Niente da fare per la gran puttana di Salvatore Conte ed Emiliano Caponi (2014-2018) Arizona, 1868. Kleo non resistette alla tentazione di togliersi la polvere di dosso, dopo la lunga cavalcata. «Sono due dollari per la stanza e uno per il bagno, signora. Anticipati…». Tucson offriva molto di meglio, ma a lei bastava un posto fuori mano, in cui non si notasse troppo la sua presenza. Questione, in effetti, non semplice. Per Kleo Madison non era facile passare inosservata.
Un nomignolo in apparenza non troppo lusinghiero, ma che andava interpretato con una certa dose di affetto. Dopo aver mollato il Biondo, uno pseudo-bounty-killer a cui aveva spillato un po’ di grana e con il quale aveva stretto una relazione durata pochi mesi, la bella Kleo si era data a storie diverse. Lui c’era rimasto abbastanza male. Una così non si trova una seconda volta. E non si dimentica. Spennato il Biondo, il pollo giusto non si era fatto attendere. La Cagna proveniva da Phoenix, dove si era legata a un ricco notaio per conto del quale doveva depositare una grossa somma nella nuova banca di Casa Grande. Era pericoloso per una donna muoversi da sola con tanto denaro addosso, ma lei aveva insistito per fare tutto da sé. E alla Cagna era difficile dire di no. Fu così che perse la strada e che si ritrovò molto più a sud di quanto in realtà dovesse: a Tuscon, per la precisione, e di fronte a quella stamberga, più precisamente ancora. Il giorno dopo si sarebbe persa ancora più a sud, e forse sarebbe finita in Messico. «Ecco, questo è l’ultimo, signora», annunciò il padrone della stamberga, che provvedeva da sé ai rari ospiti. Poteva accomodarsi, il bagno era pronto. «Va bene, grazie». Finalmente poteva rilassarsi. Tutto era andato liscio. Il gonzo di turno era stato ripulito a dovere. I soldi erano davanti a lei, appesi alla sedia più vicina, nella bisaccia della sella. E a portata di mano, per ogni evenienza, una rassicurante colt 45. Nessuno avrebbe potuto immaginare che una banale bisaccia di cuoio potesse valere tanto; ossia 30.000 dollari… La Cagna, giocando con l'acqua, si massaggiava dolcemente il prorompente seno, soddisfatta per la riuscita del piano. La vasca era piazzata di fronte alla porta, chiusa e serrata dalla stessa Kleo, tramite un malandato chiavistello. La bella quarantenne intuì sinistramente che qualcosa non andava in quella posizione, anche se non non capiva cosa.
La porta! Un bisunto soldato sudista sull’uscio! Il padrone della stamberga! Con un fucile a baionetta in mano! L’uomo, dopo un attimo di esitazione, si avventò contro la donna a mollo nella vasca. Sock! «Uuugh…!». Sorpresa e sofferenza si confusero nello stesso grido strozzato. La Cagna era stata infilzata nello stomaco da una vecchia baionetta sudista! Swish! «Arghh…!», l’uscita fu perfino più dolorosa. Lo pseudo-soldato, portandosi indietro l’arma, si ritrasse di due o tre passi: sembrava più stordito della stessa vittima. L’acqua della vasca si stava tingendo di rosso e lui la osservava come ipnotizzato. La Cagna capì subito di essersi imbattuta in un folle, uno dei tanti resi ancor più scemi dalla guerra. Non poteva sapere dei soldi, stava guardando lei e non la bisaccia. La Madison era sotto shock, ma si sforzava di ragionare e di recuperare lucidità il più in fretta possibile. C’era più di una possibilità che il fucile fosse scarico, se era stato usato in quel modo. Era un vecchio modello, ormai superato; una di quelle cose che avevano portato la Confederazione allo sfacelo; quasi impossibile rifornirlo di munizioni; forse era appartenuto a un disertore; forse allo stesso scemo che gli stava di fronte, inebetito. Si era rilassata troppo, si era fatta sorprendere, e non sembrava nemmeno finita: l’avrebbe colpita di nuovo. Come una belva ferita, la Cagna allungò il braccio verso la sedia… Bang! Aveva mirato al cuore. Tumb! Il suo braccio era ancora fermo, perché il soldato stramazzò sul pavimento con un tonfo sordo, definitivamente congedato. Quel tale faceva esercito a sé: renitente o disertore quando c’era da morire per la Confederazione, si era riscoperto soldato - abile e arruolato - con le sue belle e ignare clienti, a guerra finita da un pezzo. La Cagna aveva risolto il primo dei suoi problemi, quello più imminente, ma ne rimaneva un altro, ancora aperto e sanguinante… Nel Vecchio West gli spari di una colt erano normali come i colpi di clacson lo sarebbero stati un secolo più tardi; si sparava per fare baldoria, per spaventare i cani, per ammazzarsi e tante altre cose. Nessuno si era allarmato all’esterno e nessun altro era presente all’interno del fatiscente hotel alla periferia di Tucson. Per un attimo Kleo ebbe la tentazione di mollare tutto e finire il bagno, di crepare comoda, nel suo stesso sangue. Ma la Cagna si piaceva, le piaceva come era arrivata sulla soglia dei 50, e voleva proseguire ancora. «Uhhh...», si aggrappò con entrambe le mani al bordo della vasca e si tirò su; il sangue in fin dei conti le faceva senso, visto che era il suo. Uno specchio le restituì il suo corpo nudo, bello e con tanta carne, ma appena attraversato da una baionetta: un particolare tragico e sanguinolento, che stava incidendo negativamente sulla sua carriera di Cagna. «Maledetto soldato...», la Madison abbassò gli occhi a guardarsi il taglio.
Sanguinava, ma non
troppo, la ferita si era richiusa su sé stessa; quello che era successo dentro,
però, rappresentava un'incognita mortale. Forse posso ancora farcela, uscì dalla vasca e guardò la bisaccia. Scendo giù con un mazzetto di bigliettoni e convinco qualcuno a portarmi alla svelta dal primo dottore. Oppure monto sul mio cavallo e arrivo in Messico, addosso a un vecchio pueblo, dove sanno curarti bene senza nemmeno conoscere la forma dei dollari. Tra questi pensieri, entrambe le mani scattarono sullo stomaco, occupandosi di tenere a bada il taglio. Seppur ferita a morte, non voleva rimetterci neanche un dollaro. Lo sguardo si spostò involontario sullo specchio: Kleo Madison provò una vibrante eccitazione nell’osservarsi bella, viva e ancora in gioco, mentre - leggermente ingobbita - si teneva lo stomaco con le mani. Sono troppo bella per morire così. Un rumore alle sue spalle, un’ombra sullo specchio, e la Cagna si voltò per capire chi fosse entrato. Sock! «Ahhh!», la Madison scoprì amaramente di essersi voltata solamente per ricevere il secondo affondo di baionetta! Non era entrato nessuno. Era entrata soltanto la punta della lama. E anche molto in fondo. Tanta più rabbia che dolore nel suo urlo. Si era fatta sorprendere ancora. Tumb! Il soldato pazzo era stato richiamato da un sussulto di vita, l'ultimo, ed era riuscito a mettersi in piedi andandola a colpire nuovamente, prima di ricadere morto sul tappeto sfilacciato. «Uhhh...», la Madison si appoggiò con le spalle alla parete e si guardò terrorizzata il petto: la baionetta le aveva infilzato il seno, quello destro, e sfilandosi dal vecchio fucile era rimasta lì, quasi a godersi eccitata quelle forme seducenti. D’istinto portò una mano sulla lama e la strinse fra le dita con l'intenzione di strapparsela dal petto, ma le sue gambe divennero d'improvviso quelle di un fantoccio. O più precisamente di una grossa bambola. E scivolò in terra rimanendo con la schiena appoggiata al muro. «Ohhh...», una mano sullo stomaco e l’altra attaccata alla baionetta, mentre il petto si alzava e rialzava convulsamente: forse la Cagna respirava più velocemente per illudersi di non farsi raggiungere dalla morte. Aveva accanto a sé tanti di quei soldi, ma non poteva comprare nessuna cura. Kleo ebbe un sussulto, qualcuno stava salendo le scale. «Aiuto...», la voce era flebile, le ferite l'avevano resa afona. «C’è qualcuno qui?», il nuovo giunto sembrava avere buon udito. «Dio mio…», entrato nella camera, si accucciò davanti a lei. «Cosa diavolo è successo?», lo sguardo passava dalla donna al corpo del soldato. «Il padrone... uhhh... è entrato... e mi ha colpito... ohhh...». «Stavolta Norman ha trovato pane per i suoi denti… a quanto vedo… «Aiutami… ohhh… ho dei soldi…». «Sì, certo… e dove…? Qua sotto, magari? Tiri più te che i mustang della Wells Fargo... bella vacchetta... senti la mia baionetta…», era passata dalla padella alla