure anticancro, e metto in moto, sgommando tra le coppiette: basta flirtare al chiar di luna, quel dottorucolo adesso ha due tumori fulminanti all’intestino da curare con la massima urgenza.
E il Nobel... glielo pago io.
PROLOGO
E così è iniziata la mia nuova vita con Anna.
Rapporto aperto, con qualche spiffero, ma sostanziale tenuta.
Lei, sempre al top, nonostante l’età e il grasso.
Camicette allentate e carne che scoppia, i suoi segreti peggio custoditi.
A causa dei buchi, cammina con il bastone, ma le ho fatto tingere i capelli e
non dimostra più di 50 anni.
Gestiamo insieme i traffici e non la faccio mai andare in giro scortata da
altri.
Dopo quello che è accaduto, voglio godermela a lungo, non mi fido di nessuno.
Non mi va di vedermela riportare crivellata di colpi.
La nostra canzone potrebbe non funzionare.
Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui.
Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità.
Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico.
Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film.
La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta.
di Salvatore Conte (2013-2021)
TUM
TUM
«Jack, sei tu? Non puoi entrare, lo sai che abbasso sempre il chiavistello!
Ma… sei tu? Rispondi!».
SZOCK
Il coltello si fa strada nel legno della porta.
«AAAAH!», l’urlo spaventato di Chana, una bella cinquantenne ricca di salute.
È
a casa sua, nella Valle della Luna Crescente.
T-TLAK
Il coltellaccio sega la porta in verticale, cercando di far saltare il
chiavistello.
La donna si avventa sull’archibugio di famiglia, appeso al muro, proprio mentre
il chiavistello salta…
TLANK
«F-fermati! Ho un fucile puntato contro la porta!».
SCREEEK
Ma la porta si dischiude, cigolando.
«Al diavolo!».
BANG
Lo sparo produce un foro grande quanto una testa, la porta si è richiusa.
Chana guarda fuori, attraverso l’ampio buco.
«!».
Una figura indistinta giace a terra nell’oscurità.
La quarantenne si fa coraggio, apre la porta ed esce allo scoperto.
Ma si accorge subito che si tratta solo di un pupazzo…
È una trappola!
Nell’ombra si muove qualcosa…
Appena il tempo di voltare la testa: «!!».
SZOCK
«ORRRGLH!», un rantolo orribile sulla bocca spalancata della bella Chana.
Una violenta coltellata alla schiena, il sangue che schizza, l’archibugio che
salta dalle mani rattrappite.
«H-hhh…!», la donna si volta verso il suo assassino, che alza il coltello
sanguinante verso di lei, minaccioso, crudele, non pago della prima, mortale
offesa; sul volto, una maschera dal sorriso perfido e truce.
«C-chi sei?», domanda terrorizzata Chana, con gli occhi fuori dalle orbite,
carichi di paura.
«Chi sei…?», ripete, di fronte a quel ghigno infernale.
SZOCK
«AAAAAH!», l’unica risposta che ottiene è una coltellata nella pancia, ancor più
violenta della prima.
La
donna si piega sulle ginocchia e stramazza a terra, faccia avanti.
L’assassino la volta supina e si gode la sua espressione.
Il volto terrorizzato, gli occhi interamente fuori dalle orbite, la bocca
spalancata allo spasimo, i pugni che stringono l'aria.
Questo è ora Chana.
Impietoso, l’assassino intinge il dito nella piaga e comincia a disegnare un
labirinto di forma circolare sulla parete interna della casa.
Sembra procedere di pari passo con l’agonia della sua vittima.
Quando gli pare che la donna a terra abbia ormai l’anima in gola, si accinge a
chiudere il labirinto con l’ultimo tratto di sangue.
«Nel nome degli ultimi sette respiri…», e si prepara all’estasi.
Ma qualcosa lo interrompe…
Una figura scura irrompe inopportuna sulla scena del delitto, piegandosi pietosa
sulla donna rattrappita a terra.
Per chi lo conosce, è il migliore alchimista della Valle.
In giro a praticare cure urgenti, è stato richiamato dall’urlo
disperato della quarantenne.
«Maledetto… hai interrotto il rito!», esclama l’assassino.
POW
POW
Curare è anche un po’ uccidere.
L’alchimista gira sempre armato. E mira alla fronte.
Agrippa osserva il segno scritto col sangue. E torna dalla vittima.
«Coraggio… il labirinto ha una via d’uscita».
Chana, però, sta vedendo la morte in faccia. Per lei è troppo tardi. È giunta
agli ultimi sette respiri. Ha l’anima in gola, in procinto di essere sputata
fuori.
Ma anche una pazzesca voglia di vivere, in grazia della quale se la tiene
stretta, attaccata alla pelle.
L’alchimista soffoca gli ultimi respiri della donna.
Egli ha sempre con sé le sue
cure. Un veleno ad azione rapida che sospenda il conto alla rovescia.
È la condizione indispensabile per poter lavorare sulle ferite.
Finché c’è un’uscita, c’è anche una speranza.
Perché, alla fine, prima della fine, un buon alchimista trova sempre l’uscita.
Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui.
Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità.
Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico.
Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film.
La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta.
LA MUMMIA COLPIsce ANCORA un PO'
di Salvatore Conte (2019-2021)
Il
caso non è di quelli comuni.
L’Agenzia di Jack Thunder annovera clienti molto particolari.
Ciò gli ha consentito di mettere su un po’ di grana e di assumere finalmente una
segretaria.
Le cose sono andate come vanno di solito.
Si è presentata al colloquio con una camicetta sbottonata fino allo stomaco e un sorriso sardonico sul volto da sfinge.
«Prima mi facevo mantenere, adesso ho bisogno di lavorare... non ho nemmeno i soldi per la tinta...».
Anna Frentzen ha due divorzi e un passato oscuro alle spalle; si è tirata fuori da un tumore per miracolo; sformata e depressa, sfondata dall'alcol, come donna è finita, ma si tiene a galla con i suoi camicioni sbottonati da vecchia puttana.
Per commuovere il suo nuovo datore di lavoro, senza che ce ne fosse bisogno, ha prodotto tutte le cartelle cliniche. Ce l'aveva all'intestino, bello grosso, si era allargato parecchio, ma l'hanno bombardato con le radiazioni e adesso è passivo e in riduzione. Ha vinto da bestia. Ma se continua a bere, la prenderà al fegato, stavolta. E non le darà scampo.
«Non c'è il rischio che ritorni ad essere aggressivo?», le chiede.
«Certo che c'è, ma lo bombarderei di nuovo: non mi faccio fregare da un tumoraccio...», un linguaggio fin troppo disinvolto, vuole subito mettergli le zampe addosso.
La segretaria ha fretta, perché il tempo non gioca a suo favore.
Anna ha un'età importante, anche se riesce a gestirsi.
Infatti ha conservato uno strano fascino, nelle cui spire è rimasto invischiato
proprio Jack Thunder.
Smaliziata, quasi cattiva, gli ha dimostrato di saper usare il grilletto delle
pistole meglio dei tasti del computer.
E così, ormai sono soci.
«Se torna, sono finita».
«Torna, chi?».
«Il cancro».
«Hai detto che l'avresti sistemato di nuovo».
«Era una battuta: se torna, non si ferma più…
I miei ex mariti mi pensano...».
«Lo credo: hanno perso molto.
Ma con un mestiere come il nostro, preoccuparsi per un tumoraccio è quasi un
lusso».
«Mi ha scavato di brutto, sembrava fatta...», ha voglia di farsi compatire.
«Per quanto abbia scavato… è rimasto sempre tanto…», si avvicina con un
bicchiere di whisky in ciascuna mano. «Alla tua vittoria, Anna…».
Il liquore gli fa pregustare il successo.
È ormai da parecchio, infatti, che se la porta a letto.
E benché non tutti la ritengano un grosso trofeo, lui è contento così.
Qualcuno dei colleghi l'ha ribattezzata “la Mummia”.
In effetti
Anna si è fatta vecchia,
anche se cerca di tenersi; ha 20 anni più di lui, non è una storia che possa durare, però
dura da un po'.
Anna ha smacchiato la cresta fino all'ultimo capello grigio. Veste elegante e sbottonato. Non si è ingobbita ed è rimasta formosa nei punti giusti.
Insomma è ancora una grandissima
puttana, anche se giunta al crepuscolo.
E lui se la gode, senza farsi troppi problemi.
«Hai saputo scegliere, Jack. Non sono finita. E tu lo sai...
Stai tranquillo... continuerò a curarmi, non ti lamenterai di me, non invecchierò mai del tutto; non più di te, ti aspetterò, e invecchieremo insieme», facendosi sotto, al tempo, per farsi toccare, dare e ricevere conferma; e parlando da Mummia.
Tutti i giorni va in scena lo stesso spettacolo: carne vecchia per Thunder.
«Devi mascherarti bene, curarti con attenzione, ma non
sei finita».
«Infatti.
Ai tuoi amici, invece, piacciono le sgallettate d'oggi. Ho visto come mi
guardano.
Come fossi una scarpa vecchia».
«Ti guardano così perché vorrebbero tanto farti, Anna».
«Basta stronzi, Jack».
«Pienamente d'accordo».
«Ormai più di così non invecchio. Se credi in me, durerò molti anni. Non mi lascio andare. Non sarò mai decrepita.
I miei ex mariti, invece, sono già finiti, senza di me...».
«Io ci credo in te, Anna. Dureremo più di loro, più di tutti.
Tu sei veramente eterna...».
Si allenta ancor di più la camicetta e gli accompagna la testa fra le tette.
«La Mummia colpisce ancora...»,
rivelando un'insospettabile dose di humour, per una che è considerata una
puttana
spremuta, ormai fuori dai giochi.
«Lascia perdere quegli imbecilli...».
«E perché? Le mummie hanno molti poteri...»
«Come te, allora. Va a finire che hanno ragione...».
E la barca va... si piacciono.
L'Organizzazione ha subito un ammanco da 10 milioni di dollari.
Un colpo sospetto in una filiale bancaria preposta al riciclaggio.
Così i boss, oltre a sguinzagliare i propri uomini, hanno ingaggiato gli investigatori privati di riferimento.
C'è Jack Thunder.
E c'è anche Kelly Madison. Una dura.
Fra loro non è mancato del tenero.
Entrambi, però, brancolano nel buio.
«Ho una notizia che può interessarti».
«Sputa».
«Non per telefono.
Vediamoci tra mezzora al luna park abbandonato.
Porta gli attrezzi...».
Piove forte sulla ruggine del vecchio luna park.
