La Super Cessa
LA SUPER CESSA
di Salvatore Conte (2011-2021)
Mama put my guns in the ground
I can’t shoot them anymore
That cold black cloud is comin’ down
Feels like I'm knockin' on heaven's door
Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
Knock-knock-knockin’ on heaven’s door...
La musica di Bob Dylan
riempie l’abitacolo della macchina, arroventato dai 38 gradi dell’estate romana,
anche se metà del suono esce dal finestrino che ho lasciato aperto per riuscire
a respirare un po’ d’aria.
Regolo il volume dello stereo per ascoltare meglio quello che conosco già a memoria e penso che sarebbe stato più giusto se Mr. Tambourine Man avesse cantato Knockin’ on hell’s door...
È più probabile che si aprano le porte dell'inferno che quelle del paradiso.
Sorrido e scuoto la cenere fuori dal finestrino, è la prima sigaretta che fumo da un anno, ma oggi ho fatto un’eccezione.
Fumo e sono nervoso, e anche questa è un’eccezione, ma l’incontro è speciale e vale tutte le bionde.
Due giorni fa ho ricevuto una telefonata parecchio mattutina.
«Pronto...?», sono a letto, allungo una mano alla cieca e rispondo solo per far smettere gli squilli.
«Sono io».
«Chana...?», la riconosco anche addormentato.
«Ho un affare da proporti».
«Dimmi», sentire la sua voce mi fa svegliare immediatamente.
«Ho un po' di roba sporca da lavare.
Se riesci a pulirla per bene, senza lasciare macchie, ti prendi il 20%».
«Come mai, ti si è rotta la lavatrice...?», accendo il fornello e ci metto sopra la caffettiera rimasta mezza piena dalla sera prima.
«Accetti?», la voce si fa perentoria.
«Ti laverò tutto, fino a togliere anche l’ultima macchiolina», non ho mai imparato a dirle di no.
«Bene.
Domani alle 15 allo stabilimento abbandonato, sai qual è».
E il caffè comincia a bollire insieme al mio sangue.
L’orologio digitale lampeggia verde sulle 14.54, sono in macchina con il muso puntato verso lo stabilimento già da mezz’ora, non mi piacciono le sorprese e a certi incontri voglio arrivare per primo.
Una vecchia Giulia 2000, più o meno cinquantenne, scende dalla complanare e si ferma dieci metri di fronte a me; una delle sue fisse sono le auto d'epoca.
In giro non c’è nessuno.
L’auto riparte subito e una mano si sporge dal finestrino facendo segno di accodarsi, e a me non resta che accendere il motore e buttare la sigaretta, per oggi ho fumato anche troppo.
La bestia si dirige verso una stradina sabbiosa che aggira lo stabilimento e termina sulla spiaggia. I fitti canneti cresciuti sui fossi di scarico, più o meno abusivi, offrono la necessaria privacy.
Divieto di balneazione, un cartello solitario è l'unica presenza tangibile sullo sfondo del mare, il resto della scena se lo prende tutto la vecchia struttura arrugginita e dismessa da anni.
Siamo allo stabilimento fantasma, fino ad oggi non c'ero mai stato, ma d’altra parte è noto per essere un posto dove s'incontrano, indisturbati, spacciatori e trafficanti di droga, e io non lavoro con la roba.
Il vuoto al posto delle persiane, l’erba fra i gradini spaccati delle scalinate, una fila di piccole strutture di legno marcio che un tempo erano cabine, un’insegna con metà delle lettere rimaste attaccate a lasciar immaginare quello che una volta era il nome dello stabilimento, un’altalena rimasta attaccata a una corda sola e un calciobalilla ricoperto di muschio che da anni ormai non ha più nessuno che si aggrappi alle sue maniglie: il tempo e l’abbandono hanno fatto il loro dovere.
Si aprono tre portiere, le due davanti e una dietro; m’infilo la pistola nella cintura, dietro la schiena, e scendo anch’io.
Davanti a me tre persone: due uomini e una donna; e la donna è lei, Chana Gorman; nel giro è detta la Cessa, perché a cinquant’anni è grassa, bona e zozza da fare schifo; ma per me è la Super Cessa.
Però una cosa è certa:
la Cessa non porta il reggiseno e
le pesanti tette da vaccona franano a penzoloni sulla pancia.
Ero poco più che ventenne quando la conobbi, e lei aveva dieci anni più di me;
da ladro di motorini mi introdusse passo dopo passo nel giro della malavita
romana, e devo dire che dal quel giorno di strada ne ho fatta parecchia.
Chana, insomma, è stata la mia Madrina.
E anche la mia donna, oltretutto, avendomi fatto fare la mia prima vera scopata:
a quei tempi era in linea, soda e sempre piena di uomini, nessuno poteva resisterle e io
non facevo eccezione.
Poi cominciò a mettere su chili, uno dopo l’altro, e il suo corpo a farsi
gonfio e grasso, il seno pesante iniziò a ciondolarle sempre più in basso, e il
tutto venne suggellato da quel tipico sguardo malato, da stronzona; fu così che
il noto soprannome intervenne a ribattezzarla, facendola diventare quella che è
tuttora: Chana Gorman, la Super Cessa.
Ma ormai ha doppiato i 50, come donna è quasi finita, il seno è in caduta
libera come lei, anche se ci tiene sempre a mostrarne una buona parte: una
tunica elastica, purpurea, lascia facilmente
intuire tutta la decadenza del suo fisico sformato.
Malgrado tutto, però - anche se terribilmente imbolsita - grazie al suo trittico magico (ciccia, panza, tette) e l’aria da
troia consumata, Chana domina ancora la scena.
L’uomo accanto a lei è Ric, un piccolo delinquente romano chiamato Trilussa per un vago talento da poeta di strada, mentre il terzo individuo è un tipo alto e allampanato, sicuramente al soldo di uno dei due.
«Ciao, Emiliano», la Gorman prende subito la scena.
«Ciao, Chana.
Non mi avevi detto che ti saresti portata compagnia».
«Preferivi averla tutta per te?», Ric risponde al posto suo, mettendosi le mani sui fianchi in modo che la giacca si allarghi quel tanto che basta per lasciarmi intravedere la sua pistola.
