Zothique: Il pedone usurpatore Il giorno in cui Shub-Niggurath si inculò la Madison AREA 52 di Salvatore Conte (2018-2021)
Le radiazioni sono ovunque, tanto vale provare. Anzi, se è vero quel che si dice, potranno trovarsi le cure. Nel Primo Secolo dopo la Rappresaglia Nucleare il vecchio mondo non esiste più. E quello nuovo non esiste ancora. È tuttora in dubbio se vi sarà mai un Secondo Secolo. Il 76% della popolazione mondiale è affetta da cancro, oltre il 90% è sterile. Nessuno ha più interesse a lavorare, tutte le grandi organizzazioni - pubbliche e private - sono esplose insieme alle testate nucleari. L'apatia e la rassegnazione trionfano tra gli uomini. L'unica occupazione in crescita è quella del negromante. Tra non molto le persone tornate dal Lete saranno più numerose di quelle in vita: chi è saggio cerca di costruirsi un futuro nella morte. Il potere è un miraggio più effimero che mai: può essere facilmente raggiunto, vista l'apatia generale, ma è destinato a durare meno del solito; chi è già malato, ha poco da vivere; chi ancora sano, poco da illudersi. Il potere è un miraggio più effimero che mai nel Primo Secolo, ma ha sempre il suo fascino e non ha lasciato indifferente una certa milf di Las Vegas. È giunto il momento di osare per la signora Anna Frazer.
Nel vecchio mondo sarebbe stata etichettata come una vacca con tanta zinna e poco cervello; ma il fisico è dalla sua, ha ancora qualcosa da vivere, e vuole approfittare della situazione per ottenere potere. Internet continua a funzionare come prima, grazie a una rete di consorzi locali.
Da semplice casalinga, ha messo in piedi un profilo da mercenaria, e ha tirato su oltre 300.000 followers; nelle sue foto compare addobbata con armi da guerra, che però non possiede e non saprebbe nemmeno usare. Le camicette sbottonate, invece, ce le ha e sa usarle molto bene. Con due tette favolose ha stregato i fans e li tiene in pugno.
Rimasta presto vedova dopo la Rappresaglia, è divorata a sua volta da un cancro all'utero molto aggressivo, che non riesce più a gestire; tuttavia, pare che non abbia alcuna intenzione di lasciarci la pelle, o di bere dal Lete e tornare con le zinne mosce; per non allarmare i fans, minimizza la sua condizione negli spettegoli, scrivendo che è tutto sotto controllo. Così quando dovrà crepare, ci rimarranno più male di lei. Ma intanto se la ride. È ancora in piedi. È questo che conta. Di fans ne ha più di 300.000 su Spettegolo. E la Frazer vuole sfruttarli per dare l'assalto a un obiettivo top secret. L'invito non cade nel vuoto. Si presentano a decine, anche in condizioni disperate, con la flebo legata al braccio; ma ci sono: nessuno di loro perderebbe la chiamata della loro milf preferita, tardiva esplosione di vita sulla terra morente. Si parte. E si arriva facilmente.
Il sogno di qualunque attricetta della vecchia Era fu quello di girare un film con Stanley Kubrick. La Frazer ha ora l'occasione di calcare la scena di uno dei suoi set più famosi; sempre che non sia stato distrutto. Anche questa circostanza ha avuto un peso nel suo sogno di gloria: potere e follia vanno spesso insieme. Nel Primo Secolo gli scenari complottistici della vecchia epoca vengono presi per oro colato, suffragati da continui riscontri. Il primo compito che Anna assegna ai suoi seguaci è proprio questo: trovare il set di Kubrick.
La Frazer vuole essere la prima donna a sbarcare sulla Luna. E finalmente il suo sogno si realizza. Il set c'è! Si trova al Livello -4. La struttura è molto simile a quella di Dulce. Sembra intatto, conservato come una grossa reliquia.
«Non è solo una questione tecnologica, Signora», uno dei suoi fans più fidati, un tale Jim, ne approfitta per dire la sua. «Prima della Rappresaglia Nucleare la tecnologia c'era, ma non hanno mai pensato di andarci. Pare, infatti, che l'anima umana non possa rimanere legata al corpo nello spazio aperto; in buona sostanza, la psiche umana non può affrontare una tale aberrazione, e anche se da un punto di vista scientifico si parla di Cinture di Van Allen, il concetto è lo stesso: l'anima è una forma sublime di energia.
I viaggi spaziali, tuttavia, sono possibili, sebbene non attraverso l'approccio pseudo-scientifico dell'uomo moderno». «Okay, Jim, sei il mio nerd preferito, lo sai, un vero pozzo di scienza, ma ora basta, ho altro a cui pensare», lo interrompe la Frazer, ingobbita in avanti, con ambo le mani premute sulla pancia. Deve infatti procedere con il suo piano, senza indugi. «Che succede, Signora?». «Sto morendo...». «Ma lei ha scritto che andava tutto bene...», protesta il nerd. «Propaganda, Jim. Solo propaganda...», ripete, piegandosi in due. L'emergenza tumori ha accelerato la sperimentazione sulla tecnica vaccinale a Rna messaggero: ne è uscito un vaccino antitumorale che riesce in alcuni casi a bloccare il cancro entro la fase locale avanzata (stadio 3), primo dello stato terminale e delle metastasi (stadio 4), ma non a guarirlo. La stessa Frazer ha iniziato a utilizzarlo, sottoponendosi a richiami periodici. A qualcosa è servito, altrimenti sarebbe già morta. Tuttavia i rischi sono elevati: l’mRna, infatti, è molto instabile, nel senso che si degrada molto facilmente nel corpo, e soprattutto può scatenare una reazione immunitaria troppo forte, che porta a uno stato infiammatorio potenzialmente fuori controllo, con il rischio di infarti, ictus, trombosi, ma anche di nuovi tumori in organi finora non interessati, autonomi rispetto a quello originario, che non sono cioè metastasi del primo. Tutto è pronto, dunque. Anna Frazer si fa incoronare, sul suolo lunare, Imperatrice dell'Area 52, in onore delle sue favolose tette.
«Perché, avendo ospitato il set di Kubrick nel Livello dedicato agli esperimenti di mind control, si intendeva affermare l'espansione degli USA nell'universo, a livello di psiche di massa, pur rimanendo con i piedi ben piantati per terra: lo spazio cosmico (e l'occulto in genere) come 51° Stato dell'Unione». Adesso la Frazer ha tempo per dare un'occhiata al resto. Ma è tutto molto prevedibile, quasi banale. Armi e cadaveri alieni (tra cui una bella pistola a raggi), misteriose sostanze di laboratorio, elisir di lunga vita a base di sangue umano per alti membri dell'elite, vari dossier top secret sulla cura del cancro (da utilizzare solo in casi eccezionali, a beneficio di alti membri dell'elite), elenchi di medici onesti da sopprimere o ricattare, microsim bioniche per il mind control da implementare con il 5G mobile, raccapriccianti esperimenti genetici, celle criogeniche per la conservazione dei corpi di alti membri dell'elite, etc. etc... Una sorta di Biblioteca d'Alessandria del Vecchio Mondo Massonico.
PI-GRECO = 3,1415 73-A = SettantaTre-A = Stanley Kubrick - Area 51 «Come pensi che funzioni?». «Le pistole sono pistole in tutto il mondo, Romina». «Ma questa è di un altro mondo, Dave!» «È la stessa cosa ti dico: la proveremo su quella troia. E se non dovesse funzionare, torneremo ai vecchi metodi... L'ordine dei capi è farla fuori, lo sai. Senza di lei, quell'accozzaglia di falliti tornerà a farsi le seghe su internet». «Nessun problema per me, lo sai. Posso farli fuori tutti, con questo giocattolo vecchio stampo...
Ma voglio questi dossier... E le cure per salvarmi...».
«Che cosa?! Chi è stato?». «C'è molta confusione laggiù. Pare vi siano degli infiltrati». «Questa faccenda non mi piace. Jim, vai a prendere la pistola aliena, meglio prepararsi al peggio. E raduna i followers più fidati: spazzeremo via tutti gli intrusi». «Calma, bambola... E tu, Jim, puoi risparmiarti il viaggio: la pistola è qui».
«Non certo uno di quei cazzoni che pendono dalle tua labbra, imperatrice dei miei stivali. Diciamo che io e mia moglie siamo un pezzo di vecchio mondo che sopravvive nel Primo Secolo. Però, evidentemente, non il solo. Di sotto sembra scoppiato un bel casino». «Mettila giù, possiamo trovare un accordo». «Non sei nelle condizioni di negoziare, bambola. Quanto a questa, non credo di saperla usare. Piuttosto, devi preoccuparti di mia moglie...», la compagna peruviana imbraccia un fucile mitragliatore. «Ehi... non vorrai fottermi, spero...», e si stira addosso la camicetta, tentando il tutto per tutto. «Purtroppo devo farlo...». «Avanti... non dire idiozie... mettila giù, Cristo!». «Fanculo, bambola!». SWISHH... David Mikkel preme il grilletto quasi per giocare. «ARGHH...!!». I risultati sono devastanti. Un raggio al calor bianco, striato di rosso, centra la Frazer in pancia! Praticamente all'utero! E le lascia un impressionante buco nero, netto e rotondo! Niente sangue, comunque: dalla ferita non esce nulla; almeno per il momento. La morbida carne della signora Frazer è stata fusa ad altissima temperatura, tumore compreso. Ma ecco che il buco sembra ribollire... e si riempie di escrescenze globulari grigiastre, piuttosto repellenti: sembra un grosso tumore in time-lapse, a formazione istantanea. Anna Frazer è impietrita, la bocca spalancata.
Lei che ama tanto il cinema, sembra Rita Hayworth ne La Signora di Shanghai. Per prima cosa deve affrontare lo shock emotivo, poi quello termico, che si è propagato a tutto il corpo. «Cristo!», è lo stesso David a imprecare. Non si aspettava che la pistola aliena sparasse tanto facilmente, benché l'avesse predetto lui stesso. «Io... non volevo...». «Avanti, Dave... sapevamo che sarebbe finita così; con un grosso buco...», a parlare è sua moglie Romina Lopez, un imponente donnone con un certo numero di anni sulle spalle, ma sopportati bene; una divorziata recidiva, che s'è messa con lui per succhiargli tutto quello che può.
Divorata da un cancro al colon, si tiene in piedi a fatica. È ancora bella grassa, ma dentro è tutta marcia; la faccia tirata e la bocca sempre impastata di sangue, a causa delle emorragie interne. Ormai cammina a braccetto con la morte. È fottuta. Ma non molla. E si è buttata a capofitto in questa missione nella speranza di trovare in extremis una via di scampo: una cura per il suo tumore. Intanto, Jim e Dave sorreggono la Frazer, e la fanno sedere su una poltroncina. «Bambola... non volevo...». «Dave! Quante porcate hai fatto?! Ti fai problemi per una puttana?», la moglie cerca, a suo modo, di rincuorarlo. «Zitta! Sta cercando di respirare...». «Spiacente, bellezza, ma il peggio deve ancora arrivare. Hai un grosso buco in pancia, ma se non crepi subito, avrai altri problemi. Mi sono letta un dossier molto interessante... Ebbene, l'effetto di questa pistola aliena è stato testato su dei barboni. Ed è risultato che il raggio - oltre all'esito immediato, che abbiamo appena visto - induce nella vittima un tumore maligno e fulminante, che si genera proprio all'interno della ferita, certo a causa delle radiazioni letali di cui è composto il raggio stesso. Si tratta certamente di questa schifosa massa grigiastra. C'è anche uno schema della progressione tumorale. Il cancro si sviluppa a una velocità impressionante, occupando dapprima il buco lasciato dal raggio, per poi espandersi tutto intorno. Il decesso avviene al massimo entro una settimana». «Sembra una reazione chimica, più che un cancro... E le cure? Non ci sono cure?». «Nel dossier non se ne parla». «Mi dispiace, bambola. Hai sentito? C'è poco da fare». «Maledetto idiota... mi hai fottuto...». ATTENZIONE! ORDINE DI EVACUZIONE! QUESTA BASE SI AUTODISTRUGGERÀ TRA 15 MINUTI! ATTENZIONE! QUESTA NON È UN'ESERCITAZIONE!