FLOP
FLOP
Una figura sfuggente, infagottata in un impermeabile di vinile nero, con il cappuccio calzato sulla testa, ha appena saldato il conto, senza far rumore, a due giovanotti troppo fortunati.
Il terzo del gruppetto c'era rimasto secco all'interno della banca.
La soffiata era giusta.
I 10 milioni ci sono tutti.
«Tesoro, non mi servi più...».
«Maledetta...».
FLOP
FLOP
L'ex marito merita due colpi tutti per lui.
«Mettila giù, adesso.
E non fare scherzi, se ci tieni a vivere».
Il luna park non è morto del tutto, perché la giostra del piombo funziona ancora.
«C'è anche Jack?».
«C'è anche lui».
«Te lo sei scopato?».
«Ho già il mio uomo».
«Non dovevi essere da tua sorella, stasera, Anna?», Jack Thunder la fulmina con lo sguardo.
«Un cambiamento di programma, Jack.
Il tempo di ammazzare il mio ex marito e recuperare i 10 milioni.
Non lavoravamo a questo?».
«Dimentichi che l'Agenzia è la mia, e che tu dovevi avvertirmi, anche se andiamo a letto insieme».
«Okay... che vuoi fare adesso?
Farmi sparare da questa troia con quel cannone?
Mi perderesti per sempre, Jack».
«Intanto metti giù il ferro, bambola.
O ti farai male.
Kelly non scherza».
«Okay, okay... non voglio buchi nella carcassa», la Frentzen lascia cadere la pistola.
«In ogni caso i soldi vanno restituiti al cliente».
«Vuoi scherzare?!
Questo è un maledetto mucchio di grano e sai bene che il cliente non è per niente in regola.
Ha denunciato un ammanco di soli 200.000 dollari. Sono la tua segretaria, lo sai...».
«È gente pericolosa, e con noi si sdebiterà in altro modo.
Inoltre hai complicato le cose con la morte di questo idiota...
Arriveranno fino a te».
«Davvero pensi che starò qui ad aspettarli?».
Un lampo crudele le brilla negli occhi.
Nonostante l'età, ha la prontezza di sferrare un calcio a un tavolaccio e di scagliarlo contro la Madison!
E ne approfitta per sgusciare via dalla fatiscente struttura con la preziosa valigetta!
L'investigatrice, però, non la molla.
La individua mentre fugge nel buio tra le sterpaglie del luna park abbandonato.
«Mi dispiace, Jack».
«Anna, fermati!»,
tuona da lontano Jack Thunder.
POW
Kelly spara il primo colpo.
È un revolver di grosso calibro, da stringere con due mani.
Il colpo sembra andato a vuoto, perché Anna prosegue la sua folle corsa normalmente, continuando ad abbattere frasche e cespugli, nonostante l'età avanzata e il grosso tumore annidato nell'intestino.
La Frentzen punta sul buio per difendersi le spalle.
La Madison, però, è un'ottima tiratrice.
E sta per aggiustare il tiro.
POW
Il secondo colpo arriva a segno!
Arriva sulla spalla, ma la
Frentzen
non sembra nemmeno accorgersene, talmente è decisa a fuggire con i soldi e a
salvarsi dalla sedia elettrica.
L'obiettivo rimane la sua auto, nascosta dietro le montagne russe.
«Anna, ti farai uccidere!», Thunder prova a fermarla con le parole.
Kelly con il piombo.
POW
Il terzo sparo raggiunge la Frentzen alla schiena!
La segretaria di Thunder accusa per la prima volta il colpo, perde l'equilibrio come avesse incespicato su qualcosa e per un attimo sembra ruzzolare a terra; tuttavia, rimessa in asse dalla sua folle disperazione, riprende a correre più di prima!
POW
Il quarto colpo la raggiunge di nuovo alla schiena!
La Frentzen sembra ignorarlo per qualche attimo, ma subito dopo la sua falcata si appesantisce e la segretaria di Thunder comincia a caracollare tra i cespugli.
Cerca disperatamente di riprendere l'equilibrio come fatto poco prima, ma stavolta è troppo anche per una Mummia invasata come lei.
Il gioco è finito.
La Frentzen caracolla del tutto e si schianta pesante a terra come un velivolo abbattuto dalla contraerea.
Il volo della segretaria di Thunder è finito.
I due investigatori vanno a controllare.
È riversa a pancia in giù con le braccia allungate sopra la testa.
La mano destra è rimasta incredibilmente stretta alla maniglia della valigetta.
Sull'impermeabile di vinile, nonostante il fondo nero, si notano i tre grossi buchi prodotti dal revolver di Kelly Madison: uno sulla spalla e due sul dorso, a bucarle entrambi i polmoni; forse il cuore si è salvato, ma è tanta roba lo stesso.
La collega di Thunder le stacca la mano dalla valigetta, la volta e le allenta il colletto dell'impermeabile.
Jack è infatti paralizzato.
La Frentzen ha lo sguardo confuso e la bocca spalancata: le manca l'aria, per la gran corsa, e per i polmoni che fanno acqua.
«Io la valigetta l'ho recuperata.
A me basta».
E se ne va senza dire altro.
Continua a piovere al luna park abbandonato. Sul bagnato.
La Frentzen è presa dal panico, non sente più aria nei polmoni, e prende ad aprirsi l'impermeabile, quasi a strapparselo di dosso, come potesse ritrovare il respiro in questa maniera.
Sotto ha la solita camicetta sbottonata, pronta all'uso.
L'ambulanza arriverà troppo tardi.
La segretaria dell'investigatore privato Jack Thunder, ferita a morte da due colpi fatali, è stata raccolta agonizzante sul luogo del feroce regolamento di conti ed è giunta cadavere in ospedale.
Sono tuttora in corso drastici tentativi di rianimazione. Quasi una sedia elettrica postuma per l'anziana collaboratrice di Thunder, che pare abbia freddamente eliminato l'ex marito all'interno del luna park abbandonato, ai confini della città.
Stretto riserbo su eventuali reazioni.
«A...m...m...a...z...z...a...l...a... J...a...c...k...»,
le ultime parole di Anna sono parole di vendetta.
Vedendosi ormai morta, come davanti a uno specchio, i capelli le si sono sbiancati all'istante: pare invecchiata di secoli in pochi secondi.
È rigida come un vecchio cadavere, bloccata dalla paura e la soffocante agonia, però ancora viva con tanto piombo in corpo.
Ha capito che sarà il Coroner a darle un passaggio, ma prova a guadagnare qualche spicciolo: giunti alla fine, ci si accontenta...
Thunder è stordito almeno quanto la Frentzen.
Le vede col telo steso sulla faccia, avvolta nel
suo sudario.
Ma è lui la mummia, adesso.
Ed esegue fedelmente le istruzioni della sua negromante.
Si dirige subito nella direzione presa dalla Madison.
POW
POW
POW
Colpi di revolver.
Kelly è in difficoltà, qualcosa non quadra.
POW
POW
POW
Ormai è tutti contro tutti: 10 milioni di dollari pagano la pazzia a chiunque.
Tanto meglio.
Non ha avuto nemmeno bisogno di colpirla, è già a terra da sola.
E ha finito i colpi.
POW
L'ultimo lo sistema lui, ma solo per non perdere
altro tempo.
Senza darle spiegazioni, e nemmeno parlarle, senza chiamarle un’ambulanza, con
lo sguardo vitreo, le sottrae la valigetta e riprende a correre.
La mummia ritorna dalla sua negromante.
«Ce l’ho!».
Gli occhi torbidi di Anna si rianimano.
Ha cercato di resistere, aspettato a crepare, per assistere al proprio trionfo negromantico; ora, però, farebbe bene a usare su sé stessa i propri poteri,
e
convincersi a non lasciarci la pelle: automesmerizzarsi per mantenere un barlume
di vita attaccato al suo vecchio corpo.
Anche decrepita e agonizzante è stata capace di
ammorbidire un duro come Jack Thunder.
È vero, non l’ha ammazzata, ma anche le mummie conservano un’anima; e poi,
comunque, glielo
terrà nascosto.
In ogni caso, sa bene come alla sua padrona interessi molto di più la valigetta con
il grano, che non la pelle di Kelly.
Il sarcofago di Anna, la sua ambulanza, è arrivata.
Il braccio le cade inerte fuori dalla lettiga, ma riparte con la sirena accesa, come se non fosse cadavere.
Cercherà di raggiungere, non troppo imbalsamata, l’ambulatorio del dottor Morton,
specialista in rianimazioni.
Il luna park abbandonato ha avuto un sussulto stanotte.
L’ex signor Frentzen c’è rimasto molto male per le due palle in pancia e prima di
crepare ha pensato bene di evocare i due mastini che si era portato dietro.
Ma a differenza dell’ex moglie, non ha saputo assistere al proprio trionfo.
La valigetta non è tornata indietro e la Mummia non è ancora polvere.
Quanto alla Madison, mai mettersi tra moglie e marito: forse riuscirà a farne
tesoro, in futuro; forse no.
In ogni caso le converrà tenere la bocca chiusa con l’Organizzazione, visto che
da fuori credere a un suo coinvolgimento sarebbe fin troppo facile; inoltre è
stata graziata due volte: una da Thunder - a cui ha pur sempre ucciso la donna,
per quanto sfruttata - e l’altra dalla mummia di Thunder, l’uomo mesmerizzato,
che evidentemente aveva ordine di eliminarla per far sparire l’ultimo testimone
e soddisfare la sete di vendetta della padrona.
Dunque, mai mettersi tra moglie e marito, e
nemmeno tra le mummie e i loro amanti.
Le luci si spengono sul luna park tornato morto, ma con nuovi visitatori che non
se ne andranno più.
E se gli alligatori faranno il resto, la scena tornerà pulita come prima.
Lettore, l'attrice che ha ispirato questo racconto è un personaggio vivente.
Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità.
Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico.
Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film.
La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta.
LA MAZONIANA DAI CAPELLI CORTI
di Salvatore Conte (2019-2020)
È stata definita la Gran Cessa della Mala.
Potente e spietata, ma soprattutto grassa e bona.
La sua musica dice tutto di lei. Proprio tutto.
Si fa chiamare Anna Bocci, ma la sua figura è ammantata dal mistero; le tette, invece, da una camicetta allentata fino allo stomaco.
Come una Regina d'altri tempi, guida i suoi all'attacco nell'ennesimo regolamento di conti.
POW
Un colpo di rivoltella la raggiunge all’addome.
È una brutta ferita, ma addosso a lei sembra un graffio.
«Maledizione…!».
Lei, però, si ingobbisce in avanti e cerca disperatamente una via di scampo,
come fosse stata incornata da un toro.
«Presto… l’estintore…».
Lo scagnozzo la guarda basito.