«Non sono un tipo geloso...
Ma non mi aspettavo di vedere anche la tua brutta faccia», e faccio due passi in diagonale, mettendomi di profilo, in modo che anche lui veda la mia pistola.
«State calmi!», interviene Chana, mettendosi in mezzo fra l’uno e l’altro.
«Ric è qui perché in questo affare è mio socio.
Il colpo l'abbiamo fatto insieme».
«E magari è venuto perché di me non si fida, vero Ric...?», lo guardo sorridendo.
«Non mi fido mai dei figli di puttana», risponde di getto, ricambiando lo sguardo, ma non il sorriso, perché lui con la Cessa non riesce ad andare di corpo...
«Il solito malfidato, Ric...».
«Va' all’inferno, stronzo!», e sputa in terra rabbia e saliva, scommetto che è proprio come dico io...
«Basta così!
Mirko, prendi la valigetta», Chana ha perso la pazienza e il tipo allampanato esegue, prendendola e mettendola sul cofano; evidentemente lavora per lei.
«È un milione», la apre, e considerato il numero di mazzette da 100 euro, pare sia veramente tutto intero.
«Come ti ho detto, se fai un buon lavoro, un bel po’ di questi bigliettoni rimarranno tuoi».
«E tu ti fidi, Chana?», la guardo e aspetto una risposta che già conosco.
«Certo che no», richiude la valigetta.
«Ric starà con te fino a quando non avrai ripulito anche l’ultima banconota».
«Capito, figlio di puttana?», gonfia il petto, orgoglioso del proprio ruolo.
«Non credo che mi piacerà averlo accanto per qualche giorno».
«Te lo farai piacere», Chana mi fissa seria, lasciando intendere che non c’è un’alternativa a Ric. «Prendere o lasciare».
Prendo, in fondo per 200.000 euro posso sopportare anche Ric e la sua brutta ombra.
L’affare è fatto e Ric sembra l’unico inconveniente, ma una violenta sgommata alza un nuvolone di sabbia e una Croma grigia si ferma a qualche metro da noi.
Si abbassa il finestrino posteriore.
«Proprio una bella riunione di famiglia...», capisco subito che presto avrei rimpianto la forzata compagnia di Ric.
«E non sono stato invitato... non ci si comporta così».
«Cazzo! Mike?!», anche Chana capisce immediatamente che è arrivato un grosso, inaspettato problema.
«Cosa diavolo ci fa qui, Chana?!», Ric pretende subito una risposta.
«Non lo so, maledizione! Non lo so!».
Guarda me, ma allargando le braccia le faccio capire che io ne so meno di loro.
Mike Saviano, 60 anni, uno dei tre capi camorristi più potenti e spietati: purtroppo per noi sembra aver voglia di scalare ulteriormente la classifica e di aprire filiali in zona.
Metto la mano sulla pistola mentre vedo che si abbassa anche il finestrino anteriore.
«Salutatemi l’inferno!», Saviano emette la sua condanna a morte.
RAT-RAT-RAT
Parte la prima raffica di mitra e riesco a buttarmi a terra, scansando le pallottole, per una questione di centimetri.
«Ahhh...!», Mirko non è stato così svelto e si piega in due, crivellato di colpi.
«Maledetti bastardi...», Ric è stato più rapido, ma non abbastanza da evitarsi una pallottola nella gamba, mentre Chana è riuscita con agilità inaspettata a buttarsi dietro l'Alfa.
BANG
BANG
Sparo un paio di colpi alla testa e il mitra fa partire raffiche all’impazzata, terra-aria: il primo uomo di Saviano è andato.
«Bravo stronzo!», Ric lo riconosce, in fondo; perché solo i migliori stronzi passano dentro la Cessa...
«Maledetti cani!
Falli fuori, Gennaro!», Saviano bestemmia e ordina al secondo uomo di fare quello che l’altro, con la testa a penzoloni fuori dal finestrino, non può più eseguire.
Gennaro scende dal posto di guida e obbedisce, scaricando una raffica di mitra.
RAT-RAT-RAT
Ma le pallottole finiscono tutte nella sabbia, riuscendo solamente ad alzare piccoli sbuffi polverosi.
Forse è più bravo come autista.
«Pronto, Ric?», nel frattempo sono riuscito a ripararmi dietro la mia auto, dove si è trascinato anche Trilussa.
«Pronto, figlio di puttana...».
«Allora al tre…
Uno...
Due...».
BANG
BANG
BANG
BANG
BANG
BANG
Spariamo insieme, qualche colpo buca la carrozzeria di metallo, ma gli altri bucano la pancia di Gennaro, che con un rantolo finisce con la faccia sul cofano.
«Gennaro!», Saviano si accorge che adesso nessuno può uccidere per lui e pistola in pugno esce dall’auto, costretto a risolvere la faccenda in prima persona.
«Andate all’inferno, bastardi!».
BANG
BANG
BANG
BANG
BANG
BANG
Spara rabbioso tutto il caricatore verso di noi, ma da sempre la rabbia non va d’accordo con la precisione.
Click!
Click!
I colpi finiscono prima se sono sparati alla cieca.
BANG
BANG
A me invece ne sono rimasti ancora due.
BANG
BANG
E a Ric altrettanti.
«Ahhh...», Saviano, ingordo, se li prende tutti e stramazza pesante sulla sabbia.
«Li abbiamo spediti tutti all’inferno quei maledetti porci... uhhh...», Ric prova ad alzarsi, ma la pallottola nella gamba si fa sentire.
«Quel bastardo di Saviano ci ha teso un’imboscata... e mi ha anche rovinato la macchina!», Chana si è tirata su soltanto adesso: com’era prevedibile ha pensato soltanto a salvare la pelle, mentre noi ce la giocavamo a dadi. «Qualcuno gli ha passato la soffiata del nostro incontro e lui non voleva lasciarsi scappare l’occasione di farci fuori tutti e tre in un colpo solo, per poi prendere in mano la piazza».
«E la taglia da un milione…
Ma stavolta ha fatto male i suoi conti», guardo il corpo rannicchiato e imbottito di pallottole.
«Maledetto bastardo!», Ric gli sputa contro quello che gli resta della saliva.