«E adesso che cazzo succede?». «Quegli stronzi di sotto avranno toccato qualcosa che non dovevano... Dobbiamo andarcene», Romina sente un brivido freddo percorrerla lungo la schiena. «Pienamente d'accordo. Di lei che ne facciamo?». «La base sta per saltare, per tutti sarà morta qui dentro. A noi, a questo punto, conviene rivenderla a un negromante. Le pagano bene, queste grosse troie. E le ricondizionano altrettanto bene...», la peruviana le lancia uno sguardo malato. «Sempre a pensare al grano, tu!». «Mi servirà per curarmi, Dave». «Certo, cara, certo. Andrà tutto bene. Il tuo Dave ti rimarrà sempre accanto», succube della vecchia cessa, ma anche stanco dei suoi capricci; e comunque, contento di non lasciare la milf. Rilanciata da un buon matrimonio, quando le sue amiche la davano per finita, Romina Lopez si illude ancora, come in tanti a questo mondo; finora si è aggrappata alla stazza, al fisico massiccio, per tirare avanti il più possibile, ma ormai è agli sgoccioli, sta cedendo, il tumore l'ha invasa dappertutto, su di lei il vaccino mRna non ha avuto effetto. «Te l'ho promesso, Romina: tu non morirai di cancro». La possente cinquantottenne peruviana lo tiene per le palle con il suo fascino da gran puttana, da donnone di grossa cilindrata. «È vero: la causa della morte sarà un'indigestione di piombo...». È l'ennesimo colpo di scena nell'Area 52, Livello -3! ATTENZIONE! ORDINE DI EVACUZIONE! QUESTA BASE SI AUTODISTRUGGERÀ TRA 10 MINUTI! ATTENZIONE! QUESTA NON È UN'ESERCITAZIONE!
A fare il suo ingresso sulla scena è la matura e affascinante Sandy Stark, un'avventuriera senza scrupoli, ormai una vecchia cessa, che ha un problema urgente da risolvere, come in tanti a questo mondo.
Una bella rosa con molte spine. È malferma sulle gambe, ma la mano è ben stretta su una pistola terrestre. Pallida in volto e con i capelli incanutiti, è segnata dalla devastante malattia che l'ha ormai completamente distrutta. Il mostro la divora da dentro, si è allargato a tutte le budella; la bella Sandy è ormai in fin di vita, appesa a un ultimo, fragile equilibrio, destinato fatalmente a rompersi. Al suo fianco, la guardia del corpo: Europe DiChan, ex pornostar molto famosa e potente, che nel Primo Secolo si è montata la testa e ha fatto il salto di qualità, improvvisandosi guerrigliera mercenaria, puntando forte sull'ambizione della Stark, da cui non si stacca mai.
«I miei followers sono tutti morti, e voi pagherete per questo, facendo la loro stessa fine». «Ehi! Possiamo accordarci...», Mikkel prende tempo e cerca di capirci qualcosa. «Sapevo che la sua ambizione l'avrebbe spinta a combinarne una giusta», lancia uno sguardo alla Frazer, «ma si è tirata dietro troppi stronzi... Non ne ho per molto, lo so, ma qualche secondo per ammazzarvi tutti ce l'ho di sicuro. E voglio cominciare proprio da te...». «Non farlo, ti prego... Romina è mia moglie». La Stark la punta con la sua pistola. «Ci tieni così tanto a questo vecchio puttanone?». «È mia moglie!». «È solo una cessa...». «Ti prego... aspetta! Il cancro mi ha divorato, ce l'ho nello stomaco, ce l'ho nel fegato, ce l'ho nel colon, è partito da lì; ho poco da vivere, ma non mi sono arresa, perché Dave mi ama...». «Davvero commovente... ma se è così, ti faccio un favore...». «Cagna!». BANG SWISHH... La pallottola della Stark raggiunge Romina in pieno stomaco, lasciandola sbigottita e senza respiro. Fulminata. È un brutto colpo anche per un donnone come lei, con tanta esperienza e una disperata voglia di vivere. Tuttavia Mikkel impreca e reagisce. Ha ancora tra le mani la colt aliena e la usa! Di nuovo il raggio mortale si sprigiona incandescente, scavando una galleria nella pancia marcia della bella Sandy Stark. La DiChan reagisce quasi prontamente: come pornostar ha molta esperienza, non abbastanza da guerrigliera. «Fermo!». A questo punto, spiana il mitra e comincia a trattare, per salvarsi la pelle. «Allora... dicevi di volere un accordo...». ATTENZIONE! ORDINE DI EVACUZIONE! QUESTA BASE SI AUTODISTRUGGERÀ TRA 5 MINUTI! ATTENZIONE! QUESTA NON È UN'ESERCITAZIONE!
«Si va via tutti insieme, senza fare scherzi. Poi si vedrà se proseguire insieme, o sciogliere la banda...», propone Dave. «E va bene, maledizione! Non c'è un minuto da perdere!», impreca Europe DiChan. Mikkel si porta dietro il corpo della moglie, rimasta ghiacciata. Jim quello della Frazer.
«L'Underground Highway passa qui accanto, ma dobbiamo muoverci, il tempo rimasto è poco!», la DiChan, che porta a spalla Sandy, non è solo tette. ATTENZIONE! ORDINE DI EVACUZIONE! QUESTA BASE SI AUTODISTRUGGERÀ TRA 60 SECONDI! ATTENZIONE! QUESTA NON È UN'ESERCITAZIONE!
«Cristo, che botto!», esclama Mikkel, ma Jim e Anna non possono certo sentirlo. Il ragazzo sta spingendo a tutto gas uno dei pick-up della base. L'hanno fatta franca per un soffio. Lui sta viaggiando sul pianale di carico, accanto ai resti della moglie, e alle altre due.
Quasi per caso hanno preso la direzione di Dulce, l'altra base al centro degli scenari complottistici della vecchia Era. Lungo il percorso c'è abbondanza di rifornimenti. Ci arriveranno in poche ore. Non c'è traffico, non ci sono semafori, curve, pedaggi da pagare, autovelox: la strada è libera. Ma passa un niente e Dave sbatte forte sul lunotto. Jim ferma il mezzo. «Cristo! Sta morendo!», Mikkel si riferisce alla moglie. Romina boccheggia con occhi vitrei al cielo (si fa per dire) e bava di sangue agli angoli della bocca. Jim si mette a cercare e tira fuori un kit di pronto soccorso, riuscendo a dare ossigeno alla peruviana. «Lei vuole vivere... ci crede ancora, lo so... Bravo, Jim!». Il nerd prova a stiracchiarla. Anna, intanto, soffre, ma sembra in grado di gestirsi, almeno fino a quando il tumore non comincerà a divorarla sul serio. Stessa cosa per Sandy. Ancora poche ore e tre grossi donnoni, giunti morenti o cadaveri, tenteranno il tutto per tutto, esperimenti proibiti compresi. Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. di Salvatore Conte (2018-2020)
«Controlla dentro». «Niente, solo cianfrusaglie». «Aiutami a spostare il carro, voglio tirar fuori questa disgraziata». «Può essere ancora viva?». «Lo escludo, ma voglio almeno seppellirla. Mia nonna diceva che lasciare un corpo di donna insepolto procura guai, e noi ne abbiamo già abbastanza». «Gringo maldito...». «Io lo sollevo un po' con questa leva, tu lo trascini con il cavallo». «Muy bien». «Forza, adesso!». L'operazione riesce. «Ohh...hh...hh...», un lungo sospiro gutturale, trattenuto per molto tempo. «Cristo!». «Che c'è?».
Il peso le bloccava il petto, ora riesce a respirare. Le tettone, per sua fortuna, hanno ammorbidito il colpo.
No... non la
muovere... è tutta sfondata.
«Forse
gli era sembrata senza speranze».
«Respira appena, che faccio?
Quando me lo dai il cambio?». Come ti chiami, bellezza?». «Eva... voi... chi... cazzo... siete...». «È proprio una trucida. Siamo Juan e Tuco, due banditos, ma non vogliamo farti la pelle. Che ti è successo?». «Andavo forte... poi... non ricordo nulla... forse... ho preso... una pallottola...». «Nessuna pallottola, bellezza, ma hai fatto un bel salto e una parte del carro ti ha schiacciato. Hai lo stomaco e le budella distrutte, una pallottola avrebbe fatto meno danni, ci dispiace». «Ora ricordo... questa... è le vendetta di mio marito... quel buono a nulla... l'ho fatto fuori... I soldi... c'è una borsa... con i soldi... sul carro...». «Quei due bastardi... C'erano due gringos sulla scena, prima del nostro arrivo. Te l'hanno presa loro». «Sì... Tex Willer... e Kit Carson... due tizzoni d'inferno...». «Willer e Carson? Accidenti! Passano per essere due giustizieri, ma hanno abbandonato una donna morente al suo destino...». «Morente... un corno... io... non voglio... lasciarci la pelle... rivoglio... i miei soldi...», con la bocca impastata di sangue. «Non agitarti, bellezza. Non sei messa bene, ma proviamo a tenerti su con un po' di tequila. Bevi... bevi che ti fa bene... brava... Di quanto dinero stavi parlando, eh, bellezza?». «Tanto... tanto dinero... Juan... non voglio crepare...». «Io sono Tuco». «Tuco... non sono da buttare...». «Questo lo vediamo. Sei una bella bestia». «Ho paura... Tuco...». «Non ci vuoi credere, lo so. Però indietro non si può tornare: il volo l'hai fatto e ti abbiamo ritrovato che nemmeno respiravi». «Che vuoi dire...». «Che non mi farei illusioni». «Lo so anch'io... non sento più le gambe... dovrei spararmi... una pallottola in bocca... ma voglio... che quei due... Willer e Carson... vengano con me... all'inferno... Ammazzateli... e tenetevi i soldi... è il mio regalo... per voi...». «Una pallottola in bocca sarebbe troppo anche per una vecchia cessa come te, Eva. Così, almeno, puoi avere ancora qualche sussulto». «È vero... è bello... spremersi... fino in fondo... avrò tempo... per riposare...». «Noi rimaniamo qui. Provaci finché te la senti». «Ma poi... li andate... ad ammazzare...?». «E va bene... se ci tieni tanto, un favore a una bella cessa come te non possiamo negarlo, vero, Juan?». «Vero, Tuco. E così ci fottiamo pure i soldi». «Tuco... sono tutta bagnata... fammi crepare... all'asciutto...». «Muy bien, proviamo a spostarti. Fai piano, Juan...». L'operazione riesce. Eva Morgan è trasportata fuori dal piccolo corso d'acqua. Gli occhi lucidi per la rabbia di doverci lasciare la pelle, prova a non rassegnarsi, ma sente la fine incombere pesante. «Non voglio trattenervi... andate...». «Hai bisogno di attenzione, bellezza. Non ti possiamo lasciar dietro». «Voi... non siete banditos...». «Lo siamo, eccome». «Stammi vicino... Tuco... manca poco...». Gli occhi al cielo, la bocca spalancata che vomita sangue, lo stomaco e le budella distrutte internamente, per una morte sofferta e difficoltosa. La vecchia cessa si aggrappa con la forza della disperazione alla mano di Tuco, un bandito messicano che neppure conosce. Lungi dal rassegnarsi, benché certa di non potersi salvare, prova a trovare un respiro sostenibile, lento, che le possa dare calma e speranza. È un bello sforzo, ma non sembra del tutto fallito. «Sei brava, Eva. Ci stai provando. Prova a stare calma e a respirare. Non c'è mai fretta per crepare. Se riesci a rimetterti in piedi, li andiamo a fottere insieme quei due bastardi». «Lasciami provare... Tuco... e stammi vicino... Un salto all'inferno... l'ho già fatto... Vediamo... se posso... rimandare... un altro po'... quello... definitivo...», con voce fragile, precaria, dosata, a mantenere un disperato controllo su sé stessa e le ultime energie. Tuco e Juan si alternano intorno a lei, cercando di trattenerla. È una vecchia cessa, ma ancora con del grasso da spremere. E lanciano segnali di fumo per far venire qualche droga e aiutarla a sognare. Potrebbe tornare lo stesso Willer, e stupirsi di ritrovarla viva, sull'orlo del precipizio, sul punto di saltare. Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. IL PEDONE USURPATORE di Salvatore Conte (2018-2019) «Allora, ci stai?».
«Non mi va di finire spanzata da un dio
come una stronza». La tua ambizione ti divora. Ma se vuoi un trono, te lo devi guadagnare, Kleo».
È una giovane puttanella frustrata, che sogna di
farsi regina potente e temuta, nella decadente terra di Zothique.