«L’estintore… idiota…», non gli concede neanche le attenuanti generiche.
Vuole proprio l’estintore, ha capito bene.
Forse vuole compiere un atto disperato.
Glielo consegna.
«Fallo
tu...! Spruzza! Sbrigati!
Sul buco...!», si drizza su per farglielo vedere bene.
Una densa nuvoletta di fumo nero e acre si sta sprigionando dalla ferita: la classica
nuvoletta che precede l’esplosione di un fuoco cieco.
SBRUUF!
Appena in tempo.
Sebbene colto dal panico, incredulo e confuso, lo scagnozzo schizza addosso alla
Gran Cessa, puntando
l'erogatore sulla ferita.
«Ancora...!».
SBRUUF!
La Bocci ha chiamato freneticamente un secondo getto, per cercare disperatamente di soffocare il fumo,
prima che divampi la fiamma.
Adesso si infila il tubo nel buco.
«Vai!».
Un attimo di esitazione, ma poi lo scagnozzo si
decide.
SBRUF...
L’estintore è esausto.
«Dovrebbe bastare...».
Controlla ansiosa l'evoluzione del fumo, ormai soffocato.
«Non fa più paura... adesso...
Ma trovane un altro...
Maledetto bastardo... a momenti mi frega…
Ascolta bene... tu...
Se parli... ti faccio ammazzare...
E comunque... non... non ti crederebbe nessuno...», parla a fatica, è sudata, provata
dallo shock termico.
«Chi sei?».
«Ormai... hai il diritto di saperlo...
Sono una mazoniana...
Vengo dal pianeta Mazone... lontano mille anni luce...
La mia Terra... è ormai distrutta...
Il mio compito... è quello di preparare l’arrivo delle mie sorelle, integrarmi e dominarvi, come un tempo fecero le vostre stesse donne», la mazoniana ha ripreso il controllo di sé. «Il nostro organismo è molto resistente, ma ha un punto debole: prende fuoco facilmente...
Non nel senso che credi tu, idiota...
Prende fuoco come una torcia, se
incassa
uno shock termico fatale; come, ad esempio, una dose di piombo caldo...
Ora ne sai abbastanza di me. Entrerai nel ristretto cerchio dei miei
fedelissimi.
Da cui si esce solo morti...».
«Ma allora... è come in Capitan Harlock!».
«Esatto. L’abbiamo finanziato noi, per prepararci il terreno».
«A me la Regina Raflesia piaceva moltissimo!
E tu, Anna, nonostante i capelli corti, sei anche meglio… più... insomma... più
piena di...
È una carne speciale, vero?».
«L'hai detto».
«Baciamo le mani, Regina...».
Lettore, l'attrice che ha ispirato questo racconto è un personaggio vivente.
Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità.
Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico.
Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film.
La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta.
di Salvatore Conte (2005-2021)
Anna Frentzen e Nathalie Fadlallah: due socie, due sicarie.
«Ho avuto un contatto con la Spectre.
Provo a entrare.
Mi sono fatta notare».
«Non sei più una ragazzina, Anna.
Potrebbe essere pericoloso...».
«È sempre pericoloso. Ma finora me la sono sempre cavata».
«Lo credo, sei una strafiga, Anna... questo ti aiuta molto...».
Due donne pericolose, certo.
Qualche colpo nelle gioiellerie, una banca ripulita.
Okay... okay... anche alcuni lavoretti per conto di Jack Moreno.
Ma a chi può importare di un paio di troie freddate per disubbidienza?
Lavoretti puliti, in
fondo. Due colpi di grosso calibro da una macchina in corsa. E amen.
Eppure Anna e Nathalie stasera hanno qualcuno alle costole.
Un'auto di grossa cilindrata sta per raggiungere la Mercedes nera che Anna guida con sicurezza, troppa sicurezza, pensando al suo prossimo incarico per conto della famigerata Spectre.
Stump! Stump!
Da dietro si spara verso le gomme della Mercedes!
L’auto sbanda ed esce di strada!
Anna frena bruscamente, ma vede proiettarsi dinanzi a sé il fusto di un grosso albero...
La distanza è troppo esigua e l’urto inevitabile!
Il muso della Mercedes si schianta contro la base del tronco!
Gli airbag fanno il loro lavoro, ma la Frentzen - come al solito senza cintura - sbatte violentemente contro il cuscino d'aria, perdendo i sensi.
La cintura tra i grossi seni spioventi della Fadlallah schiaccia invece il torace della libanese, lasciandola senza fiato per un istante.
L’auto è ancora avvolta dal vortice di polvere sollevato dalla frenata. Del fumo esce dal radiatore sfondato.
Nathalie cerca di svegliare la socia, scuotendola: «Anna! Dannata troia!»; poi, alzando lo sguardo verso l’esterno, vede l'auto attorniata da quattro puttanelle, armate di pistola.
Proprio stasera che non s'è portata la sua...
Si slaccia la cintura, urlando ancora: «Anna!! Ci ammazzano!!».
Niente da fare.
Apre lo sportello in
preda al terrore e scappa verso il bosco, con il seno che quasi le schizza fuori
dal giubbotto di pelle.
Una delle quattro ragazze, al cenno di una compagna, comincia a inseguire la
Fadlallah.
La sicaria mira verso di lei e spara senza esitare - Stump! Stump! (1!) - raggiungendola alla schiena: il proiettile le fuoriesce dal petto formando un buco quasi invisibile.
Il colpo la fulmina, bloccandola a braccia aperte e gambe divaricate.
Con la testa pencolante all’indietro e il fiato mozzato, inarca la schiena. Ha lo sguardo sbigottito. Cerca in qualche modo di reagire, ma le gambe, ormai deboli, si piegano lentamente.
Cade in ginocchio: l’immagine di una sconfitta.
La sicaria, con la pistola puntata, cammina a passo rapido verso di lei.
Stump! (2!)
Parte un secondo colpo.
Il proiettile, entrando dalle reni, esplode dalla pancia ben tornita della Fadlallah, ma il giubbotto presenta solo un lieve difetto, una piccola fallatura.
Il suo gemito soffoca nel sangue che le sale su per la gola.
Una mano si preme
sull'invisibile ferita, lo sguardo si
perde smarrito verso l’alto.
Grande e grossa com'è, la Fadlallah non si rivela una buona incassatrice, tenuto conto che le sono arrivate addosso due pallottole calibro 22, insidiose, agili e penetranti, ma non devastanti.
Ha troppa paura di morire.
Dopo qualche fremito, stramazza a terra. Respira annaspando, soffocata nei tremori di un'agonia per ora immaginaria; è disperata, ansiosa e destabilizzata.
Sono lontani i tempi in cui godeva spensierata e si considerava invincibile.
Adesso ha paura di rimanere uccisa.
Se quella non si ferma, per lei è finita.
Eppure è stata potentissima.
E crudele.
La Fadlallah prova a strisciare, sollevando il culo e muovendo le gambe, come un verme che cerca una spinta. Arrivata a un albero, si avvinghia al tronco, risollevandosi con tenacia. Punta i tacchi nella terra umida e, mugolando a scatti, riesce a rimettersi in posizione eretta.
Vuole vivere, vuole salvarsi.
Nathalie ha un fisico bestiale, deve provare a sfruttarlo, a gestirlo, e a controllare con la testa una soffocante sensazione di morte, dovendo pur sapere di non essere una tanto facile da ammazzare.
Aveva molti progetti per sé. A quarantotto anni non si sentiva certo finita.
Era una splendida libanese, molto potente.
La killer la
osserva compiaciuta ed eccitata.
Nathalie stringe l’albero come un ultimo amante. La testa le cade all’indietro.
Offrendo alla sicaria lo spettacolo della sua agonia, con voce bassa
e gutturale la supplica: «Non voglio morire... ti
prego... non ammazzarmi…».
La sicaria, tuttavia, dopo aver liberato il viso dai capelli con un gesto deciso del capo, tende il braccio armato verso di lei.
La preda, ferita e implorante, non rassegnata alla propria fine, e molto bella, la eccita da morire.
Con la mano si sfiora una coscia e, accarezzandosi l’inguine, punta l’arma verso il bersaglio.
Nathalie mormora ancora: «Aiutami... ti supplico... non spararmi...».
Ma in balia di una irrefrenabile libido, la sicaria preme il grilletto senza fermarsi.
Stump! Stump! Stump! Stump! (6!)
La Fadlallah è investita da una scarica di proiettili che le crivella la schiena.
Si scuote convulsamente, abbracciando il tronco con tanta forza che le unghie le si spezzano quando, come artigli disperati, si conficcano nella corteccia.
Si sente attraversare dal piombo che le perfora il corpo. Le gambe si stringono come una morsa al fusto dell’albero. Solo la testa resta libera e oscilla a ogni proiettile che la trafigge.
Quando il fuoco cessa, la schiena rimane inarcata e tesa, mentre dalla bocca schiusa il sangue esce a fiotti. Piccole, ma terribili, come piranha.
Stremata, la povera Nathalie scivola lungo il tronco, e per qualche attimo rimane in una curiosa posizione, inginocchiata e contrapposta al tronco, la fronte premuta sul fusto, le zinne a pendolo e le braccia molli. È una posizione mistica, che rimanda ad antichissimi riti, anche se lei non lo sa di certo.
Il rito si realizza quando due grosse puttane, morenti o cadaveri, si ritrovano inginocchiate e contrapposte, una fronte premuta sull'altra, in un culminante, estatico equilibrio, le quattro zinne a pendolo che si sfiorano tra loro e con la terra.
Poi cede e si rovescia a terra.
Contorcendosi e curvando la schiena, prova a respirare gonfiando il torace sforacchiato.
La killer si inginocchia davanti a lei, e le piazza in mezzo ai grossi seni la punta della canna, rovente di morte.
Ma neanche l'intenso calore riesce ormai a scuotere la Fadlallah: le palpebre tremolanti e lo sguardo offuscato.
Attimi di lucidità e la sua vista sfuocata si fa più nitida, concentrandosi sulla ragazza che le preme la pistola sullo stomaco. La vede palparsi tra le cosce. Sa che l’orgasmo della sicaria coinciderà con la sua fine e, non appena la ragazza accenna a una smorfia di piacere, Nathalie realizza che le restano pochi secondi di vita.
In un ultimo, disperato sforzo, urla il suo terrore con la bocca piena di sangue: «No! No!!».
«Sei finita... troia!».
Stump! (7!)
È il settimo sigillo.
«Urghh!!», Nathalie è esterrefatta...
Ha trovato la morte!
Niente vie di scampo. Eppure c'aveva sperato fino alla fine...