«Penso sia il caso di andarsene alla svelta da qui», Chana prende la valigetta e la posa sul sedile posteriore. «Ce la fai, Ric?».
«Ce la faccio», e zoppicando si trascina fino all'auto, mettendosi seduto accanto alla valigetta.
«E tu, Emiliano?», Chana mi guarda da Cessa, con gli occhi ciondolanti come il seno, che le sciacqua sotto la camicetta da troia.
«Credo che dovrete darmi un passaggio.
La mia macchina è andata», e mi volto allusivamente verso le due gomme sgonfiate dalle pallottole.
«Mettiti accanto a me, questa non la fermi neanche a cannonate», apre la portiera e s’insedia al posto di guida.
«Vedo che viene anche lo stronzo», la ferita non fa perdere a Ric le buone maniere nei miei confronti.
«Se dovremo sopportarci per qualche giorno, è bene farci subito l’abitudine», lo guardo dallo specchietto di cortesia. «E stringi bene il fazzoletto alla gamba, se non vuoi morire dissanguato».
«Va' all’inferno!».
Chana mette in moto e parte, ma qualcuno non è troppo d’accordo nel vederci andare via.
BANG
BANG
Quel bastardo di Saviano aveva addosso un’altra pistola, e prima di crepare e finire eternamente con la faccia affossata nella sabbia, ha trovato la forza per sparare altri due colpi.
«Maledetto...!», Chana fa una smorfia e scavando la sabbia con le gomme disegna un semicerchio perfetto, riportando l’auto in direzione del mare.
Si ferma un attimo, poi ingrana la marcia e riparte lasciando la frizione di scatto.
«Ma cosa fai, Chana?!», punta dritta verso il corpo di Saviano.
Accelera e passa sopra il boss, con ogni probabilità già morto.
«All’inferno... bastardo...», lo sguardo di Chana è una mescola di sadismo e rabbia, mentre sento distintamente il rumore delle ossa che si spezzano sotto le ruote dell’auto.
«Perché, Chana?
Anche se ha sparato, ormai Saviano era crepato!».
Ma non mi risponde ed esce sgommando dal breve sentiero sterrato, per poi imboccare la litoranea, facendo scodare di potenza la bestia.
La Giulia sale di giri con una facilità impressionante, un tuttuno con Chana.
Neanche il tempo di pensarlo e siamo già a 100 chilometri all'ora.
Scommetto che sentire quel rombo pazzesco la manda su di giri.
Le
altre auto vengono superate come birilli, curva o rettilineo non fa differenza:
la pantera è sempre in tiro.
Ma adesso sta esagerando.
«Cazzo, Chana...!», il tachimetro segna 140 chilometri all’ora, le gomme stridono dolorosamente, la Cessa è impazzita, oppure semplicemente ha una fretta del cazzo, e mi chiedo perché...
«Rallenta, Chana... mi fa male la gamba!», Ric si lamenta da dietro, aggrappandosi ai sedili.
«Allora, vuoi rallentare...?! Non abbiamo nessuno dietro...!».
Ma forse lei qualcuno dietro ce l’ha... qualche diavolo la insegue... sembra turbata a morte; la guardo, ma è come se non ci fossi, e tenendo le mani strette al volante, continua a guidare con gli occhi fissi sul parabrezza.
Ancora un tratto di strada a tutta velocità... e poi, all’improvviso, finalmente, rallenta, frena e accosta sulla destra, fermandosi in una piazzola sterrata.
«Uhhh...», Chana si china sul volante fino a toccarlo con la fronte e il seno - a momenti - le ciondola fuori dalla camicetta.
«Quel bastardo... mi ha beccato in pieno...».
Me lo sentivo che c’era qualcosa che non andava…
«Chana... cosa c'è?», la prendo e la tiro su, rimettendola con la schiena contro il sedile.
«Mi sono beccata due pallottole in pancia... uhhh...», le allargo la giacca e giungo alla conclusione che Saviano, oltre alla carrozzeria della Giulia, ha bucato quella di Chana...
Ecco perché aveva travolto un corpo già morto; la morte non era abbastanza per chi aveva commesso l’affronto di spararle in corpo.
«Che cazzo sta succedendo?», Ric mette la testa fra i due sedili.
«Chana si è presa un paio di pallottole...».
«Che cosa...?!
E quando cazzo sarebbe successo...?».
«Quando Saviano c’ha sparato contro da terra, idiota...».
«E adesso che si fa con lei, tu che sai tutto...?».
«Tu che vorresti farne?».
«Fanno un male cane... ohhh...», dev'essere vero, le ferite sono brutte; le pallottole sono entrate dal fianco e l'hanno sfondata tutta, rovistando fra le budella.
Chana non ha scampo, il suo destino è segnato; Saviano le ha fatto pagare tutti i suoi peccati.
«Ti portiamo da un dottore... te la caverai...», la tranquillizzo, asciugandole il sudore con un fazzoletto; si fa così in questi casi, non deve capire che sta morendo.
«Apri la camicetta... deve respirare...», si mette anche a dare consigli.
«Va bene, così?».
«Perfetto! Guarda che roba...
Ma adesso bisogna andare via, fra un po’ sarà pieno di poliziotti», Ric se ne frega di Chana e pensa solo a salvarsi il culo.
«Vieni, bella... guido io e ti porto da un dottore...», mi scambio di posto con lei senza scendere dall’auto.
«Ohhh... fai piano...», lo scambio è doloroso, le pallottole bruciano nella bella carcassa.
«Così...», la sistemo contro il sedile, ma lei preferisce incubarsi di fianco, con la tempia poggiata sullo schienale e le mani a stringere la pancia.
«La sai portare...
Sta' attento alle buche...
Spingi bene la frizione... ohhh...», malgrado tutto, trova pure il tempo per questi preziosi consigli.
«Non te la rovino la tua bella auto, sta' tranquilla».
«Fa’ presto... però... sto crepando...
Ma niente ospedali...
Andiamo al covo... ohhh...
Ric... chiama Albert... fa’ presto...».
Lo ha capito anche lei, meglio così.
«Subito, Chana», il cagnolino si accontenta di qualche ossicino.