Ho voglia di potere, ma non per questo mi sento di crepare come una cagna». Ma lo voglio tutto per me! Senza re e comprimari». «Lo avrai, Kleo. Parola di Goran!
Con noi ci sarà anche una potente negromante». «E chi sarebbe?». «Velbash».
«Quella...?! È una puttana, non una maga!». «Un po' l'una, un po' l'altra: a noi interessa la negromante. Come puttana basti tu». «Che vuoi dire...?». «Che tu sei il massimo e neanche una come lei potrebbe eguagliarti». «Così va meglio, guerriero». Il terzetto è formato, l'obiettivo sono le Montagne Mykrasiane. «Prima di arrivare, potrei riascoltare la storia?», la voce di Kleo è sarcastica, quasi irridente, come se non ci credesse nemmeno un po' e avesse accettato l'impresa più per gioco che per interesse. Gli altri due si guardano. La parola la prende Velbash. «Chi non ha giocato a scacchi, almeno una volta nella vita? È un gioco molto antico, senza dubbio; e tutti lo descrivono come un gioco di strategia militare: due eserciti in guerra tra loro. Ebbene... pare proprio che non sia così. Il gioco rappresenta in realtà una teomachia, ovvero una guerra tra divinità per il controllo supremo di tutti i destini e del Fato stesso, sulla scacchiera del tempo. I Bianchi contro i Neri, il Bene contro il Male, in una lotta che rappresenta l'equilibrio dinamico tra le forze cosmiche.
Antichissime statue lo dimostrano. Le vedremo presto. Ma intanto vi mostro un disegno.
Benché appartenenti a eoni remotissimi della terra, quando i continenti erano pari alle dita di una mano, si sono misteriosamente conservate intatte dallo scorrere del tempo. Il Re, infatti, nel gioco degli scacchi, è immortale; non può essere distrutto, ma solo reso inoffensivo; è minacciato dallo scacco, ma niente può ucciderlo; se non ha vie di fuga, è stallo, e la partita deve ricominciare. Il Re rappresenta dunque il Sommo Dio delle antiche civiltà patriarcali. La Regina, invece, benché con la sua energia femminile sia la divinità più potente fra tutte, come sapete può essere distrutta. Negli antichi miti dei nostri avi, molte ere prima di Zothique, quando il sole era biondo, la Dea Tiamat viene uccisa e smembrata in due parti: il Cielo e l'Oceano. Gli Alfieri sono divinità minori, ma più agili dello stesso Re, perché sono spesso impiegati come messaggeri della suprema volontà divina. L'Aquila raffigurata nel disegno diventerà il Cavallo con cui oggi giochiamo, ma in comune hanno la qualità di saltare gli altri pezzi, di volare su di essi. Il Leone, invece, diventerà la Torre, il pezzo più forte dopo la coppia suprema: potente, devastante e in grado di offrire riparo al Re attraverso l'arrocco. E i pedoni? Nel disegno non ci sono, non li vedremo sulle Montagne Mykrasiane. Il sito è isolato e insidioso. Non troveremo nessuno accanto alle grandi statue. I pedoni, infatti, rappresentano i comuni mortali. Essi muoiono presto nella grande teomachia: sono fragili, esposti, combattono in prima linea e si uccidono tra loro o vengono falciati dagli dei, che muovono il loro destino. Non mancano, però, casi di eroismo. Oltre a uccidere qualche dio minore, essi possono - alla fine di una lunga lotta, se fortuna, valore e favore divino li assistono - possono, dicevamo, raggiungere lo status del super-eroe, del super-uomo, del semi-dio. È la promozione del pedone. L'assunzione in cielo del mortale». «Va bene, Velbash, ora veniamo al dunque», la incalza Kleo. A questo punto prende la parola Goran, il poderoso guerriero che sembra un pedone giunto a promozione. «So quello che ti interessa, Kleo. La collina alle spalle delle statue è il tumulo di un grande re. Nella sua tomba è nascosto l'oro offerto dai fedeli ai pezzi sacri. Si dice che una volta l'anno, non si sa in quale momento, le statue prendessero vita e giocassero una partita. I pellegrini presenti erano costretti a impersonare i pedoni. E quasi tutti morivano dopo le prime mosse. Ma uno di loro, una volta, arrivò alla promozione e fu fatto re e onorato con il grande tumulo. Non sappiamo per quale colore giocasse. Noi, invece, lo sappiamo: noi combatteremo per Thasaidon; per il Re Nero. Voi due vi piazzerete sulle colonne estreme, così sarete meno esposte.
«Ma come facciamo a sapere quando comincerà questa partita? Potrebbe mancare quasi un anno... Non possiamo fregarci l'oro e andarcene?». «Non sappiamo dove sia l'oro; e poi Thasaidon potrebbe punirci amaramente. Se invece ci batteremo per lui, di certo ci ricompenserà indicandoci l'ubicazione del tesoro. Con quella ricchezza saremo i padroni del mondo. Tu, Kleo, sarai la Regina Nera di Zothique, l'Amante di Thasaidon. E tu, Velbash, la Maga di Corte, l'Alfiere Nero del loro Regno. Io, Goran, sarò il Generale di tutto l'esercito, la Torre Nera del Regno». Se vi sarà da aspettare, aspetteremo». «Se non sbaglio i pedoni sono sedici. Gli altri tredici chi saranno?». «A questo penserò io», è Velbash a rispondere. «Se sarà necessario, richiamerò a una parvenza di vita qualche servitore del re sepolto in loco. Si schiereranno sul campo a seconda di come vissero: vi sono bianchi che servono il nero e neri che servono il bianco, spesso senza nemmeno accorgersene. I mortali sono semplici pedine in mano agli dei e al Fato, sulla scacchiera del tempo». Il viaggio prosegue. La partita li attende. Gli dei sono sempre pronti. Goran combatte al centro della mischia come un leone. Velbash avanza in disparte, quasi ignorata. Kleo, invece, si ritrova in mezzo a un violento corpo a corpo; combatte e uccide spinta dalla disperazione.
Ma alla 33ma mossa, un pedone bianco affonda la spada nel ventre della bella puttana nera. Kleo spalanca la bocca, esterefatta! È la fine! E Goran non può aiutarla, è troppo lontano! Ma accade l'impensabile. Il pedone bianco torna indietro, come se la mossa fosse respinta. Eppure il dolore è reale, e così anche il sangue caldo che le cola fra le mani. Ma si affanna subito ad approfittarne, cercando di rimanere in piedi, nonostante lo squarcio profondo che potrebbe averla uccisa. Kleo tiene la posizione, continuando a combattere con le braccia incrociate sul ventre, a trattenersi le budella che stanno per uscirle di fuori. Intanto Goran è di parola: avanza furibondo, facendosi largo verso il Re nemico. Ed è anche grazie a lui che il Sommo Dio bianco finisce intrappolato: non può muoversi, né rimanere fermo. I pezzi bianchi sono paralizzati come il loro Capo Supremo. Thasaidon ha vinto! Goran è sciolto dalla disciplina nera, può muovere più di una casella. Corre da Kleo, chiamando a sé Velbash. Se Kleo non perderà le budella sulla scacchiera, Zothique conoscerà la Regina Nera! Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. di Salvatore Conte (2018-2023) Ha ricevuto il compito di fottermi. È un famoso donnone che lavora per la Banda dei Cantonieri. Farà parte del gruppo di fuoco che mi aspetterà davanti al bar, in stile agguato storico ar Negro... Anzi, sarà lei a venirmi incontro, cercando di distrarmi. Tanto è una pregiudicata, negherà tutto, un'inchiesta in più a suo carico ne rafforzerà la fama. Dai servizi è arrivata la soffiata giusta.
Se c'è la sua vecchia 127 gialla, con la ruota
sul marciapiede, dev'esserci
anche lei. Non mi sbagliavo. La Sbottonata si presenta con un camicione rosa da mignottona, bello largo, che le maschera un po' la carne abbondante e flaccida; ha superato i 50, non è più quella di un tempo, il seno le casca addosso a penzoloni, la panza è gonfia, i fianchi sono pesanti: s'è bella imbolsita, ma è sempre 'na bonona, 'na vaccona... È da paura, insomma. Invecchiata e ingrassata, rispetto ai tempi di platino, ma sempre potentissima.
È la famosa Anna Frezzante, 'na bellezza che le racchiude tutte.
«Potrei mai rifiutare?». «Ovvio che no...», lo ammette anche lei. Un paio di crodini e l'agguato è pronto. Tutto ha un preciso significato cromatico per la Banda.
Le gerarchie sono divise in tre
livelli: alla base ci sono gli operatori comuni, che vestono di giallo; sopra di
loro ci sono gli operatori speciali, come la Frezzante, che vestono di
arancione;
In carica c'è però una donna, adesso; è la vedova del vecchio custode del faro abbandonato di Ostia; dopo la dismissione, l'uomo aveva ottenuto di rimanere nella struttura.
Fra le due cantoniere pare non corra buon sangue, anche se si fanno comodo a vicenda. La Frezzante è ormai la numero due dell'Organizzazione, ed è sempre più potente grazie alla scaltrezza della Lunati, la quale, dal canto suo, sa sfruttare bene la potenza della Sbottonata, che nel giro è un pezzo da 90.
«Mi porti da qualche parte?». Sì, al cimitero. «Anche questa non si può rifiutare». Le apro la porta del bar. La Frezzante esce per prima; e perfino una sicaria consumata come lei tradisce un po' d'emozione. POW POW POW Spari fragorosi di rivoltella. I miei uomini sono entrati in azione. Sono calati alle spalle di chi voleva colpirmi alle spalle.
Allunga il passo e cerca di raggiungere la sua macchinetta. Deve avere una pistola nella borsetta, ma si guarda bene dal tirarla fuori; può sperare in un occhio di riguardo solo se non esagera. Infatti la lascio andare, ho dato ordine di risparmiarla. «Puttana... scappi...!». Ma forse è proprio questo che indispettisce uno dei suoi complici, presumo un cantoniere di livello giallo, ma di certo gobbo.
Commette, però, un grave errore nel sottovalutare la rabbia del gobbo. POW Reggendosi la pancia con la mano libera, ingobbito oltremodo, esplode un colpo (!), mentre la Sbottonata apre lo sportello e si volta per un attimo verso di lui... POW «Maledetto!». La Sbottonata risponde (!), ma il danno è fatto! Il gobbo non ha retto il bis ed è andato giù. La macchia sul camicione non lascia dubbi: la Frezzante è stata raggiunta da una revolverata allo stomaco... davanti a un bar... come er Negro tanti anni prima...
La Sbottonata si pietrifica, attonita, con un'espressione stregata sul volto, lasciandosi sorreggere dalla fiancata della 127. Per un attimo penso sia rimasta fulminata (!!); ma la Frezzante reagisce (!), comprimendosi le mani contro la ferita, e ha il sangue freddo di infilarsi in macchina e ripartire a tutto gas.
Anche se alla guida di una semplice Fiat 127 anni '80, la Frezzante corre veloce come un'indemoniata, bruciando gomme e semafori lungo le strade di Ostia (!). Chissà dove pensa di arrivare, l'ospedale è da un'altra parte, non morirà fra le braccia degli infermieri come er Negro, per loro sfortuna... La direzione è compatibile con il vecchio faro, forse spera di raggiungere il covo della Banda. Poi, quasi all'improvviso, l'auto rallenta e procede a scatti, come se la Sbottonata non avesse più sensibilità alle gambe (!). Probabilmente sente la morte e contrae le gambe per la disperazione, senza badare più di tanto alla guida (!). Però non c'è spazio per superarla, la Frezzante tiene il centro della carreggiata e la strada è molto stretta. SPLASH La situazione precipita quando una curva a gomito la porta dritta dentro un canale! Inchiodo e scendo subito.
La ritrovo semisommersa (!), con le mani aggrappate al timone e la fronte contro il volante, come cercasse di navigare, o almeno di non affondare del tutto. La tiro fuori e la rimetto in macchina. La mia. Merce preziosa, ma altamente deperibile. Non ho tempo di controllarle subito il buco, devo sgommare e ripartire. Prima di buttarmi dentro una fratta, controllo di non avere nessuno alle calcagna. Adesso, sì, ho il tempo di controllarle il buco...
E di affrontare il suo sguardo.