Il colpo di grazia le attraversa lo stomaco facendola sussultare bruscamente. L’ultimo spasmo la obbliga a sollevare il bacino e a inarcare la schiena. Poi il corpo si distende, la bocca si apre e gli occhi restano spalancati in uno sguardo ghiacciato. Cosi rimane per alcuni secondi: gli ultimi istanti di vita. Scalcia senza volerlo. Infine il suo corpo si irrigidisce, senza più mostrare segni di lotta.
La bastarda che l’ha ammazzata si sfila la mano dalle mutandine e si succhia avidamente le dita.
Prima di abbandonare quel meraviglioso cadavere, schiaffeggia il volto ghiacciato di Nathalie Fadlallah, sussurrando sprezzante: «Ti ho fottuto, stronza!».
Mentre la libanese cerca disperatamente di salvarsi, Anna riprende i sensi, sforzandosi di ricordare quel che è avvenuto.
Pochi secondi e il
suo pensiero va alla socia che non è più al suo fianco.
Mette a fuoco lo sguardo e vede tre giovani puttane che le fanno cenno di scendere dall’auto. Impugnano delle classiche Ruger calibro 22, da 10 colpi. È un calibro da non sottovalutare, ma che non può mettere troppa paura a una bestia come lei.
La Frentzen non esita un attimo: apre lentamente la portiera, ma l'altra mano se la passa dietro la schiena - sotto il camicione rosa, portato fuori dai pantaloni e sbottonato aggressivamente fino allo stomaco - per afferrare la sua Beretta di grosso calibro, 15 colpi più quello in canna.
È sotto tiro e ogni suo movimento è controllato, ma l'airbag scoppiato la copre abbastanza.
La gamba sinistra spunta dalla portiera semiaperta. Poggiato il piede sul terreno, viscido di pioggia recente, il tacco dello stivalone affonda nella fanghiglia.
Una delle ragazze la provoca: «Su, bella... vieni fuori! Che aspetti?».
Anna abbassa il finestrino, solleva di scatto il braccio destro e preme il grilletto un paio di volte - Bang! Bang! - facendone fuori una.
Le altre due, allora, iniziano a far fuoco contro l’auto.
Stump! Stump! Stump! Stump! Stump! (3!)
Lo sportello è bersagliato dai proiettili e Anna si scuote sul sedile, ferita tre volte all’addome.
Cerca di reagire puntando la pistola contro le due bastarde. Ma non ha tempo per mirare di nuovo, perché le arriva addosso un’altra scarica di piombo...
Stump! Stump! Stump! Stump! Stump! (7!)
Anna è colpita ripetutamente, allarga le braccia e scalcia, inarcandosi sul sedile, mentre il busto le si riempie di piccoli fori, grandi come i bottoncini della camicetta, ma cuciti in ordine sparso.
Le sicarie interrompono momentaneamente il fuoco.
Anna stringe ancora la pistola nella mano destra, appoggiata di fianco al sedile. Il suo piede sinistro, fuori dall’auto, striscia lento sul suolo, avanti e indietro. Ha la testa piegata sul petto. Controlla le sue tette, che pulsano ansiose sotto la camicetta da puttana.
Anna comincia ad avere paura. Non ha ancora incassato colpi mortali, ma se quelle non si fermano, per lei sono guai seri, si gioca la pelle.
Anna Frentzen è una super cinquantenne sempre in tiro: stivaloni, camicette sbottonate, tette a penzoloni, carne che scoppia da tutte le parti; spregiudicata e aggressiva, finora non l'ha fermata nessuno.
Ruota lentamente il bacino e anche l’altra gamba si poggia sul terreno.
Stump! Stump! (9!)
Ma non appena prova a sollevare il braccio per sparare, la quarta sicaria, di ritorno dalla sua missione, la colpisce alla schiena, vigliaccamente e inaspettatamente; anche se adesso ha finito i colpi.
Sussulta e scivola dal sedile verso l’esterno, puntellandosi con la schiena al bordo del montante, riuscendo in qualche modo a mettersi in piedi.
Poi con lo sguardo torna sulle tre
sicarie che, eccitate e impazienti di vederla
morire, seguitano a osservarla.
Anna, però, non si dà per vinta, ritiene di poter assorbire i colpi presi e
anche quelli che dovessero ancora arrivare.
E così, ancora una volta, alza il braccio destro per sparare, senza aspettare che siano loro a farlo.
Ma le sicarie fanno fuoco prima che riesca a puntare.
Stump! Stump! Stump! Stump! (13!)
I vetri del finestrino posteriore le si infrangono alle spalle.
La paura dilaga in lei, mentre si agita all’impatto dei piccoli proiettili che la trapassano. I piranha la stanno spolpando.
Bang! Bang! Bang!
Lascia partire alcuni colpi dalla pistola, solo perché le dita le si contraggono sul grilletto.
Colpi innocui verso il suolo.
Stump! Stump! Stump! Stump! Stump!
Anna gira su sé stessa, aggrappandosi all’auto e dando le spalle alle sicarie, che le sparano intorno ai piedi, per pizzicarle il culo, metterle addosso altra paura e farle ballare una sensuale danza della morte.
La Frentzen saltella quel poco che può, cercando di limitare i danni, sperando che quelle puttanelle le dimostrino un po' di rispetto e rinuncino a infierire su di lei, e così facendo scivola sul cofano posteriore, sputando sangue e gemendo, e puntando a terra i tacchi degli stivaloni per non cadere.
La grandissima mignottona si dibatte supina sul cofano, guardando il cielo stellato con occhi fissi e continuando a puntellarsi al suolo con le gambe divaricate. Butta sangue dalla bocca, ma poco o niente dalle tante ferite. La schiena, negli spasimi dell’agonia, sbatte più volte sul cofano. La mano destra, ancora armata della pistola, oscilla verso l’alto in cerca di chissà quale bersaglio.
È un grande spettacolo vederla morire.
E così, puntando al niente, la Frentzen spara...
Bang! Bang! Bang!
E mentre un fiotto più copioso di sangue sgorga dalla sua bocca...
Bang! Bang! Bang!
Altri colpi a vuoto sparati da Anna.
Bang! Bang! Bang!
Sta scavando una buca nel terreno.
Le sicarie la osservano eccitate e lasciano che sia l’agonia a farla crepare.
Nessuna di loro sembra avere il coraggio di spararle addosso altri colpi.
Stump! Stump! Stump! Stump!
Se non intorno ai piedi.
E intanto arriva un altro lungo lamento...
Bang! Bang!
Stump! Stump! Stump! Stump!
Ma non prelude alla fine di Anna Frentzen: uno sforzo disperato la fa rimettere in piedi.
Ha riacquistato un po' di fiducia e prova a salvarsi.
Muove qualche passo in avanti, in precario equilibrio.
È sempre convinta di poter raggiungere viva un'ospedale, non appena sarà possibile, e quindi di potersi gestire, perché in fondo quelle sono pallottole di piccolo calibro.
E le sue sono finite.
«Non sono... ancora... fatta... risparmiatemi... basta piombo... sono... una bella donna...
Non... posso... morire...», con la mano sinistra si stira addosso la camicetta per farlo capire ancora meglio, «non merito... di crepare...», in effetti è sempre una grandissima puttana.
Quelle, però, non la prendono troppo sul serio.
La preferivano mentre sparava a vuoto, appannata dalla fine incombente.
«Ho bisogno... di un dottore... sono... molto... più grande... di voi... ragazze... voi... non ucciderete... una donna... anziana...», impazzita dalla paura di morire, cullando la dolce speranza di potersi salvare, raggiungendo in tempo un ospedale ben attrezzato - forte della sua stazza e del suo carisma, che lasciano il segno anche sulle donne - Anna tenta fino all'ultimo di commuovere le sue sicarie con gli argomenti più strampalati.
Ma una
delle tre si fa avanti e le punta la canna allo stomaco, a bruciapelo, per infierire
su di lei e stroncarla una volta per tutte.
Anna impazzisce di rabbia.
«NO!!».
««No!»», anche le compagne si oppongono.
«E va bene...», qualcosa attira la sua attenzione in mezzo alle sterpaglie: una bottiglia di vetro, a collo lungo, rotolata dalla strada. «So io quello che fa per te...
Mettete la signora sul cofano davanti».
Comincia l'ultima cavalcata della Frentzen.
Gli stivaloni da mandriana e la bottiglia ficcata dentro, la sicaria che se la struscia addosso, sudata e sanguinolenta, e le altre due che guardano estasiate.
«Coraggio, vecchia troia... non lasciarti andare... la salvezza te la devi
guadagnare...».
La Frentzen viene spremuta come una vacca, la testa le ciondola sul petto, ma non
sembra perdere il controllo, pur con 13 fori d'entrata e
altrettanti d'uscita, 13 bottoncini che si aggiungono ai 7 del suo camicione a
tunica.
«Non ammazzarla subito, capito?».
Le compagne si preoccupano, la possente Frentzen - con i bottoni allentati - che annaspa e cerca di salvarsi, è uno
spettacolo troppo allettante. Deve continuare.
La sicaria le tiene la canna pressata sullo stomaco, pronta a sparare in
qualsiasi momento.
«Non
farlo...», la supplica Anna, quando si scuote dal suo torpore. Le emorragie
interne la stanno uccidendo. «Voglio un dottore... voglio... un'ambulanza...»,
adesso sta esagerando, ma la Frentzen ha fretta, sente la morte, non può morire su
quel cofano con una bottiglia nella vagina.
«Adesso ti do io quello che ti serve...».
Ha
capito.
«NO!!
««No!»», ancora una volta si oppongono anche le compagne.
Stump!
(14!)
Ma stavolta non ci sono rinvii.
La
sicaria spara senza pietà. In pieno stomaco. Con l'ultimo colpo.
Un altro buco senza sangue.
Ma che fa male.
La Frentzen strabuzza gli occhi e sprofonda
all'indietro, rovesciandosi lungo il muso dell'auto, le braccia larghe e la
bocca spalancata, sbigottita, come se rimanesse uccisa per quell'unica pallottola;
il collo della bottiglia ancora nella vagina, i tacchi all'aria, da vaccara che
ha finito la corsa e vede spalancarsi la porta dell'obitorio!
È una visione spettacolare.
Lo sguardo è ghiacciato; le tette sudaticce premono contro la camicetta
sbottonata, ma non si muovono.
Questa l'ha digerita male. Sono diventate troppe.
Piccole,
ma terribili; i piranha si sono mangiati la Frentzen.
Però, grandissima bestia.
«Perché?!», protesta una compagna, quasi inviperita, mentre corrucciata cerca di
cogliere uno spasmo.
«Si è fatto tardi, ragazze.