Parto con una sgommata, i granelli della clessidra scorrono via più veloci quando le pallottole sono brutte. Il tempo che rimane è poco.
Pensavo di arrivare all’ospedale e lasciarla all’ingresso, ma lei ha voluto altro, e la pelle è sua.
Peccato, però. S’è fatta ammazzare. Lei e le sue zinne da Cessa.
Mi mancheranno, devo ammetterlo. Tanto che mi sembra perfino di vederle ciondolare davanti al parabrezza, come una coppia di tergicristalli.
«Uhhh... fermati Emiliano... mi sento morire...», sempre appoggiata di fianco sul sedile, stacca una mano dalla pancia e l’allunga verso di me. «Fermati... non voglio crepare così... uhhh...», si riporta subito la mano sui buchi, illudendosi di tamponare, oltre al sangue, anche la clessidra fatale che le sta contando i minuti.
«Va bene, Chana», l’accontento, so che ha ragione; vuole attenzione, qualcuno intorno a sé.
Un centinaio di metri più avanti c’è una strada sterrata che porta all’interno della pineta, la prendo e mi fermo all’ombra degli alberi.
«Maledetta pallottola…», Ric è il primo a scendere e trascinando la gamba apre la portiera contro la quale è appoggiata Chana, che per poco non si rovescia a terra.
«È finita, tesoro…», la guarda quasi compiaciuto, per lui era sempre occupata, è arrivato il momento di farglielo notare.
«Va' all’inferno... Ric... uhhh....», la Cessa vuole crepare in pace, come si fa in certi momenti.
«Mi dispiace, ma ho paura che tu mi precederai, Chana...», l’eccitazione di vederla morire gli fa dimenticare anche il dolore alla gamba.
Anche lei ha la stessa paura, scommetto.
«Chana... fai vedere... forse puoi ancora cavartela...», provo a riportarla in una posizione normale, con la schiena contro il sedile.
«Uhhh... no... lasciami stare... non toccarmi...», mi scaccia le mani, anche il più piccolo movimento sembra ucciderla.
Click!
«Dura a morire come sei, potresti metterci delle ore prima di andare all’inferno», Ric le punta la pistola contro. «E io non ho tutto questo tempo. Non voglio farmi beccare dalla polizia per aver aspettato che la Cessa facesse i suoi bisogni con comodo».
«Metti giù la pistola, Ric! Cosa vuoi fare, sei impazzito?», tento in qualche modo di dissuaderlo.
«Stai zitto, stronzo!
O sistemo anche te!».
BANG
Il rumore dello sparo fa alzare in volo uno stormo di uccelli a riposo sui rami.
Vedo una macchia rossa allargarsi sempre di più sulla sua fronte, mentre un accenno di sorriso già morto gli increspa la bocca e gli dà un’aria ironica che da vivo non ha mai avuto.
Cade in avanti come un burattino dai fili staccati e dopo aver cozzato contro il montante della portiera, finisce di schiena sugli aghi di pino con gli occhi aperti a fissare l’oscurità eterna.
«Ti sbagliavi... Ric... all’inferno… ci vai prima tu...», Chana ha in mano una pistola con la canna fumante.
Soltanto ora mi rendo conto che non si è mai separata dalla sua borsetta.
Quando c’è di mezzo Chana, per Ric va sempre a finire così; stavolta, però, può consolarsi: questa è sicuramente l’ultima volta che rimane fregato…
Scendo e faccio il giro della macchina, mettendomi accucciato accanto alla portiera aperta.
«L’hai fregato un’altra
volta, il povero Ric...», e mi viene da ridere pensando che è riuscita ad
ammazzarlo già da morta. «Aspetta,
ti allento la cinta...», la
mia idea è quella di farla respirare meglio, ma lei mi blocca con una mano.
«No... mi tiene legata...».
«Che vuoi dire? È come una cintura di sicurezza...?».
«In un certo senso... sì...
Mettimi dritta...», ha cambiato idea. «Piano... ohhh...», la prendo e la sento quasi leggera, forse gli artigli della morte mi stanno aiutando, tirandola su insieme a me.
Mentre la guardo interessato, sapendo che è l’ultima occasione, lei mi viene incontro.
«Fammi… l’ultimo regalo… Emiliano...», mi guarda da bagascia, quale in fondo è. «Scopami… per l’ultima volta...».
«Ma Chana...», non ho il coraggio di dirle che è quello che volevo.
«Non c’è tempo… per i ma... uhhh... sto crepando... scopami adesso...».
Maledetta Chana, mi fai eccitare anche ridotta così.
Mi metto sopra di lei, inclinando il sedile all’indietro per guadagnare spazio.
Ho deciso: ti farò l’ultimo regalo.
«Ohhh... sì... così... uhhh… sfondami… fa' presto…», Chana ha ancora la forza per muoversi contro di me, ma ogni battito d’ali può essere il suo ultimo svolazzo. «Sì... ancora più dentro… godo... godo sempre…», la Cessa vuole arrivare prima della morte e si lecca le labbra assaporando insieme tragedia, goduria e sangue.
La benzina, però, finisce prima se si va veloci.
Mi stacco da lei, lasciandola a gambe divaricate.
Rimango a fissarle, nostalgico, le tette flaccide che si agitano palpitanti sul ventre lardelloso.
Bocca spalancata e occhi fuori dalle orbite, le manca pochissimo.
È paonazza in volto per la rabbia di non poter più fare niente.
Ha degli spasmi.
Chana sta morendo.
Dai buchi che la uccidono cola via il suo potere: l’oro diventa sangue.
Ma non si arrende, balbetta ancora qualcosa...
{Met…ti…mi...sul…co…fa…no...}, si preme ancora le mani sulla pancia, come a tenersi stretto qualche granello della clessidra.
Sul cofano?
Sono curioso di capire cos’abbia in mente.
La abbranco, e pur a fatica, la stendo sul cofano anteriore, sperando sia quello giusto.
Insensibile al calore del motore, o forse in cerca proprio di quello, si rovescia a pancia sotto e striscia verso il parabrezza.
{Por...ta...mi...il...fu...ci...le...a...pom...pa...}.
Il fucile a pompa...?
Dev'essere per forza nel cofano posteriore.
