Djanga contro Fiore Nero DJANGA CONTRO FIORE NERO di Federico Bianchini e Salvatore Conte (2024) Il cielo è colorato di sfumature che vanno dal giallo al nero, passando per il rosso e l’arancio, in un torbido crepuscolo da cui, in lontananza, spuntano nubi nere cariche di pioggia. Dopo tre giorni passati nel deserto sei esausta, assetata e affamata. Il tuo cavallo è allo stremo, ma a meno di mezzo miglio scorgi le luci sbiadite di Gravewood, una cittadina fondata una ventina di anni fa da minatori e rancheros, e che nel tempo ha accolto un grande via vai di commercianti, pistoleros e bandidos sia dal Messico che dai territori dell’ovest.
Per questo sei qui, per saldare il conto a qualche criminale e intascare i relativi dollari.
Sei ormai arrivata nella Main
Street. In giro non c’è nessuno e senti provenire rumori di baldoria dal saloon.
Lo stomaco brontola, ma tra poco avrai di che riempirlo. Altrimenti puoi andare all’albergo (183), oppure al saloon (112).
2
Vedi anche
alcune strane iscrizioni, rozze figure scolpite e geroglifici incom-prensibili.
Ciononostante, alcune immagini sono piuttosto chiare: forme confuse di animali
marini, pesci, molluschi, crostacei, bivalvi, polpi, calamari e cetacei, ma
anche strani esseri a forma di pesce, che ricordano il dio greco Tritone,
ritratti mentre nuotano negli abissi del mare o mentre rendono omaggio a qualche
altare o statua sommersa nelle acque.
Ti trovi in una galleria con
orientamento nord-ovest/sud-est, percorsa dai vecchi binari. Non trovi tracce di
alcunché, se non del passaggio di topi o pipistrelli.
13
Dopo una prima
parte di terra e pietre, il sentiero comincia ben presto ad addentrarsi in una
zona boscosa sempre più fitta. La luce filtra timidamente tra l’intrico dei rami
e del fogliame delle piante, e ti trovi in una zona di penombra. Lungo la salita
incroci un carretto con su un uomo e una donna che stringe tra le braccia una
bambina che ti sembra ferita. Stanno scendendo in tutta fretta, forse arrivano
dal villaggio di Montgomery. Un uomo esce dal gruppo e ti viene incontro. Riconosci in lui Montgomery e scendi di sella per salutarlo.
Ti ringrazia per aver risposto al
suo messaggio, poi ti presenta ai compaesani.
Sembra che
sia arrivata al momento opportuno».
«Tieniti pronto a lanciare una
lampada sul terreno di fronte a noi», dici al tuo pard.
Il suo fetore e il suo respiro
rantoloso sono a pochi metri da te. Con uno sparo lo incendi, creando una fiammata che illuminerà per alcuni secondi il tunnel.
Riesci a vedere quell’essere mentre
già sta balzando su di te a bocca spalancata. Vai al 49.
Dopo alcuni minuti in sella raggiungete le miniere.
Molti alberi sono stati abbattuti e
il terreno livellato in più punti; ci sono ancora binari con i carrelli per il
trasporto delle rocce e degli attrezzi abbandonati dalla prima ondata di
minatori, quelli che vennero qui a cercare fortuna più di trent’anni fa. Montgomery prende un paio di lampade a olio all’ingresso della miniera, le accende e te ne porge una. Visto che è un uomo, lascia a te l'onore di entrare per prima...
Ed è così che entri nel buio delle
vecchie miniere di argento.
Riprendete la marcia, sicuri di aver trovato il passaggio giusto; come infatti Montgomery ti conferma, nessuno era a conoscenza di questo passaggio e quindi non era stato controllato durante le ricerche. Camminate in questo stretto tunnel per alcune decine di metri, mentre un odore stantio e pestilenziale vi penetra le narici.
«Gesù, che puzza!», esclama il tuo
compagno. Vai al 179.
Hai sempre preferito guadagnarti
da vivere con la pistola, cacciando taglie o cercando casse d’oro rubate.
Entri nel capanno di legno. Dentro è buio pesto, le finestre sono coperte con tende scure, ma avverti la presenza di qualcuno.
Non appena metti il piede dentro
senti un feroce ringhio: dall’ombra sbuca un grosso cane nero dalle fauci aguzze
che non promette nulla di buono.
- controllare la prima capanna a
nord, al 165;
- proseguire fino al termine del
cortile in direzione ovest, dove parte un sentiero, al 42. In tal caso, vai al 167.
Arrivi all’albergo proprio mentre comincia a piovigginare. Entri nella hall, dove un ometto con gli occhiali tondi e la cravatta siede dietro alla reception. Non appena ti vede, trasale: «Santi numi, Djanga!», esclama, riconoscendoti. «Avevano detto che eravate morta...».
«Sì, conosco la storia, ma avevano detto male...», rispondi, avvicinandoti al
bancone. «Ho bisogno di una stanza».
L’uomo ti indica la porta.
È divisa in tre zone: una con i
tavoli del ristorante, una con i tavoli da gioco e in fondo un piccolo
palcoscenico, dove si esibiscono alcune ragazze che cantano e ballano,
accompagnate dalla musica del pianista. Ti siedi a un tavolo per mangiare e una
donna messicana ti porta un boccale di birra, come fossi un cowboy qualsiasi, e
ti chiede cosa vuoi. Ordini la costata e ti guardi attorno.
La tua mira infallibile non sbaglia e colpisci in pieno lo storpio. Il candelotto cade in terra ed esplode con un boato assordante. Quando la nube di polvere e fumo si dirada, nel cortile limaccioso ci sono solo cadaveri e sangue.
Montgomery ridiscende le scale e
porta con sé una ragazza dal volto sporco e lunghi capelli neri stopposi. Ha il
volto emaciato e uno sguardo da cane bastonato ma, a differenza di tutti quelli
che hai visto qui, sembra una ragazza normalissima.
La Bruja lo ha scritto su di una
pietra che porta con sé e non sarò mai libera da lei finché non ritroverò il mio
nome». «Tanti anni fa, ero poco più di una bambina. Ha sterminato la mia famiglia e mi ha portato qui, aveva bisogno di una femmina che potesse concepire figli... normali... con questi degenerati... oddio!». Il ricordo fa scoppiare in lacrime la ragazza.