È la fine di Anna
Frezzante. «'A Sbottonata... come... er Negro...», almeno riesce ancora a ricamarci sopra. Ma di sicuro è terrorizzata dall'idea di fare la stessa fine di Franco Giuseppucci: uccisa come lui da un colpo allo stomaco, al termine di una fuga disperata. La morte der Negro la conoscono tutti nel giro. Del resto era quella che avevano studiato per me. «No... lui è corso all'ospedale, tu no. Dove stavi andando, Anna?». Il volto della Frezzante è livido, ogni respiro sembra essere l'ultimo… io non smetto di tamponarle il buco. «Al covo... portami tu... fa' presto... Ho paura... ho paura... non sento le gambe...». Non si scusa nemmeno per l'esecuzione fallita. «Lo sai... è lavoro... io... non volevo...». «E se i tuoi mi sparano?». «No... tu entri con noi... in arancione...». «E va bene... ma niente scherzi...». «Vai al faro...». Tu premi sul buco... non farti sorprendere... Ma prima... dimmi chi è il mandante», se rimando troppo la domanda, temo che la risposta diventi impossibile. «Saprai tutto...», la bocca spalancata e gli occhi carichi di paura, tenta di reggere. Una mano scivola giù e si stira addosso il camicione: che mignotta... Non contenta, mi porta la mano sulle tette: crede di acquisire potere su di me. Farebbe qualunque cosa per cercare di salvarsi.
«Io avevo ordinato di risparmiarti, Anna. Ma tu sei svolazzata via un po' troppo in fretta, disseminando i tuoi uomini come coni spartitraffico...». «Non farmi la morale... sono una mignottona... lo sai...», lo riconosce senza problemi. Purtroppo sei una mignottona morta, Anna (!!). Per te, ormai, ci vorrebbe un esperto, un tecnico alla Herbert West... D'altra parte, il clamore si diffonderà ovunque, i giornali incalzeranno; altro che Negro...
«Bene, andiamo, facciamo presto... Però è meglio se prima avvisi i tuoi...», aggiungo, prima di ripartire. «Non ce n'è bisogno...». La canna di una pistola sulla tempia. Sono i cantonieri. Nella fattispecie si tratta di una cantoniera, davvero molto avvenente.
Non la conosco, ma indossa una bella camicetta arancione: non si nasconde di certo... Comunque finirà, finirò asfaltato!
di Salvatore Conte (2014-2021) RAT!RAT!RAT! La raffica parte senza pietà, falciando la guardia giurata di turno. «Tutti a terra!», una voce di donna chiarisce subito cosa sta succedendo. «Al primo che si muove faccio fare la stessa fine!». «Metti tutto qui dentro, svelto!», anche la seconda voce è femminile e con la mitraglietta Skorpion in pugno indica il borsone già aperto. «Per l'amor di Dio... non mi spari...», il bancario dalla fronte già sudaticcia implora come un cane davanti a un osso, in fondo fare l'eroe per un mucchio di soldi degli altri non conviene affatto. «Voi continuate a restare sdraiati con le facce appiccicate al pavimento!», tono duro e deciso, con il classico repertorio di ogni rapina in banca che si rispetti, la prima voce tiene a bada il resto della compagnia con la canna della mitraglietta ancora calda. «Muoviti!», la donna al bancone non sembra avere molta pazienza. «Maledizione... una volante della polizia!», una terza voce, sempre di donna, parla fra sé dentro l'abitacolo di una Giulia parcheggiata di fronte alla Banca Nazionale. «Non fermatevi, accidenti... non fermatevi...», l'auto sfila accanto e si accosta lentamente una cinquantina di metri oltre la banca parcheggiando davanti al bar. Sono le undici di mattina, evidentemente i poliziotti fanno colazione tardi. «Stramaledetti piedipiatti!», Chana è tentata di entrare e far saltare tutto, ma è troppo tardi, lo capisce vedendo Paola e Roberta uscire di corsa dalla banca. «Una rapina! Una rapina!», un cliente esce immediatamente dopo di loro. «Fermatele!», forse ha un bel conto corrente e rivuole subito indietro i suoi soldi. «Su! Dentro, ragazze! C'è anche quella fottuta volante là!», Chana sgassa sull'acceleratore con il piede nevrotico. RAT!RAT!RAT! «Ahhh!». L'uomo di mezza età rotola giù dalla scalinata della banca come un fantoccio di stoffa, macchiando di sangue un gradino dopo l'altro. «Via! Via!», Paola lascia mano e mitraglietta fuori dal finestrino, mentre la Giulia parte indemoniata griffando l'asfalto con la marca degli pneumatici. RAT-RAT-RAT! E spara una seconda raffica, stavolta contro i due agenti richiamati dalle grida all'esterno del bar. «Ahhh!», il primo viene colpito in pieno petto stramazzando rumorosamente addosso alle sedie di metallo, mentre il secondo poliziotto avvantaggiato dall'essere rimasto un paio di passi dietro al collega, riesce a buttarsi a terra e a far fuoco conto l'auto in corsa. BANG BANG Un paio di colpi di pistola esplodono contro la Giulia, bucandone lateralmente la carrozzeria. «Li abbiamo fottuti quei bastardi!», Roberta, la seconda donna con la mitraglietta, ora seduta di fianco a Chana, urla eccitata con l'adrenalina che scorre a fiumi nelle vene come l'alcool nelle gole degli ubriachi. Anche lei, Chana, vorrebbe urlare, ma non ci riesce; uno strano e improvviso sapore metallico le impasta la lingua, mentre una tremenda fitta al fianco sinistro le fa mancare il fiato. «C'è stata una rapina alla Banca Nazionale! Ci hanno sparato addosso da una Giulia blu», il poliziotto si aggrappa alla radio della volante. «Mandate subito un'ambulanza, il collega è ferito! Fate presto!». Il traffico cittadino di quest'ora potrebbe rallentare la corsa del mezzo di soccorso, forse questa è la prima cosa che pensa il poliziotto mentre chiude la comunicazione, ma il collega non ha più nessuna fretta di andare all'ospedale: con gli occhi a guardare il cielo sperando di trovarci il Paradiso, ha già sbrigato tutte le pratiche terrene... Per ultima quella di morire. La gente esce correndo dalla banca, dal bar e da ogni parte, urlando e mettendosi le mani in faccia come a bendarsi e non guardare questi giorni fatti di rapine al piombo e di attentati al sangue. Carlo e Giovanni, i due vecchi, restano invece seduti a un tavolo dentro al bar: sono stanchi e non hanno più la forza di vedere un altro morto. «La guerra era più leale di tutto questo», Giovanni guarda il cornetto spiaccicato sul pavimento, dopo che la paura glielo ha fatto cadere dalle mani. «Lì si sapeva a chi sparare». Carlo rimane zitto, aspettando la conclusione della frase. «Qui invece sparano a tutti». E tutti, prima o dopo, si prendono una pallottola. Anche Chana. «Ohhh...», la macchina procede a scatti. «Cosa c'è, Chana?», Roberta la guarda senza capire. «Pigia su questo maledetto acceleratore, dobbiamo arrivare al garage e cambiare auto prima che le strade si riempiano di piedipiatti!». «Credo... di essere stata colpita...», Chana si porta una mano al fianco sinistro per poi rimetterla sul volante piena di sangue. «Maledizione... sei ferita...», si guarda le dita scioccata, mentre ritira la propria mano dal suo trench. «Quel bastardo si è buttato a terra riuscendo a sparare un paio di colpi», ringhia Paola da dietro. E se l'è presi entrambi Chana. «Devo accostare... uhhh... non ce la faccio...», il dolore le fa piegare la testa in avanti. «Gira là, a destra», cento metri e la strada si interseca con una via secondaria. «Così...», Roberta aiuta Chana a curvare e la Giulia si allarga fino a montare con entrambe le ruote di sinistra sul marciapiede opposto: è un senso unico e su quel lato c'è il divieto di sosta, un colpo di fortuna per le tre donne in mezzo a tanti colpi di mitragliette e pistole. «Sto crepando...», Chana reclina la testa all'indietro portandosi le mani sulla pancia, le pallottole del poliziotto l'hanno sventrata.
«Ma... e lei...?», Paola la guarda smarrita. «Lei è spacciata», allunga una mano nel borsone e prende un paio di mazzetti di banconote. «Scendi, maledizione!». «Mi dispiace, Chana...», le sfiora la guancia con il dorso della mano e scende, borsone nella mano sinistra e mitraglietta nella destra, nascosta sotto la larga sahariana beige che la copre fin oltre i fianchi. «Dispiace anche a me, sorella», Roberta è già scesa e le parla con la testa affacciata nell'abitacolo. «Andate... male...dizione... io... sono... fottu...ta... ahhh...». «Tieni...», le mette i due mazzetti di banconote sul sedile, «nel caso ti sbagliassi...». Passo svelto ma senza correre, e le due donne arrivano in fondo alla corta via, per poi attraversare la strada e continuare a camminare su un altro marciapiede. Uno sguardo avanti e due indietro, le sirene della polizia stanno già facendo casino in lontananza. «Credi si salverà...?», Paola cerca affannosamente di stare dietro al passo e alla durezza di Roberta. «Penso sia fottuta», i tacchi a picchiettare veloci sopra il marciapiede. «Ma con Chana non si può mai sapere, è un demone fatto donna». Un paio di isolati e sono al luogo prestabilito. «Metti il borsone dietro», un'anonima Fiat 128 bianca si ritrova improvvisamente più ricca di una Rolls Royce. «E leviamo alla svelta le tende da qui», Roberta ingrana la marcia, un piccolo sbuffo dal tubo di scappamento e la macchina si infila nel traffico per dirigersi al casolare di periferia dove spartirsi il bottino. «Ci toccherà anche la parte di Chana», Paola guarda verso il parabrezza vedendoci il volto di lei. «Dividersi un terzo in più non sarà un grosso sacrificio». «Era affezionata a quella macchina», ignora il cinismo di Roberta, spostando il discorso sulla Giulia. «Già, chissà perché...». «Forse perché è l'unica che non l'ha mai tradita», gira la testa verso di lei cercandone lo sguardo. Una breve pausa. «Non come noi». La macchina accelera come a fuggire da quell'idea. «Per questo è giusto che la Giulia sia la sua tomba».
La bocca spalancata e l'espressione assorta, quasi corrucciata. «Su, su! Mettetela sulla barella!». «A me sembra morta...». «Sei mai rimasto con la batteria a terra? Magari in ospedale trovano il modo di rianimarla... i soldi ce li dobbiamo guadagnare!». I paramedici sembrano gente onesta. «Qui dietro ci siamo! Partite! Veloci!». «Se questo è un anticipo, chissà il saldo...». «In sala operatoria! Subito! Non c'è un minuto da perdere!» «Ma che ce la portiamo a fare?». «Hanno montato da poco delle potenti macchine per fare l'elettroshock: se il cuore riparte, poi non si può mai sapere. Noi c'abbiamo lavorato su. Sarebbe ingiusto perdere il saldo...». Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. di Salvatore Conte (2018-2021)
La caccia prosegue da giorni. Tuco ha deciso di regolare i conti con Sentenza. Entrambi hanno perso diversi uomini. Sentenza è rimasto solo. Tuco ha ancora con sé uno dei suoi uomini più esperti e affidabili: Anna Frentzen, detta la Desabotonada, per le camicette allentate fino allo stomaco, che è quindi - in tutta evidenza - una donna. Anna è la cattiva della banda, perché ci pensa lei a dare il colpo di grazia ai compagni feriti a morte. E sembra quasi provarci gusto. L'ultimo l'ha freddato soltanto un'ora fa. Aveva un buco nello stomaco. «Ehi, Anna... quanti ne hai fatti fuori così... ho perso il conto... E se un giorno toccasse a te? Dovrei farlo io?», Tuco la stuzzica e aggiunge il suo ghigno sghembo. «Posso farlo da sola. Non ho paura». Sentenza, intanto, è rimasto senza cavallo ed è accerchiato. Ha trovato riparo dietro un costone di roccia, ma può essere attaccato da due lati contemporaneamente. Per stanarlo, Tuco ha ideato un piano. Anna attaccherà a cavallo, mentre lui calerà alle spalle del gringo dall'altura sovrastante. Eccola... È partita... Anna fa zigzagare il cavallo per alzare più polvere possibile, non dare punti di riferimento e quindi proteggersi: un vecchio trucco.
BANG Giunta a distanza di colt, esplode due colpi. BANG E ne riceve uno. I suoi si infrangono contro la roccia. «Ahhh..!». Quello di Sentenza buca la polvere e trova la sua carcassa!