C'è.
{Met…ti…ti…al…vo…lan…te}.
E va
bene, mi ci metto, ma ormai il gioco sta per finire, Chana.
Sono al posto di guida, e lei, con un ultimo sforzo, si spiaccica contro il
parabrezza, la faccia premuta contro il vetro, le tette in primo piano, e la
bocca del fucile premuta contro l'utero.
Non
avrà il coraggio di farlo, spero.
Almeno sono al riparo dagli schizzi.
È ancora viva, perché il vetro si appanna in corrispondenza della sua bocca.
Sussurra qualcosa che non posso sentire bene. Cerco di capire leggendo le
labbra.
Non c'era... niente... da fare...
Ma?!
La testa mi scoppia,
vedo partire le spazzole tergicristallo, vedo le sue tettone scomparire e
riapparire, alternate al parabrezza irrorato di sangue.
Neanche il tempo di un giramento di testa.
BLAM
Un boato spaventoso e il parabrezza si ricopre di sangue per davvero!
L'ha fatto!
Esco dall'abitacolo, perché da dentro non si vede più niente e la vedo rivoltata
supina sul cofano, con la bocca spalancata e gli occhi incrociati.
In pancia ha un buco da poterci entrare con la mano.
A confronto le ferite sul fianco sono punture d'insetto.
Inutile cercare un sussulto: non potendo più barare con la clessidra, ha deciso
di spaccare tutto.
Non c'è più niente
da fare, ha lo sguardo gelato: per la Super Cessa è finita.
Adesso devo solo terminare l'opera e scaricarla nel posto che merita.
Okay, Chana, è il
momento di scendere.
Lì accanto c’è un fosso acquitrinoso, una sorta di marrana: per una Madrina della Magliana è la tomba perfetta.
Metto in moto, e guidando con la testa fuori dal finestrino, prima accelero e poi inchiodo la frenata proprio sul limitare del fosso...
SPLASH
La Cessa, zavorrata dalla sua stessa stazza, scivola lungo il cofano, rotola lungo il pendio e sprofonda nella melma con un bel tonfo morbido.
Scendo dall’auto e osservo la scena: è finita pancia all’aria, braccia larghe e gambe aperte.
La Cessa è scaricata nel fosso: adesso è davvero finita.
Il corpo rimane a galla, ma nascosto fra le canne non lo troveranno subito.
Nel fosso ci scarico anche Ric: anche per uno stronzo come lui è la tomba perfetta.
Quindi riparto con l'Alfa della Madrina. Me la terrò per ricordo. Lascerò anche le chiazze di sangue. In fondo la Cessa è crepata su questa macchina.
Mentre
guido lungo la stradina sterrata, dirigendomi fuori dalla pineta, già mi sembra
di vedere il giornale di domani…
Che cosa...? Ma che giornale vado a pensare...?
Spiacerà a molti, ma la Cessa ha lasciato pelle e tette su questa macchina.
Mi sembra perfino di rivederle…
Si muovono davanti ai miei occhi...
«Che schifo! Qui si sta crepando e tu dormi e vomiti…», quel cane di Ric mi ringhia in faccia; è peggio di un incubo. «Ma guarda che stronzo…! Sviene come un bamboccio e ci fa quasi ammazzare contro un pino… », un bruciore mi fa portare d’istinto una mano alla tempia: sto sanguinando. «Allora… ripartiamo o no?!», l’urlo di Ric mi ridesta del tutto, guardo Chana ed è sempre lì, rannicchiata sul sedile, le mani sulla pancia.
L’ultima curva sulla litoranea e poi - invece del rettilineo - il buio.
Durante la sparatoria anch’io sono stato colpito, di striscio alla testa; ma l’adrenalina m’ha tenuto su, allegro, per un bel po’, proprio come Chana, che ha continuato a guidare con due palle in pancia.
Ho sognato tutto, il tempo non esiste se non nella mente, la Cessa è ancora viva, e anche Ric, purtroppo…
«Ce la fai a ripartire?
Con questo buco nella gamba io non ce la posso fare.
E tanto meno lei…».
«Ce la faccio, ce la faccio…», la ferita alla testa è solo un graffio e il sangue mi si è già seccato sui capelli.
«Allora ripartiamo…», Ric si riaccomoda dietro, accanto alla valigetta. «Ti ricordo che siamo diretti al covo di Chana, la strada te l'ho spiegata. E vedi di non svenire un’altra volta, non mi va di rischiare la pelle per colpa tua».
«Forse è meglio se proviamo a portarla in ospedale».
«Niente ospedale. L'ha detto lei. Muoviti».
Riparto con una sgommata, l'auto si raddrizza da sé e mette il muso verso la direzione giusta, come sentisse odore di casa: è indubbiamente una bestia, come la proprietaria.
Passano pochi minuti e si lamenta insofferente come nel sogno: «Emiliano… fermati… uhhh…», mi cerca con la mano intrisa di sangue che si è appena staccata dalla pancia.
Stavolta preferisco ignorarla.
Il sogno mi ha spiegato che è meglio andare dritti senza fermarsi, Chana.
Se devi crepare, fallo a 120 all’ora.
«Ric… ohhh… fallo fermare… devo… uhhh… devo parlarvi…», la Cessa insiste.
«Non darle retta… prosegui!», io e Ric stavolta siamo d’accordo. «Vuole solo sbatterci in faccia le tette… ma non le daremo il tempo di crepare comoda, senza buche sotto il culo; doveva pensarci prima di farsi beccare».
«Anche tu, però, ti sei fatto beccare…», la frase è perfetta per stuzzicarlo.
«Ma io non sto qui a frignare tanto, cazzo!».
«Chana però ne ha prese due, e in pancia… e qualche diritto di frignare ce l’ha».
Non ha voglia di ribattere e fa solo una smorfia, stringendosi bene il fazzoletto alla gamba.
Abbiamo lasciato la litoranea e procediamo verso la Magliana.
«Emiliano… non ce la faccio più… uhhh…», la Cessa è tornata su di me…
«Non farti commuovere e pensa a guidare… ci vuole altro per spedire al creatore questa belva».
«Chana non ha tempo di ascoltare le tue stronzate, Ric».
«All’inferno tutti e due…».