È
incredibile quanta birra avesse in corpo. Voleva salvarsi a tutti i costi».
Però una di loro si accorge che i tacchi hanno degli spasmi, Anna è ancora viva, e per averne conferma le
spinge la bottiglia nel ventre, mentre l'altra le ripulisce con un
fazzoletto le labbra impastate di sangue.
«Incredibile quanto sei tosta; se fosse per me, ti chiamerei l'ambulanza...», le
sussurra ammirata.
«Ne ha di birra in corpo in questa vacca...
Ma forse è solo paura fottuta di morire, che le ghiaccia il sangue...
In ogni caso, basta così.
Le ficcherei volentieri una pallottola in bocca, ma abbiamo finito i colpi, e
anche lei.
Comunque poco male: morte o imbottite di piombo.
Ce ne possiamo andare.
Prendiamo Lucy».
«Ma almeno... sui giornali troveremo scritto come andrà a finire?».
«Come vuoi che finisca?
Con il ritrovamento di due bottiglie vuote.
Tre con la tua.
Di un fusto e due bottiglie.
Sì, proprio una puttana da Guinness».
«Però
sarebbe stato bello scortare l'ambulanza che viaggia a
sirene spiegate... mentre lei, dentro, si illude di arrivare viva in
ospedale...».
«Le sirene sono inutili, per lei ci vuole il Coroner e un sacco grande.
Ma sarà divertente leggere la descrizione del cadavere, e chissà che non mettano pure la foto...».
La
Frentzen attende la morte con la testa rivoltata all'indietro e latenti sussulti,
nella disperata illusione che qualcuno la noti e la trasporti subito in ospedale.
Temuta sicaria della Mala assassinata con numerosi colpi di pistola e rinvenuta
cadavere con una bottiglia di vetro infilata nella vagina: gli occhi fissi alle
stelle vedono già i titoli di domani. E quella foto sconcia.
La camicetta sbottonata e le tette sotto-sopra.
L'immagine di sé da morta fa eccitare la stessa Anna, che accenna un sorriso, mentre uno spasmo agonico le scuote
il bacino.
In molti sarebbero venuti a piangerla, increduli, all'obitorio. In molti si sarebbero bagnati, disperati, su quella foto.
Ma adesso, mentre ci lascia la pelle, non c'è nessuno accanto a lei.
Le stelle si avvicinano di molto.
C'è fretta di immortalarla.
«Esame superato, Signora Frentzen: lei lavorerà per noi».
Prova a parlare, ma non ci riesce.
Tuttavia la sua obiezione viene raccolta per intuito.
«Sono proiettili di piccolo calibro, non ci sono grossi problemi per una come lei».
Anche la domanda su Nathalie viene raccolta.
«Per la Fadlallah niente di troppo grave, la metà dei suoi colpi.
Però è una fifona e non ha il suo talento; quindi, non è adatta per noi».
Lettore, l'attrice che ha ispirato questo racconto è un personaggio vivente.
Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità.
Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico.
Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film.
La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta.
di Salvatore Conte (2019)
Era conosciuta come Big Chana ed era uno spietato boss di mafia.
Stazza imponente,
tette mostruose, bionda, grossolana, gretta, cercava di dissimulare con modi
grottescamente affabili la sua mente omicida: aveva infatti ucciso una dozzina
di donne nella sua scalata al potere, senza mai aver mostrato rimorso alcuno.
Conservava una cicatrice sulla grossa tetta destra, conseguenza di una
coltellata ricevuta tre anni prima dall’unica donna che fosse riuscita a
ferirla.
Si diceva che quando si vedeva quella cicatrice, allora si era morti, perché Big
Chana amava uccidere mezza nuda, con la camicia tutta aperta, per non sporcare
troppo i vestiti.
Stava ritornando da un regolamento di conti, ed era di buonumore, perché i conti
li aveva chiusi.
Le sue guardie del corpo, Velba-Babe e Jenny Gray, chiacchieravano con lei su
come erano andate le cose.
La prima era una biondona maggiorata molto sofisticata, dall’aspetto quasi
gentile, ma del tutto ingannevole.
La seconda una bella donna invecchiata bene, ma con tanti capelli grigi, reduce
da una delicata missione ad Arkham City, la città costiera che stava affondando
forse in conseguenza di misteriosi e abissali riti pagani.
Le tre si dirigevano presso uno dei covi della banda, un cottage nei boschi,
appena fuori città.
Velba-Babe, seduta al tavolo del piccolo salone, cominciò a ripulire il suo tommy gun, sorridendo all’indirizzo di Jenny Gray.
«Hai visto che ballo quella puttana?
Cazzo… non ho mai visto nessuno prendere così tanto piombo e rimanere in
piedi…».
«Le puttane senza cervello non sentono il dolore: ha preso una cinquantina di
pallottole come niente fosse, le sue tette sono diventate di piombo…».
«Non
esageriamo, adesso. Però una ventina di sicuro...».
Big Chana si era data una rinfrescata e ora si stava rivestendo della sua
camicia bianca da uomo.
Era una calda sera d’estate e le finestre del cottage erano tutte aperte.
Improvvisamente la quiete notturna fu scossa dall’esplosione di numerosi colpi
d’arma da fuoco. I vetri delle finestre andarono in frantumi e diverse schegge
di legno volarono per aria.
«Merda! Ci hanno trovato!».
Velba-Babe si alzò in piedi afferrando il tommy gun, ma prima che potesse mirare e
rispondere al fuoco, fu raggiunta da più colpi.
Fu costretta ad abbassare l’arma e a barcollare da sinistra a destra, mentre
altri colpi la raggiungevano.
Perse definitivamente il mitra e finì per arretrare contro la parete di fondo.
Jenny si era gettata a terra e assisteva impotente al massacro della sua amica,
ancora bersagliata dai colpi.
«Babeee…!», urlò enfaticamente.
La biondona era stata crivellata di colpi, pur rimanendo a lungo sulle proprie
gambe.
Alla fine, però, fu costretta ad arrendersi, scivolando di schiena sulla parete
di legno, finendo a terra sul fianco sinistro, la camicetta imbrattata di sangue
e gli occhi allucinati.
Jenny era inferocita, strisciò fino al tommy gun e si tirò su, pronta a
rispondere al fuoco.
In quel mentre la porta della camera si aprì.
Sulla soglia comparve Chana con un tommy gun per braccio, più imponente che mai.
Rinfrancata, Jenny aprì la porta d’ingresso e sparò all’impazzata, nel buio,
fasciata dalla sua famosa camicetta rosa, tipicamente sbottonata.
«Fottuti bastardi! Veniteci a prendere!».
Velba-Babe, intanto, continuava a scalciare, aggrappata alla vita, nonostante i tanti
colpi incassati.
Jenny aveva finito i colpi.
Richiuse allora la porta e si voltò verso Chana.
«Merda! Ho finito il fuoohhh…».
Mentre parlava, fu raggiunta alla schiena da una raffica.
Barcollò verso il centro della stanza, cadde pesante sulla sedia, quasi
mandandola in frantumi e prese ad ansimare disperatamente, incrociando le
braccia sulla pancia, cercando di stringersi su sé stessa, ormai tardivamente.
Raggiunta ai polmoni,
stretta nella morsa del panico, non riusciva più a respirare.
Stando accovacciata il più possibile, Chana la avvicinò.
«Stai calma, puttana… non creperai stanotte…».
Ormai doveva fare tutto da sé.
Presto Jenny sarebbe crollata.
Li avrebbe aspettati.
E arrivarono.
RAT-RAT-RAT
RAT-RAT-RAT
RAT-RAT-RAT
Si infilarono dentro dalla porta crivellata di colpi, e dalle finestre.
Erano tre.
I tommy gun di Chana, due.
I proiettili esplosi furono talmente tanti che il cottage sembrò vacillare.
Alla fine Big Chana, pur rimanendo i piedi, aveva incassato più di cinquanta
colpi…
La sua leggenda non mentiva, poiché la cicatrice sul suo grosso seno fu l’ultima
cosa vista dai tre sicari.
Si alleggerì dei fedeli tommy gun e raggiunse barcollando il tavolo, sedendosi.
Ansimava e grondava sangue dalla bocca.
Si chiuse la camicia con le mani, perché - nonostante il gran caldo - aveva
molto freddo.
Rivolse uno sguardo alle sue guardie del corpo, che scalciavano a terra, prese
dagli ultimi rantoli.
Quindi la testa le divenne sempre più pesante, fino a che non si piegò sul
tavolo, la bocca spalancata a gestire le ultime bolle d’aria e gli occhi a
fissare il soffitto.
Big Chana era grossa, molto grossa, aveva tanto spazio, ma ormai era fatta di
piombo.
Uno stridio di gomme risuonò acuto all’interno.
«Per fortuna avevamo con noi Tappa Buchi!
Avrete da lavorare, doc...».
«Cristo, Jim... non ho mai visto nessuno prendere così tanto piombo… e ancora
star lì a
tenersi chiusa una camicetta con le proprie mani…!».
«È Big Chana, idiota...».
Lettore, l'attrice che ha ispirato questo racconto è un personaggio vivente.
Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità.
Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico.
Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film.
La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta.
di Salvatore Conte (2019-2022)
Il boss ha scelto per lei una scorta di sole
donne.
Non solo per la prevenzione del problema corna, ma soprattutto perché sono le
migliori.
Mad Nurse e Tommy-Nadine: non poteva affidare Chana a uomini più svelti.
Significa che alla sua pupa il boss ci tiene.
La mattinata è bella, Chana vuole farsi un giro in campagna.
Al volante c’è Mad Nurse, la super sbottonata infermiera che per secondo lavoro fa la gangster. Oggi fa il turno di notte.
La biondona è senza limiti.
Al suo fianco, fa la sua grassa figura Tommy-Nadine, detta in questa maniera per la sua capacità - con il Tommy-Gun sottobraccio - di ammazzare senza farsi ammazzare (troppo). Almeno fino a questo momento.
Sul sedile posteriore viaggia tranquilla la fata del boss, la scintillante Chana, con una sgargiante camicetta bianca scollata il giusto.
Il passaggio a livello è chiuso.
Capita.
Un buon Tommy-Gun è in grado di spianare qualsiasi problema, ma se il treno riga
dritto, non è il caso di prendersela.
Va tutto bene.
Ma c’è un però.
Anzi, tanti però: raffiche di però calibro 45.
RAT-RAT-RAT
RAT-RAT-RAT
RAT-RAT-RAT
RAT-RAT-RAT
Si rialzano dai cespugli dietro cui si erano acquattati e sputano piombo dalle
bocche dei loro Thompson.
Sono due per lato: un agguato in piena regola.