«Il mio nome è Djanga, e sono qui per aiutarti», tagli corto. Ti portiamo via di qui, lasciati aiutare».
La ragazza annuisce.
Sali al primo piano. Non senti particolari rumori, ciononostante ti muovi cautamente e pronta a qualsiasi evenienza. Ti trovi in un corridoio dal quale dipartono, da entrambi i lati, due porte. L’odore non è dei migliori e il pavimento è sudicio e appiccicoso. Anche qui sulle pareti sono appesi pezzi d’ossa, piume di avvoltoi e corvi, denti di coyote e teschi di long horns.
C’è un’atmosfera malsana, alcune
porte socchiuse sbattono per brevi correnti d’aria, la luce che passa da un
vetro sporco in fondo al corridoio è debole quasi a non volere entrare qua
dentro.
L’omaccione barcolla all’indietro, vomitando sangue dalla bocca e rivoltandosi con la testa aperta come una zucca.
Mentre ricarichi l’arma, Montgomery
salta fuori con il fucile e spara contro il secondo uomo. Senti urlare e salti
fuori anche tu. La vista del luogo in cui ti trovi ti rivolta lo stomaco. Con
due colpi di fucile il tuo pard ha steso il secondo uomo, un individuo dal volto
sfigurato e con mani dotate di sei dita, ma il tugurio in cui siete sbucati è
quanto di peggio si possa immaginare.
Sei sconvolta da una simile brutalità: la ragazza ha il volto gonfio e tumefatto; a vedere questi individui non ti sorprende se, invidiosi della sua bellezza, non abbiamo inferto oltremodo su di lei. Non puoi immaginare la paura e il dolore che questa giovane ha dovuto patire, ma riesci a sentire nella tua testa le sue urla disperate invocare aiuto inutilmente, la voce distorta dal dolore mentre viene massacrata e la lunga e lenta agonia in cui è stata abbandonata, che non augureresti al peggiore dei tuoi nemici. Appoggi una mano sulla spalla del tuo compagno, ancora sconvolto. «Te lo giuro: quello che ha sofferto questa povera ragazza lo patiranno anche loro». D’un tratto senti altre voci da fuori; tra poco qui l’aria si farà rovente. Capisci di essere in una specie di capanno, rapidamente ti sposti verso la porta di legno e la apri appena per guardare fuori.
Ci sono almeno quattro individui,
anche loro hanno volti deformi, sono zoppi, o con arti più lunghi degli altri,
ma sono tutti armati con fucili e pistole.
I corpi dei quattro uomini crollano a terra agonizzando e spruzzando sangue. Avete fate un fuoco di inferno, anche Montgomery, alle tue spalle, non ha fatto risparmio dei colpi del suo fucile che hanno rimbombato per tutta la collina. Ti rialzi ed esci dal capanno. C’è una casa alla tua sinistra, mentre di fronte a te alcune baracche e capanni di legno. Mentre ti assicuri che i quattro siano davvero morti, ti guardi in giro; c’è un’aria strana qui attorno, e non è solo la puzza dei cadaveri e del sangue.
Sulle pareti di legno delle capanne
sono appese ossa di animali e catene, teschi di mucche, maiali e uomini.
Dappertutto c’è sporcizia, bottiglie e latte vuote, vecchie selle rotte, armi e
attrezzi arrugginiti, ferraglia, ruote di carri spezzate e soprattutto un
silenzio irreale.
Ti stai guardando intorno quando
d’un tratto senti un urlo alle tue spalle e poi un tonfo. Ti giri di scatto e
vedi una scena terribile: una donna di età in-definibile con un vestito bianco
sporco di polvere e fango è appena saltata da una finestra al primo piano
dell’abitazione addosso al tuo pard, cogliendolo alle spalle, e ora gli sta
mordendo la gola come un dannato lupo affamato.
Mentre urla di dolore e il sangue
spruzza fuori dalla ferita, devi prendere una decisione alla svelta.
Sei letteralmente nauseata, ne hai abbastanza di quelle topaie. Ti avvii con Montgomery lungo il sentiero che esce dal cortile di queste baracche ed entra nel bosco.
Ai lati del sentiero vedi alcune
pietre disposte in modo insolito; non escludi che possano essere messe in questo
modo per qualche stregoneria o rituale della misteriosa Bruja.
Questa Bruja deve essere una che
gioca a carte con Satanasso, dannazione».
Stai mangiando avidamente
lo stufato quando un uomo dalla barba lunga e i vestiti sporchi si fa avanti:
«Scusate, straniera, non ho potuto fare a meno di sentire che avete intenzione
di salire alle miniere!». «Tom, porta una bottiglia di whisky».
Il barman annuisce e vi porta una bottiglia di Taos Lightning, con due
bicchieri.
Non conosco la situazione, ma mi sembra di aver capito che c’è un
problema nei pressi delle miniere». «Volesse il cielo che fosse così. Di notte dai boschi si sentono urla, suoni di tamburi, ululati, e si vedono strane ombre che danzano sulla cima della collina con la luna piena alle spalle. Ma non voglio tediarvi con queste storie, domani potrete rendervene conto di persona».
L’uomo trangugia un bicchiere di
whisky mentre osservi il gruppo di messicani appena entrato nel saloon. Sono
tutti coperti della sabbia del deserto e le loro facce non promettono nulla di
buono, a parte quella di una bella donna nel loro mezzo.
«Amici?», domandi ironicamente. Lei, poi, è una grossa zoccola...». «Hanno delle taglie sulla loro testa?». «Probabile, ma qui siamo tagliati fuori dal mondo...». Non ci vuole molto prima che queste canaglie si sbronzino di tequila e comincino a prendersela con il barman e alcuni avventori, insultandoli e sputando loro addosso. Da come si comportano capisci che deve trattarsi di un'abitudine. Il loro comportamento ti irrita parecchio: non hai mai potuto sopportare questi prepotenti e vigliacchi che se la prendono con chi non è in grado di difendersi.
Inoltre ti sembra assurdo che una
donna così importante si accompagni a una tale feccia.