brace. La Cagna decise allora di reagire: quello era un altro scemo, non un onesto farabutto con cui trattare. Swish... zack! Con un sol gesto, fulmineo, rabbioso e disperato, si strappò la baionetta dal petto e gliela conficcò nel collo, uccidendolo quasi sul colpo. Appena il tempo di vederlo rantolare sulle assi del pavimento. Ora veniva la parte più difficile… Che fare di sé stessa? Era ridotta male. Aveva tanti soldi, ma non le servivano più. Arriverò fino al mio cavallo e ci monterò sopra con 30.000 dollari addosso. Si accartocciò in avanti e prese a strisciare. Con una mano si portava dietro la bisaccia, con l’altra - protesa in avanti - si aggrappava al pavimento come stesse arrampicandosi lungo una parete; la vista andava e veniva, annebbiata dallo sforzo, dal sudore, e dal tanto sangue perduto; le gambe spingevano rabbiose il corpo, la Madison strisciava a mascelle serrate; dietro di lei, una scia di sangue e morte. Sono quasi sulle scale, la salita sta per finire. Ma la testa diventava sempre più pesante, la strada più in salita ancora, il cavallo più lontano. Sono io che sto per finire. Dannazione, no! «Norman…! Norman… vecchio pazzo! Dove ti sei cacciato?». Il bounty-killer salì le scale. Era sulla pista di un assassino e cercava qualche ora di riposo. «E tu chi cazzo sei…?!», vide la donna a terra, seguita da una scia di sangue. Estrasse la pistola, forse l’assassino era ancora vicino. Un’altra pista da seguire. O la fine della pista. Seguì il sangue ed entrò nella camera da bagno. Trovò Norman Bates vestito di grigio. In compagnia di un suo amico. Tornò dalla donna, quelli erano stecchiti, lei aveva dei sussulti. La faccia premuta contro le assi del pavimento, gli occhi vitrei e spaventati, la bocca spalancata: era crollata senza arrendersi. La voltò supina e le diede da bere. Questo tipo è la mia ultima possibilità. Gli farò fare quello che voglio io. La cura rapida a base di alcol funzionò, perché la Madison riuscì a parlare... «Aiutami… mettimi sul mio cavallo… ohhh… verso il Messico… ohhh…», la voce stirata e dolente. «Che cosa…? Così... tutta nuda… e mezza morta...?». «Così… fai presto…». «Tu sei pazza, donna. Ma è affar tuo, non è te che cerco». «Ne sei… proprio certo… ohhh…». La guardò incuriosito. «Come ti chiami?». «Sono la Cagna…». «Tu! La Cagna! Ora capisco perché. Come vuoi, ti metto sul tuo cavallo. Ma ti prendo qualcosa». La sollevò da terra, prendendo anche la bisaccia e la sottoveste, e mantenne la parola. Kleo Madison fu caricata sul suo cavallo, mezza nuda e mezza morta. Le infilò addosso il vestitino nero a fiori e l'accompagnò fuori città, sulla pista per il Messico. E la vide allontanarsi nel crepuscolo. Si reggeva a stento sulla sella, piegata in due, mezza nuda e mezza morta. Avrei potuto seminare cento dollari nel vento. Ha detto di essere la Cagna. Ma quel babbeo verrà gratis. Cristo, è la Cagna! E fa la stessa strada del mio assassino. Fu così che il bounty-killer spronò il cavallo e seguì la pista. Una pista che portava all'inferno. Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. di Salvatore Conte (2014-2019) Tre parole per un incarico da 100.000 dollari. Jack Thunder, investigatore privato a Los Angeles, deve recuperare due milioni di dollari sottratti all’Organizzazione in un colpo troppo fortunato. Sembra la trama di “Charley Varrick”, ma certe cose avvengono sul serio. Jack è affiancato da Kelly Cooper, una biondona curvilinea dalla pistola facile. Di lei si dice che spari sempre due volte. Per essere sicura. E che usi pallottole scamiciate. Per essere sicura due volte. Il due è comunque il suo numero: due tette così, infatti, non si dimenticano facilmente, sono un marchio di fabbrica. I due soci alloggiano presso il motel di Jane Frexhi.
52 anni suonati, 20
chili di troppo addosso, ma ancora una bella donna, nel complesso; il grasso in
eccesso la rende più vecchia di quello che è; d'altra parte si sa che
invecchiare è un’arte ed evidentemente Jane non è un’artista. Il mitico camicione rosa - famoso nel giro - a scenderle sui larghi fianchi, quasi a filo della gonna: è così che si presenta a Jack Thunder; come la classica signora ingrassata che indossa capi larghi e di una taglia in più per cercare di nascondere i chili di troppo, anche se ben spalmati su una carrozzeria di tutto rispetto; la Frexhi compensa tutto con la profonda scollatura della camicetta, che scende invitante fino al quarto bottone; è sempre ambiziosa, sempre prepotente, nonostante le tette flaccide e pesantemente allungate, perché le sue sanno ancora ammaliare, il segreto sta nel saperle portare bene, da grossa puttana. E a lei riesce spontaneo. Thunder è colpito, c’è qualcosa che gli sfugge, ma capisce subito di trovarsi di fronte a un donnone.
Anche la Cooper è lasciata in disparte, nonostante il corpo esplosivo e l’età adatta a lui. «Cerca di non farti ammazzare, Jack. Il tuo cazzo mi piace». «Tu bada a te stessa, io so come fare per rimanere vivo». «Anche io lo so. Sono protetta. Nessuno oserebbe toccarmi». «Meglio non sentirsi troppo sicuri, Jane». «Ti preoccupi per me? Stiamo solo giocando un po’, Jack». «Però è un bel gioco, pupa», e la zittisce con un bacio. A volte le cose sono semplici e grossolane. Ma funzionano. Thunder e Jane stanno funzionando da un paio di mesi, un’eternità in certi ambienti. L’indagine procede a rilento, loro sempre più spediti. «Che cosa ci trovi in quella troia?», gli domanda un giorno la bella Kelly. «Veramente non mi fa pagare un centesimo». «Questo lo credi tu... È troppo vecchia per te e c’è qualcosa in lei che non mi piace. È già grossa come un bisonte, e fra non molto sarà da buttare, fidati di me». «Penso tu abbia ragione, ma è il presente che conta. E poi... il bisonte americano è uno dei nostri simboli». «Il presente ha tante facce, playboy...», e si allenta la maglietta, come fa Jane con le sue camicette, per poi scalare la marcia e scartare sulla corsia opposta, mettendo a segno un sorpasso azzardato. «A te piacciono i sorpassi e le auto nuove, Kelly, ma spesso una vecchia carrozzeria è più bella dell’ultimo modello. In fatto di auto, sono un nostalgico. Vuoi mettere una Ford Gran Torino del ‘74 con la robaccia che va in giro oggi?
L’automobile è in crisi a causa di un design senz'anima, gli automobilisti hanno più anima dei costruttori e non vogliono comfort, plastica e linee conformi, ma rumore, ferro e pezzi unici». «Sarà pure come dici tu, Jack... ma le vecchie macchine si rompono molto più facilmente di quelle nuove...». Questa sera la vecchia Frexhi è su di giri. Tra i suoi amanti ci sono i boss dell'Organizzazione; ne ha appena servito uno. Nonostante l’età non più giovane, i fianchi larghi e la cellulite, è sempre molto ricercata e si concede solo ai più potenti. «Ehi, Jack, sono libera, tu che fai?», lo vede uscire dalla vettura guidata da Kelly Cooper. «Ho finito anch’io, dove ce ne andiamo, bella?». «Scarrozzami un po’, okay?». «Okay». «E se ti portassi via con me?», le chiede, dopo un paio di curve. «Dove?», sorridendo sorniona. «Dove cazzo ci pare». «Ho qualche anno più di te, Jack. Penso troppi. Sono vicina alla pensione, tu invece sei nel pieno della carriera». «Donne come te non invecchiano mai, Jane. Invecchierò prima io». «Comunque voglio un uomo con tanti soldi. Tu ce li hai?». «Ne ho abbastanza. E ho anche altro...». «Quello ce l’hanno tutti, Jack...». «Anche due tette ce l’hanno tutte». «Non mi staresti appresso, se la cosa fosse così banale. Tu cerchi qualcosa di speciale. E io ce l’ho. Anzi lo sono. Tira fuori il grano... e potrei pensarci...», se la tira ancora parecchio, certo non pecca di autostima. «Voglia di ritirarti?». «Voglia di fare la signora». «Ne possiamo parlare, Jane. Con questa indagine potrei incassare 100.000 dollari». «Centomila...?», quasi le viene da ridere. «Pensa a chi s'è fottuto i due milioni, piuttosto...». «Tu come lo sai?». «I boss sono miei intimi, l'hai scordato?». «Dunque te la faresti con uno che ha fregato l'Organizzazione?». «Non ho detto questo. Ma la cifra è quella... Entra nel bosco, adesso. Voglio farmi scopare a sangue sul sedile». L’auto si ferma poco dopo. «Avanti, ho voglia di sentire il mio corpo trafitto… Avanti, Jack! Fallo, per dio!».
L’alcol, come si sa, accende gli animi oltre il necessario. Una lite per un pacchettino di droga fra Kelly e Jane, con Jack in disparte. «Avevo detto 10.000 dollari, non uno di meno!», la Frexhi non fa sconti. «È roba che fa schifo, ne vale a malapena 2.000», le parti sono lontane. «Se non tiri fuori i soldi, biondona del cazzo, rimetti la roba sul tavolo e te ne vai, capito?». «Ehi, mignottona, chi ti credi di essere?». «Brutta carogna...», è un attimo, Jane mette la mano nella borsetta ed estrae il suo revolver a canna corta. BANG La Frexhi viene raggiunta in pieno stomaco, la pistola le sfugge dalle mani. Kelly ha fatto fuoco! Si teneva pronta, e l'ha fatto. «Cristo!», l’imprecazione di Jack. Jane, senza un grido, barcolla all’indietro e finisce seduta sulla poltroncina senza nemmeno accorgersene, le braccia lungo i braccioli, in posizione impeccabile. Unica nota stonata, la poltiglia scarlatta sulla camicetta da puttanone. L’espressione della Frexhi è sbigottita, l’incredulità ha ancora la prevalenza sul panico. Lei, la scaltra mignottona che si considerava intoccabile, è stata beccata in pieno. «Fermati! Mettila via!», tuona Jack Thunder, temendo il secondo colpo di Kelly. «Non avresti mai dovuto tirarla fuori, Jane», la rimprovera tagliente la Cooper, abbassando la pistola. «Non dirmi che...». «È una pallottola scamiciata, Jack. Per lei è l'ideale... altrimenti come lo spaventi un bisonte?». «Così l'hai ammazzata...!», impreca. «Ma che dici... una puttana del genere non l'ha nemmeno sentita. E poi questa troia stava per spararmi, l'hai visto...». La Frexhi è impietrita, bloccata in una tragica meraviglia, che si va accompagnando a un oppressivo senso di paura, allarme e sconforto; in una parola: panico. Non ha il coraggio di guardarsi la poltiglia. Jane Frexhi guarda fisso davanti a sé, cercando di ignorare il suo destino. «Vattene ora, a lei penso io». «È meglio se vieni anche tu. Chiameranno loro un’ambulanza...». «Aspettami fuori». «D’accordo, ma non metterci molto».
Fu inventato da un ufficiale inglese, di stanza in India, che si era stancato di dover ammazzare sempre i soliti ribelli. Gli indiani avevano la pelle dura, si tappavano i buchi e ricominciavano. Con la scamiciatura del proiettile, invece, le loro ferite risultavano incurabili. Quando, però, anche i soldati inglesi risultarono incurabili per lo stesso ordine di motivi, una convenzione internazionale dichiarò vietata detta scamiciatura; rimaneva consentita solo nella caccia grossa. «Ho… sbagliato… vero…?», la scamiciata Frexhi continua a guardare dritto, ma ha percepito gli occhi di Jack su di sé. «Sì, hai sbagliato a prenderti questa pallottola». Le replica della prestante cinquantenne non arriva. La Frexhi sembra seduta all'interno di un surreale veicolo diretto all’inferno: le mani che stringono decise le estremità dei braccioli, lo sguardo attento alla strada che scorre davanti, gli stivali che premono sui pedali, soprattutto quello del freno. Entrano un paio di scagnozzi, richiamati dallo sparo. «Che cazzo succede qui...?!». «È stato… un incidente…», la Frexhi minimizza. «Chiamo io un’ambulanza...», anche Jack li tranquillizza. Se ne vanno e lui le parla. «Che cosa vuoi che faccia, Jane?», Jack va dritto al punto. Proprio in quel mentre, un fiotto di sangue erutta dalla bocca semiaperta del donnone. «Cristo… posso… ancora salvarmi… vero…?». «Certo». «Allora… chiama subito… una fottuta... ambulanza… Cristo…». BEEP BEEP Due colpi di clacson. È Kelly. «Devo andare, Jane. L'ambulanza sta arrivando, ti raggiungo più tardi all’ospedale…». «No… aspetta… con me…». «Non è igienico per me farmi trovare qui, Jane; dovresti capirlo». Ed esce dalla camera, dopo un ultimo sguardo alla sua amante, inchiodata alla poltrona con il camicione rosa zuppo del proprio sangue. «Era ora… stavo per andarmene...». «Dannazione… non posso...». E torna sui propri passi, lasciando aperto lo sportello. «Idiota…». SKREEE… Una ripartenza a razzo, con lo sportello che si richiude da sé. «Jack… sei tornato…». La ritrova come l’aveva lasciata, e le riprende la mano. Aggrappata ai braccioli, a spingere sul freno, faccia tirata e petto che si solleva pesante. E occhi che guardano lontano, assorti da una strada maledetta. «L’ambulanza sta arrivando, Jane». «Perché… sei tornato…». «Non lo so». «Jack... prendimi... la mano...». È una maschera di cera, il petto si solleva con grande pesantezza. «In ospedale ti cureranno, Jane». «Jack... te li ricordi… i nostri progetti…», con lo sguardo perso in un futuro che non c’è. Ha le labbra viola e la lingua arricciata sotto il palato, si sforza di mantenere una parvenza di calma e autocontrollo. «Certo... tu sarai la mia donna, Jane». «Sì... io… io…», la frase rimane un progetto, il braccio le cade largo a penzoloni. La Frexhi si sta sfaldando. «Jane!», Jack va a recuperare il braccio e ci mette sopra l'altra mano. Ma non è finita. Il petto è pesantemente affossato, tutto sulla pancia; sembra respirare dall'ombelico. «Che cazzo fai, Jane!». UEEE… UEEE… L’ambulanza arriva in questo momento. Ma nella camera non entra nessuno. Riparte senza carico. Un falso allarme. Almeno secondo gli scagnozzi. Il boss non vuole problemi. «Spiacente, Jack, ma devi portarla via tu. E farla sparire. Sono gli ordini del capo». Thunder non si mette a discutere, sarebbe peggio. «Ti porto io in ospedale», una volta caricata in auto la bambola. «E così... i boss... mi hanno... scaricato...». «Non vogliono problemi, lo sai come funziona...». «Bastardi...». Dopo un po' si ferma presso un cimitero di vecchie auto, in attesa da decenni di una pressa.
«Ehi... Jack... qui non siamo... all'ospedale...». «Non posso mettermi contro i boss, Jane. Dovresti capirlo. Dentro uno di questi vecchi cofani, starai larga come una papessa. Vuoi aspettare il momento... o prendere una scorciatoia?». «Lo sapevo... che mi fregavi... tutti uguali... gli uomini... Aspetta... però... non ci vorrà molto...». «Come vuoi». «Sapevo che non saresti riuscito a farlo...», Kelly fa la sua sorprendente entrata in scena. «Di questo passo è più facile che muoia sotto la pressa...». Si è fatta avanti con pistola spianata e silenziatore innestato, e adesso punta decisa sul lato del passeggero.
«Devo
sempre aiutarti io...». Quasi infastidita da tanta cocciutaggine, Kelly Cooper gli fa sbrigativamente cenno col capo di lasciare l'auto. «Addio, Jane», le infila la testa nella camicetta sbottonata e le bacia il seno, mentre con la mano le sfiora la coscia destra. Jack si allontana rassegnato, spalle alla macchina. «Ecco perché sparo sempre due volte. Per non rimetterci mano», la spiegazione di Kelly è ineccepibile.
POW THUD Un corpo che stramazza a terra. È finita.
Intontito com'è, non
sembra dare molta importanza al fatto che la Cooper montasse un silenziatore,
quando invece il colpo è esploso. D'altra parte non ha sentito aprire lo sportello. Come ha fatto Jane a rovesciarsi a terra? Istintivamente mette mano alla pistola. Non si sa mai. «Kelly!». Non la vede. Guardingo, gira dietro la macchina, e vede la biondona riversa a terra! «Jane!», è ancora viva. «Stavolta hai vinto tu». «Controlla... se è morta...». Thunder si china su Kelly e la rivolta supina. Ha un grosso buco nel petto, sul polmone destro. «La tua puttana... mi ha fottuto...», la biondona sputa più sangue che veleno. «Sta morendo», è la risposta per la Frexhi. «Ammazzala...». «Andiamo, Jane... è in fin di vita... neanche tu vuoi che finisca così».
«Va bene... ma sbrigati... mettila dietro...». «Sapevo... che sarebbe venuta... la stavo... aspettando...», Jane soddisfa subito la curiosità di Jack, appena questi si rimette alla guida, al suo fianco. «Ma il revolver...». In questo caso gli lascia il tempo di capire da solo. Se l'è messo in tasca quando Kelly ha suonato il clacson e l'ha chiamato fuori. L'unico momento in cui è rimasta sola. Il camicione lungo e la poltiglia sanguinolenta hanno fatto il resto. Se ne era accorto quando l'aveva caricata in auto. «Adesso... decidi... Nell'affare... dei due milioni... ci sono dentro io...
Ho commissionato il
colpo... a uno dei miei... uno che mi sbava sopra... più di te... A momenti gli casca il labbro. Questa non se l'aspettava.
«Dove devo portarti?». Gli dà l'indirizzo, poi si volta dietro.
«Devi premere... sul buco... o
schizzi all’inferno...». «Dai... facciamo pace... finché... siamo in tempo… siamo... due belle puttane... anche grassa... sei bella... mi sbagliavo... su di te…».
«Okay... ne usciamo fuori insieme...
Kelly...», e le allunga la mano lorda di sangue, spostandosi di fianco sul
sedile. «Jack... accelera... o schizzo all'inferno anch'io... appresso a questa puttana...», gli occhi che incrociano quelli della biondona, le mani allacciate e il marchio del sangue a suggellare il patto. Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. di Salvatore Conte (2018-2020) La
pistolera entra nell’albergo proprio mentre comincia a piovigginare.
«Ti sembro morta?».
«Per niente!». «Certo, certo... ti accompagno subito al miglior tavolo disponibile». L'ometto si affretta ad entrare nella sala principale dell'albergo, seguito da Kelly Madison.
L'ambiente è diviso in tre zone: una con i tavoli del ristorante, una con i
tavoli da gioco e in fondo un piccolo palcoscenico, dove si esibiscono alcune
ragazze che cantano e ballano, accompagnate dalla musica del pianista. Si guarda distrattamente intorno, quando una bella tipa, seduta ai tavoli da gioco, attira la tua attenzione. Non
c'è dubbio: è proprio Queen of Spades, una giocatrice professionista,
estremamente veloce e pericolosa. La sfida è lanciata. Queen of Spades è una bella vacca sui 45, col seno a dir poco pesante...
«Vorrei giocare», dice la Madison.
«Per me può bastare, ti ho spellato abbastanza, bellona».
«Maledetta Kelly! Non ti lascerò andar via con i miei soldi!». BANG BANG
BANG
D'altronde non si decideva a mollare la presa sulla doppia derringer. Stranamente, la pistolera esorta gli avventori a provarci ancora, con Queen of Spades. «Questa puttana non crepa tanto facilmente». In
effetti la bellona ha ancora qualche sussulto, si sta giocando le ultime fiches.
Anche se dai suoi colpi non si direbbe; ma si sa, a sangue freddo cambia tutto.
Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. di Salvatore Conte (2010-2019)
Troppi uomini del suo clan erano caduti sotto i suoi colpi...
Era giunto il momento di
saldarle il conto.
Kleo viaggiava sui 48, ma ben nascosti: fisico prorompente, bellezza esemplare,
modello perfetto di femminilità; in un certo qual modo, irritante sia per gli
uomini che per le donne: inarrivabile per i primi, ineguagliabile per le
seconde; salvo poche eccezioni.
L’incontro si ebbe di
notte, ai margini di una squallida area di sosta, malamente illuminata. Anche se un pareggio non era da escludere. Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. di Salvatore Conte (2017-2021) Non posso negare che sia ansioso di rivederla. Anna Frazer è ancora una bella puttana, ha saputo invecchiare.
Ci abbiamo anche provato, ma non ha funzionato. L’appuntamento è alla vecchia miniera. Parto subito svantaggiato: lei si è portata uno scagnozzo. E si fa anche aprire lo sportello: Anna si tratta sempre meglio. Anziché coprirsi, più passa il tempo e più si allenta: adesso è arrivata al quarto bottone... la sua camicetta sbottonata fino allo stomaco è uno spettacolo.... soprattutto perché dentro c'è lei: una grossa puttana, potente e piena di grasso. «Avevamo detto solo io te». «Cos’è? Sei geloso? Hai portato il grano?». «È nella macchina», accenno a rientrare nell’abitacolo. «Non scomodarti… ci penserà lui… Controlla». BANG BANG Appena le volta le spalle, estrae la beretta da dietro la schiena e lo fulmina. «Che significa?». «Ero stanca di lui. Darò la colpa a te. Eri geloso. Un colpo di testa. Getta l’artiglieria a terra, avanti. Ma niente scherzi, o mi libero anche di te». «E va bene… Pensi di cavartela? Sto acquistando per conto del Senatore, lo sai». «Lo so». Si avvicina. Sulla punta della canna, ancora fumante, mi spinge indietro fino al paraurti della mia macchina. Con l’altro braccio, mi sdraia di schiena sul cofano. Non è così forte, ma sono curioso e non esito a collaborare. «Prendimi...», la camicetta è già allentata, e non c'è traccia di reggiseno, Anna è pronta all'uso. Mi conviene starci. Almeno sarà una bella morte. Mi tira giù la brache e si serve da sola, con la canna pressata nel fianco. «Non mi deludere…», e con un colpo di tacchi sul cofano dell’auto, a mo’ di speroni, sprona la bestia e inizia la cavalcata. «Forza, Black!», è il colore dei miei capelli; e della mia Mustang.
Il suo sguardo sopra di me a un alito dal mio, ed è questo - più dei morti che si porta dietro - che mi fa capire con chi mi sono messo. Con il demonio. E non è facile liberarsene. Su e giù sopra di me e noi due sopra il cofano, le anche temprate che spingono dentro e fuori il mio membro, con la lamiera che si avvalla sotto il peso dei nostri corpi e della sua libidine incattivita. «Ohh... godo... e ti faccio fuori...», da come sta gemendo penso di avere i secondi contati. «Fottutissimo… bastardo... vengo... oh... vengo... ohhh...». Sento la canna della pistola premere sul fianco: il tempo è scaduto.
ZING Faccio appena in tempo ad alzarla leggermente, con un’impennata del cazzo. Voglio darle il tempo di finire la corsa. Il colpo è arrivato, ma nel petto. «Uhhh! Cosa... caz…zo...». La pistola scivola via come una saponetta, ma le sue mani piantate addosso a me continuano a sostenerla, tenendomela sopra come stesse ancora scopandomi. Con l'unica differenza che adesso lo sta facendo senza più muoversi. «Anna...», ha un grosso buco in pieno petto, tra i lembi della camicetta sbottonata. E il sangue mi sgocciola in bocca. Io me lo succhio tutto. È il sangue della Frazer. «F…r…e…d…», mi chiama dall’inferno, con la sua ultima bolla d'aria. Ma il cavallo è ormai lanciato al galoppo. Me la tengo addosso, rigida come un cadavere. Anna mi guarda con occhi vitrei, ma sembra godere anche lei. «Anna…». Che cavalcata... Io sono arrivato, lei pure. Possiamo sganciarci. Ma non è una cosa semplice. Mi sforzo per alzarmi da quella posizione e provo a staccarmi di dosso la Frazer, che è diventata più pesante e immobile di una statua equestre: non vuole proprio saperne di separarsi da me. Riesco finalmente a farla fuori e per inerzia scivola all'indietro lungo il cofano, tocca quasi terra e finalmente allarga le braccia, disarcionata dalla Mustang. Per un attimo cerca ancora di reagire, sfiorando il paraurti, inseguendo un appiglio, ma è solo un sussulto. Anna Frazer è morta crepata. Un grosso buco nel petto, la camicetta sbottonata, e la fica bagnata. «Ma quanto c’hai messo?», chiedo a Kelly, la mia socia. «Tu quanto c’hai messo!». «Non siete mai contente… Cazzo, potevi beccarla alla spalla…». «Non l'avrebbe nemmeno sentita. Hai ancora dei rimpianti? Prendo la roba». Si illude, Anna non ha portato niente con sé. Voleva fregarsi i soldi e basta, accollando tutto a un mio colpo di testa. Ne approfitto per darle un’occhiata. Guarda fisso la luna, la romanticona. Le metto due dita sul collo. «È morta, non vedi? Le volevo staccare la testa, come ai serpenti, ma s'è mossa all'ultimo momento». Non ho il coraggio di dirle la verità. «Non farne una questione personale, è stata una grandissima puttana e una combattente». «Ma stava per fregarti... Ascolta… non c’è un cazzo là dentro. Che mignotta... Allora, Fred: facciamo sparire i cadaveri nella miniera? Non li troveranno mai».
C'è ancora un vecchio carrello su rotaia. Li buttiamo là dentro. Lui sotto e lei sopra. Ma non credo gli verrà duro. È finita. «Addio, Anna…», e spingo il carrello per la leggera discesa, facendogli acquistare velocità: è arrugginito, ma ancora funzionante. Non so fino a dove arrivi. Di sicuro all’inferno. Il posto giusto per lei. «Ora non pensarci più», mi dice Kelly. Accendo una sigaretta. Neanche un paio di boccate e le viscere della terra rimbombano… L’eco ha amplificato il rumore: sembrava un treno. Il carrello è arrivato al capolinea. E anche Anna. «Possiamo andare…», getto il mozzicone a terra. «F…R…E…D…». Io e Kelly ci guardiamo interdetti. Se l’ha sentito anche lei, non è frutto della mia suggestione. «Ma l'ho centrata…», appare delusa. «Ascolta, Kelly… riporta alla base la Mustang». «Tu che vuoi fare?». Non ho il coraggio di guardarla. «Vuoi scherzare? Chi vuoi che la senta? Tra poco sarà tutto finito». È per questo che comincio a correre. In tasca ho sempre una torcia. L'urto deve averla rianimata; anche se è una grande stronza, non posso farla morire da sola e al buio. «Stupido idiota…!». Meglio togliersi in fretta dalla linea di tiro della mia socia. «F…R…E…D…», continua a chiamare, da lì non può muoversi, se continuo a seguire le rotaie devo trovarla per forza. È decisamente su un binario morto. «Anna! Sto arrivando!». Ma dove si è cacciata… Quanto è profondo questo inferno? «Anna!», ci sono. Le illumino il volto: primo piano sulla morte. Bocca semiaperta, impastata di sangue; occhi che vagano assenti nel buio. «Fred…», mormora basso, ha capito che sono arrivato; qualcosa vede, qualcosa sente. «Anna… non parlare…», la ferita si è quasi coagulata. «Anche tu… non eri solo… È un uomo… o una donna…», zitta, dannazione; ti si riapre la ferita. «È un uomo». Scuote lievemente il capo, non se la beve. «Un uomo… non m’avrebbe… ammazzato…». È sempre stata in gamba. «Dimmi una cosa, Anna. Sei venuta anche con il buco nel petto, vero?». «S...s…ì…», con un lungo sussurro... che mi fa bagnare. «È stata una tua idea quella di fregarmi?». «Franck... te lo ricordi...». «Quel bastardo?». «È nella Spectre... mi ha ordinato... di eliminarti... tu... dovevi sparire… io... presentarmi dal Senatore... illesa... illesa...», una strana ripetizione, una tragica nota di rimpianto nella voce ansimante». «M’avresti sparato sul serio, quindi?». «Non lo so... avrei deciso... dopo... essere venuta...». Probabilmente è sincera, imprevedibile anche per sé stessa. «Hai sbagliato tutto, Anna. Franck ti ha mandato a morire. Lui odia tutte le donne, specialmente quelle che io amo o che ho amato. È malato, sia nel corpo che nella psiche. Ma per quanto tu sia solo una cagna», le tampono il buco che ha ripreso a sanguinare, «ti tirerò fuori da qui». «Fred... ho paura...», un rigurgito di sangue dalla bocca mi ricorda perché. «Voglio vivere... voglio salvarmi... anche... con questo buco...». «Se continui a parlare, ci rimarrai secca. Dimmi solo se sei venuta, nonostante il colpo», voglio risentirlo. «S...s…ì…», con un lungo sussurro da ruffiana, come prima... e come prima mi fa bagnare. «Bevi qualcosa, pupa...», ho sempre con me la mia fiaschetta, come nei migliori polizieschi. «Sei ancora il massimo, Anna...». La risalita è maledettamente complicata. Per controllarla meglio, l’ho messa con la faccia rivolta verso di me, invertendone la posizione sul vagoncino. Il suo scagnozzo l'ho lasciato all'inferno. Ha finito di godere. Sembra quasi divertirsi. Alla fine potrei rimanerci secco io. Sempre che Kelly non sia rimasta su ad aspettarmi, pronta a spararmi. Comunque dovrebbe mancare poco, lo saprò presto. «Fred… io... F...r...e...d...», mi chiama all’improvviso, con voce soffocata. Allarga un braccio e s’aggrappa al bordo argilloso della galleria. Mi fa quasi rallentare, ma io non mi fermo. È rimasta con il braccio a penzoloni, la bocca spalancata e gli occhi che mi fissano basiti. Era all’ultima curva. Io continuo a spingere. E la porto al capolinea. «A…N…N…A…!», le urlo addosso, strattonandola per la camicetta. Faccio esplodere la mia rabbia, tanta fatica per niente?! No, ha dei sussulti, non è finita. Sta cercando di parlare... «È... stato... solo... un attimo... Non... non incazzarti...». «Se mi crepi in faccia, sei la solita stronza, Anna». La carico sulla sua auto e me la porto via. So dove andare. Uomini come Franck non moriranno mai. Donne come la Frazer non moriranno mai. Per questo lo lascerò marcire sulla sua carrozzina. Intanto mi godrò Anna grazie a lui. Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. DI ESTINZIONE di Salvatore Conte (2017)
Da quando il tumore le ha scavato l’intestino, la specie di Chana Gorman è ad alto rischio
di estinzione, essendo lei uno degli ultimi esemplari rimasti.
«Ha detto il medico che è completamente invasa dal tumore. Al più guadagnerebbe
pochi giorni».
«Atossa chi…?».
Gli ammonimenti di Catone sono giunti invano ai posteri. MOX·A·SAEVITIA·SECANDI·URENDIQUE·TRANSISSE·NOMEN·IN·CARNIFICEM (NH.XXIX.13)
INTERDIXI·TIBI·DE·MEDICIS (NH.XXIX.14)
MEDICOQUE·TANTUM·HOMINEM·OCCIDISSE·INPUNITAS·SUMMA·EST «Zitte! Vuole togliersi la maschera...». «Forse dirà qualcosa...». «Sta morendo!». «Ma chi glielo fa fare? Perché non si lascia andare? Eppure ha sofferto già molto, no?». «Sta aspettando qualcuno, non lo avete ancora capito?». «E tu come lo sai?». Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. PER LA GRAN PUTTANA di Salvatore Conte (2017)
Non accennava né a invecchiare, né a sfasciarsi, prima della pallottola.
«Quel bastardo… m’ha fottuto…».
La biondona sogna di mettersi in marcia verso la salvezza; a
passi decisi; è sempre tracotante, nonostante il buco fatale. Kelly strabuzza gli occhi e spalanca la bocca, tragicamente incredula di aver perso ogni influenza su di loro e di aver giocato così male le sue ultime chances. "NO!", un grido esplode nella sua mente. È stata eliminata senza tanti riguardi. Adesso è fottuta sul serio!
Perdendo il controllo, si
rovescia all'indietro, sbattendo a peso morto contro la portiera, le braccia
inerti lungo i fianchi.
Kelly Maddox è scaricata.
«Ho un'amica che fa l'infermiera. È
brava. E terrà la bocca chiusa. La chiamo?».
La Maddox muove la lingua, Fred capisce subito, come un cane - d'istinto -
gli atti del padrone. Sta tremando, l'infermiera l'ha coperta e guarda allusivamente Fred, scuotendo furtivamente il capo. «A...c...q...u...a...». Le bestie hanno sete quando muoiono. La flebo non le basta. Forse vuole togliersi il sangue dalla gola. Ma non riesce nemmeno più a bere. L'acqua si versa ai lati della bocca. È andata. «Era ancora viva quando l'abbiamo gettata?», domanda Angus. «Che importanza ha?». Accende l'autoradio, sono ancora in fuga. «Voglio sapere se hanno ritrovato il corpo». «Non credo, la zona è poco abitata». «Sono rimasti a quand'era ferita. Stanno controllando gli ospedali. Imbecilli». «Dovrebbero controllare i torrenti». «Il corpo non è stato ritrovato». «Che importanza ha?». «Fai sempre le stesse domande». «Per forza, tu non rispondi...». Non lo fa nemmeno questa volta, qualcosa lo rode. «Era una bella puttana». «Vero. Lo sai con questi soldi quante ne possiamo avere?», scuote il sacco, per farglielo capire meglio. «Come lei?». «Più o meno come lei». «Ne dubito». «Parli come un innamorato. Se ci tenevi tanto, perché non gliel'hai mai detto?». Già... perché... SCREEEK... La macchina inchioda le gomme. Colto alla sprovvista, Donald sbatte contro il sedile anteriore e rimbalza indietro. BANG Angus ha tutto il tempo di estrarre e sparare. BANG BANG E di finirlo. Entra in una stradina laterale e lo scarica in un fosso. L'ha vendicata. Ora deve fare i conti con sé stesso. Rimonta in macchina e torna indietro, accettando il rischio. La lascia vicino al ponticello e cammina lungo la sponda. Quando se n'erano andati, il corpo di Kelly stava galleggiando sull'acqua, seguendo la corrente. Qualcuno più a valle potrebbe averla vista. Sulla riva ci sono un paio di pescatori. Angus fa qualche domanda. Uno non sa niente, è lì da poco. «Però Fred di solito viene a pescare prima di me», si è voltato verso l'altro. «Salve, Fred. Il suo amico mi ha detto che è qui da un po'». «Io...?!», non è certo il tipo che sa mantenere il sangue freddo. È tornato perché non reggeva la tensione. Ha lasciato Kelly ad Annabel. Non essendoci campo, non può neppure essere avvisato, se la situazione precipita. «Qualcosa non va, amico?». «Joseph è un chiacchierone. Io sono qui da poco». «È esattamente quello che ha detto, infatti...». Lo tira su di peso e lo trascina dietro un arbusto, tenendo un occhio su Joseph, nel caso si allarmasse. «Parla, o t'ammazzo...», la voce fredda e decisa è più minacciosa di un'arma. «Sta morendo... lasciatela in pace...». Morendo? «Ma di chi parli?». «Io...». «Descrivila!». «È molto bella...». «È la più bella donna che tu abbia visto?», tanto per tagliare la testa al toro. Annuisce. È lei. Angus cambia atteggiamento. «Io non voglio farle del male. Se l'hai aiutata, sei stato bravo. L'hai vista e l'hai tirata fuori dall'acqua, vero?». Annuisce. «E non hai chiamato un'ambulanza?». Scuote il capo. «Quindi l'hai presa e portata dove? Come stava, Cristo?!», gli parte uno sclero. «Stava male. L'ho portata in un posto e ho chiamato un'amica che fa l'infermiera». «Quale posto?». È indeciso. «Avanti... ho fatto il colpo con lei e se la cerco è per aiutarla. Ho io i soldi...», gli mostra una mazzetta. «Sei stato bravo finora. Hai fatto le cose giuste». «Sta molto male... è a casa mia». «Andiamo... non perdiamo tempo. Tranquillizza il tuo amico». La ritrova attaccata alla maschera dell'ossigeno. Qualcosa gli diceva che forse era ancora viva. «Posso parlarle?». «Solo pochi minuti». Annuisce. L'infermiera la stacca. Le prende la mano per tranquillizzarla. «Cane... bastardo...». «Mi dispiace, Kelly. Pensavo fosse finita. Sono contento di essermi sbagliato». «Non ci credo... sei un bastardo...». Le mette in mano la pistola. «Dai... spara... è carica». Angus si mette davanti alla canna. «Se vuoi vendicarti, puoi farlo». «Non ci credo... è scarica...». BANG La finestra va in frantumi. Per fortuna il posto è isolato. Fred e Annabel entrano di corsa. «Calma... i soldi per le finestre non mancano e la buona stagione è cominciata. Non c'è nessuno qua intorno, vero?». Kelly ha spostato il tiro - per fortuna di Angus - e ha sparato. «Sei matto... potevo ammazzarti...». «L'avrei meritato. Magari, però, quel salto ti ha fatto bene. Ha fatto scattare qualcosa dentro di te... la voglia di non affogare... Si dice che in ogni fiume, anche piccolo, sia presente uno spirito. Hanno fatto tante storie per quel fiume degli indigeni maori. Gli hanno dato la personalità giuridica. Ma Cristo! Per i Latini il fiume Tevere era un Dio! Abbiamo dimenticato tutto». «Io crepo... e tu... parli di storia... Da professore... col cazzo... che facevi... la grana... Donald... dov'è...». «L'ho ammazzato e buttato in un fosso. Ti aveva sparato». «I fossi... non hanno... uno spirito...». «Sei una grossa puttana». «Ora basta, mi dispiace», è rientrata l'infermiera. Le applica la maschera e somministra un leggero sedativo. «Cos'è quello?», Angus si riferisce al contenuto della flebo; sembra sangue, ma presenta filamenti verdi. «È sangue sintetico, a viscosità relativa. Se la pressione scende - a causa di un'emorragia, per esempio - diventa quasi solido, riducendo al minimo la perdita. Me l'ha fornito un amico. Anni addietro faceva il medico». «Adesso, invece, cosa fa?». «Poiché è stato radiato, adesso fa esperimenti. Di nascosto. Anche se lo sanno tutti». «E funzionano?». «Certo. Se è stato radiato, vuol dire che è bravo. Quelli che non capiscono niente, non li radiano». «Non c'è niente da fare per lei, vero?». «Che io sappia, no. Però, al momento opportuno, passerà il mio amico, quello radiato. E allora, chissà. Fa esperimenti con i morti, ne ha ripreso più di qualcuno; figuriamoci con una così, che proprio morta non è». «E quando arriva?». «Quando non ci sarà più nulla da fare...». «Non è meglio anticiparsi un po'? Se è una questione di soldi...». «È una questione di tempi, non di soldi. Non manca molto, ormai. La grossa puttana, come la chiama lei, ha la pelle molto dura. La terapia del nostro scienziato è efficace solo in punto di morte. Ma non si spaventi: la sua amica non diventerà uno zombi». «Non vorrei doverlo radiare anche dalla vita, glielo faccia sapere, okay?». Irritato, per allentare la tensione, schiocca un bacio in fronte a Kelly. «Per lei non c'è proprio nulla da fare, amico. Neanche il nostro scienziato potrebbe aiutarla...». Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. di Salvatore Conte (2017-2020)
«Maiale!». BANG BANG THUD Ha preso un colpo allo stomaco, ma non rinuncia ai dollari. D’altronde è Romina Lopez, un puttanone veloce di mano. Ha fulminato el Puerco con una pallottola al cuore, senza concedergli la replica. Dovevano dividere, ma sono prevalsi i disaccordi. Non c’era abbastanza grano per un porco e una puttana. Fuori e dentro il saloon, intanto, si spara ancora. Non ci sono solo i capi. La ghost town ha un sussulto di vita, che però dura poco.
La Lopez raggiunge il cavallo, tenendosi stretto il sacco con i dollari. Raggiungerà un villaggio di vivi e tenterà di elaborare il lutto personale, quello per la propria morte. Tuttavia, uno dei suoi uomini, agonizzante a terra, non può fare a meno di notarla. «Figlia di troia… vuoi salvarti solo tu…». BANG La raggiunge al fianco. «Maledetto…!». BANG La puttana lo fredda. Però ha incassato un’altra pallottola. È piegata in due sulla sella, ammassata sopra il sacco dei dollari. Ha preso piombo pesante. Non ce la farà a raggiungere un villaggio. Tanto vale rimanere. THUD E lasciarsi andare. Frana a terra, cercando di accompagnare la caduta. Si rovescia anche il sacco, rivelando il suo contenuto. Nel vento marcio della ghost town si rincorrono sterpaglie secche e dollari fruscianti. Romina si predispone a strisciare e tenta di raggiungere la costruzione di fronte. Non vuole crepare per strada come una puttana. È il negozio del becchino, l’undertaker shop. Ma la Lopez non se n'è ancora resa conto. Per lei è uno stabile diroccato come un altro, in quella ghost town. Ansimante, rabbiosa, cerca di non farsi scappare l'ultimo sospiro, mentre striscia come una serpe. Adesso ai dollari non ci pensa più. «Vai a prenderti le misure, Romina?». «Tu… la Jena...». «Già… io… proprio io...», e ride sardonica. Kleo Madison, una biondona attempata, ma ancora in tiro, con un gusto speciale per le carogne.
Sapeva che si sarebbero rifugiati qui… per il tempo di far calmare le acque... El Puerco s’era tenuto un asso nella manica, ma all’inferno è inutile barare. «Le misure… prendile per te…». «Puttana, che vuoi dire?». «Lo scoprirai presto…». La Maddox non è l’unico asso sporco in circolazione. In città c’è Django… «Kleo! Siamo rimasti solo io e te!». Cammina al centro della main street. La invita a un regolare duello. «Ehi, Django... perché non ci mettiamo d’accordo? Cosa ci trovi in questa puttana?», la biondona tratta.
Perché non ti abbottoni la camicetta?». «Vaffanculo, frocio!». La Madison è arrivata a sessant'anni grazie ai bottoni allentati. «Non c’è abbastanza grano per tutti e due, bellezza. Ma se non crepi subito, ti dimostrerò il contrario. Sarà un fine undertaking… come c’è scritto su quell’insegna». «A proposito, lo sai che la tua troia sta crepando…?». «È solo una puttana, infatti; non mi serve a molto». «Con me invece avresti una donna...». «Lo eri vent'anni fa, Kleo. Oggi sei una vecchia jena decrepita...». «Sei un bastardo impotente, Django! Lo sai quanti uomini mi sbavano addosso?». «Per me puoi chiuderti la camicetta, tra poco si spara». La trattativa non ha portato a nulla. Bisogna calare le carte. Sul piatto ci sono tanti dollari. BANG «Urghh…!!». La forza d’urto della pallottola la fa ruotare su sé stessa. La Jena si ritrova il polmone destro bucato. Adesso non ride più. È riuscita a estrarre, ma non a sparare. La sua colt è finita a terra prima di lei. «Bionda, sei fregata! Ma Django è di parola: avrai la tua bella sepoltura! Prima ti ripasso con la mia pistola e poi con la colt. Quasi nello stesso punto… Partirà un colpo e non te ne accorgerai nemmeno». La Madison frana sulle ginocchia, sempre di spalle al pistolero. Lui si avvicina e la spinge in avanti. THUD Adesso è a terra. La rovescia supina e la prende. Quindi la inclina di fianco e introduce la canna della colt nel buco libero. Arriverà, si toglierà di mezzo, e farà fuoco. Lei stessa passerà dal godimento alla morte senza neppure accorgersene. Eccolo… è quasi arrivato… «Aspetta... non farlo... non voglio morire... se spari m'ammazzi... non ho scampo...», e cerca di strapparsi via almeno la colt, ma senza forzare troppo la mano... «Vecchia puttana… sei ancora bona… bona… quasi-quasi non t'ammazzo... No... non t'ammazzo...!». BANG BANG Ma non riesce a sparare neanche una volta. «Lurido bastardo… mi volevi fregare...». Crepa in malo modo, con due colpi nella schiena, senza nemmeno liberarsi. Romina non è stata magnanima: non gli ha concesso un fine undertaking. L’arrivo è postumo, per così dire. «Kleo… veniamoci incontro…». La Lopez striscia verso la Madison. Solidarietà tra puttane. La Jena si toglie di dosso le due pistole. «Come stai… bionda…». «M’ha bucato il polmone… si sta riempiendo…», sputacchia sangue, infatti. «Hai sempre l’altro…». «Ma la cosa importante... è che avesse rinunciato... a spararmi in culo... Ha disarmato il cane... Altrimenti... il colpo... sarebbe partito... lo stesso... E io... adesso... sarei fottuta... La pallottola... mi sarebbe arrivata... in gola... capisci... Mi sono cagata sotto...», e ride, sincera. Non è infatti una metafora, si vede dalla canna della pistola, e si sente nell'aria... «Non meritavi quella fine...». «Tu come stai…». «Pensavo di stare male… prima di vedere te…». «Mi hai salvato la pelle… mettiamoci insieme…». «Prima… però… dobbiamo cercare… di non crepare… Tu… ci provi…?». «Io… ci provo… E tu…?». «Io… ci provo… bionda…». E strisciano insieme verso il sacco dei dollari, che perde banconote come loro perdono sangue. La vista ravvicinata della preziosa filigrana ridà a entrambe un po’ di colorito. «Non siamo puttane... e non ci faremo ammazzare...», sussurra Kleo, in leggero vantaggio su Romina. Ce l'ha fatta, ha raggiunto il sacco e gli imprime il suo marchio di sangue. «Non perderemo... neanche... una banconota... Il sangue... si recupera... il denaro... no...», e ride, con il grosso seno in fiamme, sicura - come sempre - di trovare una via di scampo. Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. L'ASCESA DI BALTEA di Salvatore Conte (2017-2018)
Chi lo crederebbe? Chissà quanti ne troverò, penserebbe chiunque. Visiterò le regioni più remote di Zothique, i posti più strani ed esotici. E invece chiunque sbaglia. Ha un senso viaggiare? «Cercherò la donna più bella del mondo!», proclama l’eroe. E dopo mezza lega incontra una contadinotta polposa e quasi beffarda che gli chiede se vuole acquistare i suoi prodotti. Sei bella, sì, ma chissà quante ne incontrerò più belle di te, se il mondo è tanto grande. Il viaggio è appena iniziato. «Mi dispiace, bella, ma non posso fermarmi a comprare i tuoi prodotti». Le sorti, però, si fanno beffe dei mortali. Quell’eroe - dopo aver girato tutto il mondo e visitato i luoghi più esotici - tornerà al suo villaggio senza aver trovato nessuna donna più bella della contadinotta che gli offriva i suoi prodotti a mezza lega da casa. Una dea a chilometri zero, si sarebbe detto in un remotissimo tempo. Abituato a evitare i pericoli, aveva inteso troppo poco della Prudentia, la dea tanto cara alla vetusta civiltà del sole biondo. Non dunque, e non soltanto, la cura dei pericoli, unica accezione oggi conosciuta, ma la cura della giusta azione in relazione ai propri obiettivi. Le cose che possono essere dipendono da minimi dettagli che sfuggono ai mortali: gli unici alleati sono il tempo e la conoscenza di sé. Un eroe meno giovane non avrebbe congedato la contadinotta. «Acquisterò tutti i tuoi prodotti, se tu acconsentirai ad accompagnarmi nel mio viaggio». L’eroe meno giovane sarebbe tornato senza rimpianti. Cercava ciò che aveva già trovato. Invero gli dei sono fra noi. Non cessano di insegnarci a vivere, fino alla morte. La contadinotta a Psiom fa la cameriera e si chiama Baltea. Bella come un frutto maturo, possente e sensuale come una dea in calore. «Tu sanguini, vecchio!», esclama, all’indirizzo di un avventore. «Lo so, la vecchia ferita si riapre, in talune occasioni». «Una coltellata ricucita male?». «In un certo senso… È una vecchia ferita d’amore». «Non ha senso sanguinare per una donna, se è una donna…», ridacchia maliziosa. «E poi le ferite d’amore non sanguinano… tu mi prendi in giro!», e ride ancora, divertita, allegra. «Se mi fai ridere… mi fa più male… Perché sanguinare non avrebbe senso?». «Perché le donne…», sussurra, «sono tutte puttane…». «Tu ne hai fatto sanguinare qualcuno?». «Io? Se intendi un paio di stronzi che mi sbavano addosso… Dai… mi sei simpatico: finisco il giro e poi mi descrivi la puttanella che ti ha fatto sanguinare… Tu cosa prendi?». «Quello che c’è: un piatto e da bere». «E per la tua ferita? Un guaritore, un negromante… posso farli chiamare». «Non servono». La cameriera ritorna e si siede un attimo al suo tavolo. «Allora… ti ascolto…», è curiosa, le hanno insegnato che i vecchi spesso custodiscono dei segreti. «Era bella come una dea, solida come una contadinotta, morbida come una puttana, decisa come una guerriera…». «È morta?». «No, tuttaltro. Gode ottima salute». «E come si chiama?». «Giunona». «Pensi che una donna così potrebbe fare strada?». «Potrebbe governare buona parte di Zothique». «Baltea… vuoi muovere il culo?». «Devo andare, vecchio. Quella Giunona… è tanto meglio di me?». «Per niente». «Perché non torni, domani? Ti parlerò di un certo progetto…». Baltea è affascinata dal potere e le parole del vecchio l’hanno lusingata. Forse le storie che si raccontano sono vere. Fatto sta che si rivedono. È troppo malandato per pretendere qualcosa da lei, è un gioco senza rischi. La bellezza non dura per sempre. Deve osare e raggiungere il potere senza indugi, a qualunque costo. Non ci vuole molto a convincerla. Avrà un esercito. E sarà reclutato nella necropoli del Delta, tra Psiom e Umbri, a cura di Velbash, potente negromante corteggiata dal verme d'oltretomba.
Per non destare sospetti, Baltea continua a servire nella malfamata locanda di Psiom; ma la sua mente è ormai altrove. Presto i suoi cadaveri attaccheranno la cittadina, e lei ne farà la capitale del suo impero. Conquistare Psiom e la vicina Umbri non è difficile. Il difficile viene quando dalla capitale di Ustaim, Aramoam, giunge una potente armata a reprimere la secessione. La battaglia è cruenta. «Muori, cagna!». SZOCK Velbash viene sorpresa e colpita a morte dallo spadone di un ufficiale nemico, che però esita - davanti alla bella negromante - dopo aver estratto la lama dal ventre, lorda di sangue e brandelli d’interiora. Sa di averla uccisa e decide di non infierire, ormai svuotato del suo furore. «Maledetto… non mi lasci scampo…», la strega ha paura, la spada si è infissa profonda, ha bevuto il suo sangue come una bestia feroce. Mentre si abbranca la pancia, Velbash perde il bastone del comando: le corna ricurve di Thasaidon si conficcano nel terreno fetido. I cadaveri sbandano, sentono la fine della loro padrona. La maga muove alcuni passi barcollanti, sotto gli occhi sbigottiti dell’ufficiale che l’ha uccisa; non credeva di riuscire ad ammazzarla, né che si trascinasse in giro sventrata in quel modo. Velbash si dirige - orrendamente aggrappata alla vita - verso uno dei tanti canali del Delta, mentre le budella le scoppiano dalla pancia. L’ufficiale di Ustaim non fa nulla per fermarla. SPLASH Nonostante la massiccia presenza di alligatori, la negromante si fa cadere in acqua e si lascia trasportare dalla debole corrente: braccia e gambe larghe, trafitta a morte, non ne ha per molto. Affanna disperata, con poca aria nei polmoni, ma continua a lottare: prima di crepare, vuole raggiungere Baltea. Attirati dal sangue, numerosi coccodrilli convergono sulla preda, ma nessuno l’azzanna. Ad un tratto, la negromante cerca di avvicinare la sponda. C’è riuscita. Si rovescia pancia a terra e prende a strisciare come una serpe di palude verso l’interno. «Padrona avere problemi…». L’hanno vista. «Ne ho per poco… è entrata profonda… portatemi da Baltea…», mormora, fra le braccia dei cadaveri; è indebolita, deve aiutarsi con le parole. Nonostante tutto, la battaglia è vinta: le truppe di Ustaim si ritirano. Il Delta mefitico ha protetto Psiom. Si racconterà di molti soldati dilaniati dai coccodrilli. Il prezzo pagato, però, è alto: la caduta di Velbash è la prima grave perdita dall’inizio della guerra. La notizia della sua fine corre in un attimo.
Il suo assassino è stato catturato. Vagava intontito fra i canali. «Questo ufficiale dice di averti colpito con la sua spada: lo riconosci?». È Bochro a chiederlo. «È stato lui… ma… non uccidetelo…». «Perché no?». «Non l’ha fatto… con cattiveria… Avrebbe… potuto… finirmi… È pentito…». «Tu! Sei pentito?». «Io… io… non volevo…», sembra sincero, oltre che intontito. «Portatelo via… e che sia controllato a vista. Gli altri prigionieri nei canali!». «No… fagli vedere… la mia morte… Voglio parlargli…». «Come vuoi». «Mi hai ucciso… e io… ti ho maledetto… Ma puoi salvarti… combattendo… per Baltea… Come ti chiami…». «Olmek». «Quando… sarà il momento… sarai tu… a finirmi… avrai… un pugnale…». «No. Io basta». Velbash allarga le mani insanguinate, esponendo le budella schizzate fuori dalla pancia. «È finita… Olmek… hai colpito bene… Anche una strega… come me… ha paura… Devi finirmi… con un colpo al collo… da una parte… all’altra… Morirò… quasi… all’istante…», con occhi trasognati. «No. Io mi rifiuto». «Lo farò da sola… allora…». Baltea chiede al vecchio chi potrà sostituire la maga. «Salkon! Velbash è finita. A chi consegnerà i suoi cadaveri?». «A nessuno, potente Imperatrice». «Che vuoi dire? Li controllerai tu?». «No». Le palpeggia il seno con le mani ossute, e se ne va. Baltea rimane a fissarlo. E torna a consolare Velbash. Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. di Salvatore Conte (2017-2020) Le pallottole fischiavano intorno a lei, ma Lola Ramos si considerava intangibile. La bella puttana era a capo di una banda di cabrones. «Maledetti idioti!». Doveva spremerli a fondo per ottenerne qualcosa. Lola era potente, formosa, bella, nessuno poteva resisterle, anche dopo una vita di merda e quasi sessant'anni sul groppone.
Visto che diversi uomini le avevano promesso cieca fedeltà fino alla morte, lei aveva deciso di metterli alla prova. Aveva formato una banda e guadagnava bene tra rapine, estorsioni e furti. Se qualche sceriffo diventava troppo curioso, lo blandiva con le sue grosse zinne e la cartucciera a tracolla. L’unico problema era dato dalla feroce concorrenza; come in quel caso. El Puerco era entrato in rotta di collisione da diversi mesi; e per di più voleva farsela a tutti i costi. BANG BANG «Così ti dai una calmata, puttanaccia maldita!». Era la greve voce del Puerco. Aveva sorpreso Lola Ramos! Il vecchio troione fu raggiunto per due volte dal piombo del bandito! Sfruttando la confusione generale, non le aveva dato il tempo di accorgersi della minaccia. Impietrita, abbassò gli occhi su di sé: vederli le fece più male che non averli sentiti. Interdetta, aveva scoperto che anche le belle donne incassano pallottole, se vengono prese di mira. Rialzò lo sguardo alla ricerca del suo mattatore e incontrò gli occhi severi del Puerco. Rabbiosa e impaurita, tentò un disperato colpo di coda: montò al volo su un cavallo libero e lo spronò in direzione di El Paso, con l'intento di raggiungere un dottore prima dell'irreparabile. Sapeva che il suo nemico non avrebbe infierito. In groppa all’animale, benché assalita da funesti pensieri, si lusingava di potercela fare. Due pallottole, per una come me, non sono molte… Devo rimanere calma… A El Paso c’è un buon dottore, lo sceriffo chiuderà un occhio… Uno dei suoi uomini, un gringo, un certo Tony, aveva notato la sua fuga e le stava andando dietro. A un tratto la Ramos fu colta dal panico, faticava a respirare, si sentì perduta. THUD Rallentò l’andatura e si lasciò franare a terra, con un tonfo sordo. Strisciò disperata verso un roccione e si tirò seduta contro la costa del masso, allacciandosi le braccia in pancia, cercando di riprendere il controllo. Avevo lo sguardo annebbiato e sangue alla bocca. In quel mentre, sentì arrivare un cavallo. Voleva salvarsi a tutti i costi, si sarebbe fatta aiutare da chiunque fosse.
Sul cavallo c'era Tony. Smontò e le fu accanto. «Lola... ti hanno colpito…». «Bruciano... da morire…», rispose affannata. L'uomo della sua banda si sciolse il fazzoletto dal collo e lo usò per tamponarle i buchi. «Ma come è possibile? Chi è stato? Quando?». «Idiota… è stato il Puerco… avete sparato... come cani…». «Hai ragione, Lola, non valiamo molto. Ma ci siamo messi con te perché sei una puttana che non si fa ammazzare. Non puoi crepare così! Con te abbiamo fatto i soldi! Hai sempre fottuto tutti!». «Stavolta... sono fottuta io... idiota... Non poteva... durare... per sempre…». La Ramos non era stata fortunata: aveva un buco calibro 45 sia nello stomaco che nel fegato. La potenza l’aiutava, ma il sorriso sornione da grossa puttana si era spento, eclissato dalla paura. Vedeva la morte e non si sbagliava. In quel mentre, di nuovo sentì arrivare un cavallo. «Fermo… non sparare…». Tony aveva messo mano alla fondina. Era il Puerco. «Ti propongo una tregua, bonita». La Ramos annuì. Anche tra fuorilegge c’erano zone franche. I due uomini gettarono a terra i ferri. «Sei pazzo a sparare addosso a una donna? Guarda che hai fatto…!», Tony entrò in polemica, nonostante la tregua. «Ehi... buono, gringo! Io non volevo…». «Basta… zitti… sto male… rischio di crepare...», li interruppe la gran puttana morente. «Ma tu, ragazzo… hai notato una cosa?». «Cosa?». «Lola si è calmata in un colpo solo… No… anzi... in due colpi… ah-ah...», ridacchiò sguaiato come un maiale, con impietoso umorismo nero. «Avanti, bonita… vediamo che casino ho combinato…», le allargò le mani per constatare le ferite. Erano brutte. Non le lasciavano scampo. «Bevi un goccio, dai... È tequila, bonita! È fottuta, gringo…», aggiunse sottovoce, rivolto a Tony. «Voglio un dottore…», reagì la Ramos, quasi avesse sentito. «Adesso lo chiamiamo subito». «Io le sfilo la cartucciera, intanto». «No, è più forte così, più donna…», replicò il messicano. E un attimo dopo, di parola, raccolse un po’ di rami secchi e sterpaglie, e diede fuoco. Nella prateria il fumo si mostrava a distanze immense. «Emilio…!», lo chiamava. Il capo banda tornò da lei. «Brutto porco… ho paura… non voglio morire…», ansimava a bocca spalancata, con poca vita davanti; gli offrì la mano. «Io non volevo, Lola… parola del Puerco», la raccolse. «Ho perso la testa, volevo solo darti una lezione… Lo stregone sarà qui a momenti. L’ho chiamato. Ti terrà ferma e tranquilla. Non ti faccio ammazzare, te lo giuro!». «Lo stregone…», sussurrò perplessa la Ramos. «Sicuro. C’è uno stregone da queste parti, Lola. Non è un cane come i segaossa yankee. Ti darà una droga, ti sentirai subito meglio…». «Emilio…», gli franò addosso, in fin di vita. «Lola!», l’esclamazione era di Tony. «Ha paura, sta morendo di paura…», spiegò il messicano al gringo. «Lola… ho un’idea… mettiamo insieme le nostre bande… che dici?». «Non… voglio… morire…», balbettò a capo chino, contro il petto del Puerco. «Lo stregone sta arrivando. E poi le ferite non sono tanto gravi». Ma non era vero, perché stomaco e fegato - specie se combinati - non perdonavano. Nemmeno una bella donna come Lola. Le tamponava i buchi, ma non serviva a molto. Continuò a farla bere, fino all’arrivo dello stregone. In realtà era un eremita bianco. El Puerco gliela consegnò che sembrava cadavere. «M’aspettavo un muso rosso…», fece notare Tony. «Anche se ho il muso bianco, ho imparato dagli indiani». La drogò, lasciandola distesa su un fianco, in posizione fetale. «Vediamo se tiene, è ridotta proprio male». «Sono stato io, amigo». «Da queste parti è un bello spreco». «Ho un po’ esagerato, lo ammetto... pensavo che una puttana del genere nemmeno se ne accorgesse». «Ha lo stomaco e il fegato bucati: la maggior parte delle vittime muore sul colpo, per lo shock; gli altri nel giro di pochi minuti; ne ho visti parecchi di cadaveri così e ho raccolto le testimonianze». «Dunque è una gran puttana?». «Beh… pur non conoscendola… direi di sì. Ma adesso, fra nove giorni, vediamo se rinasce.... Mettetevi comodi». Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. di Salvatore Conte (2017-2018)
Si sono azzannate come cagne rabbiose. Erano rimaste soltanto loro due: potevano dividersi l'oro, ma si sono divise il piombo. «Ehi! Hai bisogno di qualcosa?», il buco nel polmone è facilmente intuibile dalla chiazza sulla camicetta. «Fottiti… niño…». Ma subito dopo ci ripensa, sa di aver bisogno d’aiuto. Lui sembra un ragazzetto di campagna, ancora inoffensivo. «Dai… mettimi giù…». Scende dall’asinello e aiuta il bel pezzo di donna con il petto bucato. È Kelly Madison, una puttana da 10.000 dollari di taglia. Non ci vuole molto a riconoscerla. Tanto è bionda di capelli quanto oscura d'animo. «L'ho presa nel polmone…», confessa, una volta messa a terra. «Ma a lei… non è andata meglio… Come ti chiami…». «Pedro». «A pensare… che sono fottuta… mi sento… la cagarella addosso... Pedro…». «Kelly… devi tirare i freni e spremerti, se vuoi la salvezza…». «Parli facile… tu… Mi sembri… più vecchio… della tua età…». «Parlo molto con gli anziani del villaggio. Loro mi raccontano tutto». «Pedro… quando sarà il momento… tu… mi ficcherai… una pallottola in bocca… Sai sparare… vero…».
«Io… certo». «Bene… Adesso… voglio… farti vedere qualcosa… Le bisacce… prendile…». Il ragazzo va e torna.
«Sono dollari… dollari americani…». «Sono un mucchio di soldi, Kelly». «Ahh…», la Madison si piega su un fianco, stendendosi a pancia sotto. I dollari l’ha pagati cari. «Brucia da morire… Quella bastarda… mi ha fottuto…». Disperata, affonda con la faccia nella polvere. «Non voglio morire… non voglio morire…!». È isterica, sente la morte, non è in grado di opporsi. «Pedro… non manca molto… non vado… da nessuna parte…». «Io ho qualcosa da darti, se vuoi». «Cosa…». Le fa vedere un sacchetto. «Me l’ha dato un vecchio. Mi ha detto che un giorno mi sarebbe servito». «Che roba è…». «Non lo so». «Aprilo… idiota…». Kelly infila dentro le dita insanguinate e porta alla bocca il contenuto. «Non ho niente… da perdere… Se è veleno… tanto meglio…». La pistolera perde gradualmente i sensi; ma non sembra morta; almeno, non del tutto. «Poi mi ha detto che in quel caso avrei dovuto chiamarlo», il ragazzino le parla pur sapendo di non essere ascoltato. Pedro accende un fuoco e spezza il fumo con la sua copertaccia bisunta. E aspetta. Poco dopo arriva qualcuno, ma non è il suo uomo. Smonta da cavallo e torreggia sulla bionda, tenendo d'occhio il niño.
«La cercavo per proporle un colpo, ma non la trovo in buone condizioni, ragazzo. Che cosa sai?». «Io... l'ho incontrata quando era già ferita. Ha parlato di una certa Queen...». «Queen of Spades?». «Sì! Ha detto che l'ha tolta di mezzo con un Asso di Picche». «Da quanto mi dici, sembra che non si siano messe d'accordo: questo è il loro grande limite. Non dovrebbero ammazzarsi tra donne. E pensare che cercavo anche Queen, per un colpo a tre... Dovrò ingaggiare degli uomini, giunto a questo punto. E tu lo sei... un uomo?». «Io so sparare, señor, ma non ho una pistola». «Non basta una colt a fare un uomo, niño. Ascoltami. Hai chiamato uno stregone, non è vero?». «Un vecchio del mio villaggio». «Se conosco Queen come conosco Kelly, starà frignando da qualche parte, leccandosi le ferite. Seguirò le tracce della bionda e la troverò. È grossa come un bisonte, e qualcosa mi dice che non è ancora crepata. Quando tornerò, se sarai riuscito a salvarla, o perlomeno ci avrai provato fino alla fine, allora sarai diventato un uomo». L'Indio, guardando il giovane, rimonta in sella e scompare. Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. |