«Fuori!», urla Tommy-Nadine, riferendosi a Mad Nurse.
Ha parecchi anni in più, è normale che comandi lei.
Chana, invece, si accuccia bassa, cercando di limitare i danni.
Le due ragazze di scorta escono allo scoperto.
Sembra una tattica folle, e in effetti per Mad Nurse non ci sarebbe nulla di
strano.
Invece Tommy-Nadine sa il fatto suo.
RAT-RAT-RAT
RAT-RAT-RAT
Le ragazze, pur crivellate di colpi, rispondono.
Fossero rimaste all’interno dell’abitacolo, non avrebbero trovato scampo.
Adesso invece ribattono colpo su colpo.
I cespugli non costituiscono un valido riparo dalle pallottole.
Gli assalitori vengono falciati.
Il boss non sbagliava.
«Ce la fai… a guidare…?».
«Sì… certo… ma prima… mi faccio un tiro…», Mad Nurse non si smentisce mai.
Tommy-Nadine sale dietro per dare un’occhiata a Chana.
«Solo… un paio di pallottole… per la nostra fata…», sospira affannata alla
compagna.
«Bene… il treno per l’inferno… l’hanno preso loro…!», chiosa eccitata l'infermiera.
E mentre il treno arriva per davvero,
sferragliando alle sue spalle,
Mad Nurse rientra alla base a tutto gas e, ormai sfiancata, finisce
la corsa dentro il laghetto
della villa.
Gli uomini accorrono.
«Presto! Andate a prendere Watson.
Si va sui materassi, ragazzi!».
Lettore, l'attrice che ha ispirato questo racconto è un personaggio vivente.
Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità.
Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico.
Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film.
La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta.
di Salvatore Conte (2019-2022)
Camicette allentate e carne che scoppia, sempre e comunque.
Non pensare troppo al grosso problema nella pancia, ma sfidarlo a colpi di tette e cellulite.
Ha il controllo della droga nelle borgate a sud di Roma e lo
gestisce dalla sua villetta alla periferia di Frascati, e di Roma stessa.
Anna Frezzante si scopa tutti: commissario, questore e magistrato.
È una consumata stronzona di 52 anni, ma il malaccio l'ha stravolta,
trasformandola in una sorta di mummia vivente, con la morte che le cammina a
fianco...
Ciò nondimeno, Anna rimane per tutti la Stronzona delle Cisternole...
Eppure, fino ad anni recenti, Anna Frezzante è stata il top assoluto; come un Long Playing, sembrava non finire mai...
Adesso, però, in pieno declino, con un fisico ormai scoppiato e da cessa, deve barcamenarsi, allentando i camicioni... facendo intravedere le tette cadenti e penzolanti... il piatto forte della casa...
I nemici, comunque, non le mancano: rivali in affari, donne giovani che aspettano si faccia
sempre più grassa e che imbarchi altra acqua, rancorosi ex compagni, gente truffata,
e tanti altri, i quali amerebbero tutti riconoscerla all'obitorio.
È per questo che quando le viene diagnosticato un tumoraccio nascosto nelle
budella, in tanti
festeggiano.
I medici non le hanno dato più di otto settimane, perché il cancro è aggressivo;
ne ha anche di meno, se attacca il pancreas.
Lei, però, la gran puttana, si porta ancora in giro.
È decisa a regolare i suoi conti prima di mettersi a letto e schizzare
all’inferno, crepando da biscia come tutti i malati terminali.
Non vuole arrendersi un attimo prima del necessario.
Vuole farli rosicare fino all'ultimo.
La Frezzante è proprio una stronzana.
I servizi le hanno chiesto il favore di fargli fuori un giornalista scomodo.
In cambio la faranno traslocare tranquilla in Svizzera, dove passerà le ultime
settimane in una prestigiosa clinica, cercando in tutte le maniere di guadagnare
tempo con trattamenti sperimentali.
Anna ha deciso di abbordare il giornalista al bar.
Poi, al momento opportuno, lo toglierà di mezzo.
Tanto, dopo il fatto, sparirà dalla circolazione per un bel po’, diciamo pure
per sempre.
È mal messa e affaticata, ma non passa mai inosservata.
La camicetta è sbottonata aggressivamente fino allo stomaco.
Franco Cardella ci casca subito dentro, con tutte le orbite. A momenti il barman
deve raccogliergli il labbro dal banco.
Bevono qualcosa al tavolo, scambiando le solite parole.
Lui ha 20 anni di meno.
A un certo punto, però, la Frezzante comincia a sudare freddo.
Le cose non vanno.
Ha una crisi. E anche violenta.
«Non ti senti bene?».
«No… è che… ho un problema…».
«Ti accompagno a casa?».
«Cisternole è lontana…
Portami a casa tua… è meglio… vivi solo?».
«Sì… infatti…», un po’ stupito che la donna l’avesse dato quasi per scontato.
«Aiutami…», Anna non finge, non riesce proprio a stare in piedi.
«Tutto bene, signori?», il barman ha buttato l’occhio in quella direzione, anzi
per la verità non l'ha mai tolto.
«Solo un po’ di stanchezza. Me ne occupo io».
Cardella ha buon gusto e non divide la preda con nessuno.
In macchina la Frezzante si aggrava, comprimendosi le mani sulla pancia, adesso
con rabbia e preoccupazione.
«Accosta… devo parlarti…».
«Come vuoi…
Ma se preferisci chiamo un’ambulanza».
«No… è inutile… sto crepando…
Spero non stasera… ma comunque sono finita…».
«Sei malata?».
«Molto…».
«Non si può fare niente?».
«No.
Ti piaccio, vero…?».
«Molto...».
«Potremmo… farla finita insieme…», forse Anna è tentata davvero, ha estratto
il revolver dalla borsetta e se l’è puntato contro il fianco.
«Sei impazzita? Non fare sciocchezze!».
«Fallo tu… avanti… non è difficile…».
Gli mette in mano la pistola, puntandosi la canna contro la pancia, a
bruciapelo.
«Se premi… il grilletto… mi ammazzi… Franco…», gli sussurra sensuale con occhi allucinati, carichi di follia e
paura insieme.
«Tu… lo vuoi davvero?».
Si guardano fissi negli occhi.
BANG
Gli occhi di Anna si sbarrano increduli.
È rimasta uccisa, si è fatta ammazzare come una stupida.
«NO!», grida l’uomo, a sua volta spaventato.
Non capisce come sia successo.
Anna abbassa gli occhi sullo stomaco e li rialza ringiovanita di 10 anni.
«Questa… la prendo io…
Ci hanno sparato contro… Franco…
Sono degli incapaci… ma potrebbero… aggiustare il tiro…». Cardella capisce
soltanto ora che Anna è illesa. «Metti in moto… presto… e spingi a tutta…».
Il reporter di “Ultima Notizia” non se lo fa ripetere.
Riparte sgommando e fila via, controllando nervosamente lo specchietto.
«Chi può essere stato? Chi sei?».
«Sono in tanti… a volermi morta…», Anna si è fatta apatica, non sente più le
gambe.
La crisi è più grave del previsto.
«C’è un fosso… da queste parti… puoi scaricarmi lì…».
«Perché dovrei?
Ti porto all’ospedale... o dalla polizia…».
«No… lì no… capito…?», gli mostra la punta della canna; stavolta è orientata
verso di lui.
«Okay… sta’ tranquilla… andiamo dove dici tu».
«Ho sete… dicono… che le bestie… hanno sete… quando muoiono…».
«Aspetta… mi fermo a comprare una bottiglia…».
Quando rientra, glielo chiede.
«Dove ce l’hai?».
«Nell'intestino…
Ma da come… sta andando… dev’essere passato… al pancreas…».
«Se è arrivato al pancreas… è una cosa brutta, Anna…».
«Cosa te ne importa… mi hai… appena conosciuto…».
«Sei una donna interessante, combattiva, attraente.
Mi piaci molto.
E di sicuro vuoi salvarti, non mi sembri stanca di vivere».
«Mi conosci già abbastanza… in fondo…
Ma adesso guida… guida… portami lontano…».
I minuti passano, insieme alle luci della città, ai semafori rossi e verdi.
«Fermati…», un sibilo sofferto lascia le labbra di Anna.
E Franco si ferma subito.
La Frezzante, con le mani pressate sulla pancia, si sporge in avanti e appoggia
la testa contro il cruscotto dell’auto, smaniosa e impotente, gli occhi annebbiati e
la bocca aperta e affannata; sembra avere un disperato bisogno d’aria.
«Non ce la faccio… chiama un’ambulanza… non voglio… crepare così…».
«Certo… subito…».
«Mi chiederanno… perché… non gli ho fatto… l’ultimo favore…».
Ma lui è impegnato a chiamare il 118.
Ricoverata
d’urgenza, in terapia intensiva, la 52enne Anna Frezzante, da tempo malata.
Le condizioni della donna si sono improvvisamente aggravate nella serata di
oggi.
Una folla di curiosi si è radunata nella hall dell’ospedale.
Si teme infatti il peggio tra stanotte e la giornata di domani.
Il portavoce della donna, il giornalista Franco Cardella, ha però fatto
trapelare un cauto ottimismo: «La signora Frezzante è cosciente e non si è
arresa. Domani stesso intende ritornare nel suo quartiere, alle Cisternole, nel
territorio di Frascati, dove proseguirà le cure a domicilio».
Dalla redazione di Cronaca Vera è tutto per ora, ma vi terremo aggiornati.
«Bravo… niente funerali… non devono sapere… quanto mi rimane…
Domani… mi bombardano il pancreas… con la radio…
Chissà… tu che dici…».
«Dico che ti conviene provare. Se non si fa qualcosa, c’arrivi in coma alle Cisternole...».
«Sta' calmo… non sono finita... voglio salvarmi…
A casa… mi farò portare… ossigeno… plasma… farmaci…
Ho parecchi soldi da parte…
Te l’ho detto… io ci credo... voglio bombardarmi… fino alla fine…
In coma… dovrai pensarci tu… a farmi dare qualcosa… per tirare avanti…»,
parla affannata, «e
se il coma... sarà leggero… potrò ascoltare… la tua voce…
mi parlerai… a nome dei tanti… che rimpiangono la mia fine…
Cercherò di darvi qualcosa… non una speranza… no… ma una bella battaglia… quella
sì…
Perché… ho ancora voglia… di farmi vedere le tette… e ciò dimostra… che non sono
pronta per morire…».
«A Cisternole dovranno istituire una ZTL fino a quando sarai ricoverata a casa tua».
Sì... è probabile... saranno tutti per strada... ad aspettare il mio cadavere...