Il corpo della Mater Terribilis cade in terra rantolando e dimenandosi fino all’ultimo, il suo sangue nauseabondo insudicia la roccia.
Montgomery riesce ad accendere una
delle lampade e finalmente vi assicurate che questo essere infernale sia
definitivamente morto. «È una vecchia storia che mi hanno raccontato giù a Darkstone Hill. Risale al tempo dei minatori e racconta di una famiglia che viveva su queste colline; gente ostile e perfida, che sparava a chiunque si avvicinasse alla loro proprietà. Vivevano isolati dagli altri minatori e si diceva che fossero pazzi e deformi, perché si accoppiavano tra consanguinei. Poi aggiungevano che venerassero il diavolo e facessero abomini di ogni tipo, cannibalismo com-preso, e che a capo della famiglia ci fosse una donna, orrenda quanto malvagia: la Mater Terribilis, che Dio stesso aveva condannato per il male compiuto da lei e dalla sua famiglia. Si dice anche che l’alluvione che fece crollare parte della collina è stata per volontà di Dio, allo scopo di punire quella gente malvagia e blasfema.
Credevamo tutti che fossero morti
nell’alluvione, ma è evidente che non è così, devono essere sopravvissuti; se
non tutti, una parte di loro vive ancora».
51 Rispondi che non fa nulla, esci dalla tinozza e ti fai guardare in tutta la tua imponenza, visto che si tratta di una donna. Ti avvicini per vedere meglio il bandito, mentre gli ospiti dell’albergo e il direttore si precipitano nella tua stanza.
Beh, a questo punto ti copri con un
asciugamano...
«Proprio non ho idea di chi sia e del motivo per cui volesse
farmi fuori».
«Via, forza, tornate nelle vostre camere».
All’inizio della Main Street c’è una grossa stalla dove il vecchio Joe si prende cura dei cavalli per due dollari al giorno. Quando arrivi e scendi di sella, Joe, un vecchio rinsecchito con la voce roca e la pipa sempre in mano, sgrana gli occhi per lo stupore. «Che mi venga un colpo! La vecchia Djanga!».
«In carne e tette». «Ma neanche per sogno!». Il vecchio Joe sghignazza e risponde. «Sapevo che non potevi essere morta... non è così facile mandare la grande Djanga a tirar la coda a messer Satanasso! Però... il tuo soprannome... non ti dà fastidio?».
«La polvere addosso mi dà
fastidio...». Accarezzi il muso del tuo cavallo. «È molto stanco, dagli un po’
di buona biada e striglialo come si deve, ci sono molto affezionata».
Aspetta un po’... sì, ecco, giù al
saloon ci sono i fratelli Donovan». Se vuoi andare in albergo, vai al 25; se invece vuoi andare al saloon, vai al 148.
59 Puoi andare verso nord-est (89), o sud-ovest (2).
Nonostante la pioggia di piombo che flagella la casa in cui vi siete riparati, riuscite a rispondere al fuoco con maggiore precisione di queste canaglie. I proiettili sfondano il vetro e dalle assi esplodono schegge di legno.
Le pallottole fischiano, ma i vostri
colpi continuano ad andare a segno e mentre tu ne spedisci tre a spalare carbone
all’inferno, Montgomery con il suo Winchester fa lo stesso con altri due.
Guardi il tuo pard e lui risponde con un cenno d’intesa mentre alza il suo Winchester, pronto a far fuoco. Ti accucci a terra di fronte al portone; senti i quattro avvicinarsi mentre urlano - pensi - i nomi dei due che avete appena ucciso. Quando sono a pochi metri, dai un calcione al portone con entrambi i piedi, la porta si spalanca e vi trovate di fronte i quattro, sporchi e deformi, e i loro sguardi sorpresi. Non lasciate loro il
tempo di mirare: cominci a sparare all’impazzata, mentre Montgomery, dietro di
te, fa lo stesso.
Il tuo pard si sta già muovendo in direzione delle miniere, ma non ti fidi e preferisci scendere di sella per tastare il terreno ancora umido.
«Hai trovato qualcosa?», domanda
Montgomery, mentre tu osservi con attenzione, accosciata.
«La bambina è scesa di qua». Rimonti in sella e riprendete la marcia, mentre i vostri cavalli sbuffano, nervosi, come se sentissero qualcosa nell’aria. A poche decine di metri dall’interruzione, dove un vasto canale di detriti e ghiaia taglia la collina, fermi la tua cavalcatura e scendi ancora, per leggere le tracce. Guardi il ripido versante fitto di alberi che sale per decine di metri davanti a te. «È scesa da qui. Anzi, direi che è scivolata.
Da un punto molto più in alto, forse
dove il sentiero riprende, è scivolata giù dal versante umido; il terreno
fangoso e il fogliame le hanno agevolato la discesa. Poi si è ritrovata sul
sentiero e ha proseguito fino alle vostre case».
È impossibile arrivarci!». È evidente che ci deve essere un modo.
O qualcuno si è arrampicato per
questo versante con la bambina in braccio, e Dio solo sa come abbia fatto, o
esiste un altro passaggio».
70 Vi trovate in una galleria che corre in direzione est, il cui suolo è disseminato di resti e ossa di piccoli animali. Muovete le lampade per vedere meglio: l’odore è rivoltante, riconosci ossa di ratti, ma anche di serpenti, cani e altri piccoli carnivori. Sulle pareti sono stati disegnati strani simboli, forse magici, con il carbone e tinte colorate, e mentre avanzate l’orrore si fa più grande quando trovate, appese alle pareti come trofei, ossa e crani umani, alcuni decisamente deformi, con scatole craniche oblunghe o arti eccezionalmente lunghi o corti.
Infine, appesi a un filo che attraversa il tunnel, trovate una decina di
serpenti velenosi morti.
71
È una figura alta
e magrissima, con lunghi ma radi capelli neri, la pelle di un bianco cadaverico;
veste di pochi stracci in vita e sul petto, ha un braccio e una gamba
innaturalmente lunghe e per questo zoppica vistosamente. Il volto è
terrificante: una maschera di morte. Sembrerebbe una donna, ma ti viene il
sospetto che non sia nemmeno un essere umano. Mentre si muove in cerca di
qualcosa tra tutto il ciarpame disseminato qui sotto, la senti rantolare. Un
respiro profondo e gutturale, che ti fa accapponare la pelle.