Forse è stato solo fortunato, ma l'ha beccata. Anna rimane in sella, ma si lascia scappare un grido tormentato che non lascia adito a dubbi. È stata colpita. BANG Spara un'altra pallottola per coprirsi la ritirata e sprona il cavallo per portarsi in fretta il più lontano possibile. A questo punto il diversivo funziona al contrario. Anziché approfittare dell'attacco, Tuco si lascia distrarre dall'amara sorte della compagna. Con lei ha un rapporto morboso, del tipo "la Cattiva e il Bruto". BANG BANG E rischia pure di finire impallinato. Anche lui deve ritirarsi.
La Frentzen inorridisce mentre, ancora in sella, si controlla il buco... Ce l'ha sullo stomaco!
È diventata gialla per la paura! Stavolta è toccato a lei. Ora dovrà presentarsi a Tuco in queste condizioni. Smonta da cavallo, ingobbita in avanti, con ambo le mani pressate sullo stomaco, e guadagna un riparo, mettendosi seduta. Tuco non si fa attendere. «Maldita... che hai combinato?». Le sposta le mani e vede anche lui... «L'hai ammazzato... almeno?». «Quel cane a momenti mi ammazzava lui... Ma è senza cavallo, da lì non si muove, possiamo ancora beccarlo». E gli viene subito un'idea crudele. «Ascolta, Anna... Sei stata con me per molto tempo. Ma stavolta ti è andata storta». «Non penserai davvero di... Io sono Anna Frentzen...». Per tutta risposta, Tuco estrae la colt e le infila la canna in mezzo alle tette. «E perché no? Pensi di essere tanto speciale? Quanti ne hai ammazzati tu?
Vuoi illuderti anche tu? Lo stomaco non perdona. Però sta' tranquilla... gli metterò in conto anche questo». «Aspetta...! Posso ancora... esserti utile...». «L'hai detto. E lo sai come?». «In molti modi...». Anna tira fuori la lingua, come una vipera a cui bisogna ancora schiacciare la testa. La Desabotonada è una gran bella donna, dal fascino sinistro e maledetto. Ha raggiunto i 50, ma è sempre una potenza; scaltra, decisa, ambiziosa, ha messo da parte un grosso bottino per rifarsi una vita altrove. Ecco perché non accetta la fine. «So bene che sei la migliore, ma adesso è più urgente un'altra cosa... Ascolta...». È costretta ad accettare per evitare conseguenze peggiori. «Cerca almeno... di accopparlo subito... o mi riempirà... di piombo...». «Lo faccio secco subito quel bastardo, parola di Tuco». L'attacco stavolta è su un unico fronte, ma il messicano può contare su una corazza d'eccezione: il corpo e la carne di Anna Frentzen. BANG BANG BANG Lo scambio di colpi è serrato, intramezzato da due grida soffocate di donna. Stavolta la sentenza è arrivata per lui. «Non voleva proprio andar giù questo figlio de puta...». Tuco è saltato giù al volo. BANG BANG Per finirlo prima che tenti qualche brutto scherzo. Stavolta la strategia si è rivelata vincente. Tuco ha regolato i suoi conti con Sentenza. «Mi dispiace, bellezza, ma tanto eri già andata...». Si volta verso Anna, scusandosi con lei, che si è presa un paio di due pallottole fresche in pancia al posto suo, ma si accorge che non c'è, perché si sta allontanando quatta-quatta a cavallo. Ed è l'unico che gli sia rimasto. Non può farla andar via. O alla fine ci rimetterebbe la pelle pure lui. Anche Anna ha ideato una sua strategia. E ora cerca di portarsi fuori tiro il prima possibile. Deve far presto. È vero, è fottuta, ma queste due pallottole l'hanno messa stranamente di buon umore, perché poteva andarle molto peggio, perché poteva rimanerci secca. Tuco prende velocemente la mira. «Ti butto giù! Ti sparo in corpo... e ti faccio crepare subito...!». BANG Un colpo alla schiena per tirarla giù dalla sella. Anna allarga le braccia come a distendersi su una croce, è stata colpita, ma riesce a mantenere l'equilibrio, forte della sua cattiveria.
BANG Ormai è fuori tiro. «Maldita!» Tanto sei fottutaaa...!!», le urla dietro a squarciagola, con il suo viscido ghigno. Anna ha preso l'ennesima pallottola, ma è salva... per così dire.
Il cavaliere solitario si avvicina. «Tu sei la donna che sta con la banda di Tuco... Si parla molto di te, ragazza... Sei la Desabotonada». Anna si è malapena accorta della sua presenza. «Stavolta le voci non hanno di certo esagerato... Allora... vediamo un po'... mi sembri ridotta male, ragazza... Che ti è successo? Forse ti sei un po' sopravalutata...». «Come... ti chiami...». «Mi chiamano il Biondo. Ma non lo sono poi tanto...». «Anch'io... ho sentito... parlare di te...». «Dove sei diretta, ragazza?». «All'inferno... Vuoi... accompagnarmi...». «Beh... se fosse l'unico modo di seguirti...». «Io... io...», Anna gli frana addosso. Ottenuto il placet, ha pensato bene di passare all'azione. «Ehi-ehi...». Il Biondo cambia cavallo al volo e la tiene in sella. Raggiunge un riparo e la mette seduta, facendole bere qualcosa di forte. «Allora... sputa adesso... Chi è stato?». «Tuco... ammazzalo... mi ha sparato... alla schiena... e... mi ha usato... come scudo...». «Ha il sangue caldo quello schifoso, ma non spara per niente: cosa gli hai fatto?». «Abbiamo... fottuto... Sentenza... lo conosci...». «Sì, l'ho incontrato, una volta». «Sono... rimasta colpita... allo stomaco... capisci... e lui... Tuco... voleva... chiudere i giochi... così... sono fuggita... ma lui...». «Ti ha sparato alla schiena...». Anna strabuzza gli occhi, come se le parole del Biondo la ferissero di nuovo. «D'accordo. Lo ammazzerò». Lo incontrano che vaga come un cane randagio. «Metti giù il ferro, Tuco!», gli grida da lontano il pistolero. «Ehi, Biondo... sei tu? È la fortuna che ti manda!», lo riconosce quasi subito. BANG Un colpo di winchester gli fa volare il sombrero dalla testa. Quando un uomo a cavallo con il fucile incontra un uomo a piedi con la pistola... «Va bene! Va beneee...!!», Tuco getta il ferro a terra, tanto il Biondo è fuori tiro. «Ammazzalo... subito...», gli sussurra Anna. «No. Preferisco farlo scavare... prima di ammazzarlo...». «Guarda-guarda...», ride con la sua smorfia obliqua, «è nata una nuova coppia...». La Frentzen sta in sella da sola, ingobbita in avanti, la testa piegata sul petto. «Avanti, Tuco... Scavati la fossa...». «E con che cosa?». «Con questo...», gli lancia un badile.
«Vorrei tanto sapere cosa ti ha raccontato quella... ehm... bella ragazza... Non ti farai infinocchiare, spero... Sai quanti ne ha ammazzati che ancora speravano di tirare avanti?». «Tu eri il capo, potevi fermarla. Avanti... non divagare. Vuole vederti morire, e non ne ha per molto». «Ma che dici, Biondo... Anna è una tipa tosta...! Non come quei smidollati... Senti, bellezza... io non volevo, sai? Pensavo di farti un piacere. Tu hai sempre detto: quando toccherà a me, non avrò paura di farla finita... Non è così? Avanti... dillo...». «Ascolta, Tuco... stai parlando di una donna, di una bella donna; di Anna Frentzen. Sicuramente ti ha raccontato un mucchio di stronzate, ma non per questo si meritava un colpo nella schiena, o di prendere piombo al posto tuo. Quindi, scava...». Il tempo passa e la fossa prende forma. «Tutto bene, Anna, vero?». La Desbotonada è seduta a terra contro un masso di roccia sporgente dal terreno arido. «Biondo... ammazzalo subito... ti prego... voglio... vederlo crepare... E poi... dammi da bere...». La pistolera strofina gli stivali sul terriccio polveroso, scaricando rabbia e paura. Il whisky le cola dal labbro e si infila sensuale nella profonda scollatura della camicetta. «Non essere troppo buona, Anna. Prima di morire, Tuco deve lavorare». «Biondo... prendimi la mano... Non ci faccio... una bella figura... lo so... Quello... che ha detto... è vero... Ne ho uccisi... tanti... me lo... chiedevano loro... oppure... erano... alla fine... Io... pensavo... che a me... non sarebbe... mai successo...». «Anna... forse la tua medicina servirebbe a te, adesso...». «Biondo... non penserai di... Io... ti dirò... dove... ho nascosto... il mio bottino... Voglio... che finisca a te...». «Ma questa fossa non finisce mai?!», la interrompe per mettere un po' di fretta a Tuco. «Le cose vanno fatte bene, Biondo! Specie se sono le ultime...». «Bravo... scherzaci su...! Il piombo ti farà meno male!». «Ho paura... che questa... sarà... la mia tomba... Biondo... Ma... non... non voglio... finirci dentro... con quel lurido verme...». «Forse ti salvi, Tuco...!». «E perché?». «Perché al tuo posto ci va Anna...». «Insomma, deciditi... non faccio il becchino gratis!». «Biondo... la fossa... è mia...», gli frana addosso con le palpebre pesanti. La Frentzen sta perdendo il controllo. «Lo so, ragazza. Un ultimo sforzo: parlami del tuo oro». La Desabotonada gli sussurra qualcosa all'orecchio, prima di mollare. «Grazie, bellezza». Il Biondo trascina il corpo sull'orlo della fossa, afferrandolo per gli stivali. Tuco è già dentro, intento a scavare: l'ha fatta bella profonda. Va bene per tutti e due. «Tu sai dove si trova l'oro di Anna?». «Certo che lo so... vuoi saperlo?». «Lo so già. L'hai liquidata per prenderti tutto, vero?». «Ehi... perché non dividiamo, come ai vecchi tempi?». «Io non sparo alle donne, Tuco». BANG E gli butta sopra il corpo della Frentzen... Infine una manciata simbolica di terra.
«Tuco... ci ha... fregato... tutti e due...». Mi ha sparato un colpo solo... quello che io ho sparato a te...». «Cosa... me ne frega... a me...», esausta, con la bava alla bocca, e anche un po' di terra fresca. «Se ne sta andando... senti? Dobbiamo tornare su... Tornerò a prenderti... Mal che vada... starai più larga...», anche con un piede nella fossa, non rinuncia al suo ghigno sghembo. Con un certa fatica, ma Tuco ce la fa. Ad aspettarlo, però, c'è il Biondo. Il cavallo è andato via da solo. Ma tornerà presto per bere. «Tu a piedi, io a cavallo e lei di traverso: quando crepa, se non lo ha già fatto, la consegniamo al primo sceriffo; ha una buona taglia sulla testa, o meglio sulle poppe... che sarà aggiunta al suo bottino. Si divide a metà». «Ci sto...». E così due uomini e una donna - il Buono a cavallo, in mezzo; il Brutto a piedi con una mano sulla pancia; davanti, la Cattiva di traverso sulla sella, dietro - formando una piccola colonna, marciano nella prateria desolata, sognando come sempre l'oro o un'impossibile salvezza, a seconda delle priorità. Stanno comunque tutti meglio del Cattivo, già finito - in buona parte - nella pancia di quegli uccellacci neri che ora danno appuntamento a Anna Frentzen. «Tuco... perché... non lo ammazzi...». Alla prima sosta, Anna cerca di vendicarsi. Sta sgranocchiando delle fogliuzze tritate, che tira fuori da un taschino. «Se non l'ho fatto fino adesso, perché dovrei farlo ora?». La Frentzen viene frustrata dalla risposta di Tuco. Una donna con quattro pallottole in corpo perde peso - nel suo caso solo virtualmente - anche se si tratta di una del suo livello. Non riesce più a manovrare nessuno. Deve rassegnarsi, e concentrarsi solo sulla propria morte.
Il Biondo ferma la colonna e l'accontenta, senza farla scendere da cavallo. Lei cerca di provocarlo fino all'ultimo: si fa sbrodolare l'acqua lungo il collo, fino al seno. La camicetta è aperta in profondità, il petto è ansante, palpitante, alla disperata ricerca d'aria. Le macchie di sangue si sono coagulate: la Frentzen sembra fatta di ferro. «Ti capisco...», cerca di avviare un discorso pur nella sua precaria posizione, «non sono... più... un buon... partito... Mi sono... invecchiata... ingrassata... ho la pancia... bucata... ti capisco... non valgo... molto... ormai... ma... non... non lasciarmi... sola... quando... sarà... il momento...». «Promesso, Anna. Rimetti dentro queste». «Sono tue... se fai... il bravo...». Il Biondo indugia, e prima di andarsene, le passa una carezza. «Tuco è costretto a camminare con un buco nella pancia: sei fortunata, bambola». Forse la strategia comincia a dare qualche risultato. Anna mastica altre fogliuzze, ne ha ancora. La Frentzen a questo punto ci prova. A trascinarsi finché può. E a entrare nel triangolo buono. Tanto più che - se crepa - il suo oro se lo scordano... Non l'avrebbe lasciato a nessuno. Piuttosto l'avrebbe portato con sé, all'inferno... Dal crinale spunta un gruppetto di indiani mescaleros. Non sembrano avere intenzioni pacifiche. «Caprone... muoviti... raggiungi quel mucchio di rocce». È l'unico riparo disponibile. «Ognuno di noi difenderà un punto. E niente scherzi o ci perderemo tutti». Lancia una pistola a Tuco e ne consegna un'altra a Anna, che rimane basita, dopo aver creduto di non rimanere coinvolta più di tanto nell'imminente scontro. «Forza, bambola: ci occorre anche il tuo aiuto». «Basta piombo... sto morendo...», prova a ribellarsi. «Finché spari, sei viva. E finché uccidi, lo rimani». «No... io... non voglio morire...». «Avanti...», il Biondo le punta la pistola contro lo stomaco. «Non... non lo faresti... mai...». «Non scommetterci: sarebbe il tuo ultimo sbaglio», sembra deciso. «Ne ho... fatti... tanti... non ho paura... Biondo...». È un braccio di ferro. «Aspetta...», cala la mandibola, fissando la canna: le viene la fottuta paura di perdere la scommessa. «Io... combatterò... Li ammazzo... tutti...». «Brava...». Si stende la camicetta - le dà sicurezza - e si mastica della polvere fungina: nei taschini ha diversa robaccia per provare a tirare avanti. Ma adesso è indispensabile evitare altro piombo: ucciderebbe una donna morta. Mentre aspetta il verdetto della sorte, la Frentzen suda caldo - per la paura di perdere gli ultimi brandelli di pelle - e suda freddo - perché la morte la incalza: il buco allo stomaco sarà fatale anche a una cattiva come lei. Tuco e il Biondo la sfruttano fino alla fine: sparerà ancora bene, per prolungarsi l'agonia. Sa che è finita, ma anche lei non rinuncia a sfruttare sé stessa: solida e massiccia, temprata da ogni difficoltà, può andare avanti per ore.
BANG BANG I mescaleros partono all'attacco. Lo scontro è duro. Tuco abbandona la posizione per aiutare Anna. Le ha sparato alla schiena, ma le cose cambiano in fretta nella prateria. I mescaleros hanno avuto perdite e ottenuto ben poco: il boccone è troppo grosso, se ne vanno. L'agonia è salva. Lasciato il disperato riparo, la marcia riprende. Viene avvistato il ranch del reverendo Mortimer. Una sosta è d'obbligo. La moglie di Mortimer si prodiga sia per Anna - finalmente un letto - sia per Tuco. «Ehm... la signora...», attacca, imbarazzata, rivolta al Biondo. «Sì, lo sappiamo, sta crepando». «Posso mandare mio figlio a chiamare il dottor Smith...», suggerisce, apprensiva. «Non si disturbi, signora». Un segaossa metterebbe fine alle sue sofferenze. Invece la messicana sembra avere nostalgia della vita. Diamole tempo...». «Ma...! Il dottor Smith non è un segaossa!», protesta vibratamente. «Va in giro con una borsa, o sbaglio?». «Certamente...». «E cosa ci tiene dentro?». «Suppongo i suoi strumenti». «Tra cui sega e bisturi». «È un dottore!». «Appunto! Glielo dicevo. Vede, signora Mortimer... quando un uomo col bisturi incontra un uomo con la colt, l'uomo col bisturi è un uomo morto; ma quando l'uomo col bisturi incontra un uomo senza colt, l'uomo senza colt è un uomo morto». «Io... io non capisco...». «Tuco... la signora sta per chiamarti il dottore. Ti estrarrà il proiettile». «Sei pazzo, Biondo? Fattela tu una visita. Io ho più piombo che ossa in corpo... A meno che il dottore non sia stanco di vivere... perché allora ho io una cura veloce». «Che le dicevo, signora?». Se ne va contrariata. Stavolta il Biondo si presenta al capezzale di Anna senza bisogno di essere chiamato. «Lo sai... a cosa... stavo... pensando...». «A quanto tempo ti rimane». «No... a quello... non voglio... pensarci...». «A cosa, allora?». «Il padrone di casa... è un reverendo...». «Non spererai di andare in paradiso, bambola...». «L'inferno... è il mio posto... lo so...
Perché... non ci sposiamo...». Stupito, porta il sigaro al labbro, rimanendo perplesso. «L'oro... sarebbe... davvero tuo... e io... creperei... da signora... conviene... a tutti e due... Avanti... non abbiamo... molto tempo... Dovresti... ritenerti... fortunato...». E si stira la camicetta per farglielo capire meglio. Anche in fin di vita, Anna cerca di irretirlo. «Ti sei mai sposata?». «Mai...». «Non darle retta, Biondo... Si è sposata almeno due volte, l'ultimo l'ha finito lei», Tuco, spaventato dal dottore, è già in piedi e a zonzo per la casa. «Allora, sei vedova...». «Non... starlo... a sentire... è solo... invidioso...». «Dal tuo fisico, però, sembra tu abbia avuto dei figli...». «Sono... una matrona... che vuoi... ho potere... potenza...», ma ridotta così, non si direbbe. «È vero che ci provavi gusto, quando li finivi?». «Un po' sì... ma... erano... già andati... Mi facevo... toccare... le zinne... mentre... li accoppavo... non... non se ne accorgevano... neppure...». «Però adesso che tocca a te...». «Non ho... niente... da toccare...». «Reverendo Mortimer!». «Tu, Biondo, vuoi davvero prendere come tua legittima sposa la qui presente Anna Frentzen?». Un cenno di assenso con il cappello. «Sforzati un po', figliolo...», lo stimola sottovoce il reverendo. «Sì, lo voglio...». «E tu, Anna Frentzen, vuoi davvero prendere come tuo legittimo sposo il qui presente Biondo?». «Sì... lo voglio...». «Volete voi dunque, Biondo e Anna, unirvi in matrimonio: nella gioia e nel dolore... nella salute...», colpo di tosse del reverendo a frenare un impeto subitaneo di riso, «e nel piombo... fino a che... fino a quando nemmeno la morte vi separi mai...?», occhiata interrogativa del Biondo. ««Sì»». In forza dei poteri a me conferiti dalla città di Yuma, nonché di quelli attribuiti dal mio santo ministero, io vi dichiaro marito e moglie!». BANG BANG «Ehi, gente... la notizia si è sparsa in fretta: già si festeggia...!», Tuco - a ghigno sghembo - guarda dalla finestra. Dopo aver baciato la sposa, il Biondo fa capolino a sua volta. «Avete visite, reverendo».
«Frank... maledetto...». «Frank... il negoziatore della Ferrovia?». «Oh, no... lui è solo un bandito, la Ferrovia fa finta di non saperne niente». «I binari devono passare qui, reverendo?». «Sia fatta la volontà di dio, ma paghino il terreno, però». «Biondo...», Anna chiama, «non immischiarti... ho paura... stammi vicino... Ricordati... la luna di miele... e il viaggio... di nozze... Non abbiamo... molto tempo...». «Temo, Anna, che neanche gli inquilini di questa casa ne abbiano molto. Stringi i denti, ragazza». «Ehi... Biondo... non mi fai... sparare... stavolta?». «Stavolta sei mia moglie...». Apre la mandibola, soddisfatta. Ne ha fregato un altro. «Reverendo Mortimer...!», è la voce Frank, «prega per la tua anima!». «Tuco... tu rimani qui. La bambola potrebbe aggravarsi. In quel caso chiamami». «Dovevi accettare l'offerta, Mortimer!». «E a quanto ammonta quest'offerta...?», il Biondo fa capolino col sigaro. Un'occhiata interrogativa precede la risposta. «2.000... 2.000 dollari per questo allevamento di vipere». «Beh... in fondo non è poi così male, reverendo...». «Ma ne vale almeno 10.000...!». «La tua pelle, reverendo, quanto vale?». «Mah... sono un semplice pastore di anime, non un ricercato... vivo o morto...». Frank trattiene a stento una risatina. «Diciamo... almeno 20.000?». «Se può darsi un valore in dollari a un'anima...». «Bene, reverendo, accetta un consiglio: prendi tua moglie e tuo figlio e va a incassare i 2.000 dollari. E ne avrai guadagnati 10.000 in più di quello che chiedevi». Il reverendo si rassegna e in meno di dieci minuti fa i bagagli e lascia il ranch con la famiglia. «E tu?», gli occhi di Frank lo scrutano sospettosi. «Io sono in viaggio di nozze, e ho pagato in anticipo...». «Tornerò domani, ma se solo vedo la tua ombra, neanche tua moglie ti riconoscerà più». «Temo succederà comunque...». «Ehi, Biondo! Ci siamo! Tua moglie... sta andando!», Tuco lo richiama, senza risparmiargli una macabra ironia. «Che ti avevo detto?».
Anna si è aggravata. Ha steso la testa all'indietro, la bocca dischiusa, gli occhi annebbiati. Le braccia abbandonate lungo i fianchi, con i palmi rivolti in alto. Sembra stia perdendo il controllo. È dunque il tempo: risuona nell'aria secca il requiem di Anna... «Lasciami con lei, controlla che Frank se ne stia andando. Ehi, baby...». «B...i...o....n...d...o...», con un rantolo aspirato antetombale. «C'ho... provato...». «Hai retto parecchio, Anna...». «Crepo... da signora...». «Ho salvato le nozze, il reverendo officiante rischiava di sparire prematuramente...». «Biondo... baciami...». Solo uno schiocco veloce per non toglierle gli ultimi respiri: un bacio prolungato l'avrebbe già ammazzata. Trema di freddo, nonostante la calura opprimente. È proprio alla fine, si è completamente dissanguata, un freddo gelido la invade. «Bevi...», le porge al labbro la fiasca del whisky. «Adesso... ci tieni... a me...». «Ho sentito parlare spesso di te: Anna Frentzen, la pistolera molto cattiva, la Desabotonada diventata il braccio destro di Tuco, il bandito. Ero curioso di conoscerti. Eri diventata una leggenda». «Biondo... ero... sicura... di salvarmi...», la bocca spalancata e gli occhi che già vedono l'inferno. Il pistolero le porta le mani sulla pancia, per farle ritrovare il contatto con la realtà. «Mi... sono... gestita...». «Hai usato il fisico, Anna, la pancia... ma dovevi usare la testa».
«Come... ti chiami...». «Clint». «C...l...i...n...t...», assaporando il nome insieme al sangue nella bocca, alla morte e la riflessa possanza femminile, che lei sa esplodere violenta su di lui. «Credi... sarebbe... durata... fra noi...». «Perché no, di sicuro... Clint & Anna: funziona...». Le tiene una mano sulla pancia, insieme alle sue, mentre con l'altra le asciuga il collo. Gli occhi scartano tra il volto tirato e il seno fibrillante, come se avesse due facce. Due facce della stessa Frentzen. Si sta irrigidendo, per cercare disperatamente di superare la crisi e rinviare la fine. Ha poco sangue in circolo, perciò tirando i freni al massimo cerca di non perdere del tutto il poco rimasto. Anche il seno adesso sembra imbalsamato. È come se fosse già nella tomba. C'è riuscita. Sembra morta, ma la mandibola si muove. «È andata, Biondo?». Tuco non sente più sospiri strozzati dal letto. «Zitto... ci sta provando... Non la disturbare. E Frank?». «Andato». «Facciamo una cosa, socio... Visto che questa baracca finirà bruciata comunque, Frank ce ne sarà grato se cominciamo a smantellarla. Accendi un falò. Grosso, però. E poi vediamo se...». «Se...». «Se ritorna dal viaggio di nozze... grazie a uno stregone di casa all'inferno... che ha conosciuto il potere del bisonte...».
Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. di Salvatore Conte (2012-2018)
È venerdì mattina quando giunge sul posto, dopo aver schivato per un soffio un paio di autovelox. Si tratta di un piccolo cottage in un remoto villaggio turistico sul Lago Champlain. Ma era proprio quello che cercava. Il primo giorno lo passa in veranda, a guardare pigramente le scure acque del lago attraversate di tanto in tanto da piccole imbarcazioni. La sera va a visitare il porticciolo del villaggio e nota che le tariffe per il noleggio sono in fondo abbordabili: un centinaio di dollari al giorno per un 4 metri fuoribordo. Quindi entra nel piccolo pub e cena a base di pesce. Tra un piatto e l'altro, la formosa cameriera mette a fuoco un anziano signore, seduto al bancone, che sembra ricordarle qualcosa. Ma non capisce bene cosa e finisce col pensare ad altro. Sabato mattina, la bella latino-americana fa colazione al bar del villaggio e incontra di nuovo il tale della sera prima.
Quindi si organizza e prende in affitto una piccola imbarcazione. Ha fatto un po' di spesa al piccolo market del villaggio, senza dimenticare una confezione di marshmallow. Il giovane che noleggia i barchini si offre galantemente di accompagnarla, ma lei preferisce andar sola. Romina comincia così a girovagare per il lago, in splendida solitudine.
Non sembra esserci nessuno, infatti. Decide allora di prendere terra e di spiaggiarsi al pallido sole. Dopo un po' si stufa e le viene voglia di esplorare la piccola isola. Cammina spensierata lungo la sponda, ma quando torna indietro non è contenta di notare che un'altra imbarcazione abbia fatto approdo sull'isola. Pur non vedendo nessuno, si rimette in acqua e decide di spostarsi sul lato opposto, a sufficiente distanza dallo sconosciuto intruso. Tuttavia, dopo essersi appisolata sulla nuova spiaggetta, Romina si ridesta angosciata con la sensazione di un estraneo che la stia osservando da vicino; la bella ragazza tira un sospiro di sollievo quando capisce trattarsi di un semplice sogno. Nei paraggi non c'è nessuno, infatti. Però guardando meglio... delle impronte sulla sabbia...! Fresche e proprio accanto a lei! Romina Lopez decide allora di andarsene. Raccoglie le sue cose e sale su barchino. Ma quando sta per avviare il motore, si accorge che la chiave non c'è più! La cerca dappertutto, però non la trova. Cerca allora il cellulare, ma non trova neppure quello. Romina comincia ad avere paura. Che cosa sta succedendo? Decide allora di controllare se l'altra barca si trovi ancora dall'altra parte dell'isola. Ci arriva a piedi e... sì... la barchina è ancora lì dove l'aveva vista. E senza nessuno nei paraggi. Se sola la chiave d'accensione fosse inserita...
Si avvicina e sale a bordo, ma niente! La
chiave non c'è. Il suo possessore è stato più prudente di lei. La Lopez si volta di scatto e vede un vecchio signore vestito da marinaio che da una mano fa penzolare le sue chiavi e con l'altra impugna il suo cellulare. La paura cede il posto alla rabbia. «Ridatemi tutto!». Ma quello alza le braccia ed elude il tentativo della ragazza. «Eh no! Si fa a modo mio! Romina, chiuda gli occhi e apra i palmi delle mani verso l'alto: uno per le chiavi, l'altro per il cellulare». Sembra voglia accontentarla. Che cosa le costa giocare un po' con un vecchio? Romina...? Ma come fa a sapere come si chiama? Apre gli occhi e vede la piccola pistola puntata contro il suo addome. Troppo tardi per reagire.
Il piccolo proiettile calibro 22 a punta cava
irrompe devastante nella pancia di Romina, frammentandosi in numerose schegge,
che le strapazzano le budella e raggiungono anche fegato e stomaco. La sfortunata cameriera urla disperata il suo dolore e si porta disperata le mani a coprire il grosso buco che si è aperto nel suo addome, incredula di essere stata colpita a sangue freddo e senza motivo. «Ora può riavere le sue cose. Sono di parola. Ho solo omesso una .22 a punta cava. Apra i palmi e le consegnerò chiavi e cellulare. Romina crolla sulle ginocchia. Protende una mano verso l'uomo, nella speranza di ottenere il cellulare. Le chiavi non le servono più, non riuscirebbe mai - in quelle condizioni - a ritornare alla propria imbarcazione. L'uomo le mette il cellulare nella mano insanguinata e si allontana. Romina stramazza su un fianco e si rovescia sulla schiena: con una mano si comprime disperatamente l'addome, con l'altra impugna l'apparecchio; le ginocchia alte, per alleviare il lancinante dolore. Chiamare in fretta i soccorsi è l'unica chance che le rimane. Intanto il vecchio marinaio ritorna con una sediolina da spiaggia e una borsa. Accende un fuoco e arrostisce dei marshmallow. Romina riconosce la borsa: quelli sono i suoi marshmallow... La sta umiliando fino alla fine, ma in fondo è ancora libera di chiamare aiuto. Il sangue e il panico, però, rendono difficile l'operazione. L'uomo, allora, si alza dalla sedia, ripulisce sia il cellulare che la mano di Romina, le smuove con dolcezza i capelli e le dà un bacio sulla guancia: «Buona fortuna». Rinfrancata, Romina riesce a comporre il 911. «911: di che emergenza si tratta?». «Aiuto... mi hanno sparato...!». «Qual è la sua posizione?». «Sono... su... una piccola isola.. sul lago...». «Quale isola?». «Non lo so...». «Dove è stata colpita?». «In pancia... brucia...!». «Faremo uscire un ricognitore, stia tranquilla». Ma Romina sa che ci sono decine di isole simili sul Lago Champlain, l'aveva letto sulla guida turistica. C'è solo una remota chance che i soccorsi la trovino in tempo. E le viene il dubbio che anche in ospedale potrebbero far poco per lei. «Pronto? Mi sente?». La Lopez abbandona il cellulare e con entrambe le mani si stringe disperatamente l'addome, cercando almeno di prolungare l'agonia. Il vecchio marinaio, mentre la osserva attento, prepara altri due spiedini di marshmallow e li mette a cuocere sul fuoco. Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. di Salvatore Conte (2018-2021) «Dammi una moneta per mangiare, bell'uomo...». Fa così tutte le sere, alla Bettola dell'Impiccato. Per molti, ormai ottantenne, è soltanto una vecchia megera; per alcuni, invece, riesce ancora a irretire, è sempre una tentazione. Di solito, con un cenno del capo, invita l'interlocutore ad abbassare gli occhi, spostandoli dal volto consumato e tartarugato alle tette e al camicione sbottonato, che si lasciano ancora guardare. Il fisico regge, per il resto è da tempo una megera. Come sempre, sceglie l'avventore meno trasandato, protetto da un cono d'ombra, e lo struscia con la sua carne morbida, perché - tuttaltro che avvizzita - è rimasta grassottella anche alla sua età. È vero e normale: il seno è cadente; però lo mette in mostra lo stesso, fra i lembi della camicetta sbottonata aggressivamente fino allo stomaco. Non si sente finita, anche se molti vogliono farlo credere, magari per spuntare un prezzo più basso. I capelli sono completamente grigi, perché non ha denaro per tingerli; ma i resti sono quelli di una bella donna. È la vecchia Anna Frazer, ancora irrequieta a 79 anni. Anche se ormai è finita, vale tuttora parecchio; riceve diverse proposte di matrimonio, è quotata cifre importanti, ma preferisce rimanere sciolta, almeno al momento; forse da grande deciderà qualcosa in merito. È la vecchia Anna Frazer, megera per alcuni, fata per altri. Si dice che porti gli avanzi della cena ai barboni del Tamigi, rischiando pure qualche coltellata.
Adesso poi ci si è messo un certo Jack a rendere ancora più pericolose le notti londinesi. «Tu?!». L'uomo si è voltato. SZOCK! Con mossa secca e fulminea le immerge un pugnale nello stomaco, fissandola dolcemente negli occhi, in aperto contrasto con il gesto crudele. STRAAP...! E la sventra pure! Ma non completamente, non da parte a parte; quasi usasse un occhio di riguardo per la vecchia signora. E poi la daga è in argento... di valore, lussuosa... gliela lascia dentro come fosse un regalo. Se solo potesse rivenderla, ci mangerebbe a pancia piena per un anno! E invece... c'ha rimesso le budella.
Diversi barboni sono stati ritrovati dissanguati, con ferite alla gola, e lei li conosceva quasi tutti. La polizia l'ha messa sotto torchio più volte; ma non è mai crollata; non ha mai confessato; e l'ha sempre fatta franca. Almeno fino a stasera. La megera spalanca la bocca, attonita, senza un grido. L'uomo la guarda goloso ancora per un attimo. E solo a stento si dilegua. Forse qualcuno ha visto, ma nella bettola tutti si fanno gli affari propri. La Frazer, con le mani strette intorno al pugnale, si va a mettere seduta. Solo quando la testa si piega sul petto, gli avventori cominciano a circondarla. La famosa megera che frequenta la Bettola dell'Impiccato è stata accoltellata a morte! La notizia è enorme! Stavolta è il suo sangue a essere bevuto! Non in una stradina buia, però, come si temeva, ma all'interno di un locale pubblico, con tante persone presenti. La Frazer era un personaggio, una star... La notizia corre frenetica tra i bassifondi della città! Le rialzano la testa, controllano se sia ancora viva e la tengono in equilibrio sulla sedia. Tuttvia il capo si affloscia di nuovo, pesante. Non solo tutti gli altri, ma anche lei si guarda le tette. Le braccia molli lungo i fianchi hanno lasciato il pugnale: adesso le budella che schizzano fuori dalla pancia sono visibili in tutto il loro orrore. «Portiamola da qualcuno...». «Qualcuno, chi?». «Non so... un medico che non vada tanto per il sottile... il dottor Frankenstein, ad esempio...
Il mio amico Jim gli porta spesso dei cadaveri... lui riuscirà a conservarla in qualche modo... e noi potremo rivederla...». Il pugnale viene lasciato al suo posto (estrarlo potrebbe aggravare la situazione), anche se fa gola a molti. I pezzenti si giocano gli ultimi spiccioli. La megera non parte battuta nelle scommesse. Sta sudando le proverbiali sette camicette per tenersi a galla sulle acque melmose del Tamigi. Intanto, con uno straccio ripulito alla meglio, le tamponano il sangue schiumante, e la confortano; soprattutto chi ha scommesso a suo favore. Sono tutti intorno a lei, ansiosi e curiosi. Respira a fatica, sta morendo soffocata, come un'impiccata. I miserabili si consultano. Non vengono chiamati né i gendarmi, né la carrozza medica, e tanto meno un prete. Per i primi non c'è alcuna simpatia fra gli avventori della bettola, la seconda è ritenuta inutile, se non dannosa, il terzo fuori luogo. «Zitti! Sta cercando di parlare...». «Io... so... chi è stato...». «Lo conoscevi? L'hai riconosciuto?», la morbosità è all'apice. Annuisce. «Jack...». «Jack?! Lui!?». Annuisce ancora. Sorpresa, curiosità, paura. Gli avventori si guardano increduli. Jack ha colpito allo scoperto? Eppure appare subito chiaro che nessuno dei presenti saprebbe descriverlo e riconoscerlo. «Si è fatto audace quel macellaio...». «Sentito? Jack è entrato nella Bettola dell'Impiccato!», gioisce il taverniere. «Ma sarà vero?». «È solo una puttana... vuole farsi pubblicità...». «Sta morendo. A che le servirebbe la pubblicità?». «Anna... a chi lasci il pugnale?», chiede uno a nome di molti, molto interessati. «È successo nella mia bettola, pertanto appartiene a me», rivendica l'oste. La super megera, benché stremata, si sforza di parlare. «Il pugnale... è... dei barboni...». Un sommesso brusio di delusione. «Anna... come fai a dire che è stato Jack? Come fai a conoscerlo?», si ritorna all'argomento principale. La vecchia puttana, però, fissa con occhi vuoti il soffitto della bettola, con il collo piegato sulla spalla. «È morta?! È morta!», Anna scatena il panico, l'isterismo. È la fine di una donna considerata eterna. È sfiancata, ma muove ancora la bocca, nervosamente, quasi mordendosi la lingua. «Potrebbe esserci incappata per caso, dopo uno dei suoi omicidi. Potrebbe averlo notato e poi associato al delitto. Questo spiegherebbe il perché dell'esecuzione. Anche lui l'ha riconosciuta». «Non però le circostanze: non sarebbe stato più sicuro ucciderla al buio, sotto un ponte o in un vicolo? Anna girava da sola in piena notte. Sarebbe uscita dalla bettola nel giro di un'ora o poco più, il tempo di mangiare e irretire qualcuno». «Di certo Jack non è un assassino come gli altri. Con il buio va a caccia, individua le prede a caso. Questa sera, invece, ha tolto di mezzo una testimone, agendo con calcolo, senza il gusto della caccia». «Ehi, brava gente, che succede qui?». Anche se indesiderato, un gendarme di pattuglia ha notato qualcosa di strano e si è introdotto nella bettola. «Allora?!». Il poliziotto si avvicina al capannello di miserabili che sovrasta la povera Anna. «Largo...». La super megera, con le budella a penzoloni dalla ferita, lo fissa con occhi sbarrati. «Oh... Cristo!». FIII...! FIII...! Il gendarme, tornato sull'uscio, chiama rinforzi con il fischietto d'ordinanza. Nel frattempo diversi barboni stanno affluendo dal Tamigi.
Viene chiamata una carrozza medica e portata via la megera. «Piano... fate piano...», la vecchia Anna Frazer è trattata come una star. Lei è tesa, non s'aspettava la fine. Un ispettore è salito a bordo. La Frazer ha delle contrazioni, degli spasmi agonici; e lui prova a interrogarla, prima che sia troppo tardi. «So che è un momento difficile per voi, signora... ma è davvero... vero... che sia stato lui... cioè Jack... Jack lo Squartatore?! Stringete la mia mano, se è vero!». «Posso ancora... parlare... non voglio... morire...». «Certo, signora... voi siete una donna importante... Ma ci sono poche possibilità, vi devo avvertire: fareste meglio a dire subito quello che sapete...». La carrozza medica si ferma. Il vetturino entra nell'abitacolo. L'ispettore alza gli occhi, perplesso. «È vero...». SZOCK! Gli lascia il tempo di conoscere la verità. Poi - con scatto fulmineo - gli attraversa la gola con una lama. «Presto mi occuperò anche di te». E la carrozza si perde nella nebbia, sempre più lontana dall'ospedale.
La carrozza si ferma ancora.
«Ti ho ucciso, ma non troppo. SWISH!
Le estrae con mano esperta il
pugnale e le tiene dentro le budella.
Porti i segni di una vecchia classe». Tuttavia sa che non può deluderlo. Jack l'ha scelta. È stata incoronata Regina di Londra. «Voglio vivere... sbottonata...». «Vestirai capi dorati con bottoni d'argento, ma li aprirai raramente». Non solo non è finita come donna, ma con un colpo di coda ha squartato lo stesso Jack. Con la bocca spalancata, agonizzante, mormora qualcosa... «Va bene...». «Ora torno a cassetta. Non deludermi, Anna. Se vai all'inferno, non avrai scampo. Li ritroverai tutti. Quel momento è stato troppo breve per loro. Avrai coltellate su coltellate. Ti conviene farli sbollire». E le preme le mani sui tamponi sanguinolenti che trattengono le budella. «Stringi... Fra poco saremo a casa. Un mio amico ti controllerà gli intestini, e se occorre ne avrai di freschi... Tu, Anna, non rimarrai uccisa! Parola di Jack!». La fissò intensamente. «No... io... non posso... morire...». «Tu, Anna, non rimarrai uccisa! Da cassetta ti controllo, stai tranquilla». Anna annuisce. E stringe. Il cadavere di Anna Frazer, nonostante le frenetiche ricerche, non si trova in tutta Londra. È stato invece rinvenuto, restituito dal Tamigi, quello di un ispettore di polizia. Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. di anonimo (2016)
Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. di Davide Giannicolo e Salvatore Conte (2019-2021) (in blu: testo originale di Giannicolo) (in azzurro: elaborazioni di Conte, autorizzate da Giannicolo)
Disse la donna abbassando gli occhi sui suoi
enormi seni, facendoli leggermente danzare. «Ma lo sai che se parte una cartuccia, ci rimani fottuta? Una bella vecchia come te, che è riuscita a campare fino a 60 anni, rimarrebbe uccisa sul colpo... con un buco nella schiena grosso come quello davanti...». «Cos'è? Ti stai innamorando, cocco?
Se parte, parte, prima o poi succederà,
rimarrò uccisa sul colpo o morirò in ambulanza, ma almeno qualcuno piangerà per me...»,
cambiando registro, tra il serio e il faceto, da grossa puttana. La maniglia, però, non riuscì a girarla. Un impulso irrefrenabile lo costrinse a tornare indietro. «Ecco, adesso ti è arrivato in gola! Era quello che volevi, no?». Glielo gridò in faccia, convinto di parlare a un bel cadavere, ma la donna aveva dei sussulti. Dan rimase basito: quella troia spappolata lo fissava con occhi languidi, carichi di latente lussuria, come se l'essere morta la lasciasse indifferente. L'uomo era eccitato dall'idea di poter cogliere gli ultimi spasmi della grossa puttana, aggrappata quasi per gioco a un bizzarro sussulto di vita. Con il lembo attorcigliato di un lenzuolo formò un duro tampone che introdusse nella vagina devastata, nel disperato tentativo di allungarle l'agonia. «Come ti chiami?», le domandò, e intanto la tirò seduta contro la parete, perché stava soffocando nel suo stesso sangue. «Kelly...», per essere una vecchia troia rimasta uccisa in quel modo, parlava ancora bene. «Mi dispiace, Kelly: pensavo volessi fregarmi. Ma adesso ti faccio portare in ospedale e ti prometto che non morirai sull'ambulanza». «Aspettavo... da tempo... questo momento...». «Dannati capezzoli... come fai a procurarteli?». «Sono finti... idiota... una copertura... per la roba...». «Cristo!», e le asciugò il sangue che sbavava dalla bocca. «Kelly... adesso chiamo un'ambulanza: te la caverai, una come te se la cava di sicuro». «Non subito... prima... prendimi... le tette... e sborrami... addosso...», eccitata di sentirsi ancora viva, e con un paio di pezzi ancora sani, voleva godere fino all'ultimo, anche se la sua vagina non esisteva più: era letteralmente esplosa e sparsa in giro per la camera. «Sei forte, Kelly: io e te ci dobbiamo rivedere... io mi chiamo Dan», ma i grossi pezzi di carne erano ormai duri come il marmo e ciondolavano rigidi alla stregua di massi di pietra legati a un cadavere, fatto sparire sott'acqua. «Dan...nazione... Ho... f-fred...do...», il devastante colpo la condannava, benché la donna facesse appello a tutta la sua possanza per tirare avanti. «Cristo... stai crepando, Kelly!», cercò di riabbottonarle addosso la camiciona sbrindellata e spinse ancora più dentro il tampone della disperazione, costituito dal lenzuolo arrotolato su sé stesso, sperando di rallentare la spaventosa emorragia, ma quando lo sentì cedere e lo vide uscire dalla schiena, dovette arrendersi all'evidenza. Era letteralmente esplosa. «D...a...n...», un grugnito soffocato. «Kelly... hai commesso una follia! Sei morta! Nessuno ti può salvare!». Malgrado tutto, però, era stato lui a sparare. Il gioco, comunque, volgeva al termine: uno spasmo, e la testa della donna si piegò sulla spalla, gli occhi fissi al soffitto, la bocca spalancata, l'espressione incredula. La botta era stata troppo forte anche per una grossa vacca come lei. A questo punto doveva andare via. Non c'era più niente da fare. Di sborra il fucile ne aveva fatta troppa! Non sapeva dove andare, si ritrovò a bighellonare ormai rassegnato sulla propria sorte, quando un'ambulanza per poco non lo investì. «Dove diavolo vanno con questa fretta? Per salvare un uomo mezzo morto, ne ammazzano uno vivo... Vivo...», ripeté perplesso. «Quasi morto...», concluse disperato, e ripensò alla vecchia troia spappolata... Una fica infernale!
E fu visto correre dietro l'ambulanza. IL GIORNO IN CUI SHUB-NIGGURATH SI INCULÒ LA MADISON di Davide Giannicolo e Salvatore Conte (2019-2021) (in blu: testo originale di Giannicolo) (in azzurro: elaborazioni di Conte, autorizzate da Giannicolo)
Inizialmente si trattava di bazzecole, cerchi di candele, rituali, orge, si era fatta inculare e aveva inculato (con falli di gomma e di ferro) innumerevoli politici. Il gioco, però, era destinato a diventare sempre più pesante.
E intanto era invecchiata, forse più del dovuto:
se non fosse stato per le sue famose tettone e i fulgidi
capelli biondi, Kelly Madison sarebbe stata considerata una vecchia megera;
aveva raggiunto i 60 e non molto bene: droga, alcol e stravizi vari le avevano
presentato il conto.
Lo shock psicologico fu tremendo! Perfino
maggiore di quello fisico: le viscere divelte dal corpo! Nel frattempo, strisciando tra la sua stessa poltiglia come un essere disumano, la vecchia troia - caricata a molla dalla rabbia fuoriosa che la scuoteva - cercò di concepire un piano: doveva arrivare sul terrazzo e supplicare la misericordia di Shub-Niggurath. Solo la Dea prolifica poteva salvarla, a quel punto. Jeff non poteva più aiutarla, Ryan - se anche fosse stato lì - l'avrebbe soltanto commiserata, le cose fra loro non funzionavano più; anzi Kelly sperava che il marituccio rincasasse prima del tempo, così da ritrovarsi nel culo l'immonda progenie... se aveva perso le budella, poteva tranquillamente fare a meno anche di uno stupido giocattolo... Lasciando dietro di sé una spaventosa scia di sangue, ma convinta di potersi ancora salvare, la leggendaria troia della West Coast stava disperatamente cercando di raggiungere il terrazzo del suo prestigioso attico. Il suo stesso sangue avrebbe richiamato Shub-Niggurath. Non poteva credere che la divinità si sarebbe privata di lei, non era mai stanca di incularla, era ancora potentissima, non c'era nessun altra come lei, a 60 anni il suo prestigio era in costante crescita, in milioni sbavavano in streaming sulle sue tette e tutte le puttanelle della West Coast dovevano passare fra le sue cosce, se volevano fare il salto. Kelly sapeva che per i malati di cancro all'intestino venivano prodotte specifiche protesi: in fondo, era come se si fosse tolta dalle palle un devastante tumore alle budella.
«Devi capirla, Kelly: sventrarti è stato per la mia progenie un piacere irrinunciabile. Io stessa ne sono stata tentata. Soltanto la mia divinità mi ha trattenuto dal farlo». Annaspando nella sua immonda agonia, la vecchia troia sbudellata inorridì: tra la nebbia, davanti ai suoi occhi, vide la testa decollata di suo marito Ryan! Era quella che le parlava! «Ti ho liberato di lui, ho esaudito il tuo desiderio, anche se ti è costato parecchio...». Un tentacolo penetrò nell'ano distrutto della somma puttana: poco dopo un nero di seppia si sparse ovunque, ricoprendo lo stesso sangue di Kelly. «Ora sei definitivamente mia e berrai acqua salata. Ma non scherzare più con i miei figli: soltanto io posso controllarmi. Almeno finché mi piacerà... Bada a non sgonfiarti...
E nessuno parlerà di questo. Ma tu non farti più vedere così sbottonata da una progenie in crescita, controlla te stessa e i tuoi camicioni, perché non spargerò altra essenza su di te... lurida puttana... vecchia zoccola...». La testa di Ryan cessò di parlare. Kelly Madison - eccitata di essere ancora viva - riprese a strisciare, stavolta verso la cucina, in direzione della saliera. Aveva una sete disperata. Avrebbe fatto qualunque cosa pur di salvarsi e ripartire da una carrozzina. Anzi, l'aveva già fatta... Lettore, se vuoi conoscere l'attrice che ha ispirato questo racconto, clicca qui. Il racconto è un tributo alla sua bellezza, carisma, personalità. Gli aspetti negativi sono introdotti per mere esigenze di ordine drammatico, narrativo, teleologico. Il ruolo della protagonista va assimilato a quello dell'attrice rispetto a un film. La devozione alla persona in questione, da parte dell'autore empirico, è implicita e assoluta. |
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