E questo... mi darà benzina...», smarrisce lo sguardo nel vuoto. «Tu parlerai di condizioni critiche... ma stabili...
Non devono sapermi... in fin di vita...
Nessun titolo... a effetto...».
«Non ti piacciono?».
«Non quando... mi riguardano... in prima persona...».
«Qualcosa tipo "Le ultime ore di Anna a Cisternole", oppure "L'ambulanza arriva a sirene spente", che dici?».
«Che... avrei fatto meglio... a spararti...».
«Aspetta... "La morte è a un passi dalla ZTL"».
«Questa...», le strappa un sorriso, «è buona
davvero...».
«D’accordo, allora: domani, radio.
A meno che tu non voglia tentare con un mio amico medico, che cura i tumori in
un altro modo e che per questo ha subito numerose intimidazioni».
«Un personaggio… scomodo…?».
«Parecchio…
Ma adesso fatti un riposino, io rimango nei paraggi.
E domani, se ti va, mi spieghi quella storia dell’ultimo favore…».
Aveva ascoltato, dunque.
«Tu però... fai compagnia... a qualche infermiere... evita la solitudine...
In certi casi... può essere più fulminante... di un tumore al pancreas...», e lo fissa seria, tragicamente consapevole del proprio destino, e anche del suo.
«Non so a cosa alludi, ma non deve succedere, Anna; tu hai bisogno di altro tempo, e l'avrai; non sei in fin di vita.
Respireremo con la stessa bocca, cercheremo aria fino all'ultimo, le tue tette avranno anche la mia benzina e non usciranno sgonfie dalle Cisternole, perché almeno ti terremo in coma controllato...».
«Non vedo molta strada... davanti a me... Franco... ma quella... la faremo insieme...
Poi... arriverà un'ambulanza... a sirene spente... anche gli altri sapranno... a cose ormai fatte... e la ZTL... non avrà più senso...
La vecchia stronza delle Cisternole... si sarà tolta di mezzo... e tu... mi farai il favore... di evitare i personaggi scomodi...».
«No, l'ambulanza arriverà a sirene spiegate, tenteremo sempre e comunque. Ti farò portare dal mio amico».
«Sai una cosa... Franco...?
Sto diventando sempre più scomoda... anch'io...
Mettimi la beretta vicino alla flebo... e chiama questo numero...».
Lettore, l'attrice che ha ispirato questo racconto è un personaggio vivente.
Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità.
Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico.
Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film.
La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta.
di Salvatore Conte (2019-2022)
L'incarico è quello di eliminare Jack Saponetta, un pericoloso sicario che qualcuno ha deciso di far tacere.
Lei è una stimata free lance: niente di personale, solo business.
Nada Giansanti è quel che si dice una vecchia cessa: tanti anni - cinquantaquattro, portati male - tanto grasso, tanta mignottaggine, ma ancora in tiro, bona, gonfia e sbottonata; e per almeno altri dieci anni, con la ferma intenzione di fare la pupa inarrestabile.
Si veste da strappona per togliersi qualche anno di dosso, però nel giro tutti conoscono la sua età, i suoi problemi e soprattutto il suo grasso: Nada è considerata finita.
Gli tende una trappola in uno spiazzo di periferia, nascosto tra gli alberi, attirandolo con un falso affare: soldi sporchi da ripulire.
Lo attende sbottonata come al solito, per rallentargli i riflessi. Si è informata e pare abbia un certo gusto in fatto di donne; secondo altri sarebbe un necrofilo; lei un po' di pallore da vecchia ce l'ha, perciò...
Nel dubbio ha omesso il fondotinta: fra tette, grasso in eccesso e qualche ruga dovrebbe cuocersi a dovere. Di certo non non gli è risultata indifferente.
Data l'ora, non c'è nessuno in giro; la luce bianca dei lampioni pubblici conferisce un pallore cimiteriale ai volti dei rari passanti.
«Hai portato quelli buoni?», avanza spavalda verso di lui, con la camicetta sbottonata aggressivamente fino allo stomaco, sempre sicura che nessuno osi toccarla, un po' per l'età, un po' perché è ancora bona.
Eppure sa che Jack Saponetta ha eliminato più di trenta obiettivi e l'ha sempre fatta franca.
Ma stavolta tocca a lui.
«Certo... 20.000 contro 100.000, ma puliti...».
La valigetta nella sinistra, la destra libera, si fa intravedere nella penombra.
Non può avere una pistola, se non dietro la schiena.
«Mi fido, prendila...», giunta a pochi metri, gliela lancia.
Ma lui non ci casca, scarta a destra e infila una mano nella tasca del cappotto; sempre comodo, nonostante il bel tempo.
FLOP
Prima che la beretta di Nada lo punti, lui la fulmina.
Non ha nemmeno estratto, ha sparato con la glock ancora nella tasca.
La sessantaseienne strabuzza gli occhi.
È stata raggiunta all'addome.
Barcolla, ma rimane in piedi, la stazza funziona e fa da contrappeso alla pallottola, che avrebbe scaraventato a quattro metri una ragazza in linea.
Lo guarda quasi mortificata, imbarazzata; non per lo sgarro, perché ci sta nel giro di fregarsi, ma per aver dimostrato di essere ormai sul viale del tramonto.
«Mollala... non ti faccio niente, la cosa finisce qui...».
Ha ancora la beretta nella mano ed è tentata di giocarsi le ultime carte.
Ma stavolta si fida sul serio.
Impossibile fregare in quelle condizioni uno come Jack Saponetta.
Tanto vale affidarsi alla camicetta sbottonata.
«Adesso torna verso la macchina».
Jack non ha intenzione di finirla.
Raccoglie la pistola da terra e senza dire nient'altro se ne va, mentre Nada, ingobbita, si tampona il buco incrociando gli avambracci sulla pancia, cercando di raggiungere l'auto.
Ce
la fa, riesce a mettersi seduta alla guida, ma la soddisfazione dura poco.
Neanche il tempo di riprendere fiato, che lo sportello del passeggero si apre.
Un uomo vestito di nero, dissimulato alla vecchia maniera, con una calza da donna in testa, le entra in macchina e le punta contro il fianco un revolver con silenziatore innestato.
Evidentemente anche il suo incarico allora era solo un inganno per prenderla alla sprovvista ed eliminarla.
Di nemici con quel lavoro se ne fanno parecchi.
«NO!».
Ma è tutto inutile.
Nada inizia il ballo della morte.
FLOP
M'ammazzano...
FLOP
Mi fottono...
FLOP
Basta... ma quando smettono...
FLOP
Sono pazzi... se continua così, non mi salvo...
FLOP
Adesso smette...
FLOP
Non ci posso credere... non può essere toccato a me...
CLICK
È
finita, adesso si ferma...
Ad ogni colpo, un pensiero sfrenato per sé, e un
sensuale sussulto per il suo killer, che gli mette voglia di spararle addosso
per tutta la sera; tanto che gli svuota contro il caricatore.
E rimane deluso quando gira a vuoto.
«È andata, capo. Imbottita di piombo... il grasso fuso le colava dalla pancia..», il sicario riferisce di persona al boss.
«Quella
troia si ostinava a recitare una parte fuori tempo
massimo.
Quali sono state le sue ultime parole?».
«Mi sembra... ah sì... “siete pazzi”.
Poi si è accasciata sul volante e ha tirato le cuoia».
«Che cosa voleva dire?».
«Non lo so, capo».
«Quanti colpi?».
«Tutti e sei, più quello che s'era presa cercando di
ammazzare Jack Saponetta, e che forse sarebbe già bastato, visto che buttava
sangue come una fontana».
«Sei?!
Non pensavo fossi così cattivo...
Ecco perché se l'è presa... non pensava di rimanere trucidata.
Sempre stata una presuntuosa. Ma a 66 anni, farsi tante illusioni...
Gran puttana, comunque. Domani compra il giornale: voglio leggermi il necrologio».
«Sessantasei anni, ma sempre quel sorriso sornione da
ragazzetta svampita...».
«Già... deve esserle bruciato parecchio dover tirare
le cuoia, visto che si sentiva ancora tanto giovane...».
«Quando si è aggrappata al volante, tra il peso e la
rabbia, ho pensato che lo staccasse dal cruscotto.
Ma è durato poco, le braccia sono diventate di burro e ha perso la presa.
Un rantolo, un calcio a vuoto, ed è crepata.
D'altronde aveva fatto il pieno di piombo!».
«Non le hai lasciato scampo, bravo.
Altrimenti ti avrebbe supplicato, prima di morire.
No, aspetta...
parliamo col capo...»,
scimmiottandola. «Dammi
una possibilità... posso esservi utile... farò qualunque cosa... aiutami... non
respiro... allentami la camicetta...».
«Più di quello?
Guardava fisso da
tuttaltra parte, capo. Non ha avuto il tempo di fare
discorsi».
«Hai saputo giocare d'anticipo...».
Poco dopo Nada riceve un'altra visita.
Era rimasto nei paraggi per vedere se riusciva a ripartire, portandosi in ospedale.
Ma non ha interferito nell'esecuzione.
Tuttavia è curioso di vederla cadavere.
Ha la testa infilata nel volante.
La rovescia senza tanti riguardi contro lo schienale, ma quando si accorge che respira ancora, si sente in torto.
«Scusami, Nada».
È un assassino, non un prepotente; e la vecchia cessa merita un po' di rispetto.
«Jack...
l'ovatta...», pensa solo a quello, indicando con la mano
tremante lo sportellino portaoggetti.
Lui la prende e gliela preme addosso.
La sta aiutando.
Eccitata, Nada ha un attimo di esaltazione.
«Spingi... e dammi la mano...
Sono pazzi...
Guarda... cos'hanno fatto...
Si sono... stufati di me...
Dilettanti...
Per uccidere... si spara al cuore... non si sprecano... pallottole...
Non si ammazza... così... una vecchia signora...
Hanno voluto...
umiliarmi...
Il grasso... me l'hanno... fatto... schizzare... fuori... della pancia...».
«Devo andare, Nada... potrebbe arrivare qualcuno...
Vuoi tentare, o la facciamo finita?».
«Tu... cosa pensi...».
Hai tanta voglia di
vivere, pupa, ma con tutto questo piombo addosso è un po' tardi per correre in
ospedale».
Gli occhi di Nada sono delusi, tormentati.
«Lo so... muoio... ma... non mi dare niente...
aspetta... solo un po'...», il fiato corto, concitata,
fuori di sé.
«D'accordo».
«Hai capito... cosa... hanno fatto...».
Ha un gran bisogno di parlare.
«Lo vedo: un lavoro sporco, non si spara così a una
vecchia signora.
Io ti ho piazzato una pallottola, ma forse te la saresti cavata».
«Io... non volevo... è stato solo... business...».
«Non ti porto rancore, Nada»,
il tono è calmo rassicurante.
La Giansanti stringe la mano di Jack con più forza, non ha smesso di lottare.
«Non
sento più... le gambe...». Lui l'ha coperta con il suo
cappotto, rinunciando alla scollatura. «Jack...
finirò... bruciata... nell'auto...».
«No, non saresti carina all'obitorio.
Io ti lascio qua tranquilla, alla guida».
«Jack...
nella borsetta... c'e una foto... di quando... ero
giovane...».
«Non sei cambiata molto...».
«Sei... l'assassino... più galante... che... mi sia
capitato...».
«Ma non ti ho ucciso io».
«Parlavo... in generale...».
«Me la
tengo, se non ti dispiace».
«Jack... che stupida... c'ho provato... mi sono...
spremuta...», un respiro esasperato tradisce la fine.
«Non
potevi farcela, Nada».
La bocca si spalanca, ma l'aria è finita.
«Jack-chiama-l'ambulanza-ti-prego», riesce ancora a dire, tutto d'un fiato, in apnea.
Ma non c'è più tempo per fare niente.
La mano di Jack le
sfugge come fosse una saponetta.
Uno-due-tre calci a vuoto, con gli occhi fissi, che guidano nel buio.
E un lungo rantolo.
«Addio, vecchia»,
sussurra come potesse ancora sentirlo.
Si riprende il
cappotto, ma non certo per rimetterselo.
Per guardarle dentro la camicetta sbottonata.
Forte come un toro, ma condannata.
Buchi che ancora grondano sangue e grasso.
L'ovatta solo un palliativo.
Sta per andarsene, quando un impulso lo frena.
È troppo bona con quelle tette da puttana e gli occhi sbarrati nell'incredulità
di una fine, che sperava di poter rimandare ancora un po'.
Sono stati pazzi a liquidarla così; con la sua pallottola arrivava perlomeno in
ospedale.
Adesso bisogna inventarsi qualcosa.
A mali estremi, estremi rimedi.
Non rimane che la carta Malmstrom, il medico folle radiato dall'albo.
«Ti porto con me,
vecchia puttana...».
Con Malmstrom non è mai troppo tardi.
«È morta da poco. Il corpo è caldo...», sussurrando trasognato le parole, mentre la palpeggia, al telefono con il professore.
«Allora la porti, ma faccia presto.
È più facile se comincio a lavorarla sotto l'ora».
«Fra venti minuti sono da lei,
professore».
Avvolgendola in un telo di plastica per non sporcare troppo il sedile, la carica
in auto - posto del passeggero - e parte a tavoletta.
Alle prime curve Nada gli si ribalta addosso.
Il corpo ancora caldo gli fa venire i brividi.
Se avesse solo qualche minuto di tempo...
«Adesso... voglio... ammazzare...», il linguaggio della Zombi-Cessa è rallentato. «Io... ho creduto... di morire», deve sforzarsi per trovare le parole.
Ha qualche lampadina bruciata, ma le tette sono tornate nuove.
«Sei morta davvero».
«Tu... sei sulla lista... di quelli... da ammazzare...
Sei morto... come me...».
«E allora... andiamo ad ammazzare insieme!».
Lettore, l'attrice che ha ispirato questo racconto è un personaggio vivente.
Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità.
Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico.
Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film.
La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta.
di Salvatore Conte (2019)
Roma
versava nel più totale declino.
Le fazioni patrizie si affrontavano senza esclusione di colpi, in cruente sfide alla luce del sole.
Folle di plebei assistevano non troppo in disparte a questa sorta di spettacoli, eccitate dal sangue, parteggiando per l'una o o per l'altra frazione.
Quel giorno corsero ad ammazzarsi Sillani e Costantiniani.
Dopo le minacce rituali, ricevuti gli auspici dei rispettivi faziosi, le bighe cominciarono a macinare l'arena campestre, teatro della battaglia.
I Sillani schieravano sul carro del comandante il loro Senatore, affiancato dalla moglie Chana, abile sagittaria, detta la Minotaura per la possanza bestiale e la forza taurina.
Due bighe di scorta, armate di giavellotti, precedevano la coppia senatoria, lanciata contro il fronte nemico.
I Costantiniani schieravano Lazarus, il famoso zombi rianimato dalla loro negromanzia, vulnerabile solo al cuore e alla testa, esperto lanciatore di giavellotto.
Le bighe si rincorrevano compiendo manovre azzardate, cercando di portarsi alle spalle di quelle nemiche, posizione in cui aurighi e guerrieri della fazione avversa risultavano più vulnerabili.
La Minotaura aveva già scoccato le sue frecce, trapassando la gola a un giavellottiere costantiniano.
Questi fu subito rimpiazzato dopo un breve passaggio del carro presso lo stazionamento della fazione.
Lazarus, animato dalla sua forza infernale, aveva squarciato la schiena a un auriga sillano, con tale potenza che perfino la palla di piombo innestata nel giavellotto - atta a potenziare l'impatto e rendere preciso il tiro, se però si aveva la giusta forza per il lancio - si era conficcata nel dorso dello sventurato.
Ora si recava presso la stazione d'appartenenza per riprendere il giavellotto.
Ma sapeva che per porre fino allo scontro occorreva togliere di mezzo il campione nemico, la Minotaura.
O meglio lo sapeva il negromante che lo controllava da bordo campo.
Fu così che venne dedicato a tale obiettivo, e quando riuscì a portarsi alle spalle di Chana Sillana, ricevette il comando di sferrare il colpo mortale.
La Minotaura si avvide della minaccia e si voltò di scatto, più vipera che toro.
SWISH
SWISH
Due proiettili fenderono l'aria nello stesso momento.
Lazarus fu colpito al cuore dalla freccia e si abbatté contro il parapetto della biga come un cadavere rigido da tempo.
La Minotaura fu raggiunta all'addome dal giavellotto.
La punta si conficcò profonda nelle budella, fino alla sfera di piombo, che rimase però esterna alla ferita.
Il clamore del pubblico salì al cielo.
Chana Sillana incassò la punta senza battere ciglio, forte della sua possanza.
Il problema immediato era quello di girarsi: con il giavellotto nella pancia non poteva muoversi più di tanto.
In quelle condizioni non poteva approfittare del vantaggio conseguito con l'abbattimento del duce nemico.
In ogni caso, il marito, preoccupato per lei, optò per la ritirata.
Non c'erano vincitori.
Il pubblico, deluso, si rassegnò a rientrare in Città.
Ma già la morbosa curiosità per la sorte di Chana Sillana montava tra i faziosi.
La moglie del Senatore fu issata a braccia su un carro da trasporto.
«Toglilo
via... oppure impazzisco...».
«Ma ti
strapperà le budella... meglio aspettare un chirurgo...».
«Non cambia niente... fallo subito...».
«Come vuoi...
State pronte, voi».
Il Senatore si era indirizzato alle sue serve, che avevano alla mano diverse spugne per tamponare il sangue e riempire il buco.
Quando il convoglio giunse in Città, fu messa a terra una lettiga e Chana Sillana proseguì il viaggio come faceva di solito, salvo per il fatto che stavolta girasse per Roma con le budella strappate.
A metà strada dalla domus, però, il braccio della Minotaura cadde a penzoloni oltre il bordo della lettiga.
«Ferma!».
Al Senatore, che le aveva ceduto per intero la lettiga, e che l'appaiava a
piedi, non era sfuggito il preoccupante segnale.
«Chana...», la vista annebbiata, le budella di fuori e la bocca spalancata orrendamente. «Chana, che fai? Siamo quasi arrivati a casa. Presto ci saranno i nostri faziosi...
La
ferita è profonda, d'accordo, ma tu... sei... lo sai chi sei?».
Chana Sillana lo guardava sconsolata, con poca aria da gestire.
Stava agonizzando e aveva cominciato ad ammetterlo.
Quel maledetto zombi costantiniano...
«Con te
viaggerà Cecilia.
Devi tamponare forte sulla ferita e dare la mano alla padrona.
E avvisarmi se...».
«Giove
non voglia...».
«Va
bene, cara?
Arriverai a casa tranquilla, e troverai il chirurgo ad aspettarti. Non ci
saranno problemi. Niente di doloroso. Verrai curata e ti sentirai meglio.
Il Senatore cercava di minimizzare, cercando di non impressionare troppo la
moglie; possente, coraggiosa, ambiziosa, sì, ma di fronte a Dite un po' fifona
come tutti.
«Certo...
ma... rimani vicino...».
Chana Sillana aveva ormai paura che la situazione potesse precipitare.
Tuttavia il conforto e le cure di Cecilia furono utili e la moglie del Senatore
riuscì a gestirsi fino a casa.
Nella battaglia, colpita anche Chana Sillana, moglie del Senatore!
Non è chiaro quale sia la sua sorte!
Secondo alcuni è rimasta uccisa!
Secondo altri è ferita a morte, ma ancora in controllo!
Gli
strilloni si riversavano per le vie della Città.
E forse alcuni e gli altri intendevano la stessa cosa.
Quando si ebbe la certezza, dove aver corrotto il chirurgo, che era stata
raggiunta da un giavellotto e che - a seguito della sua estrazione - era rimasta
sbudellata, una folla di curiosi circondò la domus Sillana per seguire da
vicino, minuto per minuto, il crollo della potente Chana.
La morte è lenta in questi casi, tutti ci provano fino all'ultimo.
Inoltre la stazza possente della Minotaura avrebbe reso l'agonia molto
combattuta.
Non avrebbe mollato facilmente, ne erano sicuri.
La morbosa attesa era troppo interessante.
Perciò non avrebbero aspettato che la notizia li raggiungesse: volevano
aggiornamenti continui e anche visitare a turno, in piccoli gruppi, la superba
matrona.
Poiché era a ragione considerata forte come un toro, data la possanza e la
tempra da dominatrice, la sua morte sarebbe apparsa come un sacrificio offerto
agli dei.
Trapelava come espellesse
gli umori liquidi con regolarità; non così le feci, che spurgavano a pezzetti
dalla ferita.
Uno schiavo si era offerto per devozione di succhiare la padrona, mantenendola
pulita. Succhiava e sputava. Chana Sillana lo accarezzava: così poteva tirare
avanti.
Era soddisfatta, poteva lottare a lungo. Non si sarebbe fatta convincere da
nessuno a darsi la morte.
La sua fine sarebbe stata leggendaria e avrebbe oscurato quella dello stesso Minotauro.
Lettore, l'attrice che ha ispirato questo racconto è un personaggio vivente.
Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità.
Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico.
Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film.
La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta.