Primo Secolo: Area 52

Un salto all'inferno

Le Cantoniere

Viaggio di nozze all'inferno

Scambio di numeri

Anna accusa Jack

Sborra di piombo

Quel giorno in cui Shub-Niggurath si inculò la Madison

PRIMO SECOLO:

AREA 52

di Salvatore Conte (2018-2024)

Le radiazioni sono ovunque, tanto vale provare.

Anzi, se è vero quel che si dice, si troverà la cura.

Nel Primo Secolo dopo la Rappresaglia Nucleare, il vecchio mondo non esiste più. E quello nuovo non esiste ancora. È tuttora in dubbio se vi sarà mai un Secondo Secolo.

Il 76% della popolazione mondiale è affetta da cancro, oltre il 90% è sterile.

Nessuno ha più interesse a lavorare, tutte le grandi organizzazioni - pubbliche e private - sono esplose insieme alle testate nucleari.

L'apatia e la rassegnazione trionfano tra gli uomini.

L'unica occupazione in crescita è quella del negromante.

Tra non molto le persone tornate dal Lete saranno più numerose di quelle in vita: chi è saggio cerca di costruirsi un futuro nella morte.

Il potere è un miraggio più effimero che mai: può essere facilmente raggiunto, vista l'apatia generale, ma è destinato a durare meno del solito; chi è già malato, ha poco da vivere; chi ancora sano, poco da illudersi.

Il potere è un miraggio più effimero che mai nel Primo Secolo, ma ha sempre il suo fascino e non ha lasciato indifferente una procace infermiera di Las Vegas.

È giunto il momento di osare per la signora Romina Lopez.

È talmente avida da avere la pelle verde-petrolio. Ma forse è solo il tumore che la sta distruggendo.

Nel vecchio mondo sarebbe stata etichettata come una vacca con tanta zinna e poco cervello; ma il fisico è dalla sua, ha ancora qualcosa da vivere, e vuole approfittare della situazione per ottenere potere.

Internet continua a funzionare come prima, grazie a una rete di consorzi locali.

Da semplice infermiera, ha messo in piedi un profilo da mignotta, e ha tirato su oltre 300.000 followers.

Con due tette favolose ha stregato i fan e li tiene in pugno.

Anche se divorata da un cancro all'utero molto aggressivo, che non riesce più a gestire, pare non abbia alcuna intenzione di lasciarci la pelle, o di bere dal Lete e tornare indietro con le zinne mosce.

Per non allarmare troppo i fan, minimizza la sua condizione negli spettegoli, scrivendo che è tutto sotto controllo.

Romina vuole sfruttarli per dare l'assalto a un obiettivo top secret.

E l'invito non cade nel vuoto.

Si presentano a decine, anche in condizioni disperate, con la flebo legata al braccio; ma ci sono: nessuno di loro perderebbe la chiamata della regina di Las Vegas, tardiva esplosione di vita sulla terra morente.

Si parte.

E si arriva facilmente.

Nell'Area 51 non c'è più nessuno.

Il sogno di qualunque attricetta dei vecchi tempi era quello di girare un film con Stanley Kubrick.

La Lopez ha ora l'occasione di calcare la scena di uno dei suoi set più famosi; sempre che non sia stato distrutto.

Anche questa circostanza ha avuto un peso nel suo sogno di gloria: potere e follia vanno spesso insieme.

Nel Primo Secolo gli scenari complottistici della vecchia epoca vengono presi per oro colato, suffragati da continui riscontri.

Il primo compito che Romina assegna ai suoi seguaci è proprio questo: trovare il set di Kubrick.

Per il momento vengono accantonati ritrovamenti ben più significativi: materiale di provenienza aliena, dossier segreti, laboratori misteriosi.

La Lopez vuole essere la prima donna a sbarcare sulla Luna. E il suo sogno si realizza. Il set c'è ancora!

Si trova al Livello -4. La struttura pare simile a quella di Dulce, sul conto della quale erano da tempo trapelate indiscrezioni.

Sembra intatto, conservato come una reliquia.

        

La Lopez avrebbe avuto poco cervello, secondo i vecchi stereotipi, eppure si era sempre chiesta come si potesse arrivare sulla Luna con un grosso paralume in alluminio.

«D'altra parte, la luna neppure esiste, Signora. E questo taglia la testa al toro.

La terra è limitata alla propria atmosfera. È tutto artificiale, compreso l'ossigeno che respiriamo, presente sempre nella stessa percentuale: in mezzo all'Oceano Pacifico, alla Foresta Amazzonica, al Deserto del Sahara, o in una grande città invasa dal cemento, non fa alcuna differenza. Le piante c'entrano ben poco...», uno dei suoi fan più fidati ne approfitta per dire la sua.

«Okay, Jim, sei il mio nerd preferito, lo sai, un vero pozzo di scienza, ma ora ho altro a cui pensare», la Lopez lo interrompe, ingobbita in avanti, con ambo le mani premute sulla pancia.

Deve procedere con il suo piano, senza indugi.

«Che succede, Signora?».

«Sto morendo...».

«Ma avete scritto che andava tutto bene...», protesta il nerd.

«Propaganda, Jim.

Solo propaganda...», ripete, piegandosi in due.

Tutto è pronto.

Romina Lopez si fa incoronare, sul suolo lunare, Imperatrice dell'Area 52, in onore delle sue favolose tette.

«A proposito, Jim: perché si chiamava Area 51?».

«Perché la base ha ospitato questo set, qui è stata annessa la luna, il 51° Stato dell'Unione... pur rimanendo ben piantati a terra...».

«Jim... prendi degli uomini e vai a dare un'occhiata in giro...

Sai quello che cerco...».

Lui annuisce, molto lusingato, e parte all'esplorazione.

Romina, intanto, si adagia sul rover lunare, assaporando il suo trionfo.

Scopre ben presto che il rover non è altro che una dune buggy, con un ombrellino legato all'asse anteriore e due sedie da campeggio al posto dei sedili.

Mette in moto, parte e gira per il set, divertendosi un mondo!

Per Jim è tutto molto prevedibile, quasi banale.

Armi e cadaveri alieni, o pseudo-tali, elisir di lunga vita a base di sangue umano per alti membri dell'elite, vari dossier top secret sulle cure per il cancro (da utilizzare soltanto a beneficio di alti membri dell'elite), celle criogeniche per la conservazione dei corpi di alti membri dell'elite, e molto altro ancora.

«Come pensi che funzioni?».

«Le pistole sono pistole in tutto il mondo, Kelly».

«Ma questa è di un altro mondo, Dave!»

«Niente affatto: questo è il loro ospedale, la loro armeria, la loro officina, ma per quanto brutti sono terrestri come noi.

Penso che loro vivano nel livelli inferiori...».

«Loro chi?».

«Intanto prendiamo questa: la proveremo su quella troia.

E se non dovesse funzionare, ci penserai tu...

Dobbiamo farla fuori, lo sai.

Senza di lei, quell'accozzaglia di falliti tornerà a farsi le seghe su internet».

«Nessun problema.

Con questo giocattolo posso farli fuori tutti...».

Kelly imbraccia spavalda il suo fucile a pompa.

«Ma voglio le cure per salvarmi...», anche lei ha i suoi problemi.

Tormentata da un cancro al colon, si tiene in piedi a fatica.

È ancora imponente, ma dentro è tutta marcia; la faccia tirata e la bocca sempre impastata di sangue, a causa delle emorragie interne.

«Imperatrice... qualcuno ci sta attaccando!», Jim rientra trafelato sul set.

«Che cosa?!

Chi?».

«Ho portato via i dossier... c'era anche una specie di pistola aliena... ma l'ho persa di vista».

«Questa faccenda non mi piace. Meglio prepararsi al peggio.

Jim, raduna i followers più fidati: spazzeremo via gli intrusi, ho una pistola con me...».

«Calma, bambola...

Il tuo ragazzo si è dimenticato questa...», la pistola a raggi è nelle sue mani.

«Che vuoi fare? Chi sei?».

«Non certo uno di quei minchioni che pendono dalle tua labbra, imperatrice del cazzo...

Diciamo che io e mia moglie siamo un pezzo di vecchio mondo che sopravvive nel Primo Secolo.

Ci piace la grana e vogliamo farne tanta.

Di dollari non se ne stampano più. Col tempo diventeranno sempre più preziosi.

Ma il tempo è ormai un problema per tutti, soprattutto per mia moglie, e non voglio perderla».

«Un killer romantico...

È più bella di me tua moglie?».

«Fra poco lo vedrai».

«Mettila giù, possiamo trovare un accordo».

«Non sei nelle condizioni di negoziare, bambola.

Quanto a questa, non credo di saperla usare.

Piuttosto, devi preoccuparti di mia moglie...».

Kelly fa il suo ingresso sul set.

E le spiana contro il fucile a pompa.

«Ehi... non vorrai fottermi, spero...!», Romina si stira addosso la succinta camicetta, già appesantita dalle grosse zinne, tentando il tutto per tutto.

«Aspetta...», interviene David, rivolto alla moglie.

Romina crede subito di salvarsi.

«Vediamo se funziona...».

SWISHH...

David Mikkel preme il grilletto quasi per gioco.

«ARGHH...!!».

Un raggio al calor bianco centra la Lopez in pancia! Praticamente nell'utero!

E le lascia un impressionante buco nero, netto e rotondo!

Niente sangue: dalla ferita non esce nulla; almeno per il momento.

La morbida carne della signora Romina Lopez è stata fusa ad altissima temperatura, tumore compreso.

Ma ecco che il buco sembra ribollire... e si riempie di escrescenze globulari grigiastre, piuttosto repellenti: evidentemente una reazione chimica, un sistema per riempire lo spazio vuoto, non si capisce con quale scopo.

Romina è impietrita, la bocca spalancata.

E così i suoi fan... come fossero al cinema.

Mancano solo i pop-corn.

Per prima cosa deve affrontare lo shock emotivo, poi quello termico, che si è propagato a tutto il corpo.

«Cristo!», è lo stesso David a imprecare.

Non si aspettava che la pistola aliena sparasse tanto facilmente.

«Io... non volevo...».

«Avanti, Dave... sapevamo che sarebbe finita così: con un grosso buco...».

«Aspetta un attimo...».

Romina si è accasciata contro la ruota del rover.

«Bambola... non volevo...», Mikkel cerca di soccorrerla.

«Dave! Quante porcate hai fatto?!

Ti fai problemi per una puttana?», la moglie cerca, a suo modo, di rincuorarlo.

«Zitta! Sta cercando di respirare...».

«Anche se non abbiamo a disposizione il manuale d'uso, vi è da pensare che per fortuna lei abbia sparato un raggio non mortale, forse c'è un selettore...

Infatti, non si spiega altrimenti questa schiuma corrugata: credo serva a tamponare il buco, garantire la continuità degli organi e a raffreddare il corpo... almeno spero...», questi non può essere che Jim.

«Tutto può essere, ragazzo, ma stai attento a questa: è antiquata, ma non lascia schiume...».

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«E adesso che cazzo succede?», esclama Dave, piegato sulla bella messicana.

«La donna delle pulizie deve aver toccato qualcosa di troppo...

Dobbiamo andarcene, ma prendi i dossier», Kelly sente un brivido freddo percorrerla lungo la schiena.

«Di lei che ne facciamo?».

«La base sta per saltare, il gioco è finito.

A questo punto, ci conviene rivenderla a un negromante. Le pagano bene, queste grosse troie...».

«Sempre a pensare al grano, tu!».

«Mi servirà per curarmi, Dave».

«Certo, cara, certo. Andrà tutto bene. Il tuo Dave ti rimarrà sempre accanto», succube delle sue zinne, ma anche stanco dei suoi capricci. «Te l'ho promesso, Kelly: tu non morirai di cancro».

«È vero: la causa della morte sarà un'indigestione di piombo...».

Il copione prevede un altro colpo di scena!

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A fare il suo ingresso sulla scena è la matura e affascinante Layla Boyle, un'avventuriera senza scrupoli, che ha un problema urgente da risolvere, come in tanti a questo mondo.

È malferma sulle gambe, ma con la mano ben stretta su una pistola terrestre.

«Ehi! Possiamo accordarci...», Mikkel prende tempo e cerca di capirci qualcosa.

«Sapevo che la sua ambizione l'avrebbe spinta a combinarne una giusta», lancia uno sguardo alla Lopez. «Non ne ho per molto, ma qualche secondo per ammazzarvi tutti ce l'ho di sicuro.

E voglio cominciare proprio da te...».

«Non farlo, ti prego... Kelly è mia moglie».

La Boyle le punta contro la sua pistola.

«Ci tieni così tanto a questo puttanone?».

«È mia moglie!».

«È solo una cagna...».

«Ti prego... aspetta!

Il cancro mi ha divorato, ce l'ho nello stomaco, nel fegato, ce l'ho nel colon...

Ho poco da vivere, ma non mi sono arresa, perché Dave mi ama...».

«Davvero commovente... ma se è così, ti faccio un favore...

Prima però caricate quei libri sul rover. Avanti!».

È Jim il più vicino ai dossier.

Senza farselo ripetere, esegue l'ordine.

«Bene.

Adesso allontanatevi.

Vieni solo tu con me», Layla indica Jim, dopo aver raccolto il fucile e le pistole, e scansato il corpo di Romina. «Sarai anche tonto, ma forse conosci la strada, non è vero?

Guida...».

Jim ha studiato per anni le strutture di Area 51 ed è tutto come pensava.

Layla e il ragazzo lasciano la luna a bordo del rover, è la magia del cinema d'autore.

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«L'Underground Highway passa qui accanto, forse noi possiamo farcela, ma che ne sarà degli altri?», protesta blandamente Jim.

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«Cristo, che botto!», esclama Layla.

Il ragazzo ha spinto a tutto gas il rover lungo l'autostrada sotterranea che collegava fra loro le basi segrete dell'esercito.

L'hanno fatta franca per un soffio.

E possono proseguire: non c'è traffico, non ci sono semafori, curve, pedaggi da pagare, autovelox. Sembra di stare sulla luna.

«Guido io, adesso. Tu comincia a leggere.

O ti dà fastidio leggere in macchina?».

Ma quando tutto sembra finito, due veicoli sfrecciano sulla corsia di sorpasso.

Altri due rover, stracarichi all'inverosimile.

La Boyle ha intravisto i coniugi Mikkel, Romina e un pugno di followers dell'imperatrice.

«Cose dell'altro mondo...», sussurra Layla.

UN SALTO ALL'INFERNO

di Salvatore Conte (2018-2023)

           

           

           

I due banditos discendono il crinale con somma prudenza e costeggiano il ruscello, avvicinandosi al carro sfracellato.

«Controlla dentro».

«Niente, solo cianfrusaglie».

«Aiutami a spostare il carro, voglio tirar fuori questa disgraziata».

«Può essere ancora viva?».

«Lo escludo, ma voglio almeno seppellirla.

Mia nonna diceva che lasciare un corpo di donna insepolto procura guai, e noi ne abbiamo già abbastanza».

«Gringo maldito...».

«Io lo sollevo un po' con questa leva, tu lo trascini con il cavallo».

«Muy bien».

«Forza, adesso!».

L'operazione riesce.

«Ohh...hh...hh...», un lungo sospiro gutturale, trattenuto per molto tempo.

«Cristo!».

«Che c'è?».

«È viva...

Il peso le bloccava il petto, ora riesce a respirare. Le tette e la pancia, per sua fortuna, hanno ammorbidito il colpo.

No... non la muovere... è tutta sfondata.
Quei cani che abbiamo visto andar via non hanno nemmeno controllato che fosse crepata del tutto
».

«Forse gli era sembrata senza speranze».
«Questo è sicuro, ma almeno noi la facciamo crepare senza quel peso sullo stomaco.
Prendile le mano e tienile la testa sopra l’acqua.
È una bella bestia, ci metterà un po’. È chiaro che vorrebbe vivere, se potesse
».
«Non è neanche tanto malaccio».
«È una vecchia cessa, ma ancora con del succo da spremere.
Peccato per lei corresse troppo
».
«Scappava da qualcuno?».
«Poco, ma sicuro. Forse proprio da quelli che l’hanno lasciata crepare qui come una cagna».
«In effetti…».
«Smettila, è pur sempre una donna.
E come hai detto tu, non è per niente malaccio…
e chissà da giovane, prima di tutti questi chili...».

«Respira appena, che faccio?

Quando me lo dai il cambio?».
«Resisti ancora un po’, non è così divertente vederla crepare, ma è fottuta, lo sa anche lei. Non ti farà problemi».
«Okay, okay…
Oddio, sta sputando sangue!
».
«È tutta sfondata, te l’ho detto. Una barca senza timone.
Ma è talmente zoccola da non avere ancora mollato.

Come ti chiami, bellezza?».

«Eva... voi... chi... cazzo... siete...».

«È proprio una trucida.

Siamo Juan e Tuco, due banditos, ma non vogliamo farti la pelle.

Che ti è successo?».

«Andavo forte... poi... non ricordo nulla... forse... ho preso... una pallottola...».

«Nessuna pallottola, bellezza, ma hai fatto un bel salto e una parte del carro ti ha schiacciato.

Hai lo stomaco e le budella distrutte, una pallottola avrebbe fatto meno danni, ci dispiace».

«Ora ricordo... questa... è le vendetta di mio marito... quel buono a nulla... l'ho fatto fuori...

I soldi... c'è una borsa... con i soldi... sul carro...».

«Quei due bastardi...

C'erano due gringos sulla scena, prima del nostro arrivo.

Te l'hanno presa loro».

«Sì... Tex Willer... e Kit Carson... due tizzoni d'inferno...».

«Willer e Carson?

Accidenti!

Passano per essere due giustizieri, ma hanno abbandonato una donna morente al suo destino...».

«Morente... un corno... io... non voglio... lasciarci la pelle... rivoglio... i miei soldi...», con la bocca impastata di sangue.

«Non agitarti, bellezza.

Non sei messa bene, ma proviamo a tenerti su con un po' di tequila.

Bevi... bevi che ti fa bene... brava...

Di quanto dinero stavi parlando, eh, bellezza?».

«Tanto... tanto dinero...

Juan... non voglio crepare...».

«Io sono Tuco».

«Tuco... non sono da buttare...».

«Questo lo vediamo. Sei una bella bestia».

«Ho paura... Tuco...».

«Non ci vuoi credere, lo so. Però indietro non si può tornare: il volo l'hai fatto e ti abbiamo ritrovato che nemmeno respiravi».

«Che vuoi dire...».

«Che non mi farei illusioni».

«Lo so anch'io... non sento più le gambe... dovrei spararmi... una pallottola in bocca... ma voglio... che quei due... Willer e Carson... vengano con me... all'inferno...

Ammazzateli... e tenetevi i soldi... è il mio regalo... per voi...».

«Una pallottola in bocca sarebbe troppo anche per una vecchia cessa come te, Eva.

Così, almeno, puoi avere ancora qualche sussulto».

«È vero... è bello... spremersi... fino in fondo... avrò tempo... per riposare...».

«Noi rimaniamo qui. Provaci finché te la senti».

«Ma poi... li andate... ad ammazzare...?».

«E va bene... se ci tieni tanto, un favore a una bella cessa come te non possiamo negarlo, vero, Juan?».

«Vero, Tuco.

E così ci fottiamo pure i soldi».

«Tuco... sono tutta bagnata... fammi crepare... all'asciutto...».

«Muy bien, proviamo a spostarti.

Fai piano, Juan...».

L'operazione riesce.

Eva Morgan è trasportata fuori dal piccolo corso d'acqua.

Gli occhi lucidi per la rabbia di doverci lasciare la pelle, prova a non rassegnarsi, ma sente la fine incombere pesante.

«Non voglio trattenervi... andate...».

«Hai bisogno di attenzione, bellezza.

Non ti possiamo lasciar dietro».

«Voi... non siete banditos...».

«Lo siamo, eccome».

«Stammi vicino... Tuco... manca poco...».

Gli occhi al cielo, la bocca spalancata che vomita sangue, lo stomaco e le budella distrutte internamente, per una morte sofferta e difficoltosa.

La vecchia cessa si aggrappa con la forza della disperazione alla mano di Tuco, un bandito messicano che neppure conosce.

Lungi dal rassegnarsi, benché certa di non potersi salvare, prova a trovare un respiro sostenibile, lento, che le possa dare calma e speranza.

È un bello sforzo, ma non sembra del tutto fallito.

«Sei brava, Eva. Ci stai provando. Prova a stare calma e a respirare.

Non c'è mai fretta per crepare.

Se riesci a rimetterti in piedi, li andiamo a fottere insieme quei due bastardi».

«Lasciami provare... Tuco... e stammi vicino...

Un salto all'inferno... l'ho già fatto...

Vediamo... se posso... rimandare... un altro po'... quello... definitivo...», con voce fragile, precaria, dosata, a mantenere un disperato controllo su sé stessa e le ultime energie.

Tuco e Juan si alternano intorno a lei, cercando di trattenerla.

È una vecchia cessa, ma ancora con del grasso da spremere.

E lanciano segnali di fumo per far venire qualche droga e aiutarla a sognare.

Potrebbe tornare lo stesso Willer, e stupirsi di ritrovarla viva, sull'orlo del precipizio, sul punto di saltare.

LE CANTONIERE

di Salvatore Conte (2024)

Ha ricevuto il compito di fottermi.

È un famoso donnone che lavora per la Banda delle Cantoniere.

Farà parte del gruppo di fuoco che mi aspetterà davanti al bar, in stile agguato ar Negro...

Anzi, sarà lei a venirmi incontro, cercando di distrarmi.

Tanto è una pregiudicata, negherà tutto, un'inchiesta in più a suo carico ne rafforzerà la fama.

Eccola, infatti.

Dai servizi è arrivata la soffiata giusta.

Se c'è la sua vecchia 127 gialla, con la ruota sul marciapiede, dev'esserci anche lei.
«Ehi, bello... mi offri da bere?».

Non mi sbagliavo.

La Sbottonata si presenta con un camicione arancio da mignottona, bello largo, che le maschera un po' la carne abbondante e flaccida; ha superato i 50, non è più quella di un tempo, il seno le casca addosso a penzoloni, la panza è gonfia, i fianchi sono pesanti: s'è imbolsita, ma è sempre 'na bella vacca...

Invecchiata e ingrassata, rispetto ai tempi di platino, ma sempre potentissima.

È la famosa Anna Frezza, 'na bellezza che le racchiude tutte.

L'aggancio, comunque, è davvero banale.

«Potrei mai rifiutare?».

«Ovvio che no...», lo ammette anche lei.

Un paio di crodini e l'agguato è pronto.

Tutto ha un preciso significato cromatico per la Banda.

Le gerarchie sono divise in tre livelli: alla base ci sono i cantonieri comuni, gregari, fiancheggiatori, che vestono di giallo; sopra di loro ci sono le cantoniere scelte, come la Frezza, che formano il nucleo centrale della Banda e che vestono di arancione; all'apice c'è la Gran Cantoniera, che veste un arancio marcato,  confondibile con il rosso.

I servizi mi hanno rivelato che si tratta di un'italo-libanese, una certa Layla.

   

Ha fatto la sua gavetta, ed è riuscita ad emergere. Adesso è potentissima.

Il covo è all'interno del faro abbandonato di Ostia.

La Banda gode di complicità eccellenti e deve il nome al suo ramo principale, che è quello degli appalti stradali. Il simbolo della Banda è pala e piccone.

«Mi porti da qualche parte?».

Sì, al cimitero.

«Anche questa non si può rifiutare».

Le apro la porta del bar.

La Frezza esce per prima.

POW

POW

POW

Spari fragorosi di rivoltella.

I miei uomini sono entrati in azione. Sono calati alle spalle di chi voleva colpirmi alle spalle.

«Figlio di puttana!», la Frezza sbava rabbia, l'agguato è fallito.

Allunga il passo e cerca di raggiungere la sua macchinetta.

Deve avere una pistola nella borsetta, ma si guarda bene dal tirarla fuori; può sperare in un occhio di riguardo solo se non esagera.

Infatti la lascio andare, ho dato ordine di risparmiarla.

«Puttana... scappi...!».

Ma è proprio questo che indispettisce uno dei suoi complici, un cantoniere gobbo.

Anna è arrivata alla 127, ormai è sicura di potersi guadagnare la fuga.

Commette, però, un grave errore nel sottovalutare la rabbia del gobbo.

POW

Reggendosi la pancia con la mano libera, ingobbito oltremodo, esplode un colpo (!), mentre la Sbottonata apre lo sportello e si volta per un attimo verso di lui...

POW

«Maledetto!».

La Sbottonata risponde, ma il danno è fatto!

Il gobbo non ha retto il bis ed è andato giù.

La macchia sul camicione non lascia dubbi: la Frezza è stata raggiunta da una revolverata allo stomaco... davanti a un bar... come er Negro tanti anni prima...

La Sbottonata si pietrifica, attonita, con un'espressione stregata sul volto, lasciandosi sorreggere dalla fiancata della 127; adesso è ingobbita anche lei e di sicuro Gran Cantoniera non ci diventa più; le hanno tirato giù proprio una bella picconata...

Per un attimo penso sia rimasta fulminata (!!); ma la Frezza reagisce (!), comprimendosi le mani contro la ferita, e ha il sangue freddo di infilarsi in macchina e ripartire a tutto gas.

A questo punto, voglio vederla da vicino mentre crepa. Oggi non è stata fortunata.

Anche se alla guida di una semplice Fiat 127 anni '80, la Frezza corre veloce come un'indemoniata, bruciando gomme e semafori lungo le strade di Ostia.

Chissà dove crede di andare, l'ospedale è da un'altra parte, non morirà fra le braccia degli infermieri come er Negro, allora...

La direzione è compatibile con il vecchio faro, forse spera di raggiungere il covo della Banda.

Poi, quasi all'improvviso, l'auto rallenta e procede a scatti, come se la Sbottonata non avesse più sensibilità nelle gambe (!).

Probabilmente sta tirando le cuoia (!).

Però non c'è spazio per superarla, la Frezza tiene il centro della carreggiata e la strada è molto stretta.

SPLASH!

La situazione precipita quando una curva a gomito la porta dritta dentro un canale!

Inchiodo e scendo subito.

L'acqua non è molto profonda, la 127 è rimasta parzialmente a galla.

La ritrovo semisommersa, con le mani aggrappate al timone e la fronte contro il volante, come cercasse di navigare, o almeno di non affondare del tutto.

La tiro fuori e la rimetto in macchina. La mia.

Merce preziosa, ma altamente deperibile.

Non ho tempo di controllarle il buco, devo sgommare e ripartire.

Prima di buttarmi dentro una fratta, controllo di non avere nessuno alle calcagna.

Adesso, sì, ho il tempo di controllarle il buco...

E di affrontare il suo sguardo.
Ha gli occhi allucinati.

È la fine di Anna Frezza.
Le asciugo la bocca, impastata di sangue, e le premo un fazzoletto contro la ferita, anche se non serve a niente: «Su, premi... premi forte…».

«'A Sbottonata... come er Negro...», almeno riesce ancora a ricamarci sopra.

Ma di sicuro è terrorizzata dall'idea di fare la stessa fine di Franco Giuseppucci: uccisa come lui da un colpo allo stomaco, al termine di una fuga disperata.

La morte der Negro la conoscono tutti nel giro. Del resto era quella che avevano studiato per me.

«No... lui è corso all'ospedale, tu no.

Dove stavi andando, Anna?».

Il volto della Frezza è tirato, ogni respiro sembra essere l'ultimo… io non smetto di tamponarle il buco.

«Al covo... portami tu... fa' presto...

Ho paura... ho paura... non sento le gambe...».

Non si scusa nemmeno per l'esecuzione fallita.

«Lo sai... è lavoro... io... non volevo...», ecco, adesso va bene.

«E se i tuoi mi sparano?».

«No... tu entri con noi... in arancione...».

«E va bene... ma niente scherzi... e premi... premi forte... non farti sorprendere...».

«Sì... non voglio morire...», manca poco che Anna si leghi il mio fazzoletto alle budella. «Al faro... presto...».

«Sì, lo so, hai poco tempo.

Ma prima dimmi chi è il mandante», se rimando troppo la domanda, temo che la risposta diventi impossibile.

«Saprai tutto...», la bocca spalancata e gli occhi carichi di paura, tenta di reggere.

Una mano scivola giù e si stira addosso il camicione: che mignotta...

Non contenta, mi porta la mano sulle tette: crede di acquisire potere su di me.

Farebbe qualunque cosa per cercare di salvarsi.

«Maledetto gobbo...», ancora non ci può credere.

«Io avevo ordinato di risparmiarti, Anna.

Ma tu sei svolazzata via un po' troppo in fretta, disseminando i tuoi uomini come coni spartitraffico...».

«Non farmi la morale... sono una mignottona... lo sai...», lo riconosce senza problemi.

Purtroppo sei una mignottona morta, Anna (!!).

Per te, ormai, ci vorrebbe un esperto, un tecnico alla Herbert West...

D'altra parte, il clamore si diffonderà, i giornali incalzeranno; altro che Negro...

«Allora andiamo, facciamo presto...

Però è meglio se prima avvisi i tuoi...», aggiungo, prima di ripartire.

«Non ce n'è bisogno...».

La canna di una pistola sulla tempia.

Sono i cantonieri.

Bene che vada, finirò asfaltato!

VIAGGIO DI NOZZE ALL'INFERNO

di Salvatore Conte (2018-2021)

Il ritmo è quello e non cambia mai.

La caccia prosegue da giorni.

Tuco ha deciso di regolare i conti con Sentenza.

Entrambi hanno perso diversi uomini.

Sentenza è rimasto solo.

Tuco ha ancora con sé uno dei suoi uomini più esperti e affidabili: Anna Frentzen, detta la Desabotonada, per le camicette allentate fino allo stomaco, che è quindi - in tutta evidenza - una donna.

Anna è la cattiva della banda, perché ci pensa lei a dare il colpo di grazia ai compagni feriti a morte.

E sembra quasi provarci gusto.

L'ultimo l'ha freddato soltanto un'ora fa. Aveva un buco nello stomaco.

«Ehi, Anna... quanti ne hai fatti fuori così... ho perso il conto...

E se un giorno toccasse a te? Dovrei farlo io?», Tuco la stuzzica e aggiunge il suo ghigno sghembo.

«Posso farlo da sola. Non ho paura».

Sentenza, intanto, è rimasto senza cavallo ed è accerchiato.

Ha trovato riparo dietro un costone di roccia, ma può essere attaccato da due lati contemporaneamente.

Per stanarlo, Tuco ha ideato un piano.

Anna attaccherà a cavallo, mentre lui calerà alle spalle del gringo dall'altura sovrastante.

Eccola...

È partita...

Anna fa zigzagare il cavallo per alzare più polvere possibile, non dare punti di riferimento e quindi proteggersi: un vecchio trucco.

BANG
BANG

Giunta a distanza di colt, esplode due colpi.

BANG

E ne riceve uno.

I suoi si infrangono contro la roccia.

«Ahhh..!».

Quello di Sentenza buca la polvere e trova la sua carcassa!

Forse è stato solo fortunato, ma l'ha beccata.

Anna rimane in sella, ma si lascia scappare un grido tormentato che non lascia adito a dubbi.

È stata colpita.

BANG

Spara un'altra pallottola per coprirsi la ritirata e sprona il cavallo per portarsi in fretta il più lontano possibile.

A questo punto il diversivo funziona al contrario.

Anziché approfittare dell'attacco, Tuco si lascia distrarre dall'amara sorte della compagna.

Con lei ha un rapporto morboso, del tipo "la Cattiva e il Bruto".

BANG

BANG

E rischia pure di finire impallinato.

Anche lui deve ritirarsi.

La Frentzen inorridisce mentre, ancora in sella, si controlla il buco...

Ce l'ha sullo stomaco!

È diventata gialla per la paura!

Stavolta è toccato a lei.

Ora dovrà presentarsi a Tuco in queste condizioni.

Smonta da cavallo, ingobbita in avanti, con ambo le mani pressate sullo stomaco, e guadagna un riparo, mettendosi seduta.

Tuco non si fa attendere.

«Maldita... che hai combinato?».

Le sposta le mani e vede anche lui...

«L'hai ammazzato... almeno?».

«Quel cane a momenti mi ammazzava lui...

Ma è senza cavallo, da lì non si muove, possiamo ancora beccarlo».

E gli viene subito un'idea crudele.

«Ascolta, Anna...

Sei stata con me per molto tempo.

Ma stavolta ti è andata storta».

«Non penserai davvero di...

Io sono Anna Frentzen...».

Per tutta risposta, Tuco estrae la colt e le infila la canna in mezzo alle tette.

«E perché no?

Pensi di essere tanto speciale?

Quanti ne hai ammazzati tu?

Ci si illude fino alla fine, ma poi si scopre che non c'è nulla da fare.

Vuoi illuderti anche tu?

Lo stomaco non perdona.

Però sta' tranquilla... gli metterò in conto anche questo».

«Aspetta...!

Posso ancora... esserti utile...».

«L'hai detto.

E lo sai come?».

«In molti modi...».

Anna tira fuori la lingua, come una vipera a cui bisogna ancora schiacciare la testa.

La Desabotonada è una gran bella donna, dal fascino sinistro e maledetto. Ha raggiunto i 50, ma è sempre una potenza; scaltra, decisa, ambiziosa, ha messo da parte un grosso bottino per rifarsi una vita altrove. Ecco perché non accetta la fine.

«So bene che sei la migliore, ma adesso è più urgente un'altra cosa...

Ascolta...».

È costretta ad accettare per evitare conseguenze peggiori.

«Cerca almeno... di accopparlo subito... o mi riempirà... di piombo...».

«Lo faccio secco subito quel bastardo, parola di Tuco».

L'attacco stavolta è su un unico fronte, ma il messicano può contare su una corazza d'eccezione: il corpo e la carne di Anna Frentzen.

BANG

BANG

BANG

Lo scambio di colpi è serrato, intramezzato da due grida soffocate di donna.

Stavolta la sentenza è arrivata per lui.

«Non voleva proprio andar giù questo figlio de puta...».

Tuco è saltato giù al volo.

BANG

BANG

Per finirlo prima che tenti qualche brutto scherzo.

Stavolta la strategia si è rivelata vincente.

Tuco ha regolato i suoi conti con Sentenza.

«Mi dispiace, bellezza, ma tanto eri già andata...».

Si volta verso Anna, scusandosi con lei, che si è presa un paio di due pallottole fresche in pancia al posto suo, ma si accorge che non c'è, perché si sta allontanando quatta-quatta a cavallo.

Ed è l'unico che gli sia rimasto.

Non può farla andar via.

O alla fine ci rimetterebbe la pelle pure lui.

Anche Anna ha ideato una sua strategia.

E ora cerca di portarsi fuori tiro il prima possibile.

Deve far presto.

È vero, è fottuta, ma queste due pallottole l'hanno messa stranamente di buon umore, perché poteva andarle molto peggio, perché poteva rimanerci secca.

Tuco prende velocemente la mira.

«Ti butto giù! Ti sparo in corpo... e ti faccio crepare subito...!».

BANG

Un colpo alla schiena per tirarla giù dalla sella.

Anna allarga le braccia come a distendersi su una croce, è stata colpita, ma riesce a mantenere l'equilibrio, forte della sua cattiveria.

BANG
BANG

Ormai è fuori tiro.

«Maldita!»

Tanto sei fottutaaa...!!», le urla dietro a squarciagola, con il suo viscido ghigno.

Anna ha preso l'ennesima pallottola, ma è salva... per così dire.

Avvista il cavallo mentre procede a passo lento nell'arida prateria, con uno stormo di avvoltoi che gli volteggiano sopra.

Il cavaliere solitario si avvicina.

«Tu sei la donna che sta con la banda di Tuco...

Si parla molto di te, ragazza...

Sei la Desabotonada».

Anna si è malapena accorta della sua presenza.

«Stavolta le voci non hanno di certo esagerato...

Allora... vediamo un po'... mi sembri ridotta male, ragazza...

Che ti è successo?

Forse ti sei un po' sopravalutata...».

«Come... ti chiami...».

«Mi chiamano il Biondo.

Ma non lo sono poi tanto...».

«Anch'io... ho sentito... parlare di te...».

«Dove sei diretta, ragazza?».

«All'inferno...

Vuoi... accompagnarmi...».

«Beh... se fosse l'unico modo di seguirti...».

«Io... io...», Anna gli frana addosso.

Ottenuto il placet, ha pensato bene di passare all'azione.

«Ehi-ehi...».

Il Biondo cambia cavallo al volo e la tiene in sella.

Raggiunge un riparo e la mette seduta, facendole bere qualcosa di forte.

«Allora... sputa adesso...

Chi è stato?».

«Tuco... ammazzalo... mi ha sparato... alla schiena... e... mi ha usato... come scudo...».

«Ha il sangue caldo quello schifoso, ma non spara per niente: cosa gli hai fatto?».

«Abbiamo... fottuto... Sentenza... lo conosci...».

«Sì, l'ho incontrato, una volta».

«Sono... rimasta colpita... allo stomaco... capisci... e lui... Tuco... voleva... chiudere i giochi... così... sono fuggita... ma lui...».

«Ti ha sparato alla schiena...».

Anna strabuzza gli occhi, come se le parole del Biondo la ferissero di nuovo.

«D'accordo. Lo ammazzerò».

Lo incontrano che vaga come un cane randagio.

«Metti giù il ferro, Tuco!», gli grida da lontano il pistolero.

«Ehi, Biondo... sei tu? È la fortuna che ti manda!», lo riconosce quasi subito.

BANG

Un colpo di winchester gli fa volare il sombrero dalla testa.

Quando un uomo a cavallo con il fucile incontra un uomo a piedi con la pistola...

«Va bene! Va beneee...!!», Tuco getta il ferro a terra, tanto il Biondo è fuori tiro.

«Ammazzalo... subito...», gli sussurra Anna.

«No. Preferisco farlo scavare... prima di ammazzarlo...».

«Guarda-guarda...», ride con la sua smorfia obliqua, «è nata una nuova coppia...».

La Frentzen sta in sella da sola, ingobbita in avanti, la testa piegata sul petto.

«Avanti, Tuco...

Scavati la fossa...».

«E con che cosa?».

«Con questo...», gli lancia un badile.

«Vorrei tanto sapere cosa ti ha raccontato quella... ehm... bella ragazza...

Non ti farai infinocchiare, spero...

Sai quanti ne ha ammazzati che ancora speravano di tirare avanti?».

«Tu eri il capo, potevi fermarla.

Avanti... non divagare.

Vuole vederti morire, e non ne ha per molto».

«Ma che dici, Biondo... Anna è una tipa tosta...! Non come quei smidollati...

Senti, bellezza... io non volevo, sai? Pensavo di farti un piacere.

Tu hai sempre detto: quando toccherà a me, non avrò paura di farla finita...

Non è così? Avanti... dillo...».

«Ascolta, Tuco... stai parlando di una donna, di una bella donna; di Anna Frentzen.

Sicuramente ti ha raccontato un mucchio di stronzate, ma non per questo si meritava un colpo nella schiena, o di prendere piombo al posto tuo.

Quindi, scava...».

Il tempo passa e la fossa prende forma.

«Tutto bene, Anna, vero?».

La Desbotonada è seduta a terra contro un masso di roccia sporgente dal terreno arido.

«Biondo... ammazzalo subito... ti prego... voglio... vederlo crepare...

E poi... dammi da bere...».

La pistolera strofina gli stivali sul terriccio polveroso, scaricando rabbia e paura.

Il whisky le cola dal labbro e si infila sensuale nella profonda scollatura della camicetta.

«Non essere troppo buona, Anna.

Prima di morire, Tuco deve lavorare».

«Biondo... prendimi la mano...

Non ci faccio... una bella figura... lo so...

Quello... che ha detto... è vero...

Ne ho uccisi... tanti... me lo... chiedevano loro... oppure... erano... alla fine...

Io... pensavo... che a me... non sarebbe... mai successo...».

«Anna... forse la tua medicina servirebbe a te, adesso...».

«Biondo... non penserai di...

Io... ti dirò... dove... ho nascosto... il mio bottino...

Voglio... che finisca a te...».

«Ma questa fossa non finisce mai?, la interrompe per mettere un po' di fretta a Tuco.

«Le cose vanno fatte bene, Biondo! Specie se sono le ultime...».

«Bravo... scherzaci su...! Il piombo ti farà meno male!».

«Ho paura... che questa... sarà... la mia tomba... Biondo...

Ma... non... non voglio... finirci dentro... con quel lurido verme...».

«Forse ti salvi, Tuco...!».

«E perché?».

«Perché al tuo posto ci va Anna...».

«Insomma, deciditi... non faccio il becchino gratis!».

«Biondo... la fossa... è mia...», gli frana addosso con le palpebre pesanti.

La Frentzen sta perdendo il controllo.

«Lo so, ragazza.

Un ultimo sforzo: parlami del tuo oro».

La Desabotonada gli sussurra qualcosa all'orecchio, prima di mollare.

«Grazie, bellezza».

Il Biondo trascina il corpo sull'orlo della fossa, afferrandolo per gli stivali.

Tuco è già dentro, intento a scavare: l'ha fatta bella profonda. Va bene per tutti e due.

«Tu sai dove si trova l'oro di Anna?».

«Certo che lo so... vuoi saperlo?».

«Lo so già.

L'hai liquidata per prenderti tutto, vero?».

«Ehi... perché non dividiamo, come ai vecchi tempi?».

«Io non sparo alle donne, Tuco».

BANG

E gli butta sopra il corpo della Frentzen...

Infine una manciata simbolica di terra.

La pistolera nella fossa ha un sussulto di ribrezzo.

«Tuco... ci ha... fregato... tutti e due...».
«Però è un giusto...

Mi ha sparato un colpo solo... quello che io ho sparato a te...».

«Cosa... me ne frega... a me...», esausta, con la bava alla bocca, e anche un po' di terra fresca.

«Se ne sta andando... senti?

Dobbiamo tornare su...

Tornerò a prenderti...

Mal che vada... starai più larga...», anche con un piede nella fossa, non rinuncia al suo ghigno sghembo.

Con un certa fatica, ma Tuco ce la fa.

Ad aspettarlo, però, c'è il Biondo.

Il cavallo è andato via da solo. Ma tornerà presto per bere.

«Tu a piedi, io a cavallo e lei di traverso: quando crepa, se non lo ha già fatto, la consegniamo al primo sceriffo; ha una buona taglia sulla testa, o meglio sulle poppe... che sarà aggiunta al suo bottino.

Si divide a metà».

«Ci sto...».

E così due uomini e una donna - il Buono a cavallo, in mezzo; il Brutto a piedi con una mano sulla pancia; davanti, la Cattiva di traverso sulla sella, dietro - formando una piccola colonna, marciano nella prateria desolata, sognando come sempre l'oro o un'impossibile salvezza, a seconda delle priorità.

Stanno comunque tutti meglio del Cattivo, già finito - in buona parte - nella pancia di quegli uccellacci neri che ora danno appuntamento a Anna Frentzen.

«Tuco... perché... non lo ammazzi...».

Alla prima sosta, Anna cerca di vendicarsi.

Sta sgranocchiando delle fogliuzze tritate, che tira fuori da un taschino.

«Se non l'ho fatto fino adesso, perché dovrei farlo ora?».

La Frentzen viene frustrata dalla risposta di Tuco.

Una donna con quattro pallottole in corpo perde peso - nel suo caso solo virtualmente - anche se si tratta di una del suo livello.

Non riesce più a manovrare nessuno. Deve rassegnarsi, e concentrarsi solo sulla propria morte.

«A...c...q...u...a...», durante la marcia assolata chiede disperatamente un po' di ristoro.

Il Biondo ferma la colonna e l'accontenta, senza farla scendere da cavallo.

Lei cerca di provocarlo fino all'ultimo: si fa sbrodolare l'acqua lungo il collo, fino al seno.

La camicetta è aperta in profondità, il petto è ansante, palpitante, alla disperata ricerca d'aria.

Le macchie di sangue si sono coagulate: la Frentzen sembra fatta di ferro.

«Ti capisco...», cerca di avviare un discorso pur nella sua precaria posizione, «non sono... più... un buon... partito...

Mi sono... invecchiata... ingrassata... ho la pancia... bucata... ti capisco... non valgo... molto... ormai... ma... non... non lasciarmi... sola... quando... sarà... il momento...».

«Promesso, Anna.

Rimetti dentro queste».

«Sono tue... se fai... il bravo...».

Il Biondo indugia, e prima di andarsene, le passa una carezza.

«Tuco è costretto a camminare con un buco nella pancia: sei fortunata, bambola».

Forse la strategia comincia a dare qualche risultato.

Anna mastica altre fogliuzze, ne ha ancora.

La Frentzen a questo punto ci prova.

A trascinarsi finché può.

E a entrare nel triangolo buono.

Tanto più che - se crepa - il suo oro se lo scordano...

Non l'avrebbe lasciato a nessuno.

Piuttosto l'avrebbe portato con sé, all'inferno...

Dal crinale spunta un gruppetto di indiani mescaleros.

Non sembrano avere intenzioni pacifiche.

«Caprone... muoviti... raggiungi quel mucchio di rocce».

È l'unico riparo disponibile.

«Ognuno di noi difenderà un punto.

E niente scherzi o ci perderemo tutti».

Lancia una pistola a Tuco e ne consegna un'altra a Anna, che rimane basita, dopo aver creduto di non rimanere coinvolta più di tanto nell'imminente scontro.

«Forza, bambola: ci occorre anche il tuo aiuto».

«Basta piombo... sto morendo...», prova a ribellarsi.

«Finché spari, sei viva. E finché uccidi, lo rimani».

«No... io... non voglio morire...».

«Avanti...», il Biondo le punta la pistola contro lo stomaco.

«Non... non lo faresti... mai...».

«Non scommetterci: sarebbe il tuo ultimo sbaglio», sembra deciso.

«Ne ho... fatti... tanti... non ho paura... Biondo...».

È un braccio di ferro.

«Aspetta...», cala la mandibola, fissando la canna: le viene la fottuta paura di perdere la scommessa. «Io... combatterò...

Li ammazzo... tutti...».

«Brava...».

Si stende la camicetta - le dà sicurezza - e si mastica della polvere fungina: nei taschini ha diversa robaccia per provare a tirare avanti.

Ma adesso è indispensabile evitare altro piombo: ucciderebbe una donna morta.

Mentre aspetta il verdetto della sorte, la Frentzen suda caldo - per la paura di perdere gli ultimi brandelli di pelle - e suda freddo - perché la morte la incalza: il buco allo stomaco sarà fatale anche a una cattiva come lei.

Tuco e il Biondo la sfruttano fino alla fine: sparerà ancora bene, per prolungarsi l'agonia.

Sa che è finita, ma anche lei non rinuncia a sfruttare sé stessa: solida e massiccia, temprata da ogni difficoltà, può andare avanti per ore.

BANG
BANG

BANG

I mescaleros partono all'attacco.

Lo scontro è duro.

Tuco abbandona la posizione per aiutare Anna.

Le ha sparato alla schiena, ma le cose cambiano in fretta nella prateria.

I mescaleros hanno avuto perdite e ottenuto ben poco: il boccone è troppo grosso, se ne vanno.

L'agonia è salva.

Lasciato il disperato riparo, la marcia riprende.

Viene avvistato il ranch del reverendo Mortimer.

Una sosta è d'obbligo.

La moglie di Mortimer si prodiga sia per Anna - finalmente un letto - sia per Tuco.

«Ehm... la signora...», attacca, imbarazzata, rivolta al Biondo.

«Sì, lo sappiamo, sta crepando».

«Posso mandare mio figlio a chiamare il dottor Smith...», suggerisce, apprensiva.

«Non si disturbi, signora».

Un segaossa metterebbe fine alle sue sofferenze.

Invece la messicana sembra avere nostalgia della vita. Diamole tempo...».

«Ma...! Il dottor Smith non è un segaossa!», protesta vibratamente.

«Va in giro con una borsa, o sbaglio?».

«Certamente...».

«E cosa ci tiene dentro?».

«Suppongo i suoi strumenti».

«Tra cui sega e bisturi».

«È un dottore!».

«Appunto! Glielo dicevo.

Vede, signora Mortimer... quando un uomo col bisturi incontra un uomo con la colt, l'uomo col bisturi è un uomo morto; ma quando l'uomo col bisturi incontra un uomo senza colt, l'uomo senza colt è un uomo morto».

«Io... io non capisco...».

«Tuco... la signora sta per chiamarti il dottore.

Ti estrarrà il proiettile».

«Sei pazzo, Biondo?

Fattela tu una visita.

Io ho più piombo che ossa in corpo...

A meno che il dottore non sia stanco di vivere... perché allora ho io una cura veloce».

«Che le dicevo, signora?».

Se ne va contrariata.

Stavolta il Biondo si presenta al capezzale di Anna senza bisogno di essere chiamato.

«Lo sai... a cosa... stavo... pensando...».

«A quanto tempo ti rimane».

«No... a quello... non voglio... pensarci...».

«A cosa, allora?».

«Il padrone di casa... è un reverendo...».

«Non spererai di andare in paradiso, bambola...».

«L'inferno... è il mio posto... lo so...

Ma... tu... non sei... migliore... di me...

Perché... non ci sposiamo...».

Stupito, porta il sigaro al labbro, rimanendo perplesso.

«L'oro... sarebbe... davvero tuo... e io... creperei... da signora... conviene... a tutti e due...

Avanti... non abbiamo... molto tempo...

Dovresti... ritenerti... fortunato...».

E si stira la camicetta per farglielo capire meglio.

Anche in fin di vita, Anna cerca di irretirlo.

«Ti sei mai sposata?».

«Mai...».

«Non darle retta, Biondo...

Si è sposata almeno due volte, l'ultimo l'ha finito lei», Tuco, spaventato dal dottore, è già in piedi e a zonzo per la casa.

«Allora, sei vedova...».

«Non... starlo... a sentire... è solo... invidioso...».

«Dal tuo fisico, però, sembra tu abbia avuto dei figli...».

«Sono... una matrona... che vuoi... ho potere... potenza...», ma ridotta così, non si direbbe.

«È vero che ci provavi gusto, quando li finivi?».

«Un po' sì... ma... erano... già andati...

Mi facevo... toccare... le zinne... mentre... li accoppavo... non... non se ne accorgevano... neppure...».

«Però adesso che tocca a te...».

«Non ho... niente... da toccare...».

«Reverendo Mortimer!».

«Tu, Biondo, vuoi davvero prendere come tua legittima sposa la qui presente Anna Frentzen?».

Un cenno di assenso con il cappello.

«Sforzati un po', figliolo...», lo stimola sottovoce il reverendo.

«Sì, lo voglio...».

«E tu, Anna Frentzen, vuoi davvero prendere come tuo legittimo sposo il qui presente Biondo?».

«Sì... lo voglio...».

«Volete voi dunque, Biondo e Anna, unirvi in matrimonio: nella gioia e nel dolore... nella salute...», colpo di tosse del reverendo a frenare un impeto subitaneo di riso, «e nel piombo... fino a che... fino a quando nemmeno la morte vi separi mai...?», occhiata interrogativa del Biondo.

««Sì»».

In forza dei poteri a me conferiti dalla città di Yuma, nonché di quelli attribuiti dal mio santo ministero, io vi dichiaro marito e moglie!».

BANG

BANG

«Ehi, gente... la notizia si è sparsa in fretta: già si festeggia...!», Tuco - a ghigno sghembo - guarda dalla finestra.

Dopo aver baciato la sposa, il Biondo fa capolino a sua volta.

«Avete visite, reverendo».

«Frank... maledetto...».

«Frank... il negoziatore della Ferrovia?».

«Oh, no... lui è solo un bandito, la Ferrovia fa finta di non saperne niente».

«I binari devono passare qui, reverendo?».

«Sia fatta la volontà di dio, ma paghino il terreno, però».

«Biondo...», Anna chiama, «non immischiarti... ho paura... stammi vicino...

Ricordati... la luna di miele... e il viaggio... di nozze...

Non abbiamo... molto tempo...».

«Temo, Anna, che neanche gli inquilini di questa casa ne abbiano molto.

Stringi i denti, ragazza».

«Ehi... Biondo... non mi fai... sparare... stavolta?».

«Stavolta sei mia moglie...».

Apre la mandibola, soddisfatta. Ne ha fregato un altro.

«Reverendo Mortimer...!», è la voce Frank, «prega per la tua anima!».

«Tuco... tu rimani qui.

La bambola potrebbe aggravarsi.

In quel caso chiamami».

«Dovevi accettare l'offerta, Mortimer!».

«E a quanto ammonta quest'offerta...?», il Biondo fa capolino col sigaro.

Un'occhiata interrogativa precede la risposta.

«2.000... 2.000 dollari per questo allevamento di vipere».

«Beh... in fondo non è poi così male, reverendo...».

«Ma ne vale almeno 10.000...!».

«La tua pelle, reverendo, quanto vale?».

«Mah... sono un semplice pastore di anime, non un ricercato... vivo o morto...».

Frank trattiene a stento una risatina.

«Diciamo... almeno 20.000?».

«Se può darsi un valore in dollari a un'anima...».

«Bene, reverendo, accetta un consiglio: prendi tua moglie e tuo figlio e va a incassare i 2.000 dollari.

E ne avrai guadagnati 10.000 in più di quello che chiedevi».

Il reverendo si rassegna e in meno di dieci minuti fa i bagagli e lascia il ranch con la famiglia.

«E tu?», gli occhi di Frank lo scrutano sospettosi.

«Io sono in viaggio di nozze, e ho pagato in anticipo...».

«Tornerò domani, ma se solo vedo la tua ombra, neanche tua moglie ti riconoscerà più».

«Temo succederà comunque...».

«Ehi, Biondo! Ci siamo! Tua moglie... sta andando!», Tuco lo richiama, senza risparmiargli una macabra ironia.

«Che ti avevo detto?».

 

Anna si è aggravata.

Ha steso la testa all'indietro, la bocca dischiusa, gli occhi annebbiati.

Le braccia abbandonate lungo i fianchi, con i palmi rivolti in alto.

Sembra stia perdendo il controllo.

È dunque il tempo: risuona nell'aria secca il requiem di Anna...

«Lasciami con lei, controlla che Frank se ne stia andando.

Ehi, baby...».

«B...i...o....n...d...o...», con un rantolo aspirato antetombale. «C'ho... provato...».

«Hai retto parecchio, Anna...».

«Crepo... da signora...».

«Ho salvato le nozze, il reverendo officiante rischiava di sparire prematuramente...».

«Biondo... baciami...».

Solo uno schiocco veloce per non toglierle gli ultimi respiri: un bacio prolungato la farebbe secca.

Trema di freddo, nonostante la calura opprimente.

È proprio alla fine, si è completamente dissanguata, un freddo gelido la invade.

«Bevi...», le porge al labbro la fiasca del whisky.

«Adesso... ci tieni... a me...».

«Sentivo parlare di te: Anna Frentzen, la pistolera infallibile, molto cattiva, la Desabotonada diventata il braccio destro di Tuco.

Ero curioso di conoscerti. Eri diventata una leggenda».

«Biondo... ero... sicura... di salvarmi...», la bocca spalancata e gli occhi che già vedono l'inferno.

Il pistolero le porta le mani sulla pancia, per farle ritrovare il contatto con la realtà.

«Mi... sono... gestita...».

«Hai usato il fisico, Anna, la pancia... ma dovevi usare la testa».

«Come... ti chiami...».

«Clint».

«C...l...i...n...t...», assaporando il nome insieme al sangue nella bocca, alla morte e la riflessa possanza femminile, che lei sa esplodere violenta su di lui. «Credi... sarebbe... durata... fra noi...».

«Perché no, di sicuro... Clint & Anna: funziona...».

Le tiene una mano sulla pancia, insieme alle sue, mentre con l'altra le asciuga il collo.

Gli occhi scartano tra il volto tirato e il seno fibrillante, come se avesse due facce.

Due facce della stessa Frentzen.

Si sta irrigidendo, per cercare disperatamente di superare la crisi e rinviare la fine.

Ha poco sangue in circolo, perciò tirando i freni al massimo cerca di non perdere del tutto il controllo.

Anche il seno adesso sembra imbalsamato.

È come se fosse già nella tomba.

C'è riuscita.

Sembra morta, ma la mandibola si muove.

«È andata, Biondo?».

Tuco non sente più sospiri strozzati dal letto.

«Zitto... ci sta provando...

Non la disturbare.

E Frank?».

«Andato».

«Facciamo una cosa, socio...

Visto che questa baracca finirà bruciata comunque, Frank ce ne sarà grato se cominciamo a smantellarla.

Accendi un falò. Grosso, però.

E poi vediamo se...».

«Se...».

«Se ritorna dal viaggio di nozze... grazie a uno stregone di casa all'inferno... che ha conosciuto il potere del bisonte...».

SCAMBIO DI NUMERI

di Salvatore Conte (2012-2024)

Dopo un mese difficile presso il diner dove ha cominciato a lavorare quale cameriera - sempre oggetto di pesanti apprezzamenti, sempre inseguita da lunghe mani - Anna sta cercando in internet un posto tranquillo per un week-end in solitudine.

È venerdì mattina quando giunge sul posto, dopo aver schivato per un soffio un paio di autovelox.

Si tratta di un piccolo cottage in un remoto villaggio turistico sul Lago Champlain. Proprio quello che cercava.

Il primo giorno lo passa in veranda, a guardare pigramente le scure acque del lago, attraversate di tanto in tanto da piccole imbarcazioni. Nella borsetta ha sempre la sua pistola.

Anna Frazer è un grosso pezzo di fica, pertanto non si fida ad andarsene in giro da sola.

La sera va a visitare il porticciolo del villaggio e nota che le tariffe per il noleggio sono letteralmente abbordabili: un centinaio di dollari al giorno per un 4 metri fuoribordo.

Quindi entra nel piccolo pub e cena a base di pesce. Tra un piatto e l'altro, la formosa cameriera mette a fuoco una bella donna, seduta al bancone, che sembra ricordarle qualcosa. Ma non capisce bene cosa e finisce col pensare ad altro.

La Frazer gira sempre sbottonata, le piace farsi notare e ci mette davvero poco. È una di quelle donne che gli uomini considerano puttane non professioniste. Ma Anna non può appartenere a nessuna categoria, perché è un pezzo di fica unico e non fa statistica.

Sabato mattina, la potente cameriera dalle zinne cadenti fa colazione al bar del villaggio e incontra di nuovo la tizia della sera prima. Anna è sbottonata anche di prima mattina. Se uno ha gli ormoni giovani, in pochi minuti è costretto a schizzare al bagno, prima che sia troppo tardi.

La guarda e sorride, Anna pensa sia lesbica.

Quindi fa un po' di spesa al piccolo market del villaggio, senza dimenticare una confezione di marshmallows, e prende in affitto una piccola imbarcazione.

Il giovane che noleggia le barche si offre galantemente di accompagnarla, ma lei preferisce andar sola.

Anna comincia così a girovagare per il lago, in splendida solitudine.

Dopo quasi un'ora avvista un isolotto che le sembra deserto e - per averne conferma - lo circumnaviga completamente.

Non sembra esserci nessuno, infatti.

Decide allora di prendere terra e spiaggiarsi al pallido sole.

Dopo un po' si stufa, anche perché non può vederla nessuno, e le viene voglia di esplorare la piccola isola.

Cammina spensierata lungo la sponda, ma quando torna indietro non è contenta di notare che un'altra imbarcazione abbia fatto approdo sull'isola.

Pur non vedendo nessuno, si rimette in acqua e decide di spostarsi sul lato opposto, a sufficiente distanza dallo sconosciuto intruso.

Tuttavia, dopo essersi appisolata sulla nuova spiaggetta, Anna si ridesta angosciata con la sensazione di essere osservata da vicino; in genere, non ci fa neppure caso, perché sa di piacere, ma in quel posto isolato sarebbe molto strano; la mano corre dentro la borsetta, ma la donna tira un sospiro di sollievo quando capisce che dev'essersi trattato di un semplice sogno.

Nei paraggi, infatti, non c'è nessuno.

Però, nel tirarsi su e nel guardare meglio... delle impronte sulla sabbia...! Fresche e proprio accanto a lei!

Anna decide di andarsene. Raccoglie le sue cose e sale sulla barca.

Ma quando avvia il motore, si accorge che non parte.

Riprova diverse volte, con le zinne che ballano dentro il camicione lento e sbottonato. Però non c'è niente da fare.

"Mi chiami, se incontra delle difficoltà", le aveva detto.

Anna tira fuori il cellulare e chiama il ragazzo del noleggio.

Ma non c'è linea!

La donna decide allora di controllare se l'altra barca si trovi ancora sulla parte opposta dell'isola.

Con la mano nella borsetta, attraversa il bosco e ritorna al primo approdo.

L'altra barca è ancora lì dove l'aveva vista. Senza anima viva nei paraggi.

Ricontrolla il cellulare, ma non c'è linea.

«C'è nessuno?

Qualcuno mi sente?», grida la donna.

«Non c'è bisogno di urlare così forte, signora.

Da queste parti tutto è calmo e tranquillo.

Scommetto che lei viene dalla città».

«È così, infatti».

Quando la persona si avvicina, la riconosce subito.

È la bella donna che ha già intravisto due volte.

Ha un borsello a tracolla e un cestino con dei funghi nella mano.

Giunta a breve distanza, fa notare le grosse tette da puttana, stirandosi leggermente la maglietta, con gesto quasi impercettibile.

«Mi dispiace disturbarla, ma avrei bisogno d'aiuto per far ripartire la mia barca: lei forse è più pratica di me».

«Ma certo... ci proverò volentieri... dove si trova?».

«Dall'altra parte dell'isola».

«Io mi chiamo Kleo, piacere».

«Io Anna, piacere».

«Preferisci arrivarci a piedi, o vogliamo salire sulla mia?».

I modi gentili della donna la tranquillizzano.

«Se non ti dispiace, accetto un passaggio in barca».

«Nessun problema».

Anna sale sulla barca della sconosciuta, il motore parte al primo strappo.

La donna la traghetta pigramente sul lato opposto dell'isola.

Lo sciabordio delle acque fa dondolare dolcemente la barca e le zinne di entrambe. Sentendosi un po' troppo osservata, Anna si abbottona il camicione.

«Il tuo soggiorno durerà a lungo, Anna?».

«Purtroppo no, riparto domani, ma il posto è molto bello e vorrei tornarci».

«Allora ti lascerò il mio numero, così potrai ricontattarmi, se vuoi.

Io abito in zona».

«Perché no? A volte gli uomini sono così fastidiosi...».

Anna si sente ormai tranquilla.

«Ora tieniti forte, Anna».

«Perché? Che succede?».

«Succede questo...».

La donna ha introdotto la mano nel borsello.

BANG

Il piccolo proiettile calibro 22 a punta cava irrompe devastante nella pancia di Anna, frammentandosi in numerose schegge, che le strapazzano le budella e raggiungono anche fegato e stomaco.
«ARGGHHH...!!».

La sfortunata cameriera urla disperata il suo dolore e si porta disperata le mani a coprire il buco che si è aperto nel suo addome, incredula di essere stata colpita a sangue freddo e senza motivo.

Neanche ci pensa a reagire e a mettere la mano - a sua volta - nella borsetta.

«Sono di parola. Ti ho lasciato il numero 22 in pancia.

È una sorta di maglio perforante: te la ricordi quella serie? Io ci andavo matta...

Temevo solo che perdessi l'equilibrio, ma la tua bella stazza ti ha tenuto a galla.

Toglimi una curiosità, Anna: quando avevi intenzione di consumare quei marshmallows?».

La Frazer sta analizzando in fretta i dati a sua disposizione, visto che le rimane poco tempo, se pensa all'emorragia nelle budella che si ritrova.

È sicura di sé e del suo metodo, l'ha seguita sin dall'inizio e ci tiene a farle capire quanto è stata brava.

È lesbica, va a caccia di belle donne, e le bacia a morte con la sua calibro 22.

Tutto questo balena nella sua testa in meno di un secondo, mentre si sbottona il camicione.

Piegata in avanti com'è, le zinne le cascano quasi fuori.

«Erano... per il pranzo...», cerca di darle corda.

«Avrei pranzato volentieri con te, Anna, ma temo che per te adesso non sarebbe semplice mandar giù quei marshmallows...».

«Se ti piaccio... cough... perché mi hai sparato...?», cerca di distrarla e di farla parlare, e di metterla di fronte ai suoi errori.

«I cacciatori sparano a degli uccellini molto belli, e i pescatori si portano a tavola dei meravigliosi pesci...», ha la risposta pronta, una vera psicopatica.

«Ma di pesci... cough... ce ne sono tanti... una come me... invece... cough... cough... non la trovi più...», Anna cola sangue dal labbro e tossisce come una vecchia fumatrice, senza aver mai fumato. «Kleo... se mi aiuti... cough... avrai la tavola pronta... per sempre...».

«La senti questa tosse, Anna? Stai morendo.

Se anche decidessi di sbarcarti qualche parte, ci arriveresti cadavere.

Mi dispiace, cara...

Però è vero quello che dici.

Non ho mai visto una sorca come te».

Per tutta conferma, Kleo si tocca in mezzo alle gambe.

È inebriata dal camicione sbottonato di Anna e dalle sue zinne penzolanti.

Kleo ha spento il motore, mandando alla deriva la piccola imbarcazione per godersi la fine di Anna e tastarsi in pace.

Quando mancherà poco, sarà colta dal panico e la supplicherà di aiutarla, come sta già iniziando a fare.

Il lago è grande e c'è poca gente in giro, nessuno può intervenire.

A Kleo però viene in mente che qualcuno potrebbe chiamarla sul cellulare, se la deriva porta la barca in una zona coperta dal segnale.

«Butta in acqua il telefono...».

«Ti prego... cough... non fare pazzie... cough... voglio salvarmi...».

«È troppo tardi, Anna... ma è stato un grosso spreco, questo sì.

Adesso butta in acqua il cellulare, o ti faccio un altro buco».

«Va bene...  stai calma... cough... non voglio morire...».

L'assist è perfetto.

POW

POW

POW

SPLASH

«Anch'io... ti lascio il mio numero... cough... 38...38...38...».

Aveva visto i marshmallows, ma non quella.

La Frazer si sposta a poppa, Kleo è stramazzata fuoribordo.

«Anna...», è ancora viva, la sta chiamando.

L'ira si è gia consumata.

Kleo sta affondando nelle acque scure, con tre pallottole calibro 38 in corpo. Ed è dannatamente bella...

Anna la guarda impietosita.

E le lascia un salvagente a ciambella, sebbene non abbia la forza di lanciarlo.

Ma ora deve fare presto, prestissimo.

Raccogliendo le ultime forze, riesce ad avviare il motore.

Non sa dove andare e i pochi pensieri sono ormai annebbiati.

«Non mollare... cara...», sussurra fra sé, vedendo Kleo agganciata alla ciambella con le grosse zinne.

Ha il suo numero, e lei il suo. Si rivedranno.

Anna si dirige verso la riva che le sembra più vicina, cercando di accelerare al massimo.

La Frazer vuole raggiungere il traguardo della salvezza, prima che sia troppo tardi.

Dalla sponda del lago si vedono arrivare una barca fuori controllo, che non accenna a rallentare, con una figura accasciata addosso al timone.

Anna finisce la sua folle corsa a ridosso della statale 22, quasi invadendo la strada che si snoda a bordo-lago.

Chi è nei paraggi, arriva subito.

È una bella donna con un camicione fuori dai pantaloni, sbottonato da puttana, e un grosso buco nella pancia.

Lo sguardo è ghiacciato, la bocca spalancata, la morte era in agguato sulla riva.

«Ma che cosa le è successo?», chiede incredulo un passante, rivolto agli altri.

«È stata colpita da un proiettile a punta cava, poverina... nelle budella, fa l'effetto di un frullatore da cucina...».

«È terribile... non si può fare niente?».

Il più coraggioso prova a farle un massaggio cardiaco, in attesa dell'ambulanza.

«Zitti! Sta balbettando qualcosa...».

{C'è... una bella... donna... da salvare...}, a sibili gutturali.

«Certo, signora... lei riceverà tutte le cure possibili».

{Non io... un'altra...

Sta in mezzo... al lago... con le zinne... dentro la ciambella...}.

Quell'immagine aveva suggestionato Anna.

{Io ho... il suo numero... lei... il mio...}.

«Ma che cosa dice?».

«Penso stia parlando del suo fidanzato, o fidanzata che sia...

Una persona che vorrebbe contattare in un momento tanto difficile».

Cercano nella borsetta e tirano fuori il cellulare.

Richiamano l'ultimo numero in entrata.

«Signora, ha dei problemi?», risponde il ragazzo dei noleggi.

«Ne ha parecchi, purtroppo, lei chi è?».

«Io affitto barche, ho dato il mio numero alla signora in caso avesse avuto degli inconvenienti».

«Beh, non credo ritroverà in buone condizioni né l'una né l'altra...».

«Ma che significa? Chi è lei? È successo qualcosa? Come sta la signora?».

L'ambulanza porta via Anna.

Sta affondando nel lago, ha la sete tipica dei moribondi, nei suoi pensieri annebbiati la salvezza ha la forma di una bottiglia, che lei cerca di raggiungere a tutti i costi.

Accorrono all'ospedale il giovanotto del noleggio-barche e i suoi soccorritori, tutti incantati da quel camicione sbottonato e dalle zinne della signora. C'è anche curiosità per la storia dei numeri e della ciambella.

La polizia è risalita alla proprietaria della barca spiaggiata, una vecchia puttana con diversi precedenti penali, e la sta attivamente ricercando.

Poco dopo se la vedono scodellare in ospedale, con tre pallottole in corpo. Una barca l'aveva avvistata, era aggrappata con la forza della disperazione a una ciambella di salvataggio.

Il più sveglio della Centrale prova a dare una spiegazione: «Lui deve averla abbordata (scusate il gioco di parole), chiedendole il numero di telefono, lei per pura civetteria gliel'ha dato, ricevendo in cambio il suo. Poi si è intromessa di mezzo la gelosia e sono partiti i colpi. Lui deve essersi spaventato, ma almeno le ha lanciato un salvagente, prima di scappare».

«La tua teoria fa acqua da tutte le parti: la Maddox è una puttana, e quell'altra pure... più facile pensare a un regolamento di conti...».

«Sei un bravo ragazzo... come ti chiami...».

Il respiro di Anna è debole.

«Fred..».

«Sei in pena per me... Fred...?».

«Molto...».

«Non devi esserlo... ho fatto la mia vita... tu ancora no...

Ti piaccio... vero...

Prendi il mio camicione... sta nel cassetto...

Stendilo sulla sedia...

Ti piacerebbe... metterti con me...».

«Molto, ma voi siete troppo bella per uno come me».

«Da questo momento... sono la tua fidanzata... Fred...».

«Ne sono molto onorato, per me è un sogno».

La donna piega la testa di lato e socchiude gli occhi.

«Chiama l'infermiera... non sento più le gambe...».

Anna si è aggravata, intorno a lei c'è un silenzio opprimente.

È parzialmente cosciente, ma poco lucida.

«Kelly... come sta Kelly...».

Nonostante tutto, si preoccupa per la donna che le ha sparato.

La Maddox è in terapia intensiva come lei.

Nessuna delle due ha intenzione di sporgere querela, non si sa chi abbia sparato per prima, e alla polizia non interessa più di tanto scoprirlo.

Le due donne sono unite da un tragico destino, una più disperata dell'altra.

Anna vorrebbe rassicurare il suo ragazzo e i tanti in ansia per lei, ma non ci riesce, si sente soffocare e il panico le impedisce di ragionare.

Alterna brevi momenti di lucidità a lunghi momenti in cui sembra morta, gli occhi si fanno vitrei, Anna sembra alla deriva.

Forse sogna una ciambella di salvataggio, da dividere con Kelly...

«Cara... cara...», un sussurro in fin di vita.

«Cara... cara...», un sussurro in fin di vita.

Tra una boccata d'ossigeno e l'altra.

ANNA ACCUSA JACK

di Salvatore Conte (2024)

«Dammi una moneta per mangiare, bell'uomo...».

Fa così tutte le sere, alla Bettola dell'Impiccato.

Per alcuni - rugosa, malandata, imbolsita e con almeno 70/75 anni sul groppone - è soltanto una vecchia megera; per altri, invece, è ancora in grado di irretire, è sempre una tentazione, con i suoi camicioni sbottonati all'ultima moda.

Nei bassifondi si dice abbia origini francesi e che si chiamasse Annette Frazeur; grazie a un giovane benestante che durante un viaggio in Francia si è invaghito di lei, la vecchia sorcona delle fogne di Parigi è riuscita ad ambientarsi con successo sulle banchine del Tamigi.

Di solito, dopo averlo agganciato, la megera spinge l'avventore ad abbassare gli occhi, spostandoli dal volto navigato al camicione sbottonato e alle tette, che si lasciano ancora guardare.

Anche stasera, come sempre, sceglie il cliente meno trasandato e lo struscia all'angolo del banco con la sua carne morbida, perché - tuttaltro che avvizzita - è rimasta grassottella pure alla sua età.

È vero, il seno è cadente, però lo mette in mostra lo stesso, fra i lembi della camicetta sbottonata aggressivamente fino allo stomaco. Non si sente finita, anche se alcuno vogliono farlo credere, magari per spuntare un prezzo più basso.

I capelli sono completamente grigi, perché non ha denaro per tingerli, o forse perché le vanno bene così; ma i resti sono quelli di una bella donna.

È la vecchia Anna Frazer, ancora irrequieta a 76 anni.

Nonostante l'età importante, vale tuttora parecchio; riceve diverse proposte di matrimonio ed è quotata cifre da capogiro presso i collezionisti (fino a 60.000 sterline); lei, però, preferisce rimanere sciolta, almeno al momento; forse da grande deciderà qualcosa in merito; si appoggia al giovane collezionista che l'ha scoperta nei sobborghi di Parigi, ma rimane autonoma anche da lui.

È la vecchia Anna Frazer, megera per alcuni, fata per altri.

La buona critica dice che porti gli avanzi della cena ai barboni del Tamigi, rischiando pure qualche coltellata.

Adesso poi ci si è messo un certo Jack a rendere ancora più pericolose le notti londinesi.

«Tu?!».

L'uomo si è voltato.

SZOCK!

Con mossa secca e fulminea le immerge un pugnale nello stomaco, fissandola dolcemente negli occhi, in aperto contrasto con il gesto crudele.

E con un secondo scatto, lo affonda fino al manico!

Ma almeno non lo porta in giro, non la apre, non la sventra da una parte all'altra; quasi usasse un occhio di riguardo per la vecchia signora.

E poi la daga ha il manico in argento... è di valore, lussuosa... gliela lascia dentro come fosse un regalo.

Se solo potesse rivenderla, ci mangerebbe a pancia piena per un anno!

E invece è il coltello che s'è mangiato lei...

Infatti è un'arma che è servita a scannare, a togliere la vita a una vecchia dama, che alcuni vedono come una lamia, una vampira, altri come una grossa fata sbottonata, la Sbottonata del Tamigi.

Diversi barboni sono stati ritrovati dissanguati, con ferite alla gola, e lei li conosceva quasi tutti.

La polizia l'ha messa sotto torchio più volte; ma non è mai crollata; non ha mai confessato; e con i suoi sistemi... l'ha sempre fatta franca.

Almeno fino a stasera.

La megera spalanca la bocca, attonita, senza un grido.

L'uomo la guarda ancora per un attimo.

E solo a stento si dilegua.

Forse qualcuno ha visto, ma nella bettola tutti si fanno gli affari propri.

La Frazer, con le mani strette intorno al pugnale, si va a mettere seduta.

Solo quando la testa si abbandona sul tavolo e gli occhi fissano passivi il soffitto, gli avventori cominciano a circondarla.

La famosa megera che frequenta la Bettola dell'Impiccato è stata accoltellata a morte! La notizia è enorme! Stavolta è il suo sangue a essere bevuto! La fata è rimasta uccisa! È una tragedia!

E non è successo in una stradina buia, come si temeva, ma all'interno di un locale pubblico, con tante persone presenti!

La Frazer era un personaggio...

La notizia corre frenetica tra i bassifondi della città!

Subito dilagano panico, incredulità e la morbosa frenesia di vedere e toccare il cadavere ancora caldo. I più volenterosi organizzano collette di denaro per assoldare un buon medico, nel caso fosse possibile fare qualcosa, o tentare una disperata rianimazione.

Le rialzano la testa, controllano se sia ancora viva e la tengono in equilibrio sulla sedia.

Tuttavia il capo si affloscia pesante sul petto.

Non solo tutti gli altri, ma anche lei si guarda le tette.

Le braccia molli lungo i fianchi hanno lasciato il pugnale.

Un avventore è vinto dalla frenesia di tirarle fuori il coltello: con un movimento frettoloso, glielo sviscera in malo modo, portandosi appresso brani di carne; adesso le budella sono su punto di schizzarle fuori dalla pancia, visibili in tutto il loro orrore.

«Ma che fai! Guarda che hai combinato!».

«È morta, tanto. È morta!», si giustifica il responsabile.

«No! Anna respira ancora...».

«Portiamola da qualcuno...».

«Qualcuno, chi?».

«Non so... un medico che non vada tanto per il sottile... il dottor Mortensen, ad esempio... lui sa rianimare pure i morti, ma non come il dottor Frankenstein, che li fa a pezzi... Anna a pezzi non servirebbe a nulla...».

«Andiamolo a chiamare, prima che sia troppo tardi! La megera respira appena! Sembra morta!».

«E tu metti il pugnale sul tavolo: ce lo giochiamo ai dadi».

Si danno anche le quote. I pezzenti si giocano gli ultimi spiccioli.

La megera non parte battuta nelle scommesse: è leggermente sopra la parità, anche se bisogna considerare il margine di guadagno dell'oste.

Sta sudando i proverbiali sette camicioni per tenersi a galla sulle acque melmose del Tamigi.

Intanto, con uno straccio ripulito alla meglio, cercano di tenerle dentro le budella, e la confortano; soprattutto chi ha scommesso a suo favore.

Ma anche gli altri, sportivamente, la incoraggiano.

Sono tutti intorno a lei, ansiosi e curiosi.

Respira a fatica, sta morendo soffocata, come un'impiccata.

I miserabili si consultano.

Non vengono chiamati né i gendarmi, né la carrozza medica, e tanto meno un prete.

Per i primi non c'è alcuna simpatia fra gli avventori della bettola, la seconda è ritenuta inutile, se non dannosa, il terzo fuori luogo.

«Zitti!

Sta cercando di parlare...».

«Io... so... gnhh... chi è stato...».

«Lo conoscevi? L'hai riconosciuto?», la morbosità è all'apice.

Annuisce.

«Jack...».

«Jack?! Lui!?».

Annuisce ancora.

Sorpresa, curiosità, paura.

Gli avventori si guardano increduli.

Jack ha colpito allo scoperto?

Però appare subito chiaro che nessuno dei presenti saprebbe descriverlo e riconoscerlo.

«Si è fatto audace quel macellaio...».

«Sentito? Jack è entrato nella Bettola dell'Impiccato!», gioisce il taverniere.

«Ma sarà vero?».

«È solo una puttana... vuole farsi pubblicità...».

«Sta morendo. A che le servirebbe la pubblicità?».

«Anna... a chi lasci il pugnale?», chiede uno a nome di molti.

«È successo nella mia bettola, pertanto appartiene a me», rivendica l'oste.

«Io l'ho vinto ai dadi!», protesta un altro.

La megera, benché stremata, si sforza di parlare.

«Il pugnale... gnhh... è... dei barboni...».

Un sommesso brusio di delusione.

«Anna... come fai a dire che è stato Jack? Come fai a conoscerlo?», si ritorna all'argomento principale.

La vecchia puttana, però, fissa con occhi vuoti il soffitto della bettola, con il collo piegato sulla spalla.

«È morta?! È morta!», Anna scatena il panico, l'isterismo. È la fine di una donna considerata eterna.

È sfiancata, ma muove ancora la bocca, nervosamente, quasi mordendosi la lingua.

«Potrebbe esserci incappata per caso, dopo uno dei suoi omicidi.

Potrebbe averlo notato e poi associato al delitto.

Questo spiegherebbe il perché dell'esecuzione.

Anche lui l'ha riconosciuta».

«Non però le circostanze: non sarebbe stato più sicuro ucciderla al buio, sotto un ponte o in un vicolo?

Anna gira spesso da sola in piena notte.

Sarebbe uscita dalla bettola nel giro di un'ora o poco più, il tempo di irretire qualcuno e farsi offrire da mangiare.

Inoltre, perché non l'ha sventrata e sbudellata? Jack ha fatto sempre così finora. Ha aperto le sue vittime da un fianco all'altro e ha tirato fuori gli intestini».

«Questa è una bettola, non una macelleria, non aveva tutto questo tempo...

Questo famoso Jack non è un assassino come gli altri.

Va a caccia col buio, individua le prede a caso.

Questa sera, invece, ha tolto di mezzo una testimone, agendo con calcolo, senza il gusto della caccia.

E comunque quell'idiota di Jim ha fatto quasi più danni di Jack lo Sventratore!».

«Ehi, brava gente, che succede qui?».

Anche se indesiderato, un gendarme di pattuglia ha notato qualcosa di strano e si è introdotto nella bettola.

«Allora?!».

Il poliziotto si avvicina al capannello di miserabili che sovrasta la povera Anna.

«Largo...».

La megera, con le budella che fanno capolino dalla ferita, lo fissa con occhi sbarrati.

«Oh... Cristo!».

FIII...!

FIII...!

Il gendarme, tornato sull'uscio, chiama rinforzi con il fischietto d'ordinanza.

Nel frattempo diversi barboni stanno affluendo dal Tamigi.

Viene chiamata una carrozza medica e portata via la megera.

«Largo... fate largo...», la vecchia Anna Frazer ha scatenato la ressa.

Lei è tesa, disperata, non s'aspettava la fine. Aveva sempre voglia di vivere, non era spaventata dalla sua età, e la salute era ancora buona.

Un ispettore è salito a bordo. La Frazer ha delle contrazioni, degli spasmi agonici; e lui prova a interrogarla, prima che sia troppo tardi.

«So che è un momento difficile per voi, signora... ma è davvero... vero... che insomma... è stato lui... cioè Jack... Jack lo Squartatore?!

Stringete la mia mano, se è vero!».

«Posso ancora... parlare... gnhh... non voglio... morire...».

«Certo, signora... voi siete una donna importante... conosciuta... anziana, ma in ordine, ben tenuta...

Purtroppo, però, ci sono poche possibilità, vi devo avvertire: fareste meglio a dire subito quello che sapete...».

La carrozza medica si ferma.

Il vetturino entra nell'abitacolo.

L'ispettore alza gli occhi, perplesso.

«È vero...».

SZOCK!

Gli lascia il tempo di conoscere la verità.

Poi - con uno scatto fulmineo - gli attraversa la gola con una lama.

«Presto mi occuperò di te.

Ora fatti forza, cara.

Una vampira come te non crepa facile».

E la carrozza si perde nella nebbia.

Al dottor Mortensen era stato detto di non lasciare il suo studio.
«Tingerai i capelli, ti cospargerai d’olio, vestirai sbottonata, e sarai al mio servizio. Rimborserò il collezionista che ti ha scoperto.

Porti i segni di una vecchia classe».
Jack l'ha scelta. E l'ha segnata. Le ha dato una possibilità. Ha puntato forte su di lei.

È stata incoronata Regina del Tamigi.

Non solo non è finita come donna, ma con un colpo di coda ha squartato lo stesso Jack.

Con la bocca spalancata, agonizzante, mormora qualcosa...

«Va bene...».

«Non deludermi, Anna.

Se vai all'inferno, non avrai scampo.

Li ritroverai tutti.

Ti stanno aspettando».

Il cadavere di Anna Frazer, nonostante le frenetiche ricerche, non si trova da nessuna parte.

È stato invece rinvenuto, restituito dal Tamigi, quello di un ispettore di polizia.

SBORRA DI PIOMBO

di Davide Giannicolo e Salvatore Conte

(2019-2023)

(in blu: testo di Giannicolo)

(in azzurro: testo di Conte)

Dan entrò nel pornoshop con disinvoltura, i suoi abiti dal taglio raffinato, il baffo folto ma ben tenuto e la pelle scura simile a quella di un messicano, lo rendevano un personaggio alquanto losco.
Si avvicinò alla commessa, annoiatamente seduta su uno sgabello, al centro del negozio: una cinquantenne del cazzo, dal camicione molto scollato.
«Sono venuto a prendere la roba di Lucifer».
«Impossibile, Lucifer ha già mandato uno dei suoi, oggi».
Lucifer, il capo di Dan, comprava peli pubici e capezzoli recisi, nessuno sapeva bene perché, né per quale motivo li acquistasse proprio da quella donna, quello per Dan era uno dei primi lavori che svolgeva da impiegato, prima se l’era sempre cavata da solo, spacciando, vendendo armi qua e là, gestendo qualche aggancio o proteggendo puttane da due soldi.
«Stai dicendo cazzate, donna, vedi di non farmi incazzare!».
Dan si distorse i baffi, rivelando una mimica potenzialmente minacciosa, poi estrasse il suo revolver pronto a sparare e a spappolare lo stomaco della lurida cinquantenne dal camicione sbottonato fino - appunto - allo stomaco.

«Vieni nel retro, forse riesco a rimediarti qualcosa».
«Io non vengo proprio da nessuna parte, sbrigati prima che entri qualcuno e mi veda con questo cannone in mano!».
«Non sembri uno di Lucifer, per niente».
«Vaffanculo, troia!».
«Senti, se farai una cosa per me, ti darò un bel po’ di soldi: che ne dici?».
«Io devo finire il mio lavoro e b
asta, sbottonata del cazzo!».
«Se vieni nel retro, e mi scopi per bene, ti darò duecento
verdoni...».

         

         

Dan si lisciò i baffi con la mano libera, tenendo ben puntata l’arma verso la donna con l’altra mano.
«Non ti piacciono queste?», disse la donna, abbassando gli occhi
sull'aggressiva scollatura, subito seguita dall'uomo.

Effettivamente la vecchia era messa bene; giunonica e con la faccia da troia, Dan non avrebbe disdegnato una cavalcata su quelle morbide carni sbottonate.
«Già ti viene duro, baffo... allora?».
«D’accordo, troia, ma se provi a fottermi...».
La donna si alzò, era abbastanza alta, si avviò verso una porticina ondeggiando un culo da cessa, Dan si lisciò nuovamente i baffi, rinfoderò la pistola e la seguì, strofinandosi l’uccello.
Quando i due furono soli, la donna allentò ancora di più il camicione, rivelando completamente le zinne cedenti, spremute, ma sempre da gran troia.
I seni palpitavano a penzoloni sul ventre da cessa, Dan ne afferrò uno in una mano, ma non riusciva a tenerlo, esso scivolava via dalle dita come fosse una massa senziente: poi lo scagnozzo baciò l'insaziabile donna, infoiandosi dannatamente.

Era troppo grossa e potente perché potesse prenderla tra le braccia, le mani di Dan apparivano piccole, simili a quelle di un bambino, a contatto con quel corpo.
Poi la donna si allontanò, sedendosi a gambe larghe su un divanetto, la sua vagina era grossa, sfondata,
sembrava la bocca deforme di un essere mostruoso.
«Ora devi fare una cosa per me, una cosa che mi piace da impazzire, lì dietro c’è un fucile, prendilo, e scopami con quello!».
Dan fu inizialmente perplesso, poi cercò il fucile, un lungo, minaccioso fucile da caccia a doppia canna.
«Vuoi davvero che ti infili dentro questo coso?».
«Cazzo, sì, sei o non sei un uomo di Lucifer?

A me piacciono cattivi, bastardi, adoro gli uomini che mi inculano bestemmiando, che mi sputano addosso, che vorrebbero ammazzarmi!».
«Sei proprio una grossa troia...».
Dan avvicinò con titubanza la punta delle canne alle labbra della vagina, aveva paura di usare quell'attrezzo strano: le avrebbe fatto male?
«Muoviti, figlio di puttana... di che cazzo hai paura?».
Quella donna voleva umiliarlo? Era cascata male, lui era l’archetipo del maschilismo, e certo non si sarebbe fatto sottomettere da una vecchia cessa, sessualmente malata.

Infilò la doppia canna del fucile fino in fondo, e improvvisamente la donna gemette, reclinando all’indietro la testa.
«Così, bravo, così è perfetto!».
«Ma è carico questo affare?».
«Certo che è carico, spingi così, avanti e poi indietro, bravo, è proprio questo il bello, il brivido, l’emozione, potrebbe partire una cartuccia da un momento all’altro, è come se il fucile venisse, inondandomi le viscere con la sua sborra di piombo, devastandomi l’intestino, squarciandomi l’utero, arrivandomi fino in go
la,
come dovrebbe fare un vero uomo!».

«Ma lo sai che se parte una cartuccia, ci rimani fottuta?

Una bella vecchia come te, che è riuscita a campare - in un ambiente difficile - fino a 50 anni, rimarrebbe uccisa sul colpo... con un buco nella schiena più grosso di quello davanti...».

«Cos'è? Ti stai innamorando, cocco?

Se parte, parte; prima o poi succederà, rimarrò uccisa sul colpo o morirò in ambulanza; tanto nessuno piangerà per me...», cambiando registro, andando sul drammatico, da grossa puttana.

«Dico solo che sarebbe uno spreco: una come te è ancora ad alti livelli...».

«Credi che non lo sappia? Lotterei come una pazza per arrivare in ospedale...».

«Come ti chiami?».

«Anna».

«Mi sto innamorando di te, Anna».

«Allora continua...».
Dan continuava, ma improvvisamente gli sorse un dubbio: e se quella fosse tutta una trappola?
Se improvvisamente qualcuno gli avesse sparato alle spalle? Anzi, se i capezzoli e i peli pubici la donna se li procurasse proprio in quel modo? Adescando i novizi rincoglioniti che Lucifer le mandava?
Era ovvio, ormai non pensava ad altro, i capezzoli e i peli questa volta dovevano essere i suoi, e quella montatura era tutta una cazzata, di sicuro il fucile era scarico, a meno che quella grossa troia non fosse veramente e completamente fuori di testa.
Dan premette il grilletto, quasi per gioco, mentre la donna era al culmine del suo godimento e l’odore della mucosa vaginale si fondeva al pregnante lezzo dell’olio usato per ungere l’arma.
Partì un colpo devastante, che catapultò la bella cinquantenne sopra lo schienale del divano, nonostante la stazza massiccia da grossa vacca.
Dan non si chiese cosa fossero le frattaglie schizzate sul suo volto, ne si fermò ad osservare la vagina devastata che vomitava abbondanti fiotti di denso sangue misto a poltiglia organica; la donna era sempre seduta, ma stavolta sull'orlo dello schienale, il camicione sbottonato fino all'ombelico, gli occhi sbarrati che sembravano fissare l'uomo.
Semplicemente si girò e scappò via, senza sapere dove, tanto era uguale, Lucifer l’avrebbe trovato, tutta la città era sua, e non solo.
Arrivò di corsa sulla porta del negozio, ma improvvisamente gli venne da sorridere.
«Visto, vecchia troia
? Sei stata finalmente inondata dalla tua sborra di piombo!».

La maniglia, però, non riuscì a girarla.

Un impulso irrefrenabile lo costrinse a tornare indietro. Era pazzo di lei, ora se ne rendeva conto.

«Ecco, adesso ti è arrivato in gola! Era quello che volevi, no?».

Glielo gridò in faccia, proprio mentre collassava, faccia avanti, a peso morto.

Era finita alla pecorina, con un grosso buco nella schiena.

Dan rimase basito: quella troia spappolata lo fissava con occhi languidi, carichi di latente lussuria, come se l'essere morta la lasciasse indifferente.

«Anna... Anna!».

«D...a...n...», sembrò sussurrare la donna.

Ma se non sapeva neppure il suo nome!

L'uomo era eccitato dall'idea di poter cogliere gli ultimi spasmi della grossa puttana, aggrappata quasi per gioco a un bizzarro sussulto di vita.

La rimise seduta sul divano, sul suo trono, come una regina morente.

Le infilò un asciugamano di spugna nella vagina devastata.

«Anna... mi dispiace... pensavo volessi fregarmi.

Ma adesso ti faccio portare in ospedale... e poi ci sposeremo...».

«Aspettavo... da tempo... questo momento...».

«Dannati capezzoli... come fai a procurarteli?».

«Sono finti... idiota... una copertura... per la roba...».

«Cristo!», e le asciugò il sangue che sbavava dalla bocca. «Anna... l'ambulanza sarà qui a momenti: te la caverai, una come te se la cava di sicuro».

«Allora fai presto... toccami le zinne... e sborrami addosso... sarà... il nostro matrimonio...», eccitata di sentirsi ancora viva, e con un paio di pezzi ancora sani, Anna voleva godere fino all'ultimo, anche se la sua vagina non esisteva più: era letteralmente esplosa e oramai un tutt'uno con l'imbottitura del divano.

«Sì, ti voglio sposare... vengo per sposarti, bella stronza... Anna e Dan... mi chiamo Dan...», ma le zinne di Anna erano ormai rigide e non ciondolavano più, come le lancette di una pendola rotta non segnano più il tempo.

«Dan...na...zione... sbrigati... ho freddo... tanto freddo...», il devastante colpo la condannava, benché la donna facesse appello a tutta la sua possanza per tirare avanti.

«Cristo... stai crepando, Anna!», cercò di riabbottonarle addosso il camicione sbrindellato, mentre finiva il lavoro. «Aspetta... vengo! Bevi! Bevi!».

Anna mosse appena la lingua, per prendersi un po' di sborra.

«D...a...n...», un gemito soffocato.

«Anna... hai commesso una follia! Sei morta! Nessuno ti può salvare!».

Malgrado tutto, però, era stato lui a sparare.

Il gioco, comunque, volgeva al termine: uno spasmo, e la donna scivolò su un fianco, finendo con la testa oltre il bracciolo del divano, come sotto un'immaginaria ghigliottina, gli occhi fissi a terra, la bocca spalancata, l'espressione incredula.

La botta era stata troppo forte anche per una grossa vacca come lei.

A questo punto doveva andare via. Non c'era più niente da fare.

Di sborra, il fucile ne aveva fatta troppa!

Sotto shock, si ritrovò in mezzo alla strada, ormai rassegnato sulla propria sorte, quando un'ambulanza per poco non lo investì.

«Dove diavolo vanno con questa fretta? Per salvare un uomo mezzo morto, ne ammazzano uno vivo...

Vivo...», ripeté perplesso.

«Quasi morto...», concluse disperato, e ripensò alla vecchia troia spappolata...

Una fica infernale!

«Per correre dietro a un morto, ne ammazzano uno quasi morto...!».

E fu visto correre dietro l'ambulanza, ferma dopo l'angolo.

QUEL GIORNO IN CUI SHUB-NIGGURATH

SI INCULÒ LA MADISON

di Davide Giannicolo e Salvatore Conte

(2019-2021)

(in blu: testo di Giannicolo)

(in azzurro: testo di Conte)

Kelly se ne stava nel suo attico in centro, era stanca di dispensare sorrisi e farsi toccare il culo, però mai di strusciarsi addosso i suoi camicioni; tuttavia era questo il prezzo del suo successo, Jeff gliel’aveva detto, lei credeva che dopo aver succhiato il corto pene rugoso del vecchio satiro tutto si sarebbe risolto, ma non era così.
Nella sua camera da letto, una ragazza mandatale da Ryan (il marito ruffiano
), poco più che diciottenne, l’aspettava in mutandine e reggiseno, era ora di rilassarsi, le avrebbe leccato la fica per due ore, così avrebbe dimenticato ogni cosa, poi se la sarebbe fatta leccare e si sarebbe addormentata mentre la ragazzina ancora lappava.
Jeff era stato chiaro, avrebbe avuto i milioni, la gente l’avrebbe amata, avrebbe potuto mantenere le proprie tendenze lesbiche e andare anche oltre, anzi, era meglio se fosse andata oltre, poiché Shub-Niggurath adora gli individui empi e corrotti, e pretende innumerevoli sacrifici.

               

Inizialmente si trattava di bazzecole, cerchi di candele, rituali, orge, si era fatta inculare e aveva inculato (con falli di gomma e di ferro) innumerevoli politici.

Il gioco, però, era destinato a diventare sempre più pesante.

E intanto era invecchiata, forse più del dovuto: se non fosse stato per le sue famose tettone e i fulgidi capelli biondi, Kelly Madison sarebbe stata considerata una vecchia megera; aveva raggiunto i 60 e non molto bene: droga, alcol e stravizi vari le avevano presentato il conto.
Benché logora e annoiata, rimaneva però la più desiderata, e ogni notte doveva celebrare Shub-Niggurath, anche da sola, non doveva dimenticarlo mai, nuda doveva porsi sotto le stelle, sul terrazzo del suo attico, circondata di candele, e una empia creatura sarebbe discesa a prendere sessualmente il suo corpo, carezzandola con squamose grinfie e penetrandola con cuspidi rostrate, sotto il battito d’ali strisciante di insetti stellari: il corpo di Kelly, praticamente come quello dell’intera umanità, apparteneva a Shub-Niggurath.
Ma la situazione era divenuta ingestibile da quando la creatura che si agitava in bagno, una delle tante progenie che la divinità le aveva costretto ad adottare, stava raggiungendo proporzioni immani e presto non si sarebbe accontentata del bagno, avrebbe occupato interamente il suo appartamento, corrodendo i costosi mobili e il parquet con la propria bava viscosa.
Forse era meglio dargli da mangiare prima di dedicarsi al relax.
Kelly prese la testa di maiale che da due giorni teneva nel freezer del suo enorme frigo all’ultimo grido, costatole ventimila dollari: ce lo si può
permettere quando si detiene il monopolio del pornotrash, quando si lanciano verso milioni di download puttanelle da due soldi e si spacciano i primi piani delle emorroidi come porno d'essai.
La consumata biondona vinse il disgusto e portò la testa di porco in bagno, era disgustata dal suono dei te
ntacoli che sbattevano in umidi tonfi contro la porta.
«Ecco, ti ho portato la cena!», disse la regina del pornostreaming.
«Sono stanco della tua carne morta, puttana! Dammi la ragazza che hai di là!».
Kelly si ritrasse lasciando cadere in terra la testa di porco, uno dei tentacoli uncinati si allungò afferrando la carne congelata, in meno di un secondo triturò il cranio e lo portò a uno dei suoi quattordici becchi, deglutendo senza troppi sforzi: quelle molteplici bocche avevano un infinito bisogno di carne.
«Non posso darti la ragazza! Non che non vogl
ia, ma il mio marituccio del cazzo l'avrà fatto sapere a tutto il mondo: se scompare nel mio appartamento, lo sapranno tutti i giornali entro poche ore, e poi anch’io ho bisogno del mio relax, non lecco una fica da due settimane, me lo concederai, spero?».
La creatura strisciò in avanti minacciosamente, un tentacolo afferrò i biondi capelli dell'insaziabile puttana creata da Jeffrey Epstein.

«Questi sono affari tuoi, troia, io sono uno degli innumerevoli figli di Shub-Niggurath, nel mio sangue scorre l’icore della sua divinità, e tu devi servirci, sia me che la Dea prolifica, è solo grazie a lei che puoi permetterti il tuo stile di vita, inutile pezzo di carne, è solo grazie a noi che hai fama e ricchezza, devi farci pascere, presto giungeranno i miei fratelli, non è consigliabile contrariare la mia stirpe!».
Kelly sospirò, l’immonda progenie aveva ragione: maledisse Jeff, quel fottuto
malato, che l’aveva iniziata a quelle immonde pratiche, il giorno in cui la mise nuda in un cerchio, facendola inculare da milioni di tentacoli provenienti da una botola nel pavimento, promettendole fama e successo eterni.
Sì, Shub-Niggurath l’aveva inculata coi suoi dodicimila tentacoli, inculata a sangue, nel vero senso della parola, e adesso le mandava a casa i suoi figli da mantenere.
La prima volta aveva fatto morire un cucciolo, era poco più grande di un cane, solo che somigliava a un incrocio tra un coccodrillo e un calamaro: lo lasciò nella vasca da bagno, un po’ disgustata e un po’ convinta che la creatura fosse autosufficiente; quando morì, due giorni dopo, Shub-Niggurath in persona andò a farle visita, la inculò nuovamente coi dodicimila tentacoli (infilarglieli nella vagina significava renderle l’onore di inseminarla
con le proprie spore, una zozza mortale non poteva ospitare una sacra progenie dei Grandi Antichi); quel giorno con Kelly c’era uno stalloncino messicano: Shub-Niggurath inculò anche lui, avete idea di che dolore si provi nell'essere penetrati da dodicimila tentacoli? Ma per il successo e il denaro non si bada a queste cose.
Al fine di placare l’ira della divinità, Kelly dovette indire dei nuovi provi
ni: miriadi di puttanelle e smunti stalloni da strapazzo si presentarono in un capannone della periferia (tanto cosa costa provare?); tutti finirono tra le fauci di Shub-Niggurath, offerti in sanguinario sacrificio, i genitori non fecero domande, credono ancora che si siano persi tra gli studios di Hollywood, sono contenti della vita patinata che i propri figli conducono sotto l’ala protettrice della grande Kelly, sperando di vederli presto in prima serata e poi sull'uscio di casa, trionfanti, con un Oscar nella mano;
non sanno però che Shub-Niggurath, la Grande Dea dei boschi, ermafrodita dalla innumerevole prole, ha già cagato le ossa dei loro figli ormai da tempo.
Quindi era meglio non contraddire la divinità, e i suoi figli erano molto capricciosi, inutile tentare di corromperli con offerte sessuali, ma Kell
y ci provò lo stesso: «E se ti succhiassi i tentacoli?».
La creatura rise, la bava giallastra colò dai suoi becchi di seppia, allungò una grinfia e solleticò il capezzolo di Kelly.
«Effettivamente mi fa schifo mettere un mio tentacolo dove l’ha messo Jeffrey Epstein, troia, ma mi piacerebbe umiliarti, girati!».
La progenie di Shub-Niggurath infilò il proprio tentacolo fra le natiche di Kelly, e sarebbe una falsa la troia se dicesse di non aver goduto, la creatura spinse fino alle viscere, poi la sventrò tirando via con sé le budella!
Svuotato, il corpo di Kelly cadde in terra, ancora dall’ano le fuoriuscivano lunghe strisce di interiora sanguinanti.
«Ma Shub-Niggurath aveva detto...».

Lo shock psicologico fu tremendo! Perfino maggiore di quello fisico: le viscere divelte dal corpo!
Kelly pensava di essere intoccabile, di essere ormai assurta allo status sacrale di Alta Sacerdotessa di Shub-Niggurath!
La delusione fu enorme, si sentì doppiamente svuotata.

Tre becchi famelici stavano masticando le budella dell’aspirante regina della West Coast, e davanti ai suoi occhi!
«Shub-Niggurath se ne fotte dei pezzi di carne come te, siete burattini, deboli, sostituibili, affascinati dai porno, dalle chincaglierie dello spirito, dalla vanagloria, presto i nostri tentacoli affonderanno nelle natiche della vostra patetica umanità!».
La creatura uscì dal bagno, il cui pavimento era oramai ricoperto da sangue e materia organica di scarto; si diresse nella camera da letto, dove la puttanella rimediata da Ryan
stava attendendo Kelly!

Nel frattempo, strisciando tra la sua stessa poltiglia come un essere disumano, la vecchia troia - caricata a molla dalla rabbia fuoriosa che la scuoteva - cercò di concepire un piano: doveva arrivare sul terrazzo e supplicare la misericordia di Shub-Niggurath. Solo la Dea prolifica poteva salvarla, a quel punto.

Jeff non poteva più aiutarla, Ryan - se anche fosse stato lì - l'avrebbe soltanto commiserata, le cose fra loro non funzionavano più; anzi Kelly sperava che il marituccio rincasasse prima del tempo, così da ritrovarsi nel culo l'immonda progenie... se aveva perso le budella, poteva tranquillamente fare a meno anche di uno stupido giocattolo...

Lasciando dietro di sé una spaventosa scia di sangue, ma convinta di potersi ancora salvare, la leggendaria troia della West Coast stava disperatamente cercando di raggiungere il terrazzo del suo prestigioso attico.

Il suo stesso sangue avrebbe richiamato Shub-Niggurath.

Non poteva credere che la divinità si sarebbe privata di lei, non era mai stanca di incularla, era ancora potentissima, non c'era nessun altra come lei, a 60 anni il suo prestigio era in costante crescita, in milioni sbavavano in streaming sulle sue tette e tutte le puttanelle della West Coast dovevano passare fra le sue cosce, se volevano fare il salto.

Kelly sapeva che per i malati di cancro all'intestino venivano prodotte specifiche protesi: in fondo, era come se si fosse tolta dalle palle un devastante tumore alle budella.

Non avrebbe certo aspettato che il tumore avesse finito di divorarla... Avrebbe agito così: con un intervento spettacolare e mostruoso, pur di salvarsi la vita...

«Devi capirla, Kelly: sventrarti è stato per la mia progenie un piacere irrinunciabile.

Io stessa ne sono stata tentata. Soltanto la mia divinità mi ha trattenuto dal farlo».

Annaspando nella sua immonda agonia, la vecchia troia sbudellata inorridì: tra la nebbia, davanti ai suoi occhi, vide la testa decollata di suo marito Ryan!

Era quella che le parlava!

«Ti ho liberato di lui, ho esaudito il tuo desiderio, anche se ti è costato parecchio...».

Un tentacolo penetrò nell'ano distrutto della somma puttana: poco dopo un nero di seppia si sparse ovunque, ricoprendo lo stesso sangue di Kelly.

«Ora sei definitivamente mia e berrai acqua salata.

Ma non scherzare più con i miei figli: soltanto io posso controllarmi.

Almeno finché mi piacerà...

Bada a non sgonfiarti...

Tra poco i miei servi umani faranno pulizia, e uno di loro rimarrà a pascervi.

E nessuno parlerà di questo.

Ma tu non farti più vedere così sbottonata da una progenie in crescita, controlla te stessa e i tuoi camicioni, perché non spargerò altra essenza su di te... lurida puttana... vecchia zoccola...».

La testa di Ryan cessò di parlare.

Kelly Madison - eccitata di essere ancora viva - riprese a strisciare, stavolta verso la cucina, in direzione della saliera.

Aveva una sete disperata.

Avrebbe fatto qualunque cosa pur di salvarsi e ripartire da una carrozzina.

Anzi, l'aveva già fatta...

Il potere di Kelly Madison era giunto soltanto all'inizio.