Montgomery si
sposta per vedere meglio ma, con il suo movimento, colpisce una piccola roccia
che, rotolando, fa rumore. La creatura volta immediatamente lo sguardo nella
vostra direzione e il cuore ti manca di un battito quando vedi i suoi occhi
quasi del tutto vitrei e la sua bocca deforme e nera.
La creatura, donna o demone che sia, emette un
grido acuto nella vostra direzione e spegne la lampada, facendovi piombare nel
buio.
Sei pronta a far fuoco, ma
con questo buio è impossibile vedere e non puoi certo sparare alla cieca,
rischiando di colpire il tuo pard o di beccarti tu stessa una pallottola di
rimbalzo.
Il cuore ti
batte all’impazzata, non hai mai dovuto affrontare un simile nemico in una
condizione come questa.
Ora ti ammazzo, brutto figlio di puttana... pensi, pronta a sparare.
Nel momento in cui la botola si
apre, ti trovi di fronte il volto tozzo e pelato di un omaccione con gli occhi
storti la cui espressione, nel trovarsi di fronte la canna d’una pistola, è
decisamente eloquente. Non gli lasci il tempo di rispondere e fai fuoco. Vai al 34.
Largo non più di tre metri e alto poco più di due, è sorretto in più punti da travi di legno massicce che, nonostante gli anni, sembrano ancora robuste.
Con le
lanterne in mano illuminate la via: lungo il percorso, oltre alle rotaie
arrugginite, ci sono ancora resti di picconi, pale e mazze semisepolte da
polvere e detriti. La galleria entra dentro la collina per una ventina di metri
quando, dal tunnel principale con le rotaie, si apre sul lato nord un secondo
tunnel, più stretto.
Il corpo della Bruja cade a terra, abbattuto dalle tue pallottole. Quasi ti dispiace sia rimasta uccisa. Aveva degli occhi molto profondi, benché cattivi. Però ne hai viste troppe per fidarti e ti avvicini al cadavere, per assicurarti che sia davvero morta e non sia uno dei suoi trucchi diabolici. Un brivido ti corre lungo la schiena quando raggiungi il monolito e vedi che in terra ci sono solo vestiti.
Eppure sei certa che fosse lei e di
averla colpita.
89
Cominci a pensare che non troverete nulla in questi labirintici cunicoli.
93 Noti parecchia umidità sulle rocce, il terreno è bagnato in molti punti, così come la volta rocciosa. Puoi dirigerti a ovest (2), sud-est (11), o nord-est (158).
Guarda: i serpenti strisciano per terra e lui li appende per aria; i resti umani dovrebbero riposare sottoterra e lui li affigge alle pareti.
E poi tutti quei simboli magici... molti richiamano Asmodeo,
il demone serpente».
Uomini malvagi, stregoni, come
questo Brujo, che parlano con gli spiriti dei morti e invocano messer Satanasso
per maledire qualcuno o chiederne la morte; e spesso per farlo compiono strani
riti in certe notti senza luna, sacrificando bambini o giovani fanciulle...».
Mentre Montgomery si dirige verso le
scale, continui a sparare contro quei maledetti. D’un tratto, un brivido ti
percorre la schiena: uno dei vostri assalitori è avanzato con un candelotto di
dinamite ed è pronto a lanciarlo contro la casa. Devi colpirlo prima che ci
riesca.
D’un tratto, mentre avanzate, senti un gemito acuto del tuo pard, ti volti e lo vedi con una mano sul collo.
«Cos’è stato?», domandi preoccupata.
La speranza che si tratti solo di un
insetto scompare subito, non appena vedi un ago infilato nel collo di
Montgomery.
Ti lasci sfuggire un’imprecazione
mentre vedi in pochi secondi il tuo pard impallidire e i suoi occhi spalancarsi. Cerchi di calmarlo dicendogli che non ci sono serpenti, che è un’allucinazione, ma ormai Montgomery è in preda a una crisi isterica e quando tira fuori il coltello con il rischio che si ferisca, convinto di colpire i serpenti che pensa di avere addosso, capisci che devi metterlo ko.
Afferri la colt e colpisci il tuo
pard sulla nuca con il calcio, tramortendolo. Scruti tra i rami degli alberi e la nebbia, ma non vedi nulla.
Immagini che la Bruja sia nascosta,
in agguato, pronta a colpirti di sorpresa, ma forse anche tu puoi approfittare
di questa nebbia per celare la tua presenza.
117 C’è qualcosa di strano però in una grotta: spostando la luce, ti accorgi che dalla roccia emergono in alcuni punti pietre squadrate che sembrano colonne. Oltre a essere alta più di tre metri, la stessa volta presenta in alcuni punti elementi architettonici ben definiti che emergono dalla roccia grezza.
«Ma che
diavolo...?», esclama il tuo pard. Altrimenti, vai al 218.
Ti svegli che si è fatto giorno da un bel pezzo; avevi proprio bisogno di una bella dormita.
Fuori è una giornata uggiosa,
tuttavia la strada è piena di gente. Ti dai una sciacquata al viso e poi ti
rivesti, dopodiché scendi giù. Non appena ti vede, il direttore richiama la tua
attenzione. Prima di uscire, ti siedi su una poltrona della hall e apri il telegramma. ACCADONO COSE STRANE QUI NELLE DARK HILLS LAUTO COMPENSO PER BOUNTY-KILLER RIVOLGERSI A MR MONTGOMERY -STOP- Bene, conosci quel tale, non è un tipo da allarmarsi tanto facilmente, se chiede aiuto significa che si tratta davvero di qualcosa di grave. Tanto meglio, perché ti servono soldi. Le Dark Hills sono una zona impervia e ancora più isolata di Gravewood: ci vorranno almeno tre giorni per raggiungerle. Se sei decisa a partire, puoi andare a prendere il tuo cavallo, al 120.
Dopo aver sellato il cavallo e sistemate le tue bisacce, sei pronta a partire. Saluti il vecchio Joe e lasci Gravewood, in una giornata accaldata ma dal sole pallido.
Ti aspetta un viaggio di tre giorni
lungo una pista di pietraie: difficilmente troverai ripari o zone abitate, se
non da coyote e banditi messicani che passano di nascosto la frontiera per le
loro scorribande. Non hai la minima idea di cosa possa essere accaduto, ma ricordi che Montgomery si era stabilito in una piccola comunità sulle Dark Hills, a un paio di ore di cavallo da un paesino, Darkstone Hill, dove i minatori come lui scendono di frequente per fare provviste, depositare il frutto del loro lavoro e farsi qualche bevuta. Il viaggio è piuttosto faticoso. Il paesaggio è brullo e monotono, solo pietraie e sabbia, forse per questo non incontri anima viva se non sparuti gruppi di avvoltoi che svolazzano in lontananza.
Poco dopo il tramonto, ti fermi nei
pressi di un vecchio pozzo. Attorno ci sono i resti di qualche abitazione
diroccata, ma qui è tutto crollato e corroso dal vento, dalla sabbia e dal
tempo.
123 Ti alzi di scatto, puntando l’arma contro i tre messicani. «Lasciate qui le pistole, andatevene e non fate più ritorno», intimi loro. I tre bandidos non se lo fanno ripetere una seconda volta, si slacciano il cinturone e corrono fuori dal saloon. «Chiamate il segaossa!». «Chiamate il prete!». «Chiamate il becchino!». La situazione precipita intorno alla Bolson, anche se la gran troia sembra ancora scuotersi. La pistolera viene trasportata dal dottore dentro una cassa da morto, come fosse una barella, un braccio fuori e l'altro pure; affanni soffocati e lo sguardo allucinato di chi vede la morte, ma prova a non mollare. Ha un grosso buco nello stomaco, non ne ha per molto, annaspa e non può negare che se la sia cercata. È la fine di una bella donna che non ha saputo frenare la propria follia di grandezza. La morte di Laura Bolson viene acclamata e festeggiata con fiumi di whisky. Nessuno, però, prima di te, aveva mai mosso un dito contro di lei. Il proprietario del saloon ti ringrazia e dice che questa notte sarai sua ospite. Offre da bere a tutti, e capisci che Laura doveva tormentarlo da parecchio tempo. Tu però non hai voglia di festeggiare sul corpo di un cadavere. Mandi un ragazzino all'infermeria per avere notizie della pistolera, e quando ti avvisa che è ancora viva, decidi di visitarla. A stento ti riconosce, quando entri nella stanza, ha gli occhi puntati sul soffitto e la bocca orrendamente spalancata, come non riuscisse più a respirare normalmente. Certo, hai fatto un bel guaio, Djanga: per quanto loca, forse non meritava di finire così; è molto bella, in carne e ben tenuta, sicuramente uno spreco in una cassa da morto. Provi a incoraggiarla, prendendole la mano. Passi la notte con lei, temendo costantemente il peggio: ma è disperatamente attaccata alla vita e riesce a superare un paio di brutte crisi. È ancora viva, quando sei costretta a salutarla. «Lascio dei soldi al dottore, ti curerà. Se hai superato la notte, puoi farcela. Tornerò tra qualche giorno, ma rimani nascosta, nel frattempo; non far sapere che sei ancora viva. Non ce l'avevo con te, Laura...». Si protende verso di te e vi baciate: adesso c'è rispetto.
Vai al 13. Capisci che non deve essere facile la vita per queste persone. Vi sedete a un tavolo e Sarah vi porta pane e latte di capra.
«Cosa succede, dunque?», domandi a
Montgomery.
Tutto
è cominciato con la scomparsa, lo scorso mese, di Sam Anderson. Lui è quello che
abita nella capanna in fondo al villaggio: non sappiamo cosa gli sia successo, un
giorno non lo abbiamo più visto tornare, tutto qui». Ne dubito. Poi, due settimane fa, è toccato a Mary Jane Masterson, una ragazza di diciassette anni. È uscita di sera per andare a prendere l’acqua al pozzo e non è più tornata. L’abbiamo cercata dappertutto, ma nulla, è svanita. Suo padre è quasi impazzito, ormai attende solo di morire: passa le giornate a bere giù al saloon di Darkston Hill, poveraccio. E poi... tre giorni fa, è sparita una bambina di soli dieci anni, Judith.
È ricomparsa questa mattina, sporca di
sangue, ferita e sconvolta. I suoi genitori l’hanno caricata su un carro e sono
volati giù in paese, dal dottore». E poi la notte, con il buio, queste colline, questi boschi...
Non
so, sembra che ci sia qualcosa che ci spii, che ci scruti nel buio per tenderci
un agguato».
Quando l’argento è finito, se ne
sono andati via tutti; poi un anno ci fu un’alluvione terribile e tutto quello
scavare aveva indebolito il terreno. Così, un grosso pezzo della collina si è
staccato di netto, trascinando acqua, fango, terra, alberi... insomma, un
disastro. Infatti non esiste un sentiero che conduca dall’altro lato della
collina: tutto è rimasto come allora».
Djanga, dobbiamo
partire ora, non abbiamo altro tempo da perdere». Annuisci e finisci il tuo
latte.
Questa deve essere la capanna dove questa gente si ritrovava a mangiare; è più grande delle altre e c’è una grossa tavola in mezzo alla sala. Anche qui noti molta confusione, una pentola bolle sulla stufa a legna e l’odore non è per niente invitante. Quando ti avvicini, vedi che all’interno ci sono frattaglie a bollire, mescolate con verdure e occhi... Arretri subito per evitare di dare di stomaco.
Oltre alla porta d’uscita, ce n’è
una seconda che conduce al primo piano.
È stato un azzardo, Djanga... ma con il tuo colpo centri la testa della pazza, facendola esplodere. Sangue e pezzi di cervello schizzano sul volto del tuo pard, mentre il corpo della donna si accascia nella polvere in una pozza di sangue.
Montgomery cade in ginocchio
tenendosi il collo martoriato e ferito; il morso è profondo, ma non ha perso
molto sangue. Gli tamponi la ferita con un fazzoletto mentre lui ti ringrazia,
nonostante la tua disinvoltura nello sparare a pochi centimetri dal suo volto. «Gesù, Djanga, guarda là!».
Ti volti e vedi uscire dalle
baracche e dalla casa un gruppo di individui che sembrano provenire da un
lazzaretto: gobbi storpi, macrocefali, deformi, vecchi pazzi, focomelici, che
camminano e che strisciano, tutti armati fino ai denti. Scatti verso la porta della casa adiacente al capanno.
Alcuni proiettili fischiano poco
sopra le vostre teste e s’infilano nel legno delle pareti. Apri la porta ed
entri in una stanza poco arredata, con cianfrusaglie, bottiglie vuote, arnesi
arrugginiti, un tavolo e delle sedie malmesse. Ti metti subito alla finestra,
pronta a far fuoco. I vostri assalitori si sono spostati dal limaccioso cortile
per ripararsi dietro a botti di legno, staccionate, resti di carri e altro. Da
questa finestra nei hai tre a tiro.
Raggiungete
l’apertura nella roccia. Da qui vedete scalini di pietra salire, in alto ci deve
essere una botola a chiudere l’accesso. Sali gli scalini facendo attenzione a
non scivolare sulle chiazze di una sostanza appiccicosa e maleodorante che cola
dalle assi sovrastanti. Sei quasi in cima quando senti passi sopra di te e voci
parlare. D’un tratto senti
uno dei due fermarsi sopra la tua testa e capisci che sta per aprire la botola.
Quando la stanza viene liberata,
puoi finalmente coricarti sul letto e crollare in un sonno profondo, fino al
mattino.
Raggiungete l’ingresso della
miniera e scendete di sella. Dai una carezza al tuo cavallo mentre lo leghi a
una staccionata lì vicino.
«Dopo di te, amico
mio», sorridi al tuo pard mentre entrate nel buio delle vecchie miniere
d’argento.
Ti allontani dalla casupola assieme al tuo pard. C’è un forte odore di bruciato, di cadaveri e di sangue tutt’attorno nel cortile. Questi maledetti erano armati fino ai denti, ne contate sette stesi a terra nel fango.
Dal cortile potete controllare
alcune capanne.
Non c’è dubbio, quell’uomo è proprio Ace of Spades, un giocatore professionista che porta il simbolo dell’asso di picche sul cappello e sulle pistole.
Ti sorprende vederlo da queste
parti: solitamente bazzica nelle case da gioco di New Orleans e Tucson o sui
battelli che navigano lungo il Missouri e il Mississippi. Forse anche lui è
dovuto fuggire per qualche motivo e far calmare le acque.
Il corpo del cane cade a terra, imbottito del piombo della tua arma. Montgomery, che ti guardava le spalle, entra subito con il Winchester in mano, pronto a darti man forte.
«Era solo un dannato cagnaccio», lo
rassicuri, controllando la carcassa sanguinante della bestia. Poi senti una voce
bassa e confusa, quasi un gemito. Ora che i tuoi occhi si sono abituati a questo
buio, vedi che c’è un letto dall’altro lato della stanza. Ti avvicini al letto e vedi che c’è sdraiato un uomo molto anziano.
Il tuo pard tira le tende e
finalmente entra un po’ di luce. L’uomo ha il volto scavato e smunto,
sembrerebbe cieco e malato. «Per quasi trent’anni», geme l’uomo, «siamo stati isolati dal resto del mondo. Anche quando lavoravamo nelle miniere gli abitanti delle colline si tenevano lontani da noi, non è stata colpa nostra. Poi le miniere si sono esaurite e solo noi siamo restati, infine c’è stata l’alluvione e la cima della collina si è staccata, lasciandoci qui da soli. Per sopravvivere abbiamo dovuto far sposare i nostri figli tra loro e alcuni di noi hanno avuto figli dalle sorelle, dalle figlie e dalle cugine. Non abbiamo avuto scelta...».
«E Dio vi ha puniti per questo
abominio!», esclama Montgomery, inorridito come te dal racconto.
E ora siete arrivati voi, a mettere
la parola fine». «Muoviamoci, Djanga. Cerchiamo questa Bruja e presentiamole il conto». Annuisci e uscite.
Ora potete controllare altre
capanne.
«È un vecchio pozzo», dice Montgomery,
«o almeno credo. Spesso ne costruivano
per poter approvvigionarsi d’acqua direttamente da qui, senza ogni volta
trasportarla da fuori».
Dopo averli serviti, la donna cerca
di liberarsi dall’abbraccio della possente Bolson, ma questa non la lascia andare, attendendo che uno dei suoi
se la prenda sulle ginocchia.
Il marito cerca d’intervenire, ma finisce in terra con un ceffone e gli altri
uomini abbassano gli sguardi.
«Ehi, vecchia cessa, chi hai chiamato messicani
puzzolenti?».
Gli uomini della Bolson si
alzano in piedi, ma la donna li blocca con un gesto, quindi si alza lei
stessa.
«Una signora, dici? A me
sembri una grossa puttana».
La Bolson mette mano alla
pistola e tu fai altrettanto.
174
Guardi il versante scosceso di fronte a voi. È piuttosto ripido e il terreno è umido. Provi ad arrampicarti, afferrando alcuni rami, ma dopo pochi passi perdi aderenza con gli stivali e scivoli all’indietro fino a ritornare sul sentiero. «Diavolo! Non credo sia una via percorribile. Non ci resta che provare a cercare un passaggio nelle miniere».
Rimonti in sella e sproni il tuo
cavallo in quella direzione.
Fidandoti della tua rinomata mira, punti l’arma contro questa assatanata e fai fuoco.
Devi mirare alla testa della donna,
che sta vicino a quella di Montgomery: questo comporta un tiro loco!
Ti trovi in una galleria con
orientamento sud-ovest/nord-est, percorsa dai vecchi binari. Ci sei abituata, ma stavolta è diverso. Alcuni si avvicinano e ti ringraziano, altri li senti pregare per te; una donna insiste perché tu indossi una collana indiana che protegge dai malefici.
Questa
gente è molto più che spaventata e ripone in te e nel tuo compagno tutte le sue
speranze. «Se riusciamo a seguire le tracce della bambina», mormori, «dovremmo risalire al posto da dove è fuggita. Che sia nelle miniere, in cima alla collina o all’inferno, giuro che troveremo chi le ha fatto questo, e non avremo nessuna pietà». Vuoi farti bella con Montgomery, ma ciò che ti interessa veramente è mettere le mani su qualche ricco bottino. Sospetti, infatti, che una piccola banda di desperados abbia colonizzato il posto e nascosto qui il provento delle loro rapine. Poi, per liberarsi dei minatori, ha cominciato a spaventarli. «Non dimenticare che anche Mary Jane è sparita, e se è ancora viva, dobbiamo riportarla a casa». Annuisci, quindi sproni il tuo cavallo e prendete la strada che sale verso le miniere. Mentre risalite la collina guardi i boschi silenziosi sul crinale; la giornata è grigia e fredda, un’atmosfera lugubre circonda questa zona come un mantello. C’è qualcosa di oscuro e minaccioso in questo posto, ma sei certa che si tratti di qualcosa in carne e ossa, che non può nulla contro due once di piombo. Dopo un po’ raggiungete un crocevia. «Di là», dice Montgomery, indicando a est, «il sentiero continua per fermarsi all’altezza del canalone formato dall'alluvione di vent’anni fa.
Dall’altra parte raggiungiamo
le miniere».
La stanza è abbastanza pulita e il
letto è molto comodo. C’è una tinozza piena d’acqua tiepida e un pezzo di
sapone. Ti spogli, appoggiando il cinturone su una sedia vicina, e ti immergi
nell’acqua, rilassando ossa e tette. Ti levi di dosso tutta la polvere e il
sudiciume del deserto, domandandoti dove ti dirigerai ora. Potresti andare
nell’ufficio dello sceriffo e vedere se c’è qualche taglia interessante che si
possa riscuotere senza troppa fatica. Hai sempre pensato che una volta raccolto
abbastanza denaro avresti potuto comprarti un ranch e una mandria di bestiame e
metterti a fare l’allevatrice. Chissà se mai ci riuscirai. Stai per uscire dalla
tinozza quando senti bussare alla porta. Ti volti e vedi che sulla sedia ci sono ben tre asciugamani puliti. La faccenda puzza. Afferri la pistola proprio mentre la porta si spalanca. La cameriera viene spintonata dentro la stanza e un brutto ceffo entra con la pistola in pugno. «Muori, Djanga!».
Fa per sparare, ma sei pronta anche
tu.
195
All’improvviso sentite un rumore
provenire dal fondo della galleria. Vi sdraiate dietro una cassa e spegnete le
lampade a olio.
Non te la sei sentita di colpirla alle spalle. Avanzi in questo posto maledetto senza mostrare alcuna paura, preferendo guardarla in faccia. La Bruja, dal suo canto, ti guarda e sorride con una smorfia. Ha anche lei una pistola addosso e sei certa che la userà.
«Il tuo tempo finisce qui, Bruja!»,
esclami, sperando per un attimo che ti dia l'opportunità di rinviare lo scontro.
Passi un’altra giornata tra pietraie e sentieri inospitali, senza incontrare anima viva, sebbene di tanto in tanto l’eco di alcuni spari giunga alle tue orecchie. Al tramonto del secondo giorno ti fermi tra i ruderi di alcuni carri semisepolti nella sabbia, forse pionieri vittima di qualche scorribanda. Sei appena scesa di sella, quando dai resti del carro vedi uscire una vecchia vestita di stracci, con il volto e i capelli impolverati. Hai già incontrato altre volte questa vecchia: ti segue sempre ovunque vai.
È la Morte.
«Non lo so».
Forse c’è qualcosa con cui non hai
mai avuto a che fare». La vecchia si ritira e, come uno spettro, scompare. Avvisti le Dark Hills al mattino del terzo giorno di viaggio, un’umida e grigia giornata che non promette nulla di buono. Più ti avvicini alle colline, più il paesaggio cambia, inverdendosi con cespugli e vegetazione pioniera. Manca poco al tramonto, quando finalmente scorgi un piccolo paese; sicuramente è Darkstone Hill. È un villaggio ancora più povero di Gravewood: un’unica strada principale, poche abitazioni, alcune delle quali disabitate con assi di legno a chiudere porte e finestre, un albergo dall’insegna cancellata, la cui porta è sprangata anch’essa. C’è solo una zona centrale del paese dove sotto i portici vedi un emporio, un barbiere-dentista e il saloon da cui proviene quel poco di movimento.
Scendi dal cavallo e lo leghi alla
staccionata, poi sali sul marciapiede di legno e oltrepassi le porte dondolanti.
Dentro il saloon si trova un lungo bancone di quercia, lucidato fino a farlo
splendere. Lungo la base scorre il poggiapiedi d’ottone e una fila di
sputacchiere è sistemata nei pressi. Lungo la sporgenza del bancone il
proprietario ha sistemato qualche telo di stoffa per permettere ai clienti di
asciugarsi i baffi dalla schiuma della birra. Sulle pareti vedi appese selle,
speroni e corna di longhorn, dietro il bancone c’è una copia impolverata del
quadro “Old Yellow Hair” (“Vecchio capelli gialli”), che immortala il generale
Custer durante la sua battaglia finale a Little Big Horn. Il tuo ingresso si fa subito notare e non può essere altrimenti.
Ti avvicini al bancone e ordini una
birra.
«Non sembra un posto molto allegro»,
commenti.
«Può darsi, ma si può sapere che
diavolo è successo da queste parti, amico?».
«Lo vedi quell’uomo? Aveva una
miniera e una casa sulle colline. Un mese fa sua figlia è scomparsa, l’hanno
cercata in lungo e in largo per una settimana: niente di niente, svanita. Da
allora non ha nulla per cui vivere, poveraccio, beve soltanto. E tutto è
iniziato da quando hanno cominciato a scavare a fondo nelle vecchie miniere. Dio
solo sa cosa diavolo hanno svegliato».
«Non starai parlando di spiriti,
fantasmi o cose simili, vero?».
Il barman si versa un bicchiere e lo
beve d’un sorso.
Guardi fuori il sole che sta
tramontando. Se partissi ora dovresti affrontare la salita immersa nelle
tenebre, ma guadagneresti parecchio tempo.
Finisci questo diabolico serpente e
poi cadi a terra, esausta. Mentre ansimi vedi sotto i tuoi occhi il corpo del serpente trasformarsi in quello di una donna ferita e lorda di sangue. La Bruja. Ti rialzi in piedi e ti avvicini. La Bruja è ormai morente. Il suo trucco si è ritorto contro lei stessa: credendola un serpente, infatti, l'hai imbottita di piombo.
Rivolge la testa verso di te, ti fissa
con occhi carichi di odio e sta per lanciarti qualche maledizione, quando un
violento rantolo le spezza le parole in bocca. Spossata, dolorante, ma soddisfatta, vorresti allontanarti da questo posto diabolico; la Bruja, però, non si è ancora arresa e non te la senti di spararle un colpo in testa. Sta strisciando come un serpente - macabra ironia della sorte - verso l'altare, dove è rimasto il corvo morto che prima aveva in mano, forse per completare il sacrificio e invocare l'aiuto del demonio. Non c'è tempo per cercare un dottore, solo tu puoi aiutarla. Anche se vecchia e logora, è ancora molto bella; merita di morire, ma è pur sempre una donna; ed è spacciata, se non tenti qualcosa. «Dimmi cosa devo fare...», prendi in mano il corvo e attendi istruzioni, come fossi una sua adepta. Con voce ansante e gutturale, e con terribile fretta, ti risponde così: «Spennalo...!». Pur riluttante e disgustata, esegui. Disperdi le piume corvine sull'altare e noti che un'improvvisa folata di vento le fa volare - per un'ultima volta - addosso alla Bruja, prostrata a terra. La senti mormorare qualcosa. Satana, aiuta la tua serva, Satana, in nome dei suoi peccati, Satana, aiutala. Questo, più o meno, quello che riesce a sospirare morente. A questo punto, la rivolti supina e le tamponi i buchi in qualche modo. «Aiutati che Satana t'aiuta», le dici ironicamente, strappandole un sorriso maligno. Ha ancora voglia di vivere e per non vedertela morire sotto gli occhi - non sarebbe piacevole che finisse stecchita come il corvo del rito - stai tentando il tutto per tutto. Anche se cattiva, però, con tutto quel piombo che le hai messo in corpo, è destinata a cedere. Puoi solo prendere tempo e farle accettare l'idea. Forte della tua stazza, te la carichi in spalla e la trasporti verso il suo villaggio, sperando di non incontrare Montgomery, troppo bigotto per capire. È pesante, è ancora una grossa vacca nonostante tutto, ma tu sei forte come un toro, Djanga. Per fortuna il tuo pard è ancora privo di sensi. Gli lanci addosso la collana strappata alla Bruja e prosegui. Badando bene di non farti vedere da Maria, entri in una delle baracche e presti altre cure alla strega indiana. Montgomery ti cercherà per un po', poi dovrà riportare a casa la giovane. E così si spargerà ancora una volta la voce che tu sia rimasta uccisa, Djanga! Quando invece stai facendo concorrenza a Satana per salvare la carcassa di una carogna. L'impresa non è certo facile. «Senti un po', Fiore Nero... oltre a ossa e topi, non c'è niente da razziare fra queste baracche?». «Mettiti con me... e avrai... ciò che vuoi...», tremando il freddo della morte, con la paura negli occhi, sebbene avvezza ai cadaveri. «Ammazzerò... per te...», lo sguardo fisso per aria e la bocca spalancata a raccogliere quello che arriva. Non si rassegna. Ti cerca con la mano. Tu gliela prendi.
«Non ci penso proprio a mettermi con
una come te». «Sì... io... sono molto ricercata... non sono finita...», si riferisce al fascino di donna che sopravvive in lei. malgrado sia ormai decrepita. «Vero, sei ancora una gran donna e io devo rifarmi di un'avventura in cui non ho rimediato nulla, o quasi. Quei miserabili non avevano nemmeno una taglia sulle loro teste deformi. E anche la tua dev'essere scarsa. Perciò, se non crepi, entreremo in società, Fiore Nero. Ci stai?».
«Società...», sussurra vaga, con gli stivali già all'inferno. «Forse non sei abbastanza rinnegata, per capire una parola tanto sofisticata. Vuol dire fare bottino insieme. E dividerlo in parti uguali». Un gemito gutturale e un breve cenno di assenso sottoscrivono il patto. «Adesso dimmi in quale baracca nascondi droghe e unguenti con cui posso curarti, perché ti rimane poco tempo». «Devo... masticare... qualcosa... subito...», mormora allarmata. «Questo l'avevo capito. Perciò te l'ho chiesto... Ho avuto la mano pesante, non hai più tempo, stai schiattando, lo capisci?». E la Bruja increspa il ghigno, con gli occhi sbarrati e la mano che stringe la tua. F I N E
211 Prendi una piccola roccia e la lasci cadere, dopo tre secondi la senti colpire il suolo, pure di roccia. «Saranno sì e no otto metri, ma non mi pare di avere sentito l’acqua.
Sicuro che sia un vecchio pozzo?»,
domandi a Montgomery. Vai al 174.
Esci dal sentiero per acquattarti e muoverti tra gli alberi, sfruttando lo stesso trucco della Bruja. Arrivi finalmente nei pressi di una radura dentro al bosco, dove vedi parecchie pietre che emergono dal terreno, disposte secondo una linea di cerchi concentrici, al centro dei quali c’è un monolito alto più di due metri in cui è scolpito un serpente. Anche su queste rocce ci sono corone di ossa, feticci vari e teschi di roditori, serpenti, cani, avvoltoi, ma anche crani di esseri umani...
Di fronte al monolito c’è una roccia
squadrata, forse usata come altare sacrificale, sopra la quale sono accese
alcune candele. È una donna indiana con un sombrero da messicana, lunghi capelli neri e un teschio nero che le ciondola in mezzo alle grosse zinne. In una mano stringe un coltello e nell’altra un corvo. Non hai dubbi. Si tratta della Bruja. Sei tentata di farla secca subito, anche perché indossa in vita - molto profanamente - un cinturone da pistolera e porta alla spalla un Winchester. Però è pur sempre una donna, una bella donna come te, con il doppio dei tuoi anni, e ciò ti rende nervosa.
Se vuoi spararle da qui, vai al 171. |
|