UEEE
UEEE
Lo specchietto mi riflette un lampeggiante blu.
«E questo stronzo che vuole adesso? Forse cerca rogna.
Accelera... se ci sta dietro, lo sistemo io…».
«No, aspetta… forse è un semplice controllo… stavamo correndo…», e inizio a rallentare.
«Ma che cazzo fai, stronzo!».
Ric è costretto a subire la mia decisione, ormai ha capito che deve fare buon viso a cattivo gioco.
Si sfila la giacca e la stende addosso a Chana, per coprire alla bell’e meglio le macchie di sangue.
Potrebbe sembrare intenta a schiacciare un sonnellino.
Rimane da pulire solo il rivoletto di sangue alla bocca.
No, stavamo per dimenticare un'ultima cosa...
Click!
«Ecco… adesso siamo in regola anche con le cinture di sicurezza…
Ma se quello stronzo si mette a ficcare il naso nei nostri affari, io lo stendo...».
Baroni si gira da un lato e finge di dormire anche lui, mentre nello stesso momento Chana finge di vivere.
«Cerca di stare calmo, Ric. Soldi per una mazzetta non ci mancano: fanno meno rumore e non lasciano sangue in giro…».
Si tratta di un motociclista isolato, un po’ come si vede spesso nei film americani, ma in Italia non è tanto normale. C’è puzza di fogna. E non viene da dentro.
Il poliziotto ha smontato e mi sta affiancando.
«Lei corre troppo, signore. Anche se la macchina è d'epoca, questo non la autorizza a...».
«Ha ragione, agente, stavo provando la carburazione e mi sono fatto prendere il piede: con queste auto capita, spero lei possa capirmi…».
«Sua moglie non si sente bene?».
«Sta solo cercando di riposare un po', agente».
«E questi buchi nella fiancata, signore?».
«I buchi…?!
L'ha detto anche lei che questa è un'auto d'epoca, no? Sa, una volta, questo tipo di macchine venivano usate per...».
«Mi sta prendendo in giro?».
Lo guardo duro in faccia, cercando di prevenire la reazione di Ric: «Si tratta di un incidente di caccia. La settimana scorsa l'ho prestata a quel cretino di mio fratello, ma ho già un appuntamento con il carrozziere: la farò sistemare. È la verità, agente».
Ci pensa su.
Ma capisce che è da solo contro tre e finge di crederci.
«Va bene, per questa volta vada, ma guidi più piano, signore».
«Senz’altro. Grazie, agente», e se ne torna tranquillo alla moto.
«È troppo strano. Un piedipiatti che non ci chiede neanche i documenti...?», Ric non ha ancora capito.
«È una pedina dei Saviano, idiota».
«E perché cazzo non l’abbiamo fatto fuori, allora?».
«Troppo rumore.
I soldi li abbiamo noi, quindi ci conviene parlare sottovoce piuttosto che urlare».
«Sei uno stronzo saggio…
E tu, Chana, sei stata brava a fingere di essere ancora viva...
Chana...», la sfiora, preoccupato di sbagliarsi.
«Sapessi... quant'è difficile...», lucida e stronza come nei momenti migliori.
«Okay, ma adesso riparti, vediamo quello che fa…».
«Ci seguirà: cosa vuoi che faccia?
E io gli ho dato la mia parola che avrei guidato piano…».
«Cazzate… se ci sta addosso, lo stendo sul serio».
«Nella maggior parte dei casi la violenza non serve, Ric».
«Raccontalo alla tua novella sposa…», perciò lo chiamano Trilussa.
«Passami una mazzetta».
«Che vuoi farne?».
«Chana sta crepando, se non te ne sei accorto.
Vuoi sbrigarti o no?».
Me lo tiro dietro per un po'… e poi gli mollo l’osso.
Ce ne siamo liberati, procedo verso l’obiettivo.
Entriamo nella Magliana, Ric la fa da padrone.
«Com'è che conosci la zona così bene? È il tuo covo o quello di Chana?».
«Non c’è alcuna differenza».
«Non siete in affari solo per questa partita?».
«Ti ha mentito, di cazzate ne racconta tante, vero, Chana?
Sono anni che giochiamo interi campionati insieme, altro che unica partita...», per quanto si sforzi, Ric non riesce a nascondere, nella voce meno dura del solito, l’intima soddisfazione.
«Ma la palla non te la fa vedere mai, vero?».
«Fatti i cazzi tuoi, stronzone.
E pensa a guidare…».
La zona è un labirinto di strade, stradine, fossi e canali, lungo le anse del Tevere, in uno dei punti più suggestivi del vecchio fiume; stridente il contrasto tra la delirante edilizia urbana e le latenti vestigia di un lontano passato, che trasuda dalla terra melmosa come avesse voglia di tornare presente.
Neanche a farlo apposta, la tabella toponomastica dice Tempio degli Arvali.
Ancora un paio di svolte e siamo arrivati.
Si tratta di una bella villetta, circondata da pini e canneti, stretta in mezzo a un'infinita di capannoni, industriali e commerciali. Il Tevere è vicino, probabilmente la struttura dispone di un accesso diretto al fiume.
«Occupati di lei… io devo organizzare gli uomini…».
Scendo e apro delicatamente lo sportello del passeggero.
«Siamo arrivati, Chana…», lei specialmente.
La Cessa sembra una statua di cera uscita dal museo di Madame Tussauds.
«Ohhh… non… non…».
«Non ti tocco, no!
Non sai dire altro?», provo a scuoterla nell’orgoglio.
«Non… voglio crepare… ti dispiace…», è vero, si lamentava nel sogno, non nella realtà: ma è questa la realtà? È più lucida lei con due palle in corpo che io senza.
«Se vuoi, ti porto subito all’ospedale...».
«Emiliano… io… non… ohhh…», se non è zuppa è pan bagnato.
Chana è confusa, incerta, impaurita, non riesce a organizzare nessuna strategia, oltre alla pancia le pallottole sembrano averle bucato anche il cervello…
Inutile insistere.
Si accontenta che il dolore sia tollerabile, guadagnando un po' di tempo.
«Allora…?», è Ric. «Se ce la fai ad alzarla… portala dentro».
Sul letto Chana assume la stessa posizione che ha tenuto in auto: girata sul fianco, in posizione difensiva, quasi fetale, una sorta di trincea contro la morte.
La Cessa non si fa scaricare tanto facilmente.
Come il nascituro si prepara ad affrontare la vita chiuso a riccio, la moritura Chana si prepara allo stesso modo ad affrontare la fine, raccogliendo le ultime forze.
Il ciclo della vita sta per chiudersi.
«Rimani con lei…», ormai ci ha preso gusto a fare il capo.
Chana è assillata da un solo pensiero.
«È finita… ohhh… vero… Emiliano…?».
Non le rispondo, non sono in vena di bugie.
Le asciugo il sudore dalla fronte e dal collo, e senza neanche accorgermene, la mano scivola in basso… sopra le zinne da gran puttana…
«Porci…!», Ric mi coglie sul fatto.
È in compagnia di un tipo eccentrico; sembra un clone di Albert Einstein.
Si avvicina a Chana e controlla le ferite.
Lei lo lascia fare.
«Ho bisogno di un preventivo, Albert», Trilussa ha la fissa delle metafore, un po’ lo conosco; Chana è scarburata, vuole sapere quanto ci vuole per rimetterla a punto.
«Il motore è a pezzi… è tutta sbiellata…».
«Allora non perdere tempo. Vedi di aggiustarla bene, o vorrà dire che l’Ordine poteva anche tenerti…».
Ho sentito bene?
Quell’idiota di Ric ha chiamato al capezzale di Chana un medico radiato dall’albo…
In pochi minuti, una normalissima camera da letto viene trasformata in un reparto di terapia intensiva.
Esco a prendere un po’ d’aria.
Spero di lasciarti in buone mani, Chana. Ma ne dubito…
Fumo una sigaretta, sperando sia davvero l’ultima, e poi mi riaffaccio dalla Cessa.
«Sta riposando, in coma vigile», è il bollettino medico del sosia di Einstein.
In tutto quel casino, stavo quasi per dimenticarmi che in gioco ci sono anche i miei 200.000, che cazzo! Il mio contratto rischia di finire nel cesso.
Non mi rimane che cercare la faccia idiota di Ric.
Entro nella stanza attigua, dove sta scrivendo qualcosa al computer.
«Dobbiamo discutere del contratto, Chana ha le ore contate».
«Ehi, non fare il menagramo, che ti piglia…
Quella è una Cessa dalle cagate d’oro…».
«Dimmi piuttosto se è in grado di cavarsela».
«Potrebbe anche essere, non è da escludere.
La Cessa ti interessa, vero? Ho visto come la toccavi…».
Esco e mi accendo un’altra sigaretta, se non l’ultima di sempre deve essere almeno l’ultima di adesso, ma ormai ho paura che tutta questa dannata faccenda mi abbia fatto riprendere il vizio.
C’è tempo prima del prossimo bollettino medico.
Albert la sta operando.
«Allora?», è Ric che chiede per primo.
«Le pallottole hanno attraversato come traccianti la regione intestinale, da fianco a fianco. Ma non sono uscite. Per estrarle ho dovuto praticare una micropenetrazione, con sonda teleguidata, sul fianco opposto a quello d’entrata».
Ric è viola mentre Albert spiega.
«Quindi, con un’altra sonda, ho applicato un composto schiumogeno di mia invenzione lungo tutta la traiettoria delle due pallottole. Questo composto, completamente biologico, serve a cicatrizzare i tessuti e a contenere le emorragie; anche se non può fare miracoli».
«Vai al dunque, per favore», sono una persona educata, e in più temo che Ric possa esplodere da un momento all’altro.
«Insomma ho fatto tutto il possibile, ma era messa veramente male».
Strano che a Ric non prenda un colpo.
«Perciò?», insisto; certo non può dirsi uno scienziato della lingua.
«Perciò è messa male anche adesso, non c’è da contarci troppo, ci vorrebbe una buona dose di fortuna».
Dalla scienza alla fortuna, si finisce sempre da quelle parti.
«Bello scienziato che sei! Ti fai espellere per le tue sonde e poi ti affidi alla fortuna…», anche Ric è d’accordo con me, accade ormai troppo spesso.
«Ingenio saepe iuvat, fortuna semper», Einstein frega pure Trilussa…
«Purché tu sia fortunato, Albert. O farai la fine della Cessa».
Il loro duetto mi ha stancato, vado direttamente da Chana, alla radice del problema.
È sedata, respira appena. Le hanno lasciato addosso la camicetta bianca incrostata di sangue rappreso, sbottonata al solito modo.
Non ha una bella faccia, sta per andare a fondo.
Strano che Ric non sia dentro anche lui.
Esco e vado a cercarlo.
Lo intravedo dal corridoio, è seduto su una poltrona spalle alla porta, con la gamba appoggiata su uno sgabello, intento a guardare lo schermo di un cellulare che lo illumina nella penombra della stanza.
Fa dei gemiti quasi sottovoce e la mano libera dal cellulare sembra finire fra i pantaloni, mentre il movimento del braccio non lascia dubbi.
Drin!
Drin!
«Cazzo…!», gli squilla il cellulare in mano, facendolo sobbalzare. «Pronto?!», l’essere interrotto l'ha fatto incazzare. «Lo so che dovevamo vederci stasera, ma ho avuto un piccolo contrattempo. Ti richiamo io fra qualche giorno.
Accidenti a te…», impreca contro l’interlocutore, a telefono ormai chiuso; gli ha spezzato il ritmo.
E fatto venir voglia di pisciare.
Zoppicando verso la porta, esce sul corridoio e si dirige in bagno, mentre io sono già nascosto dietro un armadio.
Entro nella camera e sono fortunato, Ric ha lasciato il cellulare sulla poltrona.
Voglio vedere cosa lo eccitava tanto.
Non mi resta che controllare l’ultimo file aperto, sperando abbia da fare anche altro.
«Uhhh... piano… Albert... fa male...».
Chana...?!
Il display me la sbatte inaspettatamente in faccia, zinne da Cessa comprese.
«Stai ferma... sennò non riesco a tirarti fuori le pallottole».
È Einstein che parla, si vede di profilo, mentre l'inquadratura è zoommata sulla pancia scoperta di Chana.
«Maledetto pervertito...», realizzo subito che Ric ha ripreso tutta la scena di Chana, mentre Albert la operava.
«Non farle troppo male... potrebbe godersi addosso...».
Oltre che della regia, si occupa anche dei dialoghi.
Ciò comunque spiega perché non si è fatta anestetizzare; anche lei è una pervertita, e della peggiore specie.
«Ecco, ci sono...».
Lo zoom stringe sulla pinza che sta cercando dentro il fianco di Chana.
Altro che microsonda…
Einstein è riuscito a tirare fuori la pallottola e Ric la inquadra, sollecitandolo a tenere ferma la mano per acquisire un’immagine senza sfocature.
Basta, spengo, ne ho avuto abbastanza.
Esco appena in tempo, seriamente preoccupato: adesso so che può essere più pericoloso di quanto il suo aspetto un po’ tonto e distratto m’abbia sempre fatto supporre; il video mi ha fatto capire che Ric è la perversione fatta persona; e la perversione è immortale, non si può uccidere.
Si può solo ricacciare all’inferno.
Appena si risveglia, mi siedo accanto a lei.
Ha una brutta cera. E non può essere altrimenti.
Ric non c’è, probabilmente ha già piazzato le sue microcamere, per poi rivedersi tutto in intimità con sé stesso.
Parliamo un po’ tra noi e viene fuori qualche progetto.
Forse ci mettiamo insieme.
Lei non ha il coraggio di rassegnarsi.
Io non posso sbatterle in faccia il suo destino.
La lascio alle cure di Albert e vado fuori, a godermi la frescura del mattino. Intorno alla villa c'è una rete di canali, che ovviamente affluisce al Tevere; la Cessa ha pensato a tutto, anche a insospettabili vie di fuga; chissà quanti gommoni tiene nascosti fra i canneti; alle pallottole di Saviano, però, non c'ha pensato.
Ric Trilussa se ne sta in disparte; per lui Chana è sempre impenetrabile. Dovrà accontentarsi delle sue videoriprese.
Uno scagnozzo viene a cercarmi e mi avvisa di tornare dal capo.
Chana sta avendo una crisi.
Albert le ha applicato la maschera dell'ossigeno, ma lei vuole parlarmi.
Porta ancora lo stesso giubbotto color bronzo, incrostato di sangue rappreso, allentato al modo di sempre: aggressivo, da puttana, fino allo stomaco.
Su questo piumino c’è il suo sangue, ormai è una reliquia.
Lei è scolorita, spettrale.
{Emiliano…}, sentendomi vicino, si tranquillizza. {Mi sento strana… ohhh…}, Chana ha la lingua sotto il palato, le parole più intuite che ascoltate.
«Sciocchezze».
Le prendo la mano e faccio un cenno ad Albert: la maschera torna sul volto.
Rimango con lei, le prospettive non sono buone, Albert scuote spesso la testa.
Ric attende notizie dal piano di sotto. Ogni tanto, dalla finestra, lo vedo percorrere il parco della villa in lungo e in largo.
Chana è fottuta, lo sa anche lui, lo si era capito subito.
Niente da fare per la Cessa della Magliana.
Soffre sul letto, stringendo la mia mano, e con l’altra il lenzuolo, rabbiosa, per non poterci fare proprio niente.
Dalla finestra faccio un cenno a Ric.
Manca poco e voglio che lui sia presente.
La Cessa muore con una mano fra le mie e l'altra in quelle di Ric.
Gli occhi di Chana si stanno rovesciando all'insù, quasi fuori dalle orbite.
Non ce la fa più, ma la mano tira.
Guardo Ric.
Anche la sua tira.
Tenta ancora qualcosa.
Ric si alza e va ad accendere il grande schermo della camera, mostrando le riprese in diretta, da quattro diverse angolazioni.
Non m’ero sbagliato.
La stessa Chana può vedersi.
In fondo sta interpretando la scena finale e non avrà la possibilità di ripetersi: buona la prima per forza.
Ric le toglie la maschera.
È più bella, e potrà anche parlare.
{Troppo realismo... uhhh…}», accenna un dolente sorriso macabro. {Vi voglio bene… ragazzi… ohhh…}.
Il petto non si alza più, gli occhi sono vitrei, persi nell'abisso.
Sta finendo davvero male, Chana.
Stai sprofondando nel fosso, il mio sogno era giusto.
Avrei una gran voglia di farti l'ultimo regalo.
«Coraggio, Chana… dovevamo metterci insieme, ricordi?».
«Che cosa?», Ric ribatte subito.
«Falle dare qualcosa da Albert o questa ci saluta».
«Stavolta hai ragione».
Si alza, le rimette la maschera e lo va a chiamare.
Ma neanche arriva alla porta che qualcun altro entra.
Sono in due, vestiti di scuro.
Come siano arrivati fin là, non si sa.
Dietro di loro arriva anche una barella.
Chana viene caricata senza che Ric si opponga o chieda spiegazioni.
«Si può sapere che succede? Li hai chiamati tu?».
Niente da fare, continua a stare zitto.
Chana è agli sgoccioli, dovunque la portino non potranno far peggio di Albert.
Perciò sto zitto anch’io.
La seguo di sotto e la vedo entrare in una strana ambulanza: dentro è proprio un’ambulanza, ma fuori è un furgone per le consegne.
«Vatti a fare una doccia tranquillo, Emiliano», mi dice Ric, mentre lei parte.
«Tranquillo?».
«La Cessa può cagare l'anima in pace.
Albert mi dava molte più garanzie, ma evidentemente hanno deciso così e non posso farci niente».
«Non ti interessa esserci?».
«Mi farò mandare il video».
È troppo, accetto il suo consiglio.
Sotto la doccia penso.
Chi erano?
Dove mi trovo?
Chi è lei?
Le sue protezioni sono internazionali. A nessuno è permesso di interferire.
La Banda può tutto.
Decide la morte e la vita.
La Banda non la ferma nessuno.
Spero solo non abbia motivo di maledirmi.
E adesso vado pure a scommettere...
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Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità.
Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico.
Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film.
La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta.